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3400
Chilometri tra ghiaccio e fuoco – Agosto
2011
Partiamo da Fiumicino durante uno dei
fine Luglio più torridi che io ricordi e per questo il pensiero
di andare “al fresco” ci alletta non poco; nel nostro volo, poche file
davanti a noi, c’è la sempre bella Milly Carlucci conosciuta molti
anni fa durante la mia performance televisiva (Scommettiamo
Che ? 1995). Dopo aver fatto scalo a Londra-Heathrow proseguiamo per
Reykjavik-Keflavik; all’atterraggio arriva la sorpresa: un bagaglio danneggiato
ed uno perso…e quale è quello perso ? ma proprio quello che contiene
le giacche a vento e gli accessori invernali come guanti, sciarpe e cappelli
di lana ! Per fortuna i “fondamentali” come le medicine sono state divise
in più valigie ognuna con un doppione di farmaco uguale all’altro
(vedi la mia pagina sulla valigia). Ovviante
per la nota “legge di Murphy” piove molto e tira un vento freddo, condizioni
atmosferiche sfavorevoli, che non si presenteranno più tutte insieme
“dopo” recuperata la valigia !
Facciamo denuncia di smarrimento
presso il bancone “lost and found”, prendiamo l’auto a noleggio (una piccola
Toyota Auris) con un seggiolino-rialzo (booster) per Marika e ci diamo
da fare per far fronte alla temporanea emergenza.
Riguardo il freddo ci copriamo “a
cipolla” con il vestiario a disposizione mentre per il cappellino di lana,
visto che è sabato sera ed i negozi sono chiusi (ed il giorno dopo
è domenica quindi rimangono chiusi) ne acquisto uno caldo e morbido
in una stazione di servizio…purtroppo l’unico modello non è il
massimo del buon gusto: teschi bianchi su sfondo grigio, ma è comodissimo
! Nella stessa compriamo anche un pò di cibarie e quattro bottiglie
di acqua minerale che fungeranno da borracce per l’intero itinerario !
E’ ormai sera ma c’è ancora
tanta luce, anzi è bene sapere che nei mesi estivi il sole tramonta
tardissimo (durante il solstizio d’estate non tramonta affatto) e anche
quando cala sotto l’orizzonte il cielo è sempre ben illuminato e
non è mai buio.
La nostra guest-house a Reykjavik
è
la Guesthouse Isafold
situata nella parte vecchia della città. Questo alloggio, dove dormiremo
anche al ritorno del nostro giro orario intorno all’isola, è risultato
tra le scelte più azzeccate per vari motivi. Innanzitutto la posizione:
una tranquilla e silenziosa via vicina ai principali luoghi da vedere (la
via ha i parcometri ma a poche decine di metri ci sono strade a parcheggio
“free”), poi in 15 minuti massimi di auto si raggiunge la chiesa principale
Hallgrímskirkja
con la vicina
via dello shopping, in molto meno il lago artificiale:
Reykjavíkurtjörn
(Live
Webcam), il
Perlan, la spiaggia di Nauthólsvík,
la piazza principale della capitale: Austurvöllur (Live
Webcam), il discount Bonus; a
piedi si raggiunge invece il porto con i pub ed il chiosco di hot dog più
famoso d’Islanda, il Bæjarins Beztu
Pylsur ed il lungomare dove è posto il simbolo di Reykjavik:
una nave Vichinga stilizzata in acciaio (tutte cose che descriverò
a fine racconto).
Altra positiva sorpresa, le camere
prenotate nelle varie strutture del nostro percorso sono prive di
servizi (per risparmiare) ma in questa guest-house i bagni al piano sono
in rapporto 1:1 con le stanze e non sono in comune ! ad ogni camera ne
è assegnato uno specifico con relativa chiave privata. La colazione
poi, inclusa come sempre in tutte le guest-house islandesi, è a
dir poco superlativa con innumerevoli pietanze di dolci, salumi, pesce,
ecc. in un ambiente piacevole in stile marinaro; completa la nostra impressione
positiva la squisita gentilezza del proprietario e della figlia, il wi-fi
gratuito (grazie al quale la sera mi vedo un Tg italiano) e l’uso cucina!
Il giorno seguente facciamo telefonare
in aeroporto per avere notizia della nostra valigia e veniamo a sapere
che appena arrivata in Islanda è stata caricata su un autobus in
partenza per Stykkishólmur, cioè la successiva nostra destinazione
come da piano di viaggio che avevamo consegnato al momento della denuncia
di smarrimento. Poichè però ne abbiamo bisogno il prima possibile
prendiamo l’auto e riusciamo ad intercettare il mezzo alla stazione di
partenza recuperando anzitempo il bagaglio… ci sentiamo decisamente sollevati,
il viaggio può iniziare come da programma.
Decidiamo di rimandare alla fine
dell’itinerario la visita di Reykjavik, sperando in un tempo migliore,
visto che al ritorno ci fermeremo ben due notti e ci dirigiamo alla Blue
Lagoon (Grindavík), la Laguna Geotermale artificiale
con spa annessa a circa 60 Km da Reykjavik.
La Laguna Blu (Bláa Lónið
nelle indicazioni stradali) è una distesa lavica riempita con sei
milioni di litri di acqua salata ad una temperatura di circa 40 gradi.
Quest’ acqua, pulitissima perchè filtrata ed in continuo ricambio,
proviene dalla condensazione del vapore utilizzato per far girare le grandi
dinamo per la produzione elettrica di una vicina centrale. Il vapore è
ottenuto dal pompaggio di acqua marina mista ad una minima percentuale
di acqua dolce freatica che viene fatta scendere sino a 2 km di profondità
dove la vicinanza del magma presente nella spaccatura tra il continente
Americano e quello Europeo riesce a scaldarla istantaneamente a quasi 250
gradi; una volta vaporizzata risale in superficie in pressione sino alle
turbine della centrale termica. La Laguna artificiale che risale agli anni
80 è riconosciuta come un toccasana per varie patologie: dalla psoriasi
alle affezioni respiratorie ed annette un centro di cure di bellezza; ma
per noi e per la maggior parte della gente è semplicemente una piacevole
tappa di relax e svago. Live
Webcam
La giornata è decisamente fredda
e leggermente piovosa; mentre facciamo la fila per entrare siamo piuttosto
dubbiosi su quanto sia stata azzeccata l’idea di spogliarci al freddo proprio
all’inizio del viaggio ma i dubbi presto spariranno. Dopo effettuato il
biglietto (30 euro per noi adulti, gratis per le mie bimbe – anno 2011)
e ritirati gli asciugamani ed i braccioli per la più piccola, ci
vengono dati dei braccialetti a radiofrequenza passiva con i quali è
possibile usufruire di armadietti a chiusura elettronica e pagare l’eventuali
birre ghiacciate e panini venduti nel bar esterno al centro della laguna.
Poi donne e uomini si dividono per l’obbligatoria doccia (sapone e shampoo
forniti) dove è obbligatorio denudarsi completamente per effettuare
un lavaggio soprattutto nelle parti intime e nelle ascelle (ci sono cartelli
che lo illustrano e lo impongono), dopo si entra in una struttura al chiuso
(con snack-bar annesso) dalla quale ci si può calare in acqua. La
trovata azzeccata è proprio questa: calarsi al chiuso ed al caldo
in qualsiasi stagione e clima per poi a nuoto raggiungere un portone che
una volta aperto, sempre rimanendo immersi nell’acqua termale calda, porta
verso l’esterno. La sensazione piacevole dell’acqua bollente con il clima
esterno “frizzante”, unita al paesaggio lavico lunare è tale da
far scordare di essere nel luogo più turistico e meno naturale di
tutta l’Islanda; nonostante la folla la sensazione di pace è totale
ed il nuotare tra i vapori in un’acqua di colore azzurro-lattiginoso per
le microscopiche alghe azzurro-verdi e la silice, in un brusìo quasi
silenzioso di voci, rende l’atmosfera al limite del reale. Ai lati della
laguna ci sono dei grandi contenitori di legno dotati di un mestolo con
il quale prendere il “silica mud”, una pasta bianca a base di silice da
spalmare in viso e sul corpo che esfolia la pelle rendendola liscia. Completano
la struttura un bagno turco, una sauna, delle cascatelle massaggianti,
un ristorante a buffet ed il classico negozio di souvenir. Laguna Blu è
un “must” che vale la pena di vedere.
Dopo svariate ore passate in acqua
usciamo, doccia, spuntino con hot dog e via verso Stykkishólmur
dove arriveremo la sera dopo aver percorso circa 230 Km in quattro ore.
Unica particolarità di questo
tratto di strada: una galleria a pagamento (Hvalfjörður Tunnel)
che serve a saltare un fiordo, in pratica con 7-8 minuti (5,7 Km) si risparmia
circa un’ora di viaggio, che scende con una forte pendenza sino a 165 metri
sotto il livello del mare; si tratta di una galleria piuttosto angusta,
priva di areazione e di antincendio (ma con autovelox!), a doppio senso
di marcia e buia, che è stata per questo bocciata
l’anno scorso dall’ EuroTAP (European Tunnel Assessment Programme); probabilmente
negli anni futuri verranno effettuati lavori di messa in sicurezza.
Avendo più tempo tra la capitale
e la nostra tappa successiva è possibile visitare, deviando verso
l’interno, la potente sorgente geotermale di Deildartunguhver che
riscalda, oltre che le abitazioni, le molte serre di frutta ed ortaggi
della zona e le cascate di Hraunfossar e Barnafoss ma saltarle
non crea troppo rimpianto in quanto so che successivamente vedremo fenomeni
simili ben più spettacolari. |
Arrivati a Stykkishólmur
(180 Km dalla capitale) prendiamo possesso delle stanze alla Sundabakki
Guesthouse, una piacevole struttura sul fiordo dove, come sempre,
fa da padrone il silenzio. Il villaggio è molto piccolo, poche case,
una stazione di polizia, l’immancabile piscina comunale calda, la guardia
medica, il porto da cui partono i traghetti verso il Nord-Ovest e le escursioni
di Whale e Wildlife Watching (Seatour) e gli unici luoghi dove poter mettere
qualcosa sotto i denti: un paio di ristorantini aperti solo d’estate (al
porto), uno sperduto chiosco di hot dog ed un piccolo campeggio dove vendono
i gelati; il supermercato è chiuso per ferie. Una curiosa sorpresa:
mentre con il nostro inglese non perfetto ordiniamo gli hot dog ci vediamo
rispondere dalla cuoca in perfetto Italiano; per un attimo strasecolo visto
che la ragazza ha il tipico aspetto islandese, cioè biondissima,
non alta (nonostante la discendenza vichinga gli islandesi sono mediamente
bassi), un pò “in carne”, con un sorriso radioso ! Vengo poi a sapere
che è un’islandese sposata con un italiano, trasferita da anni in
Spagna e che in occasione delle ferie è tornata nel suo paese per
rivedere i parenti ed aiutare la cognata nel chiosco: in ogni caso questi
sono stati gli hot dog più buoni, migliori di quelli del più
famoso chiosco al porto di Reykjavik, e questo non è poco considerando
che l’hot dog è diventato il cibo nazionale islandese, un vanto
che ha oscurato persino la fama dei piatti più tradizionali.
La guest house con le solite stanze
“essenziali” ha l’uso cucina, il wi-fi e un pc desktop a disposizione dei
clienti. La gestrice Svava è veramente gentile e sarà forse
grazie alle mie bimbe con cui viaggio ma ovunque ricevo affetto e calore.
Prima di ripartire Svava regalerà alle mie figlie due statuette
di ceramica raffiguranti degli angioletti, uno dei tanti soprammobili,
pupazzi, quadri e ammennicoli vari che gli islandesi amano mettere sui
davanzali interni delle ampie finestre, tenuto conto che queste ultime
di solito sono, per motivi climatici, fisse o al massimo hanno una piccola
parte superiore con apertura a vasistas.
A Stykkishólmur
soggiorneremo due notti in quanto un giorno intero lo prenderà l’esplorazione
della penisola del parco nazionale Snaefelsjokull e relativo vulcano
e ghiacciaio, mentre il giorno successivo procederemo all’imbarco (auto
compresa) sul traghetto che in tre ore ci porterà a Brjánslækur
(con una breve sosta intermedia all’isola di Flatey) nella regione
dei Fiordi dell’Ovest (Westfjords) evitandoci moltissime ore di
auto in una zona di scarso interesse escursionistico.
Sullo Snaefelsjokull è stato
ambientato il romanzo di Jules Verne: “Viaggio al centro della terra“;
il giro completo autostradale di questa montagna porta via circa 200 Km.
Lungo il percorso, pieno di luoghi suggestivi e di leggende come la saga
sulla donna islandese che diede alla luce il primo bimbo Europeo nel Nuovo
Mondo, si possono trovare scogliere abitate da numerose specie di uccelli
e sentieri di trekking, uno dei quali, presso Öndverðarnes,
molto suggestivo è stato da noi percorso lungo i suoi 2,5 Km di
scogliere a picco sull’Oceano. Altri luoghi interessanti sono il villaggio
di Ólafsvík con il vicino vulcano sul mare, Bjarnarhöfn,
dove si vedono dalla strada i capanni aperti lateralmente con appesi come
prosciutti le parti di squalo a marcire (vedi la sezione “cibo“)
e le varie spiagge dorate (soprattutto a Öndverðarnes)
ornate da scogli neri sui quali vivono aggrappate le colonie di Kelp
(lunghe alghe nastriformi) e le chiocciole di mare; su una di queste spiagge
abbiamo pranzato al “sacco” con il cibo gentilmente offerto da Svava.
La sera, dopo l’ennesima cena a
base di hot dog e scatolette, facciamo una passeggiata lungo il fiordo
sul quale troviamo anche un’altalena per le nostre bimbe e poi andiamo
a nanna, il mattino successivo ci aspetta il traghetto alle 9.00.
Verso le otto arriviamo al porto
per prelevare i biglietti d’imbarco (abbiamo la prenotazione); puntualissimo
alle 9.00 il traghetto è in partenza.
La traversata è piacevole,
il mare quasi calmo, fuori sul ponte però non è possibile
stare, il vento è troppo forte, quindi desisto dalla speranza di
avvistare qualche balena o qualche orca, evento raro ma che mi hanno detto
possibile; per questi mammiferi ci sono in alcuni villaggi costieri escursioni
apposite. All’interno del traghetto si sentono dei profumi: prendo degli
hot dog e delle patatine fritte appena cucinate per le mie donne. |
Sbarcati a Brjánslækur,
un semplice molo di attracco desolato, mi dirigo in direzione di Patreksfjordur,
il Fiordo di San Patrizio, il santo padrino irlandese del primo colonizzatore
nella regione. Arrivato al fiordo devio verso occidente in direzione della
penisola di Látrabjarg per raggiungere
l’Hotel Latrabjarg (70 km
da Brjánslækur). In questa parte dell’isola le strade
asfaltate diventano una rarità ed il paesaggio è molto selvaggio
con picchi innevati, tantissime piccole cascate che arrivano fin sulla
strada e pecore. Le uniche abitazioni sono delle isolate fattorie qualcuna
con chiesetta annessa; mi chiedo come possano vivere tutto l’anno famiglie
in completo isolamento soprattutto quando le strade si riempiono di neve.
Una di queste fattorie, tra le più sperdute, è proprio l’Hotel
Latrabjarg incastonato in un fiordo con vista su un’ampia spiaggia. Il
turismo è quasi assente e l’unico suono è lo stridìo
delle migliaia di sterne artiche che volteggiano basse attaccandoci ogni
volta che passeggiamo nei campi, beccandoci i cappelli ! La giornata è
molto nuvolosa, buia, decidiamo quindi di non proseguire oltre in quanto
con il mio netbook via wi-fi apprendo che il giorno seguente sarà
una splendida mattinata di sole, quindi l’ideale per il pezzo forte della
penisola di Látrabjarg: l’osservazione delle Pulcinelle di mare
(Puffin).
Puntuale il giorno dopo il cielo
si dipinge di azzurro; l’aria frizzante e l’assenza di vento preludono
all’ “escursione perfetta”.
Il luogo dove nidificano le Pulcinelle
di mare, goffi ma simpatici uccelli marini vagamente rassomiglianti a dei
pinguini volanti dal becco variopinto (sono uno dei simboli dell’Islanda)
si trovano nella parte più occidentale della penisola (Bjargtangar),
in corrispondenza di un faro. Per raggiungere questo luogo bisogna percorrere
decine di chilometri di strade sterrate e sassose, alcune impervie e strette
costeggiando i fianchi delle scogliere, prive di visibilità, doppio
senso e senza protezioni. La strada finisce su un promontorio erboso a
24°31’44” ovest e 65°30’11” nord (valori indicati sulla targa del
faro) che rappresenta il punto più occidentale dell’Islanda e quindi
anche dell’Europa politica.
Il modo migliore per osservare le
pulcinelle è sdraiarsi (ci siamo attrezzati per questo con i copri-pantaloni
impermeabili, quelli che si usano d’inverno in moto) ai bordi delle scogliere
dove questi uccelli nidificano proprio nella parte più superiore,
tanto che si riesce ad avvicinarli anche da un metro di distanza. Le scogliere
non sono adatte a chi soffre le vertigini: infatti sono alte dai 60 ai
441 metri; oltre alle pulcinelle vediamo molti altri uccelli marini e persino
un gruppo di foche nuotare sotto di noi; c’è chi, i giorni prima,
ha avvistato sulle collinette vicine delle volpi artiche.
Terminata l’osservazione proseguiamo
lungo la strada che costeggia gli altri fiordi, in un paesaggio mozzafiato
fatto di mare e montagna, neve e ruscelli. La tappa successiva sono le
cascate di tuono, le Dynjandi, una sequenza di sette cascate, la
più grande di tutte, quella superiore chiamata Fjallfoss
ha la forma di un trapezio alto 30 metri e largo 60 alla base. Raggiungiamo
quindi le cascate tramite la statale sterrata numero 60 che costeggia il
parcheggio. In una mezzoretta percorro il sentiero che si arrampica sino
alla cascata principale… una meraviglia, moscerini a parte. Si prosegue
verso il villaggio di Suðureyri (200 Km da Latrabjarg). Prima di arrivare
attraversiamo un tunnel (il Vestfirðir tunnel) abbastanza curioso:
si tratta di un tunnel a “Y” (cioè che all’interno si divide in
due tunnel diversi) lungo poco meno di 10 km … ad una sola corsia !!!
In pratica quando si imbocca bisogna stare attenti ai fari delle auto,
ben visibili in quanto la galleria è abbastanza buia. Se si vedono
dei fari appena imboccato il tunnel si fa retromarcia altrimenti si prosegue,
ogni tanto c’è una banchina laterale sulla quale parcheggiare per
far passare le auto incontrate all’interno: la difficoltà sta nel
calcolare bene in base alle luci a quale banchina fermarsi; le banchine
sono solo da un lato, quindi chi procede dall’altro “non si ferma”!.
Su youtube ho trovato un video che
rende bene l’idea anche se il primo tratto è stato imboccato dal
lato inverso al mio, lato che per qualche centinaio di metri ha doppie
corsie: http://www.youtube.com/watch?v=LscUoz2I1Rs. |
Usciti dal tunnel ci troviamo subito sul mare e poco dopo arriviamo a Suðureyri,
un villaggio di pescatori di 300 anime all’interno dello stretto fiordo
Súgandafjörður
dalle cime innevate a qualche decina di chilometri in linea d’aria dal
Circolo
Polare Artico. Lungo la strada sono un paio di giorni che non incontriamo
un supermarket e siamo a corto di viveri, chiediamo dove poter comprare
cibarie ma l’unico luogo è un benzinaio all’interno del paese che
vende solo surgelati e dolciumi e nonostante dove dormiremo è disponibile
una cucina comune decidiamo di mangiare all’interno della struttura il
Fisherman
Hotel. Le camere (wi-fi) e il ristorante sono molto eleganti; intendiamo
! quando dico eleganti non intendo in senso assoluto ma rispetto le altre
sistemazioni !; per fortuna ci siamo solo noi quindi il bagno in comune
diventa in pratica privato. Il paese, pur caratteristico, non ha nulla
di particolare da vedere quindi la sera dopo cena porto le mie bimbe a
giocare in un vicino parco giochi (altalene, scivoli e l’immancabile barchetta
in disuso, privata del motore) e nel laghetto vicino dove papere ed anatroccoli
ci scroccano un pò di cracker; nel frattempo la nebbia scende lentamente
dalle montagne.
Il giorno successivo, di buon mattino,
con un bel nebbione partiamo proseguendo sulla strada dei fiordi; poco
dopo usciti dalla galleria percorsa il giorno prima ma questa volta in
direzione Nord troviamo il villaggio di Isafjordur al cui incrocio
c’è un Bonus Discount. Ci precipitiamo per fare la spesa ma purtroppo
è chiuso e apre troppo tardi per la nostra tabella di marcia. Avessi
avuto più tempo mi sarei fermato anche per prenotare un’escursione
naturalistica all’isola di Vigur e gustare in barca qualche mitilo
crudo ma dobbiamo proseguire, la strada è tanta e non è delle
migliori, dobbiamo uscire dalla regione dei fiordi dell’Ovest e raggiungere
Hvammstangi.
Lungo il percorso ogni tanto incontriamo a pochi metri dalla strada delle
colonie di foche che prendono il sole sulle rocce; a dire il vero ci sono
un paio di punti segnalati da cartelli ma abbiamo incontrato gruppi di
foche anche dove non c’era alcuna segnalazione; con un pò di accortezza,
approfittando della loro innata curiosità mi è stato possibile
avvicinarle a breve distanza. |
Sulla statale n.1, qualche chilometro
dopo Laugarbakki, nelle vicinanze di Hvammstangi,
arriviamo nella fattoria Gauksmýri
dove abbiamo prenotato due stanze (370 Km, quasi 5 ore di auto da Suðureyri).
Si tratta di una fattoria specializzata nell’allevamento dei cavalli, i
tipici cavalli islandesi, una razza equina di taglia piccola (una via di
mezzo tra il Pony ed un cavallo di dimensioni standard) ma dalla corporatura
massiccia e dalla folta criniera e coda. La razza, originaria dei climi
freddi della Siberia e della Mongolia, fu importata dai Vichinghi norvegesi
sbarcati in Islanda circa 1000 anni fa e da allora è rimasta purissima.
Le mie bimbe ovviamente ne sono affascinate e non avendo mai cavalcato
in vita loro decido che la loro prima esperienza l’abbiano proprio in Islanda.
Accertatomi che la maggior parte della gente che viene a cavalcare in questa
fattoria lo fa per la prima volta, prenoto, per il giorno seguente, due
cavalcate per le mie piccole (1h, 30 euro ciascuna).
E’ sera ed il tempo è tornato
ad essere molto nuvoloso e ventoso ed accenna ogni tanto qualche goccia
di pioggia ma poichè a differenza che in Italia non necessariamente
un tetto di nuvole color carbone è preludio di un acquazzone, approfittando
delle ampie ore di luce, decido di intraprendere il periplo della vicina
penisola
di Vatnsnes; circa 90 Km di strada non asfaltata, più o meno
tre ore calcolando i fermi per le attrazioni da vedere.
Incominciando in senso orario il
giro della penisola, si incontra il villaggio di Hvammstangi,
io l’ho salto, ma volendo ci si può fermare per visitare il Museo
della Foca (Icelandic Seal Center) e prenotare un’escursione di
Seal Watching in barca . Continuando costeggiando di tanto in tanto il
mare (che è mosso), scorgendo ai lati della strada i tipici trespoli
dove viene seccato ancora artigianalmente il merluzzo (noi lo conosciamo
come “stoccafisso“), si incrociano dei sentieri che indicano l’accesso
alle colonie di foche, le più importanti sono quelle di Hindisvík
(quasi all’estremità della penisola) e quelle successive verso Est
di Osar. Noi ci siamo fermati alla prima. Una volta parcheggiata
l’auto nei pressi di una fattoria abbiamo seguito a piedi il sentiero per
circa 500 m nella più totale desolazione, solo campi sferzati dal
vento tra i versi delle migliaia di sterne artiche e le immense colonie
di gabbiani e altre specie di uccelli marini che nidificano su una striscia
di roccia lavica che come un frangiflutti si erge dal mare parallelo alla
spiaggia, a qualche decine di metri dalla costa. Alla fine del sentiero
c’è una piccola capanna di legno con due ampie vetrate all’interno
della quale c’è il libro dei visitatori con la penna, una cassetta
per le offerte pro-foche e due potenti cannocchiali legati solo con una
esile catenella che ha la funzione di evitare che cadano in terra danneggiandosi;
non per fare l’esterofilo e criticare il mio paese ma credo che in un posto
tanto isolato in Italia i cannocchiali non sarebbero rimasti al loro posto
un solo giorno, anzi penso che sarebbe sparita l’intera capanna; il mio
pensiero va ai tanti parchi giochi della mia città distrutti ed
imbrattati dopo poco tempo dalla loro costruzione …ma siamo in Islanda
dove il rispetto per la cosa pubblica, il buon esempio e l’educazione permette
di lasciare senza problemi qualsiasi oggetto perchè si è
sicuri di ritrovarlo e a questo proposito noterò lungo il viaggio
molti altri esempi. Tornando alla colonia di foche, questa si trova a qualche
decina di metri dalla spiaggia, in mare, sulla striscia di scogli antistante.
Le foche sono numerose ma sinceramente mi è piaciuto più
osservare le foche lungo la strada perchè avvicinate a pochi metri
che queste che, pur abbondanti come numero, si trovano più distanti
(ecco il perchè del cannocchiale!).
Continuando sulla
strada, interrotta solo da sonnecchianti pecore e gruppi di persone a cavallo,
incontriamo l’arco di roccia di Hvítserkur che con la bassa
marea (qui le maree sono ampie) è possibile attraversare a piedi;
poi ci dirigiamo verso la fattoria per preparare in stanza qualcosa da
mettere nello stomaco e dare un’occhiata al tempo (wi-fi solo nella reception).
Volendo prolungare la visita ci sarebbe nella parte finale della penisola
un’attrazione minore: Borgarvirki, una formazione rocciosa a forma
di ferro di cavallo, un realtà un antico cratere vulcanico di basalto,
che è servito come una fortezza al tempo dei Vichinghi intorno all’anno
1000.
La mattina
seguente, dopo una colazione da re in quanto arricchita da quanto avanzato
dal buffet della sera prima (la fattoria ha anche un ristorante) ci dirigiamo
verso le stalle, le mie figlie non stanno più nella pelle dall’emozione
!
Apro una parentesi:
un mea culpa; inconsapevolmente ho mangiato, scambiandola per roast
beef arrosto, carne di balena (che ho poi scoperto essere un piatto abbastanza
comune in Islanda); solo in un secondo momento (leggi: al secondo giro
di riempimento di piatto) ho notato in piccolo la scritta “Minke Whales”;
giuro che, almeno per un profano come me, ha l’aspetto ed il sapore indistinguibile
dal roast beef, quello classico tagliato a fettine, scuro fuori e leggermente
rosato dentro. Chiusa parentesi.
Arrivati nelle
stalle, le mie bimbe vengono fornite del cappello rigido da fantino e messe
in sella sul cavallo in modo da regolare finimenti e staffe. Marika, la
mia più piccola di cinque anni, passa dall’emozione gioiosa, al
pianto di paura…non si aspettava che i cavalli fossero così “alti”
!
Con molta
pazienza la stalliera cerca di rassicurarla ed anch’io cerco di starle
vicino durante i primi dieci minuti di addestramento all’interno di un
recinto dove vengono date le istruzioni di “guida”. Dopo un pò però
il sorriso torna e felice insieme a Maeva, la sorella maggiore, partono
per le lande erbose (e in quel momento ventose e accarezzate da una leggera
pioggerellina); spariranno presto col gruppo dietro una collina per tornare
solo un’ora dopo eccitate e contente per l’esperienza.
E’ tempo di
ripartire, prossima meta: Akureyri (190 Km da Hvammstangi),
uno dei paesi più grandi dell’Islanda, circa 20.000 abitanti.
Lungo la strada ci fermiamo alle
imponenti “cascate degli dei”: Godafoss.
Poichè nella zona, oltre
le cascate, non ci sono molte attrazioni mentre nella tappa successiva
(il Lago Myvatn) ce ne sono troppe, pianifico di anticipare qualcosa della
prossima zona approfittando della distanza relativamente breve (circa 90
Km da Akureyri).
Infatti a questo punto del mio itinerario
ho commesso un errore dettato dal fatto che, per problemi personali, ho
dovuto progettare il viaggio senza uno studio “full immersion” adeguato
del territorio se non poche settimane prima di partire. A tornare indietro,
a costo di allungare le tappe stradali, dedicherei tre giorni alla zona
intorno al lago Myvatn saltando sia la notte prima ad Akureyri che quella
successiva a Egilsstadir. |
Ad ogni modo la tappa ad Akureyri
è
servita a far giocare in piena libertà un pò le bimbe poichè
abbiamo alloggiato presso una scuola, chiusa in occasione delle vacanze
estive, che si autofinanzia affittando tutto l’anno le camere (wi-fi) ai
turisti in una struttura annessa (Skjaldarvik
Guesthouse) ad un passo dal fiordo.
Le mie figlie una scuola elementare
ed asilo come quella in questione se la sognerebbero: ho avuto modo di
visitarla ed apprezzare i fornitissimi laboratori didattici (falegnameria,
mosaici, pittura, ecc.), per non parlare del parco giochi, delle decine
di mountain bike a disposizione degli alunni, il boschetto con le amache,
i giochini, le papere, ecc.
Unico piccolo inconveniente: in
uno dei due bagni in comune è esplosa una tubatura allagando l’intero
corridoio, stanze comprese!
Non distante da Akureyri c’è
il porto di Dalvik da cui partono i traghetti per la vicina isola
di Grímsey, l’unico lembo di terra islandese toccato
dal Circolo Polare Artico. |
Come accennavo prima, la zona del lago
Mývatn,
è ricchissima di cose da vedere; anticipando il giorno prima qualcosa,
vedendo dell’altro il giorno stesso e posticipando altro ancora a scapito
della meta successiva: Egilsstadir, sono riuscito a ricavare quasi tre
giorni di visita pur dormendo una sola notte presso il lago. La nostra
base è la Guesthouse Stöng
in Mývatnssveit, una fattoria con stanze piuttosto datate
all’interno di un pittoresco appartamento arredato come se il tempo si
fosse fermato 100 anni fa: probabilmente si tratta dell’ex appartamento
del vecchio fattore, peccato solo ci sia un unico bagno in comune; l’ubicazione
si raggiunge tramite una strada non asfaltata in località Stöng,
in piena campagna.
Cartina stampata da Internet alla
mano, ho iniziato con la zona a nord-est del lago dei “moscerini” (Mývatn
vuol dire “moscerini” e chi ha fatto una passeggiata lungo alcuni tratti
delle sue sponde sa bene che il nome è pienamente azzeccato), la
prima tappa è il campo geotermico di Hverarond, una vasta
solfatara con pozze di fango ribollente e fumarole che spruzzano vapori
caldi dall’odore pungente di zolfo. Scendendo verso sud si possono fare
delle tappe lungo il lago per ammirare le bizzarre formazioni laviche ed
i molti “Pseudocrateri” (i migliori visitabili in località:
Skutustaðegigar),
dei coni somiglianti a piccoli vulcani creati in realtà da esplosioni
di vapore dovute all’impatto della lava incandescente nell’acqua fredda.
Continuando nella parte nord-orientale del lago, tramite una stradina sterrata,
si arriva a Grótagjá, delle grotte riempite di acqua
a 50 gradi ! Un cartello all’entrata piuttosto inquietante con la scritta
“rocks have recently fallen from the roof of the cave, not for the
last time” non mi ha fatto desistere dall’entrare per ammirare
il laghetto interno.
Fino agli
anni ’70 era possibile nuotare nell’acqua calda come in una piscina termale,
poi una serie di attività magmatiche innalzarono la temperatura
dell’acqua a oltre 60 gradi; dall’epoca si sta raffreddando lentamente
e forse presto sarà di nuovo balneabile, rocce pericolanti a parte
!
Nelle vicinanze
ci siamo fermati al Cowshed-Café : Vogafjós,
una guest-house-fattoria-bar-ristorante dove alle 7.00 o come nel nostro
caso alle 17,30, è possibile assistere, senza dover consumare nulla
o essere clienti, alla mungitura delle vacche e, per chi vuole, assaggiare
il latte appena munto, un piacere che però sconsiglio vivamente
per evitare, per quanto gli animali vivano in ambiente pulito, il pericolo
di essere contaminati da microrganismi patogeni anche molto pericolosi.
La giornata
successiva invece, l’abbiamo dedicata interamente al relax, sempre ben
accetto in “tour de force” come questo, una bella “ammollata” nelle Jarðböðin
Myvatn Natural Bath (15 euro adulti, gratis bambini: aperta d’estate
sino a mezzanotte !). Questo laghetto geotermico, aperto al pubblico nel
2004 è alimentato da una sorgente bollente che proviene da 2,5 km
di profondità. Quando fuoriesce è a circa 100 gradi tant’è
che alcune zone sono interdette e nuotando ogni tanto in alcuni punti bisogna
spostarsi velocemente perchè ci si scotta ! Rispetto la più
grande Laguna Blu, la Jarðböðin Myvatn mi è piaciuta
molto di più perchè maggiormente tranquilla, raccolta e poco
frequentata, appunto ideale per il relax . Sullo skyline un’enorme bocca
di vapore si vede fuoriuscire da un impianto termico nelle vicinanze. Mia
moglie Maria dopo un’oretta esce, si fa la doccia, e fa uno spuntino all’interno
della mensa self-service (un piatto di fusilli in bianco conditi con pomodori
secchi sott’olio e semi di girasole) per poi tornare fuori ai bordi del
laghetto a prendere il sole “con il maglione” su una sedia; la giornata
è bellissima, c’è un cielo azzurro e la temperatura, nonostante
siamo solo a 100 Km dall’artico e in collina (300 m s.l.m.), supera i 15
gradi: io e le mie bimbe rimaniamo in acqua per qualche ora, uscendone
abbronzati e con le dita talmente “cotte” da rimanere “grinzose” per un
paio di giorni. Ceneremo con una delle decine di pacchi di biscotti al
doppio cioccolato e cocco comprati nel Bonus.
Il giorno dopo
prima di intraprendere gli oltre 200 Km fino alla prossima destinazione,
tratto piuttosto dissestato e poco asfaltato (nonostante si tratti della
statale n.1, la principale dell’isola) visitiamo le ultime attrazioni della
zona: le cascate più a nord: Dettifoss, Selfoss e
Hafragilfoss
situate
tutte nel canyon Jökulsárgljúfur.
Dalla Statale
1 bisogna, venendo dal lago e proseguendo verso est, imboccare la strada
sulla sinistra che ha il cartello rosso “Dettifoss“. Questa indicazione
è nuova in quanto fino all’anno scorso questa strada era una di
quelle percorribili solo in 4×4; in realtà da qualche mese è
stata (quasi) completata una larga, liscia ed asfaltata strada che finisce
in un parcheggio dal quale poi bisogna camminare una ventina di minuti
sino alla cascata: ne vale la pena in quanto il lato più suggestivo
è questo, quello occidentale, perchè il “salto” è
rivolto leggermente di fronte. Il bivio successivo, quello “storico” si
trova poco dopo proseguendo sulla N.1, questa strada (n.864) porta nella
sponda orientale più frequentata dai pullman turistici perchè
arriva molto più vicino alla cascata ma la vista è meno eccezionale;
più avanti ci sono le meno sceniche Hafragilfoss. La Dettifoss è
la cascata più imponente d’Islanda e d’Europa, circa 500 tonnellate
dacqua al secondo d’estate che possono diventare 1500 in caso di attività
vulcanica fondi-ghiaccio; vista a distanza ravvicinata fa impressione per
la sua potenza delle sue acque nere di fango proveniente dai sedimenti
glaciali dello scioglimento del ghiacciaio Vatnajökull; il
rombo si sente a decine di chilometri di distanza, gli spruzzi ci bagnano
come se piovesse già in lontananza, tutto intorno il paesaggio è
lunare e selvaggio, paesaggio che è stato salvato anni fa dagli
ambientalisti che si opposero al progetto di imbrigliare parzialmente il
fiume per ricavarne energia elettrica.
Con una facile
passeggiata dal sentiero delle Dettifoss è possibile arrivare alle
più piccole ma ugualmente suggestive cascate di Selfoss
Altri luoghi
intorno a Myvatn che meriterebbero una visita (me li ero tenuti di “scorta”
ma li dovuti “saltare” perchè non si può fare tutto: ci vorrebbero
due un mesi di ferie !) sono:
| Hofði:
un
parco naturale privato situato su di un promontorio sul lato orientale
del lago ricco di betulle (cosa rara, in Islanda non esistono boschi o
foreste) e luogo di nidificazione di diverse specie di uccelli. |
| Krafla:
un vulcano attivo la cui caldera è visitabile quando non è
in attività. |
| Viti:
un
vulcano il cui cratere contiene un lago color turchino (ma ne vedremo uno
simile più avanti). |
| Dimmuborgir:
una
distesa lavica dove camminare fino a raggiungere la grotta lavica di Kirkjan
(la Chiesa). |
| Hverfjall:
un cratere che si scala in una mezz’oretta con facilità tramite
un sentiero sabbioso per godere del panorama sul lago Myvatn. |
| Húsavík:
il
villaggio sul mare (a 50 Km da Myvatn) considerato la capitale mondiale
del Whale Watching, dove, oltre le escursioni si possono visitare il curioso
Museo
Fallologico e quello di Storia Naturale. |
|
La sera arriviamo
stanchi ad Egilsstadir e dopo
una spesa presso un Bonus raggiungiamo la Eyjolfsstadir
Guesthouse.
La guest-house è in realtà
una Bible School, in pratica un seminario per pastori protestanti; molto
elegante, ben tenuto, pieno “ovviamente” di bibbie con tanto di cappella
con sedie, altare e strumenti musicali per la funzione. La cosa per noi
curiosa è che le nostre due stanzette si trovano praticamente all’interno
della cappella; dal mio letto aprendo la porta posso scorgere a pochi metri
l’altare ! Sempre dalla cappella si accede ad un locale dove tra libri
e crocifissi ci sono tantissimi giocattoli, inutile dire dove hanno passato
la serata le mie bimbe !
Le altre stanze della struttura
invece si trovano in un’altra ala dell’edificio, quindi per noi è
assicurata la privacy.
In zona, oltre al lago Lögurinn,
per chi volesse farsi un’oretta o più di trekking di media difficoltà
(con le mie bimbe ho preferito lasciar perdere per non stancarle
troppo) ci sono da vedere le cascate di Hengifoss e le colonne poligonali
basaltiche nelle gole del fiume a valle. |
La mattina
presto partiamo verso Höfn,
ma poichè anche dopo 3 ore (240 Km) è troppo presto per prendere
possesso della stanza tiriamo dritti di altri 70 Km, come d’altronde è
da programma, verso la famosissima Laguna di Jokulsarlòn sulla
quale galleggiano gli iceberg.
La laguna glaciale di
Jokulsarlòn è formata da un lago molto vasto profondo
200 metri che ha riempito la cavità lasciata da una lingua del ghiacciaio
Breiðamerkurjökull
parzialmente ritirato a causa del riscaldamento globale dagli inizi del
secolo scorso, questa lingua è una ramificazione del ghiacciaio
più grande d’Europa: il Vatnajökull; la laguna è
quindi molto giovane: ha circa 60 anni. E’ ben visibile dalla statale N.1
in quanto questa strada attraversa, tramite un ponte, il canale di collegamento
con l’Oceano che a seconda della marea porta gli iceberg che si staccano
dal ghiacciaio in mare oppure immette acqua salata nella laguna.
La sua fama è dovuta dal
fatto che, oltre ad essere un “must” per chi si reca in Islanda, è
stata, grazie alla sua spettacolarità, il set naturale ad alcuni
celebri film come quelli di James Bond :”007
La morte può attendere” e ” 007
Bersaglio mobile “, Tomb Raider, Batman Begins, Beowulf & Grendel
oltre a serie tv americane come The Amazing Race e talk show come Good
Morning America; nonostante la popolarità è un luogo naturalistico
di rara bellezza e pace. Live
Webcam
Oltre ad una tranquilla passeggiata
nei dintorni consiglio di partecipare ad una delle escursioni di circa
40 minuti (15 euro adulti, 10 bambini nel 2011) che ogni 20 minuti partono
da terra tramite dei mezzi anfibi per poi inoltrarsi in acqua. L’escursione
è direttamente prenotabile da alcuni addetti presenti nel bar del
parcheggio; la guida, presente sul mezzo ci ha spiegato la formazione della
laguna e ci ha fatto assaggiare un pezzo di ghiaccio antico di 1000 anni
prelevato dal gommone che segue l’anfibio per eventuali emergenze (sono
attentissimi alla sicurezza).
Prendendo di nuovo l’auto e superando
di pochissimo il ponte è possibile esplorare le sponde occidentali
della laguna quasi deserte e più avanti la laguna di Breiðárlón,
un paradiso surreale dove il turismo non arriva in quanto già appagato
dalla laguna principale. Ma il massimo secondo me è continuare pochi
chilometri verso Sud-Ovest sulla N.1 e trovare (non è segnalata)
una stradina non asfaltata che si addentra verso l’interno. Questa strada
porta alla laguna di Fjallsárlón, un gioiello tra
i ghiacci galleggianti dove il silenzio è spezzato solo dal grido
di qualche uccello marino. La strada si interrompe a circa mezzo chilometro
dalle sponde, poi bisogna proseguire a piedi facendo attenzione, quando
si salta tra un ruscello e l’altro, a non affondare troppo nelle sabbie
mobili.
Il pomeriggio torniamo indietro verso
Nord-Est per raggiungere l’Hotel
Edda Nesjum.
La catena dei 13 hotel Edda è
una buona soluzione per soggiornare grazie all’ottimo rapporto prezzo/qualità;
durante il periodo scolastico fanno parte dei servizi di soggiorno per
le scuole mentre d’estate diventano alberghi per i turisti con tanto di
targa “hotel edda” posticcia e con la tipica bandiera gialla con scritte
verdi e logo. Si dorme nelle camerette degli studenti, la maggior parte
delle quali, come le nostre, sono prive di bagni in camera…in compenso
lungo il corridoio ce ne sono a sufficienza ! All’interno dell’Edda volendo
c’è un servizio di ristorazione.
Unico episodio increscioso: in tutte
le strutture in cui abbiamo soggiornato l’assoluta atmosfera “famigliare”
ci faceva sentire come a “casa propria” e per questo, tranne che per dormire,
abbiamo sempre tenuto le porte delle nostre stanze aperte o al massimo
semichiuse. Verso le 21.00, quindi non a notte tarda, io e la piccola Marika
stavamo navigando con il mio netbook in wi-fi chiacchierando del più
e del meno. Una fortunatissima signora anziana tedesca all’improvviso in
preda ad una crisi isterica ci ha sferrato un pugno sulla nostra porta
gridandoci in un italiano alla “Sturmtruppen” di far silenzio, che eravamo
maleducati e che c’era gente che voleva dormire. Faccio presente alla fortunatissima
vecchietta con molta educazione, visto l’età, che erano solo le
21.00 e che parlavamo normalmente, ma la fortunata senza sentire ragioni
continuò ad inveire ! Non esagero quando dico che il pugno della
fortunata signora aveva lasciato addirittura il segno sulla porta della
nostra stanza; la situazione mi ricordava il razzismo del campeggiatore
tedesco che gridava a Fantozzi “Italiani sempre rumore, sempre cantare
chitarra e mandolino !” con la differenza che il Rag. Felini e il Rag.
Fantozzi facevano veramente casino e a tarda notte !
Ah ? vi chiederete “ma perchè
fortunata ?” ma è lapalissiana ! perchè se al posto mio fosse
capitata una qualsiasi altra persona, l’incivile ed arrogante vecchietta
avrebbe avuto come minimo tutti i denti (o forse la dentiera ?) saltati
da un meritatissimo pugno rieducativo e punitivo tale da indurre a più
miti consigli ogni altro insolente episodio futuro della sua vita volutamente
precaria. |
La mattina dopo un’abbondante colazione
si parte con destinazione: Kirkjubaejarklaustur
(190 Km da Höfn), ripassiamo davanti
le lagune glaciali formate dal gigante Vatnajökull, ghiacciaio
sotto il quale dormono alcuni vulcani tra cui il Grimsvotne che
due mesi fa si era risvegliato bloccando il traffico aereo di alcuni scali
europei per qualche giorno e davanti il più piccolo ghiacciaio di
Eyjafjallajökull
(Live
Webcam) saltato alla ribalta l’anno scorso per l’eruzione del vulcano
omonimo che aveva paralizzato invece per settimane il traffico aereo di
tutta l’ Europa.
In realtà l’Eyjafjallajökull
non è un grande vulcano, ma come per altri Islandesi, si trova sotto
un ghiacciaio ed in caso di eruzione il forte shock termico causato dall’incontro
dei lapilli con il “tappo” di ghiaccio sgretola la roccia in una polvere
più fine di quanto sarebbe se non ci fosse questa reazione e la
nube risultante rimane sospesa per molto tempo senza ricadere viaggiando
per settimane (o mesi) alla mercè del vento.
Ben più pericolosa sarebbe
l’eruzione del vicino del mostruoso Katla (Live
Webcam) che storicamente ha eruttato altre volte proprio dopo il
risveglio del Eyjafjallajökull. Durante il viaggio ho monitorato la
situazione di questo vulcano giornalmente dalle guest-house tramite il
sito http://en.vedur.is/earthquakes-and-volcanism/earthquakes/
in quanto sta dando segni di risveglio (piccoli terremoti, scioglimenti
improvvisi di ghiaccio tanto che uno ha spazzato
un pezzo della statale N.1). Il Katla erutta ogni 50-80 anni e ad oggi
ne sono passati 93 dalla ultima eruzione, tra l’altro poco significativa;
se dovesse esplodere potrebbe ripetersi la tragedia accaduta alla fine
del 18° secolo quando eruttò insieme ad altri vulcani minori
“gemelli” cioè facenti parte dello stesso “sistema”, il Laki,
uccidendo direttamente per avvelenamento o indirettamente per malattie
respiratorie migliaia di persone in tutta Europa che fu oscurata da una
fitta nebbia rossastra (la “nebbia secca”) che bloccò i porti, ghiacciando
i fiumi più a nord dell’emisfero boreale e mutando il tempo dall’America
all’Asia: in Europa non ci fu l’estate, l’India fu colpita da una forte
siccità, il Giappone ebbe tre estati fredde e piovose che distrussero
i raccolti di riso causando ovunque gravi carestie che furono ad esempio
tra i fattori scatenanti della Rivoluzione Francese nel 1789. Il complesso
del Laki non è estinto e potrà risvegliarsi insieme ad altri
vulcani islandesi che a causa del riscaldamento globale stanno perdendo
il loro “tappo” di ghiaccio che per millenni ha contenuto la loro irruenza.
In questi giorni oltre al Katla,
stanno dando segni di risveglio anche il Tambora indonesiano
e un altro mostriciattolo messicano, il Popocatepetl; se
dovessero eruttare tutti insieme ci sarebbe un cambiamento climatico pari
ad una mini era glaciale (ma eviterei di scomodare il 2012 dei Maya!).
Nel frattempo noi andiamo a dormire
ai piedi di questo sistema vulcanico, appunto nell’ Hótel
Laki Efri-Vík Farmhotel in un bellissimo
mini-cottage internamente di legno come in una baita ed esternamente di
metallo, formato da un’unica stanzetta con un letto matrimoniale, due letti
a castello ed un tavolo, l’unica sistemazione del viaggio con incluso il
bagno, la doccia ed l’angolo cottura privati.
In zona abbiamo
visto, il ridente villaggio di Vik (autovelox all’entrata del paese)
dove ci siamo fermati in un fornito negozio di souvenir per comprare i
regalini per amici e parenti, i bei faraglioni nei pressi di questa cittadina
ed il vicino promontorio di Dyrholaey (strada molto dissestata)dove
ho avvistato, anche se in minor numero, le pulcinella di mare durante la
loro pesca “subacquea” e ammirato un arco di roccia passeggiando poi in
spiaggia. Abbiamo “saltato” le cascate Svartifoss (le cascate nere),
caratterizzate dalle colonne di basalto dalla forma esagonale per evitare
una scarpinata di 45 minuti che avrebbe sottratto almeno 3 ore della giornata
che preferivo spendere nelle più note e più belle cascate
di di Skogafoss e di Seljalandsfoss poste lungo la statale principale a
pochi minuti di auto l’una dall’altra.
Le cascate
di Skogafoss sono per me le cascate più belle, sceniche,
emozionanti ma anche visitate e fotografate d’Islanda. Intorno a queste
si sono sviluppate alcune attività turistiche (souvenir, ristorante)
per fortuna ad una certa distanza in modo da non deturpare il paesaggio.
Si possono ammirare da sopra salendo 700 scalini oppure da sotto camminando,
anche a piedi scalzi, in un prato verde morbidissimo sul quale ci siamo
adagiati per un un picnic con le due stuoie di bambù che mi ero
portato dall’Italia.
E’ una meravigliosa
giornata di sole questo contribuisce a creare uno splendido arcobaleno
formato dalle goccioline d’acqua della cascata sospese nell’aria. L’arcobaleno
è talmente marcato, anzi gli arcobaleni in quanto ce ne sono due
uno dentro l’altro, che avvicinandosi alla cascata io e le bimbe abbiamo
avuto un’esperienza quasi psichedelica: la possibilità di entrare
con il corpo tra i sette colori per cercare di toccarli con la mano come
si tenterebbe in un film 3D.
Tra l’altro,
pur essendo una delle attrazioni più gettonate, una volta andata
via una scolaresca mascherata da vichinghi (Marika si è anche fatta
sfacciatamente prestare il classico copricapo con le corna per una foto
!) siamo rimasti praticamente da soli in prossimità del getto potendo
filmare e fotografare senza fretta l’effetto “arcobaleno”.
La cascata
successiva, la Seljalandsfoss è invece caratterizzata dal
fatto che, seguendo un sentiero muniti di “qualcosa di impermeabile”, è
possibile ammirarla dal retro, in pratica è possibile girarle intorno
! |
Penultima meta (215 Km da Kirkjubaejarklaustur):
Hveragerdi,
un ridente paesino simile ad un quartiere residenziale di villette e giardini
dove faremo base presso la Guesthouse
Frumskogar. In questa parte d’Islanda siamo
vicino alla capitale e di conseguenza i luoghi da vedere sono fortemente
turisticizzati con decine di pullman di viaggi organizzati compresi quelli
“mordi e fuggi” di soli 4-5 giorni.
Il più
affollato di tutti è senz’altro il Geysir, anche se dipende
sempre dagli orari…la mattina presto e la sera tardi (tanto c’è
luce !) lo si può ammirare in tutta tranquillità ! Geysir
è una zona dove si trovano pozze d’acqua ribollente, antichi geyser
spenti e lo Strokkur, il geyser più regolare e frequente
del mondo. Ogni 8-10 minuti (ma talvolta anche molto prima o addirittura
due volte di seguito) erutta colonne di acqua fino a 30 metri d’altezza
tra l’eccitazione dei turisti; niente a che vedere con il vicino Grande
Geysir che eruttava fino ai primi anni del ventesimo secolo getti alti
sino a 80 metri (e durante un risveglio temporaneo nel 2000 sino a 122
metri). Di grande effetto è anche è la bolla azzurra che
si forma un attimo prima dell’eruzione. Live
Webcam
Di fronte
a questo parco geotermico c’è un parcheggio con un grande self-service
e negozio di souvenir che funge anche da visitor-center dove è possibile
vedere gratuitamente filmati sui fenomeni vulcanici islandesi.
A breve distanza
da Geysir ci sono le cascate Gullfoss, tra le più famose
d’Islanda, imponenti, anch’esse accarezzate nelle giornate di sole da bellissimi
arcobaleni. Si possono raggiungere tramite due strade, una in basso che
arriva all’altezza del salto principale (praticamente si parcheggia di
fronte), la seconda in alto: si parcheggia e poi si scende una scala di
legno. Una volta arrivati è possibile costeggiarle a piedi tramite
un sentiero piuttosto “umido” : infatti un’ improvvisa folata di vento
ha deviato gli spruzzi della cascata facendomi letteralmente una doccia…per
fortuna mi ero attrezzato con pantaloni impermeabili e giaccone da neve
! Live Webcam
L’ultimo sprazzo
di relax lo troviamo nel parco nazionale di Thingvellir (Live
Webcam) dove, stranamente, ci siamo solo noi ! Questo bellissimo parco
ispira serenità, è attraversato da una serie di ruscelli
calmi dall’acqua bassa e trasparente con ponticelli di legno; tutto intorno
prati verdi dove passeggiano le anatre. Più avanti si erge un lungo
muro naturale di roccia (Almannagja) formato dall’unico tratto al
mondo non sottomarino della dorsale
medio-atlantica: l’imponente frattura che separa il continente americano
da quello europeo. All’interno della frattura che si allarga di vari millimetri
l’anno (tra milioni di anni l’Islanda si dividerà
in tre parti) è possibile passeggiare sino a raggiungere un
palco sovrastato da una bandiera dove si può ammirare l’intera vallata.
Thingvellir è anhe il luogo dove i vichinghi formarono il primo
parlamento democratico del mondo, nel 930 d.C. (Althing).
In
zona, in località Silfra, è persino possibile (a caro
prezzo, ma è compreso l’affitto dell’attrezzatura) poter fare snorkeling
o addirittura diving nella spaccatura tra i due continenti. |
Il giorno
seguente 50 Km di strada ci riportano al punto di partenza, Reykjavik
nella stessa guest house dell’inizio del viaggio: la Guesthouse
Isafold. Un pò più di calma rispetto l’andata e soprattutto
il tempo bello ci permette di visitare meglio la città. Il traffico
è praticamente inesistente e si vede un pò di movimento di
auto solo nelle arterie principali che si diramano nella città,
delle vere e proprie superstrade multi-corsia dove i limiti di velocità
ricalcano quelli extraurbani con dei semafori sorvegliati da autovelox.
La capitale non è grandissima ed infatti ha meno di 120.000 abitanti,
circa la metà di quanti ne vivano nel resto del paese, il meno popolato
d’Europa. Questa bassa concentrazione di persone, nonostante sia il popolo
più prolifico d’Europa: quasi tutte le coppie hanno 3 figli (la
media statistica è 2,2), unita al fatto di avere praticamente a
costo zero fonti di energia rinnovabili in quantità, in primis la
geotermia ma anche l’idroelettrico, rendono gli abitanti abbastanza benestanti
da riuscire a superare, decisamente meglio di noi, la crisi economica mondiale
attuale, la svalutazione della corona rispetto l’euro e persino la fortissima
crisi finanziaria interna, anche se su questo argomento bisognerebbe aprire
un discorso
a parte che preferisco evitare perchè sarebbe troppo lungo (anche
se utile) e forse fuori tema in questa recensione di viaggio.
La prima tappa è la chiesa
Hallgrímskirkja,
l’edificio più alto della nazione, dal quale, tramite un ascensore
a pagamento, è possibile vedere una buona parte della città,
la baia ed i monti ancora imbiancati dalle nevi invernali; si può
parcheggiare tranquillamente in una delle vie a poche decine di metri di
distanza facendo attenzione che siano prive di parcometri. L’interno della
Chiesa non nulla di particolare, ricorda un pò le costruzioni in
stile gotico (ma è moderna, finita di costruire negli anni ’80)
mi ha colpito solo il bell’organo all’interno; il piazzale antistante è
dominato dalla statua di Leif Eríkson (uno dei figli di Erik
il Rosso, il vichingo più nominato nelle saghe islandesi, quello
raffigurato sulla mia birra preferita, la “Ceres Rossa”) che introdusse
intorno all’anno 1000 il Cristianesimo nelle terre da lui esplorate tra
cui la Groenlandia e Terranova ed ebbe il merito di costruire la prima
Chiesa Cristiana nel nuovo mondo qualche secolo prima della nascita di
Cristoforo Colombo. Nel retro della statua è scolpita la dicitura
“Leifir Eiríksson figlio d’ Islanda scopritore di Vinland. Gli
Stati Uniti d’america al popolo di Islanda per il millesimo anniversario
dell’ Althing. A.D. 1930” (Vinland è
l’attuale Terranova in Canada, l’Althing è il nome
del primo parlamento islandese fondato presso Thingvellir).
Curiosità:
Leif
Erikson (o Leifir Eiríksson) è ufficialmente il primo
scopritore Europeo dell’America essendo sbarcato e avendo fondato una colonia
stabile in Canada (negli USA viene festeggiato in suo onore il 9 Ottobre).
A voler essere pignoli però il padre Erik aveva già colonizzato
la Groenlandia che geograficamente fa parte dell’America.
Mezzo millennio
in ritardo arrivò nel continente Americano Cristoforo Colombo (tra
l’altro pensando di essere sbarcato in una delle isole asiatiche intorno
al Giappone) che “guarda caso” 15 anni prima di partire con le sue Caravelle
aveva fatto un viaggio in Islanda dove aveva approfondito le storie del
viaggio intrapreso da Leif e dai successivi Vichinghi Islandesi nella “terra
delle Viti” (Vinland, Terranova: Canada).
I Vichinghi
insieme ai Polinesiani sono
stati tra i navigatori più intrepidi della storia considerando il
fatto che non conoscevano l’uso della bussola magnetica, probabilmente
inventata dai Cinesi; per navigare si affidavano quindi alla posizione
del sole e delle stelle. Ma a differenza di altri navigatori, i Vichinghi
avevano il grande problema che solcando i mari più a Nord del globo
le nuvole e le nebbie coprivano per la maggior parte dell’anno la visione
del sole; per questo motivo avevano sviluppato un loro personale e geniale
“GPS” utilizzando lo “Spato D’Islanda“. Lo Spato d’Islanda, detto
anche “Pietra del Sole“, è un cristallo naturale che grazie
alla trasparenza ed alle sue proprietà di doppia rifrazione riesce
a polarizzare la luce permettendo di sapere, ruotandolo, la provenienza
dei raggi del sole anche quando il nostro astro è completamente
nascosto dalle nubi o dalla nebbia.
Una volta visitata
la Chiesa proprio di fronte al piazzale inizia la via dello shopping (così
la chiamano gli abitanti di Reykjavik) piena di negozietti e localini dove
mangiare; ci siamo fatti una bella passeggiata sino alla fine della discesa.
Poi avvicinandoci pian piano in auto verso la nostra guest house ci siamo
fermati lungo il lago Reykjavíkurtjörn
(Live
Webcam) a far divertire le bimbe dando da mangiare ad anatre e gabbiani
in quantità industriale e a farle sfogare facendole correre intorno
alla vicina piazza, la più importante della capitale: Austurvöllur
(Live
Webcam), poco frequentata e ben tenuta, con coloratissime aiuole fiorite
e con al centro la statua dell’eroe nazionale, Jon Sigurðsson che
si battè per l’indipendenza dell’Islanda dalla Danimarca. Tra i
palazzi
che la cingono, un hotel, un ristorante, il Parlamento (Alþingishús)
e la Chiesa più antica della città.
Ripresa l’auto ci fermiamo al porto
dove scattiamo qualche foto accanto alla nave stilizzata vichinga che è
diventata il simbolo della città e per fermarci lo stomaco da Bæjarins
Beztu Pylsur, il chiosco rosso di hot dog famoso per avere una
storia centenaria e per aver offerto un panino (con tanto di foto in bella
mostra) al presidente americano Clinton; la sera però ci siamo trattati
meglio in un pub nelle vicinanze con piatti a base di agnello, noodles,
spiedini di pollo e fiumi di birra Viking (quella Islandese è molto
leggera e si regge bene!).
L’ultimo giorno, oramai acclimatati
perfettamente e non più timorosi di una “raffreddatura” azzardiamo
l’ultima impresa: andare al mare !
Non lontano dalla parte vecchia
della città, dove abbiamo alloggiato, c’è un piccolo aeroporto
per voli domestici e accanto l’unica spiaggia di Reykjavik, Nauthólsvík:
poco più di un fazzoletto di sabbia con uno stabilimento comunale
che mette a disposizione completamente gratis (che civiltà!) tutti
i servizi che offre: bagnino, pulizia spiaggia, giochi per bambini, barbecue
a gas/scaldavivande, vasche riscaldate, docce, bagni, ecc. Arriviamo alle
10.00, non c’è nessuno, il tempo è incerto e fa veramente
freddo. Lo stabilimento è chiuso (benchè avessi letto che
apriva alle 10.00) e tutto intorno c’è il deserto, tanto che se
non fosse per alcune foto viste su internet mi verrebbe da pensare di aver
sbagliato luogo. Mia moglie rimane con il suo maglione di lana islandese
(bellissimo e caldissimo, acquistato all’inizio del viaggio in un laboratorio
artigianale di un villaggio al Nord ad un buon prezzo) e giacca a vento,
io e le mie bimbe ci togliamo i pantaloni ma rimaniamo con la felpa. Nella
sabbia ci sono un sacco di giochini per i bambini dalle pistole ad acqua
ai secchielli, palette, palloni, ecc. mentre in fondo c’è un campo
di beach volley, dei scivoli e delle finte pietre di plastica dove Maeva
e Marika corrono ad arrampicarsi. La spiaggia è delimitata da un
lato da un muretto dove appoggiamo i nostri zaini, all’opposto da una collinetta
con delle sdraie “free”, l’aeroporto domestico e la scogliera, internamente
dalle vasche per ora vuote dello stabilimento ed esternamente da una piccola
baia separata dal mare del fiordo da un cordolo simile a quelli usati per
delimitare le corsie delle piscine. Al centro della spiaggia una costruzione
circolare, una vasca, vuota.
Verso le 11.00 incomincia ad aprire
lo stabilimento, un addetto con solerzia incomincia a disinfettare la vasca
centrale e la vasca interna con una soluzione di cloro (si sente dalla
puzza) senza lesinare i bordi e l’esterno dei muretti, poi iniziano a riempirsi.
Le due vasche si riempiono di acqua calda proveniente probabilmente dal
vicino Perlan (una costruzione a forma di goccia adibita a centro
commerciale, museo e ristorante “girevole” costruita su un enorme serbatoio
di acqua calda che riscalda buona parte della città); l’acqua calda
è in continuo ricambio, a tutto vantaggio dell’igiene e dalle vasche
quest’acqua viene scaricata direttamente al centro della baietta in modo
da stemperare lil mare freddissimo. Nel giro di un’oretta la spiaggia si
anima, si riempie di famiglie biondissime con bambini, noi siamo gli unici
forestieri ! esce un bel sole e piano piano riusciamo a metterci in costume
(tranne mia moglie che rimane con la giacca a vento e maglione) condividendo
con gli altri le piscine di acqua calda, io addirittura riesco anche a
fare un breve tuffetto nella baietta (mi dicono che stemperata col getto
di acqua calda arriva al massimo a 15 gradi), mentre bambini e ragazzi
passano regolarmente la giornata non solo nella piccola baia ma anche nuotando
nel fiordo ghiacciato dove ci sono delle piattaforme galleggianti per riposare
!
Il pomeriggio andiamo a visitare
il museo all’aperto Árbæjarsafn. E’ un museo praticamente
sconosciuto (non c’è nessuno o quasi) ed invece è divertente
oltre che interessante. Si trova nel quartiere Árbær, poco
fuori dal centro, ed è formato da un piccolo villaggio di una trentina
di costruzioni che vanno da prima del 1700 al 1900, dalla casa residenziale,
alla bottega del fabbro, dalle case col tetto di torba alla chiesa, dal
negozio di dolciumi alla stalla e così via tutte arredate con suppellettili,
attrezzi, giochi d’epoca. Per i bambini (ma anche per noi) è stato
uno spasso esplorare in completa autonomia i vari piani delle case per
scoprire gli angoli più curiosi. Ogni tanto si intravede un personaggio
“vero” vestito con abiti d’epoca intento nelle faccende tradizionali (cucinare,
cucire, ecc.) che col sorriso ti saluta e ti chiede se vuoi spiegato qualcosa;
assolutamente da vedere !
Abbiamo il volo a mezzanotte ma
per non sprecare nemmeno un’ora della nostro viaggio, approfittando del
fatto che l’aeroporto internazionale è a soli 30 Km di strada extraurbana
e libera dalla Laguna Blu, che tra l’altro rimane aperta sino alle
23.00, approfittiamo per un ultimo bagno rilassante caldo. La placida laguna
però questa volta però è meno tranquilla: una musica
da discoteca (con tanto di DJ) risuona a tutto volume sull’acqua: si tratta
di una delle tante feste sponsorizzate dall’organizzazione del Gay
Pride 2011 che si è celebrato in questi giorni a Reykjavik.
Per fortuna verso il tramonto il frastuono finisce e prima di ripartire
in patria ci gustiamo gli ultimi attimi di pace sotto un cielo rosso.
Per un amante dei Tropici come me
non pensavo che l’Islanda mi affascinasse a tal punto da sperare un giorno
di tornarci, magari d’inverno quando s’imbianca di neve, in modo da trovare
una luogo completamente nuovo in una terra conosciuta. |
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