Appunti di Viaggio alle Fiji
E’ una realizzazione: SteveR On line da Gennaio 1999
APPUNTI DI VIAGGIO ALLE ISOLE FIJI
Viti Levu Island, Treasure Island, Tokoriki Island, Taveuni Island, ed altre…
Agosto 1998 – Agosto 2000
MITI, MISTERI E LEGGENDE DELLE ISOLE FIJI:
L’ UCCELLO DI MATAMANOA
Il mito riguarda una particolare specie di Procellaria notturna chiamata anche “uccello delle tempeste”
o “uccello di S.Pietro”, un uccello che magicamente sembra quasi camminare sull’acqua !
Matamanoa
e
la
vicina
isola
disabitata
di
Modriki
sono
le
uniche
due
isole
dove
si
stabilisce
il
volatile
in
Dicembre
e
dove
alleva
i
piccoli,
addestrandoli
al
volo fino alla loro partenza a metà Maggio.
Il mito di questo uccello è nato dal fatto che nessuno sa’ svelare il mistero di dove migri dopo aver lasciato le due isole.
Questi uccelli fieri e regali sono estremamente timidi soprattutto quando si avvicinano gli esseri umani.
Gli adulti si cibano di alghe e plancton durante la bassa marea, generalmente di sera, mentre i più giovani integrano l’alimentazione con insetti e larve.
Durante
le
tempeste
si
riparano
o
nelle
fessure
della
roccia
o
intorno
al
complesso
del
Resort
a
Matamanoa,
permettendo
agli
uomini
la
loro
rara
vista
ed
avvisandoli del maltempo in avvicinamento.
Gli uccelli sono caratterizzati da un piumaggio nero con la parte sottostante più chiara.
Perchè
abbiano
scelto
soltanto
le
isole
di
Modriki
e
di
Matamanoa
rimane
un
mistero.
Forse
considerano
queste
isole
così
belle
e
conformi
ai
loro
bisogni
da
sentirle
sicure
per
se
e
soprattutto
per
i
loro
piccoli.
Gli
abitanti
dell’
isola
di
Matamanoa
sono
così
fieri
e
onorati
di
ospitare
queste
fantastiche
creature da farne il proprio logo !
DAKUWAQA IL DIO-SQUALO
Uno delle più conosciute leggende Fijane è il mostro marino di Dakuwaqa.
Era il guardiano dell’ entrata dei reefs delle isole ( i pass ), impavido, testardo ed invidioso.
Spesso cambiava d’aspetto, assumendo una forma di squalo con la quale viaggiava intorno alle isole per
combattere tutti gli altri guardiani dei reefs.
Un
giorno
si
recò
nell’arcipelago
delle
Lomaiviti
e
dopo
aver
combattuto
con
successo
proseguì
verso
Suva.
Qui
incontrò
un
guardiano
del
reef
che
sfidato
Dakuwaqa
ingaggiò
una
lotta
talmente
cruenta
da
creare
delle
gigantesche
onde
che
si
riversarono
sulla
terra
ferma,
prima
nell’imboccatura
del
fiume Rewa, poi nelle valli, sommergendole per parecchie miglia.
Dakuwaqa più volte vittorioso, continuò con le sue battaglie marine.
Vicino all’ isola di Beqa un suo amico anziano, Masilaca, un altro Dio-squalo, gli parlò del grande valore
degli Dei che custodivano l’ isola di Kadavu ed astutamente chiese a Dakuwaqa se avesse paura di loro.
Di scatto Dakuwaqa partì nervosamente alla volta dell’isola di Kadavu e avvicinandosi al reef scoprì che il pass era custodito da un’enorme piovra.
La piovra aveva quattro dei suoi tentacoli saldamente ancorati al corallo mentre gli altri quattro
li
teneva
in
alto
per
sbarrare
il
passaggio.
Dakuwaqa
si
diresse
furiosamente
nel
passaggio
rischiando
la
morte
in
quanto
i
tentacoli
della
piovra
si
avvilupparono intorno al suo corpo stritolandolo.
Realizzando di essere vicino alla morte, Dakuwaqa elemosinò misericordia e pietà chiedendo alla piovra
di
avere
risparmiata
la
vita
in
cambio
della
promessa
di
non
nuocere
mai
nè
all’isola
di
Kadavu,
nè
in
nessuna
altra
parte
nel
mare
delle
Fiji.
Così
la
piovra liberò Dakuwaqa che mantenne la sua promessa.
Da quel giorno la gente di Kadavu non ebbe più timore degli squali durante le battute di pesca o durante il nuoto.
Ancora oggi, quando i pescatori locali escono di notte per pescare versano con riverenza una
ciotola di Kava ( la magica bevanda ) nel mare per Dakuwaqa.
Gli
alti
capi
di
Cakaudrove
sono
considerati
i
discendenti
diretti
di
Dakuwaqa
ed
un
totem
raffigurante
uno
squalo
segue
sempre
questi
ultimi
durante
le
cerimonie ufficiali.
LA LEGGENDA DI DEGEI, IL DIO-SERPENTE
Il più potente degli Dei Fijiani era Degei, il Dio-serpente. All’ inizio viveva da solo,
senza amici o compagni e l’ unica creatura vivente che conosceva era Turukawa: il falcone.
Anche se il falcone non poteva parlare era l’unico compagno del Dio.
Un giorno Degei non trovò il suo amico e lo cercò dappertutto.
I
giorni
passarono
finchè
una
mattina
vide
il
falco
che
sedeva
sopra
un
folto
cespuglio
d’erba.
Felice,
accolse
calorosamente
l’
uccello,
ma
quest’ultimo
ignorando completamente Degei, cominciò a costruirsi un nido.
Deluso, Degei tornò a casa. Il giorno seguente andò di nuovo al nido e trovò due uova.
Allora capì che il falco aveva trovato un compagno e che quindi aveva purtroppo perso il suo affetto.
Così prese le sue uova e le portò a casa e mantenendole calde con il suo corpo.
Dopo parecchie settimane di cova i gusci si aprirono e uscirono due corpi umani molto piccoli ( un bimbo ed una
bimba ). Degei gli costruì un riparo in un albero e diede loro del cibo.
Crebbero
rapidamente
anche
se
Degei
non
capiva
molto
di
bambini:
gli
dava
solo
da
mangiare
quando
avevano
fame
e
gli
parlava
di
tanto
in
tanto
dei
segreti della natura. Per alimentarli con più comodità piantò addirittura degli alberi di banano e delle radici intorno a loro.
Finalmente
i
bambini
divennero
adulti
ma
poichè
Degei
l’aveva
cresciuti
ai
due
lati
opposti
dell’albero,
tra
loro
non
si
conoscevano,
ed
ognuno
ignorava
la
presenza dell’altro !
Un
giorno
l’
uomo
lasciò
il
suo
riparo
ed
incontrò
finalmente
la
donna.
Subito
la
strinse
tra
le
sue
braccia
spiegandogli
che
Degei
l’aveva
procreati
per
stare insieme, amarsi e popolare la terra con i figli che sarebbero venuti.
Degei mostrò loro anche come cucinare le verdure e le radici nel tipico forno sotterraneo ( lovo ).
Dopo un po’ di tempo la loro unione fu benedetta dalla nascita di un piccolo e Degei
fu
felicissimo
perchè
grazie
alla
sua
solitudine
gli
uomini
avevano
fatto
il
loro
ingresso
sulla
terra
e
per
gratitudine
di
questi
ultimi
l’avrebbero
adorato
come un Dio per sempre.
Secondo la leggenda Degei creò anche Viti Levu e tutte le altre piccole isole.
IL FIORE DI TAGIMAUCIA
Nelle alte montagne di Taveuni, conosciuta come l’isola-giardino delle Fiji, c’ è un meraviglioso lago.
Una
pianta
fiorita
chiamata
Tagimaucia
vive
esclusivamente
lungo
le
sue
sponde
ed
ogni
tentativo
di
trapiantarla
altrove
è
fallito.
La
Tagimaucia
è
una
delle
piante
selvatiche
più
belle
delle
Fiji,
formata
da
mazzi
di
fiori
rossi
con
un
piccolo
centro
bianco.
Una
leggenda
racconta
come
si
generò
il
fiore
di
Tagimaucia.
In cima ad una collina vivevano una donna e la sua figlioletta.
Un giorno la ragazzina stava giocando sebbene dovesse lavorare.
La madre la richiamò più volte ai suoi doveri ma la figlia ignorandola continuò a giocare.
Infastidita,
afferrò
una
fascina
di
sasas
(
le
nervature
centrali
della
foglia
del
cocco
)
che
vengono
usare
per
scopare
in
terra
e
sculacciò
la
figlia
urlandole: ” vai via cattiva e capricciosa, non voglio più vedere la tua faccia ! ”
La ragazzina singhiozzante e completamente sconvolta si allontanò…era talmente turbata dall’accaduto che
non si rese conto di dove andava.
Accecata dalle lacrime inciampò in una grande pianta rampicante che pendeva da un albero.
Era un viticcio verde e spesso con grandi foglie verdi, ma senza fiori.
La bimba rimase impigliata al rampicante e poichè non riusciva a liberarsi pianse con disperazione.
Mentre
le
lacrime
scendevano
dalle
sue
guance
si
trasformarono
da
gocce
salate
in
gocce
di
sangue
che
caddero
lungo
il
gambo
del
rampicante.
Come
per
incanto
le
gocce
di
sangue
divennero
dei
bellissimi
fiori
rossi.
Più
tardi,
finito
di
piangere,
la
bambina
riuscì
a
liberarsi
e
tornò
indietro
a
casa,
dove
trovò, con sua immensa gioia, la madre calma, non più arrabbiata. Vissero così felicemente insieme per molto tempo.
UNA VECCHIA LEGGENDA DELLE FIJI
C’ è una leggenda chiamata ” NANANU-I-RA ” che narra una antica storia.
Adi viveva nel villaggio di Nanukuloa ( il villaggio dalle sabbie nere ) sull’isola di Viti Levu
( la regina delle sabbie ). Adi si innamorò di un giovane affascinate capo della tribù di Bua, a circa
venti
miglia
di
mare
di
distanza.
L’isola
di
Bua
era
famosa
per
le
foreste
di
legno
di
sandalo,
un
albero
dal
quale
si
ricavava
un
legname
molto
profumato
usato dalla gente marinara di Bua per costruire le canoe.
L’amante
di
Adi,
essendo
un
marinaio
esperto,
navigò
con
la
sua
veloce
canoa
sino
a
Viti
Levu
per
incontrarla
portandole
molti
regali
fatti
intagliando
il
profumato legno di sandalo della sua isola.
Purtroppo,
però
la
tribù
di
Bua
e
la
tribù
di
Viti
Levu
erano
nemiche
e
quindi
il
rapporto
del
giovane
capo
era
visto
piuttosto
male
da
suo
padre
e
dal
capo di Nanukuloa dove viveva Adi.
Coraggiosamente
i
due
amanti
continuarono
ad
incontrarsi
segretamente,
in
un’isola
a
breve
distanza
dal
villaggio
dove
viveva
Adi.
Quest’isola
fu
così
chiamata Nananu-i-Ra che significa ” il paese dei sogni dell’Ovest “.
I GAMBERETTI ROSSI DI VATULELE
Tanto
tempo
fa
sull’
isola
di
Vatulele
viveva
una
fanciulla
molto
bella,
figlia
di
un
capo-tribù
chiamata
“Yalewa-ni-Cagi-Bula
”
(
“la
ragazza
del
vento
favorevole ” ). Era così bella era che ogni capo che
visitava Vatulele cercava di prenderla in sposa. Yalewa-ni-Cagi-Bula tuttavia, era
donna molto dura e crudele e ogni volta rifiutava sdegnata la corte dei suoi pretendenti.
Non
lontano,
nella
grande
isola
di
Viti
Levu
viveva
un
attraente
giovane,
erede
al
trono
del
vasto
territorio
del
padre.
Anche
lui
aveva
sentito
parlare
della bellezza della figlia del capo di Vatulele ed aveva deciso che doveva essere a tutti i costi sua moglie.
Un giorno decise di presentarsi alla corte di Vatutele e partì carico di regali per i capi ed uno speciale per Yalewa-ni-Cagi-Bula.
Il
regalo
consisteva
nella
squisitezza
più
grande
conosciuta
nelle
isole
Fiji,
un
piatto
di
gamberetti
giganti,
pescati
lungo
le
coste
di
Viti
Levu,
cucinati
con
una salsa insaporita dal latte della noce di cocco.
Una tale squisitezza avrebbe dovuto sciogliere il cuore della fanciulla… ma non fu così in questa occasione !
La
donna
era
così
furiosa
e
con
gli
occhi
rossi
dalla
rabbia
che
comandò
alle
sue
donne
di
afferrare
il
pretendente
e
di
gettarlo
nel
mare
dalla
più
alta
scogliera dell’ isola presso le ” caverne delle aquile ” ( conosciute nelle Fiji come Ganilau ).
Mentre
precipitava
dalla
scogliera
caddero
dalla
mano
del
giovane
i
gamberetti
rossi
e
finirono
in
una
pozza
rocciosa
alla
base
della
scogliera.
Per
fortuna
il
ragazzo
si
salvò
e
tornò
triste
al
suo
villaggio
struggendosi
sino
alla
fine
dei
suoi
giorni
per
l’amore
perso.
Ogni
giorno
della
sua
vita
andò
in
riva
al
mare per osservare verso Sud il puntino scuro all’orizzonte dove c’era l’isola di Vatulele.
La
leggenda
narra
che
tentò
addirittura
di
costruire
un
ponticello
di
pietra
per
unire
il
tratto
di
mare
fra
Vatulele
e
Viti
Levu
e
le
rovine
di
questo
ponte
si
possono ancora vedere affiorare dal mare vicino al villaggio di Votualailai.
La
conclusione
della
storia
è
interessante
in
quanto
spiega
il
perchè
lungo
le
scogliere
e
le
fessure
della
roccia
intorno
a
Vatulele
vivono
moltissimi
gamberetti di un acceso colore scarlatto.
l Fijiani di Vatulele chiamano questi gamberetti rosso-scarlatto ” URA-BUTA ” ( tradotto: ” i gamberetti cucinati ” )
e sono talmente sacri da non poter essere nè catturati, nè mangiati.
Si crede che chi oserà sfidare questo tabù finirà naufragato in mare !
I PESCI ADDOMESTICATI
Sull’ isola di Nananu-io-Ra, a nord-est di Viti Levu, può essere visto uno degli spettacoli più strani nel Pacifico.
Qui Paul Mugnaio che vive sull’ isola possiede una scuola dove si addomesticano…i merluzzi !.
Questi pesci sono amichevoli e vengono quotidianamente vicino la costa per essere alimentati da Paul.
Ben Cropp, uno dei migliori cine-operatori subacquei australiani si è interessato alla cosa, riuscendo ad ottenere
la fiducia dei pesci e la possibilità di nuotare insieme a loro.
I pesci, pesanti fino a 16 Kg, infatti presero il cibo dalle sue mani e riuscì addirittura a coccolarli.
Ben
e
sua
moglie
filmarono
molte
emozionanti
e
stupefacenti
sequenze
con
questi
pesci
e
chiesero
di
dichiarare
le
acque
intorno
all’
isola
un
santuario
protetto dei pesci.
LE TARTARUGHE SACRE DI KADAVU
Sull’
isola
di
Kadavu,
una
delle
più
grandi
isole
di
un
arcipelago
delle
Fiji
a
circa
cinquanta
miglia
di
mare
dalla
città-capitale
di
Suva,
c’è
un
villaggio
chiamato Namuana.
Namuana si trova protetto in una meravigliosa baia adiacente alla stazione governativa del porto di
Vunisea.
Dietro
il
villaggio
c’è
una
collina
dalla
quale
si
può
dominare
un
vasto
di
tratto
di
mare
sia
a
Sud
che
a
Nord,
mentre
la
spiaggia
era
usata
un
tempo dai guerrieri di Kadavu come punto di partenza per le loro canoe per esplorare le terre poste ad Est ed ad Ovest dell’isola.
Le donne del villaggio di Namuana conservano ancora un rituale molto sconosciuto, quello di
chiamare le tartarughe dal mare. Se visitate il villaggio di Namuana e volete vedere le tartarughe
che vengono chiamate, dovete ancorare la vostra barca a destra della baia sotto le scogliere
di
un
promontorio
roccioso.
Oppure
potete
sbarcare
sulla
spiaggia
e
sedervi
vicino
le
rocce
a
picco
oppure
ancora
arrampicarvi
sopra
un
tratto
roccioso
in
un
punto
a
circa
50-60
metri
dal
mare.
Da
questa
visuale
avrete
davanti
un
paesaggio
splendido
e
potrete
vedere
le
fanciulle
del
villaggio
di
Namuana
che intonano un canto sconosciuto.
Mentre
cantano,
se
osservate
con
attenzione
nell’
acqua
della
baia,
vedrete
le
tartarughe
giganti
venire
in
superficie
sempre
più
numerose
per
ascoltare
la musica.
Non è una fiaba ma è ciò che realmente avviene ! infatti in questa zona è proibita la pesca delle tartarughe.
Un altro mistero sconcertante: se si dovesse avvicinare un qualunque membro del vicino villaggio di Nabukelevu,
le tartarughe non saliranno in superficie ed allora sarà inutile chiamarle con il canto: non verranno !.
Come
tutte
le
cerimonie
e
le
abitudini
delle
Fiji,
anche
chiamare
le
tartarughe
è
un
rito
antico
che
si
tramanda
verbalmente
da
padre
in
figlio.
(
leggi
sotto la leggenda di Tinaicoboga )
TINAICOBOGA, LA PRINCIPESSA DI NAMAUNA
Molti, molti anni fa nel villaggio di Namuana sull’ isola di Kadavu, viveva una principessa molto bella, moglie del capo-villaggio chiamata Tinaicoboga.
Tinaicoboga ebbe una figlia bellissima chiamata Raudalice con la quale andava
spesso pescare sul reef intorno al suo villaggio.
Un
giorno,
Tinaicobaga
e
Raudalice
si
spinsero
più
lontano
del
solito
sorpassando
il
reef
e
dirigendosi
verso
est,
fuori
dalla
baia
dove
era
situato
il
villaggio di Namuana.
Erano
così
assorte
dalla
pesca
che
non
si
accorsero
di
alcune
canoe
che
furtivamente
si
avvicinavano
provenienti
dal
vicino
villaggio
di
Nabukelevu.
Questo
villaggio
è
situato
all’
ombra
della
montagna
Washington,
la
più
alta
cima
dell’
isola
di
Kadavu
dove
oggi
uno
splendido
faro
avverte
i
naviganti
dei pericoli della costa rocciosa.
I
pescatori
saltarono
improvvisamente
dalle
loro
canoe
afferrando
le
due
donne
e
legando
loro
le
mani
e
i
piedi,
per
portarle
al
villaggio
come
vittime
sacrificali. Le donne tentarono di supplicare per le loro vite, ma i crudeli guerrieri crudeli di Nabukelevu erano sordi alle loro preghiere.
Allora
gli
dei
del
mare,
misericordiosi,
scatenarono
una
tempesta
dalle
onde
talmente
enormi
da
sommergere
le
canoe.
Mentre
le
canoe
affondavano
i
guerrieri
sbalorditi
videro
le
due
donne
trasformarsi
in
tartarughe
marine.
Capirono
così
che
l’unico
modo
per
sopravvivere
era
liberarle,
quindi
presero
le
testuggini e le gettarono in mare.
Immediatamente
il
mare
si
calmò
e
i
guerrieri
tornarono
al
villaggio,
mentre
le
testuggini
continuarono
a
vivere
nella
baia
di
Namuana.
Ancora
oggi
i
discendenti delle due tartarughe vengono a riva quando le fanciulle del villaggio intonano una antica canzone che fa’ all’incirca così:
”
tutte
le
donne
di
Namuana
sono
vestite
a
lutto
e
ciascuna
porta
un
bastone
sacro
con
quale
picchiamo
sull’acqua
per
vedere
sulla
superficie
il
volto
di
Raudalice e continuando ancora anche il volto di Tinaicoboga ”
Potete dubitare della verità della leggenda, ma non potete dubitare del fatto che il canto di
queste fanciulle abbia effetti sulle tartarughe giganti che dal mare aperto vengono attirate verso la baia del villaggio di Namuana nell’ isola di Kadavu.
Il mistero sta proprio nella potenza sconosciuta di chiamare queste tartarughe, posseduta soltanto dalla gente del
villaggio di Namuana e dal fatto che se è presente anche un solo abitante del villaggio ( un tempo nemico ) di Nabukelevu il canto non avrà effetto.
ANTICA LEGGENDA, ANATEMA MODERNO
Maledizione del nuovo re, disdette ai tour operator: squali contro i turisti che festeggeranno il Capodanno alle Fiji.
1999: Il lutto avvolge le Fiji e la maledizione degli squali minaccia il Pacifico del sud. E soprattutto quei sub che
avrebbero voluto festeggiare il Capodanno immergendosi la notte del 31 dicembre ’99 e risalendo qualche minuto dopo,
il primo gennaio del 2000. Rischiano di incrociare inferociti pescecani, chiamati a pattugliare le coste fijiane dai Bete
delle isole, i grandi sacerdoti, custodi delle antiche tradizioni tribali: compresa quella che impone, durante il lutto, di
non immergersi in mare.
Il dolore avvolge le Fiji perché è morto Ratu Glanville Lalbalavu, grande capo di Vanua Levu, seconda isola
dell’arcipelago. La tradizione vuole che per 100 giorni nessuno faccia festa né si immerga nelle acque che erano
territorio di pesca del capo. Una rovina, per i tour operator che hanno affittato grandi resort e bungalow per la festa di
fine millennio. Sono già arrivate le prime disdette. Ma la sola idea che in questo periodo qualcuno possa gioire è
considerata una dannazione dal successore del capo morto. Ratu Tevita Vakalalabure, nuovo leader dei clan, ha
invocato la maledizione degli squali su tutti quelli che oseranno sfidare il divieto. «Ordinerò ai pescecani – ha detto – di
attaccare chi si troverà in mare».
Sono capaci di farlo, gli uomini delle Fiji, spietati come erano i loro antenati. Prima di diventare gentlemen del turismo
danaroso e raffinato, i fijiani sono stati per secoli feroci cannibali: ora ballano imitando l’aria truce di allora ma sono
ancora capaci di camminare sulle braci ardenti e di comunicare con gli squali. Esiste un rito, che praticano i Bete, con
cui
si
chiamano
i
pescecani
incantandoli
con
una
nenia.
Nella
stagione
che
chiude
l’anno,
i
Bete
indossano
una
candida
camicia
di
cotone,
il
paramento
sacro,
conficcano
un
palo
nella
barriera
corallina,
nello
stesso
buco
usato
da
decine
di
anni:
in
cima
legano
un
pezzo
di
masi,
una
stoffa
ricavata
dalla
corteccia,
che
il
vento
agita
come
una
bandiera.
Da
quel
momento,
nessuno
può
avvicinarsi
o
pescare
intorno
al
palo:
per
un
mese,
ogni
mattina,
il
Bete
celebra
in
solitudine
la
cerimonia
della
yaqona,
innalza
verso
il
cielo
il
bilo,
un
guscio
di
noce
di
cocco
trasformato
in
tazza,
e
prima
di
berla
santifica
la
kava,
la
radice
con
cui
si
fa
la
bevanda.
Finché,
nel
giorno
che
gli
spiriti
gli
hanno
suggerito,
entra
in
mare
e
trasmette
agli
squali
il
suo
pensiero.
E
gli
squali
obbediscono.
Ma
la
cerimonia
è
crudele,
perché
spuntano
mazze
e
arpioni
e
l’acqua
ribolle
di
schiuma
e
poi
si
colora
di
rosso.
Più
della
pietà,
la
mattanza
conosce
il
rispetto,
e
per
questo
risparmia
il
capobranco,
il
gigantesco
squalo
bianco
che
stregato
dal
sacerdote
ha
portato
gli
altri
al
massacro:
il
suo
sangue
è
sacro,
farlo
scorrere
in
acqua
sarebbe
sacrilegio,
condannerebbe
gli
abitanti
del
villaggio
alla
morte
e
non
farebbe
più
tornare
gli
altri
squali.
La
leggenda
vuole
che
il
pescecane
ricambi
la
cortesia:
ordinerà
ai
suoi
sudditi
di
non
divorare
i
pescatori.
Ma
fedele
a
chi
lo
ha
salvato,
il
Bianco
obbedirà anche all’ordine di uccidere. Quello che Ratu Tevita Vakalalabure è pronto a dare.
Quest’ultimo articolo è stato scritto da Corrado Ruggeri nel Dicembre del 1999.