Appunti di Viaggio alle Fiji
E’ una realizzazione: SteveR On line da Gennaio 1999
APPUNTI DI VIAGGIO ALLE ISOLE FIJI
Viti Levu Island, Treasure Island, Tokoriki Island, Taveuni Island, ed altre…
Agosto 1998 – Agosto 2000
FIJI: IERI LE ISOLE DEI CANNIBALI… OGGI DELLA GENTILEZZA E DELL’ALLEGRIA !
PREMESSA:
Le Isole Fiji fanno parte di quella vastissima regione del Sud Pacifico chiamata Melanesia (ovvero “le isole nere”…alle quali
appartengono anche la Nuova Caledonia, le Isole Salomone, la Nuova Guinea e le Isole Vanuatu).
La
popolazione
è
formata
da
Fijani
Melanesiani
(i
nativi
di
razza
negroide)
e
Fijani
Indiani
(arrivati
alla
fine
del
19°
secolo)
circa
in
parti
uguali
e
da
una
minoranza Polinesiana, Europea e Cinese.
Le
religioni
più
diffuse
tra
i
Fijani
Melanesiani
sono
la
Metodista
e
la
Cattolica
,
mentre
tra
i
Fijani
Indiani
è
ovviamente
praticato
l’Induismo
(più
raramente
l’Islamismo).
I Fijani Melanesiani sono un popolo gentilissimo e mite nonostante fino a quarant’anni fà si praticasse ancora il cannibalismo.
Il racconto sarà narrato come un unico viaggio; in verità ho toccato queste isole nell’Agosto del 1998 e nell’Agosto 2000:
due anni molto diversi tra loro che hanno visto l’ascesa e la discesa del turismo a causa delle altalenanti situazioni politiche.
PERIODO MIGLIORE ED ISOLE:
Il periodo migliore per visitare le Isole Fiji va da fine Maggio a fine Ottobre, cioè durante l’inverno del Sud Pacifico.
Nei restanti periodi le piogge/burrasche frequenti unite al forte caldo generano una grande afa.
Le Fiji sono formate da 320 isole e 480 isolotti minori. La maggior parte delle isole è disabitata.
Le
isole
sono
di
origine
vulcanica,
alcune
con
picchi
montuosi
e
talvolta
circondate
da
reefs,
altri
semplicemente
atolli
corallini
sabbiosi
dagli
splendidi
e
chiari fondali (e acqua a 26-30 gradi !) .
Le
più
grandi
sono
Viti
Levu
(dove
risiede
l’aeroporto
internazionale
di
Nadi
e
la
capitale:
Suva),
Vanua
Levu,
Taveuni
(attenzione
in
questa
rigogliosa
e
verde isola: piove quasi tutti i giorni dell’anno) e Kadavu.
Tra gli arcipelagi principali: le isole Lau, le Lomaiviti, le Mamanucas (le più vicine a Viti Levu e le Yasawa (le più spettacolari ma costose).
Gli ultimi due arcipelagi citati sono quelli dove è più facile trovare delle sistemazioni, oltre ovviamente, alle isole più grandi.
.
LINGUA, MONETA E FUSO ORARIO:
Le lingue ufficiali sono l’Inglese (parlato bene da entrambi i gruppi etnici) ed il Fijano (parlato dai Fijani Melanesiani).
I Fijani Indiani ovviamente parlano tra loro la lingua Hindi.
La moneta corrente è il dollaro Fijano (FJD: valore attuale click !)
Le mance, come è tradizione nell’ospitalità del Sud Pacifico, sono sconosciute…ma non per gli Indiani !
Il fuso orario è di + 11/+10 ore secondo l’ora Italiana solare/legale.
ITINERARIO DI VOLO DALL’ITALIA:
Le isole Fiji si trovano quasi agli antipodi. Il viaggio può durare dai due ai quasi tre giorni a seconda dei voli utilizzati.
Partendo
dall’Italia
si
deve
volare
verso
Ovest
facendo
scalo
obbligatorio
al
Lax
di
Los
Angeles.
Poi
si
deve
aspettare
la
coincidenza
(talvolta
molte
ore
in
sala
d’aspetto
!)
per
Nadi
(Aeroporto
internazionale
delle
Fiji…si
pronuncia
Nandi).
Una
delle
maggiori
compagnie
su
quest’ultima
tratta
è
l’
Air
New
Zealand.
Il
tragitto
Los
Angeles
(USA)
–
Nadi
(Fiji
)
può
durare
dalle
11
alle
15
ore
a
seconda
che
il
volo
sia
diretto
oppure
con
scalo
intermedio
a
Tahiti
(Polinesia Francese) + Rarontonga (Isole Cook).
Una
volta
sbarcati
a
Nadi
si
può
proseguire
per
le
destinazioni
locali
tramite
voli
interni
effettuati
con
aerei
(Sunflower
Airline,
Air
Fiji),
idrovolanti
(Turtle
Airways),
elicotteri
(Island
Hoppers)
oppure
in
caso
di
destinazioni
vicine
come
ad
esempio
l’arcipelago
delle
Mamanucas
tramite
ferry
boat,
motoscafi
veloci, catamarani, etc.
Le Isole Fiji sono ben collegate con le Tonga, Cook, Nuova Zelanda, Hawaii, Polinesia Francese e Samoa.
LA STORIA:
(leggetela ! capirete meglio la situazione attuale !)
Le
Fiji
furono
popolate
fin
dal
VII
millennio
a.C.
da
popolazioni
provenienti
forse
dall’Indonesia.
Sicuramente
intorno
al
1500
a.C.
le
isole
erano
abitate
dal
popolo tranquillo dei Lapita famosi per aver lasciato molti reperti di vasellame in tutta la Melanesia e Polinesia.
Poi
gradatamente
(in
mille
anni)
le
isole
furono
invase
da
un
popolo
molto
meno
“pacifico”
di
razza
negroide
proveniente
dalle
isole
immediatamente
ad
Ovest.
Questo
popolo
cruento
(da
cui
derivano
i
Fijani
Melanesiani
odierni
assorbì
molte
usanze
ed
usi
popolari
dei
Lapita
ma
non
si
fuse
mai
con
questi
ultimi…anzi
i
Lapita
dovettero
scappare
ad
Est
ed
a
Sud
occupando
le
attuali
Tonga,
Polinesia
Francese,
Cook,
Nuova
Zelanda
e
Hawaii
fino
all’Isola
di
Pasqua dando origine alla razza Polinesiana.
Il
primo
Europeo
ad
avvistare
le
Fiji
fu
il
Portoghese:
Ferdinando
Magellano
nel
1520
durante
il
viaggio
nel
quale
trovò
il
passaggio
dal
Nuovo
Mondo
all’Oceano da lui battezzato “Pacifico”…ma proseguì senza fermarsi verso le Filippine dove fu ucciso.
Nel 1643 un altro Europeo avvistò le Fiji: l’Olandese Adbel Janszoon Tasman diretto in Nuova Zelanda.
Il
primo
Occidentale
invece
che
sbarcò
nell’arcipelago
Fijano
(sull’isola
deserta
di
Vatoa
per
pochi
giorni
fu
l’onnipresente
James
Cook
nel
1774
!
Anche
gli
ammutinati
del
Bounty
(1789)
ed
il
capitano
Bligh
(abbandonato
con
alcuni
suoi
ufficiali
su
una
scialuppa)
passarono
da
queste
parti
ma
la
sinistra
fama
dei bellicosi e cannibali Fijani fece loro desistere dall’approdare.
Quindi
sino
al
19°
secolo
le
isole,
pur
segnate
nelle
carte
nautiche,
furono
ignorate…anzi
evitate
dagli
Europei:
sia
per
la
mancanza
di
appetibili
risorse
sfruttabili, sia per la pericolosa e primitiva popolazione dedita a continue e sanguinose lotte tra clan rivali.
Dopo il 1800 incominciarono i primi insediamenti Europei per sfruttare l’abbondante legno di sandalo ai quali seguirono i missionari.
Per
molti
anni
la
convivenza
con
gli
indigeni
fu
difficile
(in
pratica
spesso
gli
Europei
finivano
“in
pentola”
…mentre
i
Fijani
per
rappresaglia
venivano
sterminati
con
le
armi
da
fuoco),
poi
finalmente
nel
1854
il
potente
capo-tribù
Cakobau
si
convertì
al
Cristianesimo,
riunì
in
pochi
anni
tutte
le
isole
sotto
il
suo controllo ed iniziò la fase di “ingentilimento” del popolo Melanesiano (ricordo che le ultime pratiche antropofaghe si tennero solo 40 anni fà ! .
Poichè
però
era
difficile
per
un
semplice
capo-tribù
mantenere
un
regno
così
vasto,
Cakobau
chiese
aiuto
(in
cambio
di
un
trattato
di
vassallaggio)
alla
Gran
Bretagna,
poi
agli
Stati
Uniti
ed
infine
alla
Prussia
ma
senza
ottenere
nulla.
Nel
frattempo
la
mentalità
di
Cakobau,
aperta
al
mondo
Occidentale,
favorì l’arrivo di coloni Europei che svilupparono un agricoltura moderna, soprattutto della canna da zucchero.
Nel
1874
la
Gran
Bretagna,
vista
la
crescente
colonizzazione
(e
le
nuove
possibilità
di
guadagno),
pensò
di
rivedere
la
propria
posizione
e
di
accontentare
Cakobau: le Fiji divennero un protettorato inglese.
La
crescente
espansione
delle
coltivazioni
della
canna
da
zucchero
(tutt’ora
la
maggiore
attività
in
agricoltura)
richiese
grandi
risorse
di
mano
d’opera
e
siccome
i
Fijani
non
volevano
lavorare
(caratteristica
“cromosomica”
dell’abitante
del
Sud
Pacifico
!
:-))
si
decise
di
importare
emigrati
dall’India:
nel
1879
arrivarono i primi 498 Indiani …poi, in più riprese, altri 60.000 !
Anche dopo scaduto il contratto di lavoro nelle piantagioni, gli Indiani vollero rimanere per intraprendere varie attività.
Chiaramente
con
l’arrivo
di
Europei
ed
Indiani
arrivarono
anche
le
terribili
malattie
dell’epoca
così
che
agli
inizi
del
1900
c’erano
più
Indiani
che
aborigeni
Fijani.
Per
decine
di
anni
si
mantenne
un
buon
equilibrio
sociale:
da
un
lato
gli
Indiani,
superiori
in
numero
e
con
in
mano
tutte
le
attività
economiche
delle
Fiji,
dall’altro i Fijani Melanesiani padroni delle terre.
Il
10
Ottobre
del
1970
le
Fiji
ottennero
l’indipendenza
dalla
Gran
Bretagna
entrando
nel
Commonwealth
Britannico
(comunque
fino
al
1987,
anno
di
due
golpe
indipendentisti,
il
capo
di
Stato
era
ancora
la
regina
Inglese
Elisabetta
II)
ed
al
nuovo
stato
democratico
vollero
partecipare
attivamente
anche
gli
Indiani, consci di aver dato molto al tessuto economico del paese con la costruzione di opere pubbliche, industrie ed attività varie.
E
su
questo
la
storia
deve
essere
ancora
finita
di
scrivere.
Infatti
dopo
anni
di
apparente
convivenza
pacifica
(durante
i
quali
le
due
etnie
vissero
due
modi
di
vita
separati
e
distinti)
nel
Maggio
del
2000
iniziarono
presso
la
capitale
Suva
una
serie
di
tentativi
di
golpe,
manifestazioni
e
uccisioni
da
parte
dei
Fijani
Melanesiani
per
revocare
la
costituzione
multirazziale
del
1997
(rivista
varie
volte)
e
togliere
ogni
diritto
civile
(partecipazione
al
governo
e
possedimento
di terre o case) ai Fijani Indiani.
la pace spezzata tra le due etnie è causa di forti tensioni e molti Indiani hanno lasciato il paese.
Nessun pericolo per i turisti sempre ben accetti !
COSA RAPPRESENTAVA IL CANNIBALISMO ALLE FIJI: ( e nel resto del Sud Pacifico)
Per
capire
meglio
il
cannibalismo
e
in
genere
l’animo
bellicoso
degli
abitanti
di
questa
parte
di
mondo
bisogna
partire
dalla
loro
organizzazione
primitiva
sociale
e
famigliare.
C’è
da
premettere
che
i
singoli
individui
possedevano
solo
la
propria
capanna
e
talvolta
un
piccolo
lembo
di
terra
mentre
la
maggior
parte dei terreni/beni apparteneva alla comunità ed ognuno dava come poteva il proprio contributo.
Durante
la
coltivazione
delle
terre
“comuni”
emergevano
alcuni
personaggi
con
maggiori
doti
organizzative
e
lavorative
che
riuscivano
a
produrre
più
di
tutti
quanti.
Questi
uomini
allora
organizzavano
grandi
feste
dispensando
il
loro
“surplus”
al
resto
della
tribù.
Chiaramente
questa
popolarità
giovava
politicamente
al
“dispensatore”
il
quale
aumentava
il
proprio
potere
ed
influenza
nella
comunità
e
veniva
eletto
capo-tribù.
Per
mantenere
il
potere
però
doveva
continuare
ad
assicurare
un
certo
benessere
ai
propri
sudditi:
all’inizio
bastò
far
loro
coltivare
le
terre
secondo
le
proprie
fruttuose
idee.
Ma
ad
un
maggior
benessere
corrispose
anche
un
maggior
incremento
demografico
e
le
risorse
alimentari
così
diminuirono
diventando
insufficienti.
Una
volta
sfruttata
tutta
la
terra
a
disposizione,
la
migliore
soluzione
fu
quella
di
razziare
le
risorse
del
villaggio
vicino.
Questo
comportò
la
nascita
di
un
esercito
e
quindi
la
trasformazione
di
molti
agricoltori
in
guerrieri
(
diminuendo
tra
l’altro
la
forza
lavoro
e
aumentando
il
bisogno
di
razzie
).
Ovviamente
in
questo
“quadro di guerre” non mancavano le alleanze tra capi-tribù ed i matrimoni “misti” per rinsaldare accordi di pace o di reciproco aiuto.
Volevo
sottolineare
come
la
società
Fijana
fosse
più
democratica
di
quella
Occidentale.
I
capi-tribù
infatti
fondavano
il
potere
sulle
proprie
reali
capacità
organizzative
(lavoro,
alleanze)
mentre
i
re
della
“società
civile”
basavano
il
proprio
potere
sulle
risorse
e
le
ricchezze
sulle
quali
vantavano
“di
diritto”
la
proprietà assoluta.
Allora vi chiederete: ma se erano così civili e democratici, come potevano concepire un’azione tanto orribile come il cannibalismo ?
E’
noto
in
tutto
il
mondo
che,
in
assenza
di
“tabù”
condivisi
da
una
comunità,
azioni
considerate
negative
da
alcuni
possono
risultare
normali
per
altri
come
per
esempio
in
Oriente
mangiare
insetti,
cibarsi
di
carne
di
maiale
(proibita
dai
Musulmani)
o
di
bovini
(gli
Indù
sono
contrari
)
oppure
tirare
il
collo
ad un pollo, nutrirsi di carne di cane o di gatto…
Per
assicurarsi
le
scorte
di
cibo
sarebbe
bastato
depredare
i
villaggi
vicini
di
risorse
alimentari
come
patate
dolci
oppure
maiali
ma
questo
avrebbe
causato
una
non
tranquilla
fruibilità
del
bottino
in
quanto
i
nemici
vinti
prima
o
poi
si
sarebbero
vendicati:
quindi
era
necessario
uccidere
!
anche
perchè
sarebbe
stato
difficile,
nelle
piccole
e
semplici
comunità
Fijane,
mantenere
un
vero
e
proprio
controllo
militare
di
un
territorio
così
vasto
oppure
fare
prigionieri
per
utilizzarli come schiavi.
Ma
uccidere
un
uomo
non
vuol
dire
necessariamente
mangiarlo
!
Bisogna
allora
considerare
che
a
causa
delle
povere
economie
dei
villaggi
(al
limite
della
sussistenza
)
il
bottino
in
cibo
era
sempre
molto
scarso
e
così
la
crescente
richiesta
di
nutrimenti
portò
alla
pratica
del
cannibalismo.
Ci
furono
quindi
in
maniera
graduale
sempre
più
bottini
“in
carne
umana”
e
si
organizzavano
grandi
feste
con
canti
e
balli
nei
quali
,mangiando
i
nemici,
si
credeva
di
incorporare anche la loro forza e coraggio…così che più il nemico si era battuto con eroismo e più ambita era la sua carne !
Purtroppo
questa
pratica
moltiplicò
a
dismisura
le
guerre
in
un
circolo
vizioso
dove
“tutti
erano
contro
tutti
”
e
la
vita
su
queste
isole,
un
tempo
felice,
divenne
un
vero
e
proprio
inferno
sino
a
che
Cakobau,
un
capo-tribù,
convertito
per
necessità
di
potere
al
Cristianesimo
(convertendosi
si
assicurò
l’amicizia
degli
Europei),
aiutato
dagli
Inglesi
riuscì
ad
assoggettare
tutte
le
terre
sotto
il
suo
dominio
e
quindi
la
pratica
del
cannibalismo
(molto
gradatamente e relativamente da poco) cessò.
La
cessazione
dell’antropofagia
avvenne
per
due
motivi:
il
primo
di
carattere
tradizionale,
in
quanto
era
considerato
un
reato
gravissimo
punibile
con
la
morte
non
seguire
l’esempio
del
capo
(appunto
di
Cakobau),
il
secondo
di
carattere
sociale,
in
quanto
la
riunificazione
di
tutte
le
tribù
sotto
un
unico
capo
faceva cadere le rivalità tra clan e villaggi e quindi le motivazioni del cannibalismo.
IL RACCONTO DI VIAGGIO:
Tutto iniziò l’anno prima (Ott. 1997) quando conobbi per la prima volta il Sud Pacifico (la Polinesia Fr.) e subito fu amore a prima vista !
Nonostante
i
sacrifici
per
il
lungo
viaggio
(costi
compresi)
ero
rimasto
così
stregato
da
questa
parte
di
mondo
da
decidere
di
tornarci
alla
prima
occasione.
L’occasione
si
presentò
dopo
qualche
mese
quando
io
e
mia
moglie
entrammo
in
agenzia
per
acquistare
un
biglietto
per
andare
a
“Parigi”
una
settimana
(io
l’avevo
vista
già
tre
volte
ma
Maria
mai
!).
Ne
io,
nè
mia
moglie
eravamo
molto
convinti
della
destinazione
ma
eravamo
un
pò
in
bolletta
e
non
era
il
caso
di
spingerci,
a
distanza
di
poco
tempo,
molto
lontano…
All’interno
dell’agenzia
c’era
un
libro
fotografico
dedicato
alle
isole
Fiji
e
l’impiegata
lo
stava
sfogliando.
Ci
guardammo…
nessuno
di
noi
sapeva
cosa
stesse
realmente
pensando
l’altro
!
…ma
una
vocina
a
mo’
di
diavoletto
incominciava
a
ronzare
nelle nostre teste.
Mentre
la
signora
ci
stava
confermando
il
biglietto
per
Parigi
bisbigliammo
tra
noi
:
<<un
giorno
andremo
alle
Fiji
!
>>
ed
ancora:
<<si,
certo…un
giorno!
>>…fu
questione
di
un
attimo
e
quasi
contemporaneamente
urlammo
alla
donna
dietro
il
bancone:
<<
cambi
destinazione…vorremmo
andare
una
mesata
alle
isole
Fiji
!!!
>>
La
donna
impallidì,
pensò
ad
uno
scherzo
e
quando
si
rese
conto
che
facevamo
sul
serio
non
sapeva
se
congratularsi
con
noi
o
scusarsi per averci tentato con il libro…
Buttai
giù
sul
momento
un
itinerario
personalizzato
(volevo
assicurarmi
anche
i
pernottamenti
per
non
perdere
tempo
sul
luogo
visto
il
periodo
di
alta
stagione)
:
ero
preparatissimo
sulle
Fiji
…come
se
non
avessi
studiato
altro
in
quei
giorni
!
riuscii
infatti
a
soddisfare
tutte
le
mie
voglie
ad
eccezione
delle
Yasawa : tutte già stra-piene per Agosto…nonostante fosse Maggio (1998) !
Uscimmo dall’agenzia più “poveri” ma felici !
I
giorni
che
seguirono
furono
un
lungo
conto
alla
rovescia
sino
all’8
Agosto:
giorno
di
partenza.
Alle
9,45
spiccammo
il
volo
per
Los
Angeles
via
Linate:
15
ore di viaggio con Alitalia (fu l’ultima volta con la nostra compagnia di bandiera a causa di alcuni episodi di scortesia).
Tra le curiosità : in prossimità della costa Americana, all’altezza del circolo polare artico a -70°C, vedemmo gli iceberg !
Sosta
a
Lax
di
7
ore
!
in
una
sala
d’aspetto
desolata
priva
di
negozi
e
di
un
luogo
di
ristoro
(ma
eravamo
attrezzati
di
borraccia
e
biscotti
!)
e
poi
imbarco
per Nadi (Fiji) …altre 11ore (volo diretto con Air New Zealand).
Una
volta
atterrati
a
Nadi
(sull’
Isola
di
Viti
Levu)
ci
dirigemmo
verso
l’uscita
dell’aeroporto
dove
c’erano
una
serie
di
uffici
turistici
(erano
le
5
del
mattino
ed
era
buio…ma
erano
già
aperti
!
)
e
dove
vi
consiglio
di
andare
per
un
“fai
da
te”.
Anche
noi,
che
avevamo
prenotato
dall’Italia
i
pernottamenti,
entrammo
in
una
di
queste
agenzie
per
convertire
i
nostri
documenti
di
viaggio
con
i
voucers
delle
strutture
locali
e
ricevere
i
biglietti
dei
voli/traversate
locali, cartine, suggerimenti…etc.
Ovviamente
ci
fu
l’immancabile
accoglienza
floreale
tipica
del
Sud
Pacifico
(collane
di
fiori
di
frangipane
profumati
)…anche
se
molto
più
pacata
di
quella
Tahitiana
!
Sbrigate
le
formalità
prendemmo
un
taxi
per
raggiungere
l’imbarco
presso
il
tranquillo
porticciolo
di
Denarau
Marina
posto
sull’Isolotto
di
Denarau
collegato
con
un
ponte
all’Isola
madre
di
Viti
Levu.
Prima
però
(era
presto)
approfittammo
dell’intraprendenza
(leggi:
richiesta
di
mancia)
del
tassista
“indiano”
per
fare
un
giro
per
Nadi
e
dintorni.
Nadi
è
la
città
commercialmente
più
importante
(risiede
infatti
l’aeroporto
internazionale)
ed
è
anche
la
più
grande.
Chiaramente
per
più
grande
intendo
più
grande
della
capitale
Suva
(dove
risiede
invece
il
governo)
ma
pur
sempre
poco
più
di
un
villaggio
!
Ovunque
un
brulicare
di
Indiani
intenti
a
lavorare
nei
vari
mercatini
o
negozi
…mentre
i
Fijani
Melanesiani…beh
!
…loro
sono
più
“filosofi”
nei
ritmi di vita !
Poco
fuori
città
distese
di
canna
da
zucchero
si
perdevano
a
vista
d’occhio
e
ricordo
che
la
seconda
volta
che
toccai
le
Fiji
(nel
2000)
riuscii
anche
a
vedere
il
famoso
e
particolarissimo
“trenino
della
canna”,
un
treno
in
miniatura
che
come
cento
anni
fa
trasportava
ancora
sui
suoi
vagoncini
le
balle
di
“sugar-
cane” verso la raffineria locale.
Poi
fu
la
tappa
al
tempio
Induista,
il
più
grande
del
Sud
Pacifico:
ricordo
che
i
raggi
bassi
del
sole
all’aurora
lo
trapassavano
da
parte
a
parte
creando
un
forte effetto mistico-coreografico rafforzato dalla sagoma controluce di un monaco indaffarato nelle prime faccende mattutine.
Purtroppo il tempio non era aperto agli “infedeli” e ci dovemmo accontentare di ammirarlo dall’esterno (vedi foto).
Infine
arrivammo
a
Denarau;
il
porticciolo
era
deserto
in
un
silenzio
quasi
irreale,
a
pochi
metri
dal
molo
qualche
piccola
imbarcazione
privata
ed
un
veliero
fantasma,
il
mare
era
calmissimo…il
taxi
ci
lasciò
ed
andò
via…
Dopo
qualche
minuto
spuntò
all’improvviso
un
omone
di
due
metri,
grasso:
un
tipico
Fijano
Melanesiano
(si
distinguono
dai
Fijani
Indiani
per
i
capelli
riccissimi
e
la
grande
mole)…mi
stritolò
la
mano
in
segno
di
saluto
e
disse:
<<
Bula
!
I
‘am
the
Captain
!
>>…pensai
<<
è
il
capitano
di
chissà
quale
nave
che
ci
dà
il
benvenuto
!
>>,
invece
era
il
capitano-traghettatore-portavalige-ecc
di
una
specie
di
pulmino
camuffato
da
barca
(o
l’inverso
?)
che
però
comodamente
in
mezz’ora
ci
portò
nella
nostra
prima
destinazione:
l’isola
del
Tesoro
(Treasure Island) nel vicino arcipelago delle Mamanucas.
Nonostante
la
stanchezza
per
il
lungo
viaggio,
dopo
aver
preso
possesso
del
bungalow
a
pochi
metri
dal
mare
comprensivo
di
grandi
gechi
all’interno
(affermano
che
portano
fortuna
!)
,
ci
tuffammo
immediatamente
in
acqua.
C’era
la
bassa
marea
e
l’acqua
era
molto
torbida
(dopo
qualche
ora
con
l’inversione
della
marea
diventerà
limpidissima
)…superammo
il
primo
tratto
sabbioso
per
dirigerci
verso
la
parte
di
barriera
corallina
poco
profonda:
la
sagoma opaca di un grande squalo ci diede il benvenuto !
L’isola
era
molto
piccola,
praticamente
un
banco
di
sabbia
con
una
vegetazione
bassa
circondato
dai
pochi
bungalows…in
dieci
minuti
si
girava
a
piedi
!
Per
fortuna
una
piccola
“bugia”
(ci
spacciammo
per
honey-mooners)
ci
fece
guadagnare
un
bungalow
(n.9)
nella
posizione
migliore:
non
è
raro
infatti
capitare
in
isole
(questo
vale
in
qualsiasi
parte
del
mondo)
che,
se
anche
molto
piccole,
hanno
lati
migliori
e
lati
peggiori
e
mi
riferisco
soprattutto
al
vento
serale
(che
può
variare
a
seconda
della
posizione
da
assente
a
fortissimo)
ma
anche
ai
fondali
(sabbioso
o
corallino,
limpido
o
torbido,
in
corrente
oppure
no ) e a varie romatincherie (privacy, lontananza dalla zona cena/spettacoli, alba o tramonto fronte “amaca”…)
Come ogni isola visitata nelle Fiji, anche Treasure aveva il proprio “motto”o slogan : << Treasure Island : one of life’s simple pleasures >>.
Dopo
la
prima
snorkellata
ci
mangiammo
come
pranzo
due
belle
zuppe
di
mais,
un
pò
di
frutta
tropicale,
una
banana
split
e
via
a
nanna
!
La
sera
dopo
un
pò
di
amaca
e
passeggiate
ci
recammo
a
cena
per
gustare
i
tipici
piatti
a
base
di
pesce…praticamente
quasi
simili
in
tutto
il
Pacifico
ad
eccezione
di
alcune
varianti:
per
esempio
ci
servirono
un
piattone
di
tridacne
(conchiglie
dal
sapore
e
consistenza
gommosa
che
però
digerii
perfettamente
nonostante
l’apparenza “indigesta”) che normalmente non sono considerate in altri paesi commestibili !
Continuai
la
“pappatoria”
con
gamberoni
e
polpi
pescati
in
giornata
(di
fronte
l’isola
infatti
tra
i
coralli,
incontrai
molte
volte
grandi
polpi:
octopus
!
come
venivano chiamati in Inglese !).
Alla
fine
della
serata
feci
il
mio
primo
incontro
(il
primo
di
una
lunghissima
serie
che
mi
portò
sino
a
Tonga)
con
la
magica
(ed
“ansiolitica”)
bevanda
della
Kava.
Per
una
spiegazione
approfondita
sulla
preparazione,
origine
e
tradizione
leggete
la
mia
pagina
Web…click
!
Fu
portato
il
grande
e
tipico
contenitore
di
legno
dalla
vaga
forma
di
un
braciere,
furono
adagiate
all’interno
le
radici
sminuzzate
di
una
particolare
pianta
del
pepe
e
con
dell’acqua
fresca
e
uno
straccio
iniziò
la
solenne
preparazione
della
bevanda.
Lo
straccio
aveva
la
funzione
di
“strizzare”
bene
la
pianta
per
rilasciare
nell’acqua
l’aroma (leggermente assomigliante alla liquirizia), il sapore (…di fango !), l’aspetto (pure di fango !) e soprattutto il principio attivo “rilassante”.
Ci
tengo
a
precisare
che
la
bevanda
non
ha
nulla
di
illegale
(tanto
che
si
può
acquistare
la
pianta
in
polvere
o
trinciata
dappertutto
e
portarla
tranquillamente
in
Italia
)
ma
sicuramente
bevuta
in
dosi
massicce
(come
fa
ogni
buon
Fijano
e
ogni
buona
Fijana
in
occasione
di
cerimonie,
feste,
battesimi, matrimoni…etc. ) dà un effetto simile a quello della marijuana (cioè beatitudine ed occhi rosso-fuoco).
Preparata
a
più
riprese
la
“pozione”
fu
decantata
in
un
secchio
di
plastica
(tipo
quelli
per
pulire
in
terra…alle
Fiji
ne
ho
visti
preparare
molti
colmi
sino
all’orlo
!!!
)
e
poi
offerta.
Vi
consiglio
di
accettare…nessuno
si
offenderà
se
non
la
berrete
ma
se
lo
farete
sarete
considerati
“più
amici”
…è
un
pò
il
“calumet della pace” del Sud Pacifico !…e poi è piacevole !
La
bevanda
fu
servita
in
una
tazza
fatta
con
un
mezzo
cocco,
rigorosamente
servita
con
il
dito
pollice
inserito
”
a
mollo
“.
La
prima
sensazione
che
ebbi,
appoggiata
la
bocca,
fu
quella
di
avere
la
lingua
anestetizzata
come
se
avessi
assaggiato
della
cocaina.
Seguirono
altre
tazze…il
tutto
nel
sottofondo
dei
canti
Fijani
provenienti
da
un
gruppetto
di
persone
che
in
disparte
si
stava
scolando
tra
un
vocalizzo
e
l’altro
un
bidone
di
Kava
e
fumando
chissà
che
cosa
!
Quella
sera
il
cielo
mi
parve
più
stellato
!
…già
il
cielo,
quel
cielo
che
avevo
smesso
di
guardare
da
un
pezzo
ma
che
era
sempre
lì
a
portata
di
naso…tutti
i
giorni !
La
mattina
seguente
mi
alzai
all’alba…era
una
magnifica
alba…il
profumo
dell’Oceano
mi
faceva
sentire
proprio
“bene”…
approfittai
per
andare
a
vedere
i
pesci
“saltare”
vicino
la
riva.
Un
Fijano
che
bighellonava
sulla
spiaggia
con
il
suo
pallone
da
rugby
sottobraccio
mi
guardò
sorridendo
e
con
la
mano
alzata
a mò di saluto mi gridò: << Bula ! Friend…keep smiling and be happy, have a good day ! >>…rimasi di sasso !
L’intera giornata la dedicai ad attività marine ma non riuscii a togliermi dalla mente quell’incontro mattutino !
In
questa
isola
praticai
un
ottimo
snorkeling
da
principiante
(cioè
da
riva
!),
infatti
nel
lato
corallino
dell’isola,
ben
identificato
da
una
piccola
piattaforma
galleggiante
raggiungibile
a
nuoto,
c’era
una
fauna
abbastanza
ricca,
in
particolar
modo
abbondavano
i
branchi…anzi
sarebbe
meglio
chiamarli
i
“fiumi
in
piena”
di
grandi
(i
più
grandi
che
abbia
mai
visto)
e
coloratissimi
pesci
pappagallo,
con
i
loro
tipici
rumori
(il
grattare
ed
il
tritare
i
coralli
con
le
loro
potenti
dentature).
Talvolta,
soprattutto
quando
ci
facevamo
dare
qualche
avanzo
di
cucina,
erano
così
abbondanti
da
nascondere
completamente
le
nostre
sagome ed allora per nuotare si urtava inevitabilmente contro i loro corpi riuniti in una variopinta nuvola in quel cielo azzurro che era il mare.
La sera assistemmo ad uno spettacolo di danze di guerra e canti Fijani…ai quali si aggiunse anche uno show Polinesiano delle Samoa.
Si
trattava
ovviamente
di
shows
improvvisati
(anche
se
ben
fatti
e
con
ottimi
costumi)
dagli
stessi
operai,
cameriere
e
cuochi
della
struttura…ma
presto,
su un’altra isola, avremmo visto qualcosa di più vero…
Il
carattere
dei
Fijani
Melanesiani
si
rivelò
subito
uno
dei
migliori
al
mondo.
Mai
avevo
visto
delle
persone
tanto
allegre
e
disponibili:
la
simpatia
impersonificata in quei corpulenti esseri dagli occhi neri e le teste con le particolari capigliature riccissime a forma di globo !
Ancora
oggi
il
ricordo
di
quei
maestosi
ma
miti
esseri,
sempre
“attenti
ed
intenti
”
a
prendere
la
vita
con
filosofia
e
buonumore,
con
serenità
e
gioia,
contrasta di molto con quella che è la loro storia passata di sanguinari e, purtroppo quella odierna di intolleranti e reazionari.
Senz’altro
posso
affermare
con
certezza
(col
senno
del
poi)
che
fu
il
popolo
con
cui
riuscimmo
a
socializzare
di
più
e
con
maggiore
facilità.
Non
c’era
piccolo
episodio,
incontro
od
incrocio
di
sguardi
che
non
generasse
una
frase
carina,
un’amicizia
od
un
sorriso…o
forse
dovrei
dire
una
risata.
Si
!
I
Fijani
e
soprattutto
le
Fijane
hanno
l’abitudine
di
ridere…ridere
a
crepapelle
per
tutto…in
continuazione
!
All’inizio
può
generare
in
noi,
dagli
animi
corrotti
e
soprattutto
diffidenti,
un
attimo
di
sgomento…in
pratica
ti
sembra
di
essere
preso
in
giro…ma
poi
ti
accorgi
che
non
è
così:
è
solo
la
loro
gioia
di
vivere
innata
che,
incontenibile
dentro
i
pur
grandi
corpi,
scoppia
all’esterno
in
un’esplosione
di
ilarità
!
basta
un
saluto,
un
episodio
buffo:
ricordo
di
un
giorno
che
un
pescatore
mi
accompagnò
(senza
volere
alcun
compenso)
a
fare
snorkeling
a
largo.
Poichè
la
situazione
non
mi
sembrava
molto
sicura
(soprattutto
per
mia
moglie)
volli
risalire
prima
del
dovuto
in
barca
e
nel
salire
sulla
ripida
e
stretta
scaletta
scivolai
risultando
un
pò
goffo…beh
!
per
tutta
la
settimana
ogni
volta
che
il
pescatore
passava
nei
pressi
dell’isola
in
corrispondenza
del
mio
bungalow
oppure
riconosceva
la
mia
sagoma
sulla
spiaggia…si
agitava
come una scimmia richiamando la mia attenzione con le mani e facendo poi seguire una lunghissima risata ! (per un pò l’ho odiato…ma poi ho capito !).
Anche
la
mattina
presto
quando
ancora
tutti
(o
quasi)
dormivano,
il
silenzio
veniva
spesso
squarciato
da
una
sonora
risata:
chissà
per
quale
motivo
e
proveniente
chissà
da
chi
!
E
vi
potete
immaginare
cosa
succedeva
durante
gli
shows
“casalinghi
“,
cioè
durante
gli
shows
organizzati
dallo
staff
Fijano
dell’isola…quando
era
il
turno
dei
balli
degli
uomini,
le
loro
donne
ridevano
fino
a
piegarsi
in
due,
per
terra,
lacrimanti…e
vi
potete
immaginare
quanto
tutto questo fosse contagioso !
Il riso e l’allegria è senz’altro una caratteristica comune nel Sud Pacifico ma nelle Fiji è particolarmente marcata !
Arrivò
purtroppo
il
giorno
della
partenza…Marama
Maria
e
Turaga
Stefano
(così
ci
chiamavano
per
dire
Signora
e
Signor…)
dovevano
partire.
Venne
intonato
in
nostro
onore,
come
è
consuetudine
in
tutte
le
Fiji,
la
canzone
di
“farewell”
(d’addio):
Isa
Lei,
una
canzone
che
narra
della
tristezza
di
un
Fijano
che
dovendo
partire
lascia
le
sue
amate
terre
ed
Isa
Lei:
il
suo
grande
amore.
Isa
Lei
è
“la
canzone”
per
eccellenza
delle
Fiji
ed
è
cantata
ovunque
con
serietà
e
solennità
(spesso
purtroppo
è
schernita
dai
pochi
turisti
Europei…molto
rispettata
invece
dai
Neozelandesi
che
rappresentano
la
maggior
parte
dei visitatori).
In
genere
è
cantata
la
sera
prima
del
congedo
di
un
ospite:
uomini
e
donne
si
vestono
per
l’occasione
con
abiti
tipo
“gospel
”
e
si
dispongono
in
due
file,
una
dietro
all’altra
(ci
tengono
molto
a
fare
bella
figura
!);
poi
intonano
un
canto,
senza
accompagnamento
musicale,
che
ha
ovunque
lo
stesso
testo
tranne
che
in
due
punti:
le
parole
“isole
Fiji”
vengono
sostituite
con
il
nome
dell’isola
sulla
quale
uno
si
trova
ed
il
personaggio
narrato,
con
il
nome
reale
della persona che va via !
Partimmo
con
un
motoscafo
veloce
verso
l’isola
di
Tokoriki,
sempre
nell’arcipelago
delle
Mamanucas…vedemmo
le
imponenti
figure
delle
Fijane
salutarci
da
lontano
ed
intonare
di
nuovo
Isa
Lei…
Seguì
una
mezz’oretta
di
traversata
non
priva
di
fascino,
tra
le
isolette
disabitate
e…
ad
un
certo
punto
la
barca
fece
una
brusca
virata,
il
Fijano
spense
il
motore
scrutando
la
superficie
del
mare:
poi
mi
indicò
l’ostacolo
mancato
per
un
pelo:
<<
whale
!
whale
!
>>:
un gruppo di megattere tagliò indisturbato la nostra rotta…poi dopo uno sbuffo si inabissò per scomparire definitivamente dalla nostra vista…
Tokoriki era un’isola dall’aspetto poco curato, un pezzo di terra brulla, color marrone che spuntava da un mare dai colori azzurro-verdognoli.
La
poca
vegetazione
costiera
era
formata
da
alberi
caduti
e
storti.
Un’unica
palma
da
cocco
isolata
sull’unica
spiaggia
!
Il
resto
dell’isola
era
off-
limit…impossibile
girarla
a
piedi
a
causa
di
barriere
naturali
insormontabili
(montagna,
scogliera…),
impossibile
girarla
pagaiando
sui
kayak
che
i
Fijani
ci
mettevano
a
disposizione
gratuitamente
a
causa
delle
forti
correnti,
acqua
non
trasparentissima
vicino
riva
(a
largo
la
barriera
però
era
fantastica),
cibi
meno
ricercati
soprattutto
a
base
di
fritti,
un
aspetto
meno
curato
degli
abitanti
(sempre
simpaticissimi
però…)
ed
in
più
prezzi
molto
abbordabili…addirittura
prendi
7
(giorni)
e
paghi
5
!…la
cosa
mi
puzzava
alquanto
e
mi
puzzò
di
più
quando
mi
venne
in
contro
il
direttore
della
struttura,
un
magrissimo
inglese,
poco
più
di
un
fantasma
vestito
da
“colonialista”
che
si
era
relegato
(alienandosi
del
tutto)
da
anni
in
quell’isola
dandosi
all’alcool
(fin
dalla
mattina
presto
!).
L’isola
può
effettivamente
apparire
a
prima
vista
(
per
i
più)
una
destinazione
noiosa
(per
la
quasi
mancanza
di
cose
da
fare
durante
il
giorno,
snorkeling
compreso…
a
meno
di
non
prendere
una
barca)
…in
realtà
all’attento
viaggiatore
può
dare
soddisfazioni
inaspettate
!
e
per
me fu così i giorni seguenti !
Il motto (verissimo) della gente dell’isola era: << You’ll arrive as a visitors…and leave as a friend >>.
Ogni
sera
infatti,
nel
buio
più
buio
dell’Oceano,
arrivava
(senza
luci),
in
sordina,
senza
che
nessuno
la
notasse,
una
piccola
barchetta
di
legno
a
remi,
con
dentro
una
decina
di
Fijani
provenienti
da
un
isola
di
fronte
(Yanuya)
dove
c’era
un
villaggio
molto
povero,
senza
acqua
ed
elettricità,
senza
servizi
(più
tardi
la
descrizione),
e
vestiti
con
gli
abiti
della
festa
venivano
a
fare
amicizia
con
noi,
ad
allietarci
le
serate
cantando
e
suonando
a
richiesta
canzoni
d’amore
o
di
guerra
…senza
volere
nulla…solo
la
nostra
attenzione,
la
nostra
amicizia.
E
dopo
cena
si
attardavano
con
noi
per
ridere
e
scherzare,
per
raccontare fatti e storie di altri tempi… per poi molto tardi scomparire nel mare: altri mondi !
Qualche volta portavano anche i loro figli, le loro mogli… per farle svagare…per regalarsi un piccolo pezzo di mondo lontano dal loro…
Ovviamente anche qui la Kava faceva da padrone ai canti ed alle serate !
In
questa
isola
fotografai
i
più
bei
tramonti
della
mia
vita
di
un
rosso
fuoco
e
passai
molto
tempo
ad
osservare
le
famiglie
dei
pochi
Fijani
che
vivevano
stabilmente
a
ridosso
della
montagna
(poco
più
che
baracche
per
coloro
i
quali
lavoravano
nel
piccolo
residence)
che
la
sera
passeggiavano
sulla
spiaggia.
Qualche
giovane
giocava
allo
sport
nazionale
Fijano:
il
rugby
(non
senza
invitarti)…qualche
Fijana
preparava
il
cibo
per
la
famiglia
ed
i
bambini
piccoli
insieme
ai
padri
imparavano
a
pescare
la
“cena”…erano
abilissimi:
prima,
con
una
piccola
rete
lanciata
pressochè
a
riva,
catturavano
i
numerosi
piccoli
pesci
(probabilmente
acciughe
o
aringhe)
che
sostavano
nelle
acque
basse,
poi
una
lenza
(con
esca
le
acciughe)
veniva
lanciata
nel
punto
in
cui
i
piccoli
pesci
saltavano
(era
il
segnale
che
nelle
vicinanze
c’era
un
predatore
all’attacco)
…risultato:
la
cattura
di
piccoli
tonni
(carancidi)
di
qualche
chilo…gli
stessi
che, se in eccedenza, venivano cucinati nella nostra mensa sotto il nome di “the catch of the day”.
Un
giorno
fummo
invitati
nell’isola
di
Yanuya,
l’isola
di
fronte
Tokoriki,
dove
c’era
il
villaggio,
a
circa
15
minuti
di
barca.
L’isola
era
un
grande
pezzo
di
roccia
con
alcuni
picchi
(vulcani
spenti)
e
poca
vegetazione.
Il
villaggio
viveva
un’esistenza
molto
semplice:
ricordo
che
la
sera,
guardandolo
da
Tokoriki,
era
sempre
buio
(nonostante
il
villaggio
fosse
proprio
davanti
a
noi
a
poca
distanza
in
linea
d’aria),
quindi
capii
che
era
privo
di
elettricità
e
che
gli
abitanti
probabilmente
cessavano
ogni
attività
al
tramonto.
Ricordo
anche
che
una
sola
notte,
in
occasione
probabilmente
di
qualche
festeggiamento
(nascita,
morte, ricorrenza o matrimonio), osservai accesi grandi fuochi sulla spiaggia e udii un suono ritmato di tamburi…
Come
ci
avvicinammo
alla
spiaggia
del
villaggio
ci
vennero
incontro
dei
bambini
su
una
vecchia
tavola
danneggiata
da
surf
che
con
le
loro
grida
“Bula
!
bula
!
”
ci
diedero
il
benvenuto.
La
spiaggia
purtroppo
era
un
pò
la
loro
discarica
ed
era
piena
di
bottiglie,
vecchi
pezzi
di
ferro
e
stracci,
le
casette
erano
tutte
piccolissime,
basse
(come
da
tradizione
Melanesiana-Polinesiana),
alcune
costruite
in
foglia
di
palma,
altre
in
legno
e
qualche
mattone,
altre
ancora
in
lamiera,
una
sola
era
completamente
in
muratura
(una
specie
di
“comune”
dove
il
consiglio
degli
anziani
si
ritirava
per
prendere
decisioni).
L’unica
acqua
dolce
era
custodita
in
una
cisterna
di
cemento
al
centro
del
villaggio
nella
quale
confluivano
le
grondaie
delle
case
accanto…l’isola
infatti
non
avendo falde acquifere faceva affidamento solo sull’acqua piovana che, a giudicare dalla vegetazione, non era abbondantissima.
La
gente
fu
molto
cordiale
e
sorridente
come
sempre.
In
particolar
modo
notai
le
curiose
casette,
tanto
piccole
che
le
persone
per
affacciarsi
alla
finestra
dovevano
stare
sedute
in
terra.
Il
silenzio
faceva
da
padrone
spezzato
solo
dai
grugniti
dei
maialini,
dai
versi
delle
galline
e
dai
crepiti
della
legna
nei
fuochi.
Ogni
tanto
tra
una
casetta
e
l’altra
c’era
un
piccolo
orto
e
qualche
albero
del
pane,
papaya
e
banano.
La
gente
continuò
indisturbata
le
proprie
faccende
quotidiane
fermandosi
per
un
attimo
solo
per
regalarci
un
“bula
!”
(il
loro
saluto)
ed
un
grande
sorriso
!
C’era
chi
lavava
i
panni
in
mare,
c’era
chi
riposava
(molti
!)
e
c’era
chi
fabbricava
il
vasellame
secondo
l’antica
tecnica
ereditata
dai
Polinesiani
Lapita.
Ricordo
una
serie
di
vecchiette
senza
denti,
sedute
sull’uscio
di
casa,
che
lavoravano
abilmente
l’argilla
(creando
ciotole
o
pentolini),
abbellendola
con
decorazioni
in
foglia
di
banano
e
ricoprendola
di
una resina scura che poi veniva cotta in un falò.
Durante
la
nostra
visita
(accompagnati
da
un
Fijano
che
avevamo
conosciuto
la
sera
prima
al
residence
e
che
viveva
proprio
nel
villaggio)
ci
vennero
incontro
le
“autorità
ufficiali”:
il
capovillaggio
e
gli
anziani.
Ci
accolsero
con
tutti
gli
onori
e
ci
invitarono
a
seguirli
nella
casa
in
muratura
(lasciando
le
scarpe
fuori
!),
un
grande
stanzone
con
finestre
e
tendine,
completamente
vuoto,
con
il
classico
grande
tappeto
in
fibra
di
palma
al
centro
e…l’immancabile
“Kava
bowl”
di
legno.
Incominciarono
subito
ad
allestire
il
tutto.
La
cerimonia
del
Kava
fu
molto
diversa
da
quella
del
Treasure
(ricetta
e
preparazione della bevanda a parte), infatti fu fatta secondo gli ancestrali e rigidi canoni della tradizione:
<<
La
cerimonia
del
Kava
a
Yanuya:
Immaginate
una
grande
stuoia
tessuta
con
le
fibre
delle
foglie
della
palma
da
cocco
con
sopra
una
grande
ciotola
(Tanoa)
di
un
legno
molto
duro
con
sotto
delle
corte
zampe.
Nella
parte
anteriore
del
Tanoa
vi
sono
delle
corde
rossastre
fatte
con
le
fibre
della
buccia
della
noce
di
cocco.
All’
estremità
delle
corde
vi
sono
attaccate
delle
conchiglie
bianche
che
saranno
orientate
verso
un
capo
oppure
verso
l’ospite
d’onore.
Poi
i
partecipanti
si
mettono
a
sedere
sulla
stuoia
intorno
alla
ciotola
disposti
a
cerchio.
Dietro
il
Tanoa
prende
posto
l’uomo
che
preparerà
la
Kava
ed
alla
sua
destra
quello
che
la
servirà.
La
Kava
sarà
servita
in
tazze
formate
dalla
mezza
buccia
della
noce
di
cocco.
Il
Tanoa
viene
riempito
di
acqua
ed
il
preparatore
dispone
una
certa
quantità
di
Kava
in
un
panno
che
fungerà
da
setaccio,
quindi
immerge
il
panno
nell’acqua
e
comincia
a
massaggiarlo
delicatamente.
L’
acqua
gradualmente
prende
un
colore
marrone
ed
opaco.
Quando
il
preparatore
ritiene
sia
arrivato
il
momento
giusto,
viene
offerta
all’
ospite
d’onore
(nel
nostro
caso
un
assaggiatore
locale)
la
prima
tazza
di
Kava
che
giudicherà
se
la
bevanda
è
troppo
debole
o
troppo
forte.
Se
è
troppo
debole
il
panno
verrà
rimesso
in
acqua
per
continuare
la
preparazione,
se
è
troppo
forte,
verrà
aggiunta
un
pò
d’acqua.
Una
volta
terminata
definitivamente
la
preparazione,
il
preparatore
appoggia
entrambe
le
mani
sull’
orlo
del
Tanoa,
applaudisce
tre
volte
ed
afferma
”
il
Kava
è
pronto,
o
mio
capo
!”.
Ora
sono
tutti
pronti
a
bere.
Il
preparatore
immerge
la
tazza
nella
Kava
e
la
dà
all’uomo
alla
sua
destra
che
la
passa
(con
il
dito
pollice
immerso
)
a
turno
a
tutti
i
partecipanti
iniziando
da
quelli
vicini
a
lui.
Ogni
bevitore
applaude
una
volta
in
segno
di
accettazione
e
beve
d’un
fiato
senza
pausa.
Poi
il
bevitore
e
il
resto
della
gente
seduta
intorno
al
Tanoa
applaude
tre
volte
in
segno
di
apprezzamento
(un
rito
simpaticissimo
e
molto
serio
!…forse
l’unico
momento
durante
il
quale
non
ho
visto
nessuno
ridere
!)
e
la
tazza
viene
ridata
all’uomo
accanto
al
preparatore
che
la
riempirà
nuovamente.
Questo
processo
è
ripetuto
fino
a
che
tutti
non
abbiano
avuto
una
tazza
da
bere.
Durante
gli
intervalli
fra
una
tazza
e
l’altra,
i
bevitori
rilassati
parlano,
cantano
e
raccontano
storie.
Gli
intervalli
non
hanno
una
lunghezza
determinata
e
tutto
è
lasciato
alla
discrezione
del
preparatore.
Infatti
lo
scopo
della
cerimonia
non
è
quello
di
svuotare
semplicemente
il
Tanoa
il
più
rapidamente
possibile,
ma
godere
con
gli
altri
l’
esperienza
comune
della
Kava.
Quando
il
Tanoa
è
vuoto, se il gruppo lo vuole, viene ripreparata un’altra ciotola di Kava fresca ed il giro continua… >>
Finita
la
cerimonia
ringraziammo
e
uscimmo
di
nuovo
fuori
tra
le
case
del
villaggio.
Una
donnona
con
un
grande
ombrello
colorato
(per
ripararsi
dal
sole)
mi
venne
incontro
con
due
bambine.
Si
agitava,
mi
parlava
in
Fijano,
indicava
me
e
le
bambine
e
faceva
dei
gesti
che
non
capivo.
Non
sapevo
bene
cosa
volesse,
avevo
fatto
qualcosa
che
non
andava
?
(caramelle),
avevo
offeso
qualcuno
?
poi
l’uomo
che
mi
aveva
accompagnato
con
la
barca
mi
spiegò:
la
donna
voleva
che
facessi
qualche
foto
alle
sue
bambine…
la
accontentai
con
piacere…poi
pensando
che
volesse
dei
soldi
in
cambio
(gli
abitanti
del
villaggio
erano
poverissimi
!)
tirai
fuori
qualche
dollaro
Fijano.
La
donna
mi
disse:
<<
Senga
!
>>
(sapevo
che
voleva
dire
No
!)
e
con
la
mano
mi
invitò
ad
entrare
nella
sua
piccola
baracca
di
legno.
Con
mio
stupore
vidi
che
le
pareti
della
baracca
erano
tutte
tappezzate
di
immagini
soprattutto
foto
di
famiglia di tutte le epoche…ma anche manifesti pubblicitari della Coca Cola e posters dell’appena defunta Lady Diana !
Capii
allora
che
voleva
che
gli
spedissi
le
foto
e,
poichè
la
posta
sull’isola
non
arrivava
regolarmente
(o
forse
non
arrivava
affatto
!),
presi
accordi
con
il
mio
amico-accompagnatore per spedire il tutto a Tokoriki ed arrivato in Italia fu una delle prime cose che feci !
Poi salutai e mi recai nel centro del villaggio.
All’interno
del
villaggio
c’era
una
grande
piazza,
dove
si
radunava
la
gente
durante
le
feste,
con
un
edificio
che
assomigliava
ad
una
piccola
chiesa:
mi
spiegarono che si trattava di una scuola che era stata costruita alcuni anni prima, ma che però aveva presto smesso di funzionare.
Ai
bordi
della
piazza,
sparsa
la
voce
che
c’erano
degli
ospiti
sull’isola,
si
radunarono
delle
vecchiette
per
vendere
quel
poco
artigianato
che
avevano
prodotto
durante
le
loro
giornate
:
ciotole,
maschere
di
legno,
conchiglie,
ed
altri
semplici
manufatti.
Tutto
bellissimo
e
a
poco
prezzo:
comprai
una
maschera.
Sul
retro
dell’isola
invece
notai
una
costa
corallina
con
dei
promontori
frastagliati:
mi
spiegarono
che
era
la
parte
dell’isola
“appartata”
,
dove
le
coppiette
potevano
restare
sole.
Infatti
tornando
il
pomeriggio
a
Tokoriki
notai
tra
la
lista
delle
escursioni
una
gita
all’isola
“honeymoon”,
nella
quale
una
coppia
poteva essere “abbandonata” per qualche ora in quel tratto di costa per fare gli “Adamo ed Eva”.
A
dire
il
vero
una
coppia
con
cui
avevamo
fatto
amicizia
aveva
provato
l’esperienza
ma
durante
ehm
!
“la
permanenza
”
si
era
trovata
all’improvviso
“sul
più
bello”
di
fronte
un
Fijano
che
tagliava
delle
canne
di
bambù
…lui
per
niente
sorpreso
gli
aveva
risposto
in
inglese:
<<
tranquilli…fate
pure
come
se
io
non ci fossi…devo solo tagliare un pò di legna per il villaggio ! >>
La
sera
ci
furono
le
danze…qualcosa
di
veramente
straordinario:
la
solita
barchetta
arrivò
dal
villaggio
al
residence
in
piena
notte
(che
ai
tropici
vuol
dire
dopo
le
18,30-19
)
con
un
carico
di
persone
adornate
con
i
tipici
vestiti
cerimoniali
Fijani:
gonne
in
paglia,
collane
di
fiori
secchi
colorati,
foglie
di
banano
fresche, simboli neri disegnati sulla faccia, ed una serie di strumenti ed oggetti.
Un
panzuto
vecchio
Fijano
senza
un
occhio
con
autorità
dispose
la
“banda”
ordinatamente
su
tre
file:
gli
uomini
davanti
e
dietro,
in
mezzo
le
donne
ed
incominciarono
a
cantare.
Le
nenie
Fijane
furono
veramente
particolari
ed
interessanti,
i
coretti
ben
intonati…il
tutto
accompagnato
solo
dai
loro
strumenti
più
antichi:
un
tronco
cavo
di
un
albero
come
tamburo
(molto
usato
in
tutte
le
Fiji)
e
le
canne
di
bambù
sbattute
ritmicamente
in
terra.
Poi
dopo
i
canti
iniziarono
le
danze
di
guerra
con
le
loro
ancestrali
armi,
quelle
dei
tempi
del
cannibalismo:
lance
e
soprattutto
una
grande
varietà
di
inquietanti
mazze
di
legno
di
ogni
forma
(a
forma
di
ascia,
a
forma
di
alabarda,
a
forma
di
palla
con
aculei,
ecc.)
in
un
crescendo
di
urla,
grida,
percussioni
sorde
e…tanta,
tanta Kava !
La
funzione
fu
chiaramente
una
ricostruzione
dei
riti
sanguinari
che
si
tenevano
sino
al
secolo
scorso
ma
era
rimasta
in
vita
intatta
perchè
ancora
usata
a
scopo ricreativo durante le feste nei villaggi.
Il giorno seguente ci dedicammo ad un pò di kayak… (simil-canoa) tanto per fare un pò i “vacanzieri”, che ogni tanto non guasta !
Consiglio:
attenzione
alle
correnti
però…non
vi
allontanate
mai
troppo…anche
l’apparente
calma
di
una
laguna
protetta
dal
reef
(come
a
Tokoriki)
può
celare
un
pericolo.
Mentre
pagaiavo
piacevolmente
con
la
mia
macchinetta
fotografica,
cappellino,
super-strato
di
crema
solare,
occhiali
da
sole,
sguardo
inebetito
e
manina
cadente
a
contatto
dell’acqua
in
un
relax
degno
di
un
vero
Fijano
si
avvicinarono
due
ospiti
del
resort
che
mi
invitarono
a
fare
con
loro
una
“kayakkata”
più
a
largo,
nei
pressi
della
barriera
corallina
che
sorgeva
cento-centocinquanta
metri
più
giù,
tra
il
fragore
delle
onde.
Io
che
in
vacanza
sono
in
genere
abbastanza
prudente,
soprattutto
in
mare,
rifiutai
!
Dopo
un
pò
di
insistenza,
i
ragazzi
andarono
da
soli
verso
il
reef.
Tutto
bene
sino
a
pochi
metri
dal
bordo
interno
della
barriera,
quando
per
effetto
della
bassa
marea,
la
corrente
che
dalla
laguna
interna
andava
verso
il
mare
aperto
si
fece
sentire
con
violenza.
L’effetto
risucchio
fu
tale
che
i
due
kayak
non
riuscirono
a
contrastare
la
corrente
sfracellandosi
contro
i
taglienti
coralli.
I
kayak
si
persero
in
mare,
ed
i
ragazzi
riuscirono
sanguinanti
a
tornare
a
riva
a
nuoto
(per
fortuna
nessuno
squalo
ebbe
la
voglia
di
assaggiare
il
“maiale
lungo”,
come
venivano
chiamati
gli
uomini
bianchi
dai
cannibali).
Appena
a
riva,
i
ragazzi
con
il
torace
completamente
escoriato
furono
soccorsi
dai
Fijani:
furono
fatti distendere su una panca e…vennero spremuti su di loro dei ricchi e succosi limoni !!!
La
sera
ci
rifocillammo
con
il
“lovo”.
Il
“lovo”
è
il
tipico
forno
“interrato”.
Caratteristico
in
tutto
del
Sud
Pacifico,
anche
se
con
qualche
variante
(nella
preparazione), è conosciuto con vari nomi (per esempio in Polinesia Francese è il “forno Tahitiano”).
La
preparazione
fu
lunga.
Prima
accatastarono
molta
legna
e
delle
grosse
pietre…poi
fecero
ardere
la
pira
per
varie
ore.
Nel
frattempo
scavarono
una
grande
buca
dove
posero
all’interno
i
grandi
cartocci
di
foglia
di
banano
con
all’interno
pesce,
maiale,
pollo,
tapioca
e
patate
dolci
preparati
dalle
donne,
infine
aggiunsero
le
pietre
infuocate
con
un
pò
di
brace
ed
interrarono
il
tutto.
I
tempi
di
cottura,
come
da
tradizione
Fijana,
furono
decisi
dagli
uomini.
Verso l’ora di cena dissotterrarono il cibo…e fu una vera leccornia !
La
settimana
a
Tokoriki
passò
tutto
sommato
veloce…anche
grazie
ad
alcune
iniziative
“no-profit”
culturali
che
lo
staff
Fijano
si
“inventò”
per
chi
non
voleva
fare
solo
una
vacanza
di
mare…ma
capire
anche
qualcosa
in
più
su
questo
popolo.
Infatti
nei
pomeriggi
ci
furono
corsi
di
lingua
Fijana
(ricordo
che
è
la
lingua
ufficiale
insieme
all’Inglese
!),
corsi
per
imparare
ad
indossare
i
“sulu”
(sono
i
corrispettivi
Tahitiani
dei
“pareo”)
e
loro
significati,
corsi
sull’uso
di erbe medicinali, corsi di cucina e tante altre “trovate” tutte interessanti.
Un
altro
aspetto
che
vorrei
sottolineare
non
solo
a
Tokoriki
ma
in
tutte
le
isole
Fijane
è
l’amore
che
hanno
le
donne
Melanesiane
per
i
bambini…si
!
certo
è
una
cosa
innata
in
tutte
le
donne
del
mondo
…ma
alle
Fiji
è
molto
più
marcata
ed
evidente.
La
dolcezza
di
queste
donnone
nei
confronti
dei
“cuccioli
”
di
uomo
di
ogni
razza
è
qualcosa
di
veramente
speciale
!
Ogni
volta
infatti
che
incrociavano
qualche
bambino,
bianco
o
nero
era
uguale,
lasciavano
perdere
tutto
e
lo
baciavano,
lo
abbracciavano,
ci
giocavano…
Non
per
niente
a
differenza
di
altri
paesi
del
Sud
Pacifico
(come
la
Polinesia
Francese),
le
Fiji
accettano
i
bambini
al
di
sotto
dei
12
anni
in
quasi
o
tutte
le
strutture
!
non
solo,
ma
gratuitamente
hanno
sempre
un
servizio
di
baby-sitter
e
vi
posso
assicurare
che
ci
si
può
fidare
davvero
!
:
le
simpatici
“mamas”,
come
vere
chiocce
con
i
pulcini,
seguono
amorosamente
da
vicino
con
il
gioco,
la
parola,
l’ascolto,
la
protezione,
ogni
bambino
che
viene
loro
affidato
!
Pensate
che
addirittura
in
molti
resort
(e
non
di
lusso
!
come
a
Tokoriki)
si
organizzano
cene
e
pranzi
differiti
per
genitori
e
bambini,
in
modo
da
dare
l’opportunità
ai
genitori
di
godersi
la
vacanza
un
pò
più
liberi
(magari
facendo
tardi
la
sera
per
un
drink
od
uno
spettacolo
di
folclore)
e
ai
bambini
di
stare
insieme,
mangiare
cose
diverse
più
appropriate
e
giocare
un
pò
con
le
Fijane
che
arrivano
fino
a
portali a letto, rimboccare loro le coperte e vegliarli fino a notte tarda…un vero paradiso anche per le coppie con figli !
L’ultima notte, come consuetudine, ebbi il mio “Isa Lei”…il mio “farewell” “solennemente” personalizzato…
L’isola di Tokoriki mi aveva permesso di vedere molti lati autentici delle Fiji !…
La
mattina
della
partenza
(dopo
ben
una
settimana
di
permanenza
sull’isola
!)
salutammo
i
nostri
coinquilini
del
bungalow
(i
soliti
gechi
!),
baciammo
ed
abbracciammo
lo
staff
Fijano
ed
aspettammo
sulla
spiaggia
l’arrivo
dell’idrovolante
della
Turtle
Airways,
una
piccola
ma
efficiente
compagnia
aerea
nata
come
servizio
di
trasporto
delle
attrezzature
cinematografiche
alle
Yasawa
(Tourtle
Island)
per
il
set
del
film
Laguna
Blu
(con
Brooke
Shields)
e
convertita
poi al trasporto passeggeri (funziona anche come aereo-ambulanza).
Dopo
un
pò,
un
rumore
di
motore
squarciò
il
silenzio
ed
il
piccolo
monomotore
Cessna
206’s
Express
bianco,
con
l’immagine
sulla
coda
simile
alle
“tartarughe
ninja”
con
la
maglietta
con
la
scritta
“bula
!
“,
atterrò
in
pochissimo
spazio
sulla
piccola
laguna
interna
e
protetta
dell’isola
di
Tokoriki
…poi
con
calma
arrivò
sino
quasi
in
spiaggia.
Il
pilota
scese
per
fare
i
“bisogni”
sull’isola
chiedendomi
di
“tenergli”
l’aereo
…
io
lo
ressi
con
le
mani
dall’ala,
per
evitare
che
la
debole
corrente
marina
lo
allontanasse
dalla
riva,
poi
imbarcammo
i
pochi
bagagli
nella
coda
e
partimmo
con
dolcezza
alla
volta
di
Nadi,
o
meglio
del
molo
di
Denarau
dove
ci
aspettava
un
taxi
Indiano
che
ci
doveva
portare
all’aeroporto
di
Nadi.
Il
volo
sull’idrovolante
fu
molto
scenico,
infatti
nella
mezz’ora
circa
di
volo,
rimase
ad
una
quota
relativamente
bassa
(intorno
ai
500
metri)
e
quindi
riuscii
a
godere,
dal
piccolissimo
abitacolo
(simile
ad
una vecchia Fiat 500, sedili compreso !), della vista dell’arcipelago delle Mamanucas.
Una
volta
all’aeroporto
internazionale
di
Nadi
aspettammo
la
partenza
del
volo
della
Sunflower
Airline
(oggi
Sun
Air
)
per
l’isola
di
Taveuni,
nel
Nord
delle
Fiji.
Attenzione
ai
bagagli
nel
“solo”
aeroporto
internazionale:
durante
l’attesa
due
Indiani
tentarono
di
rubarmeli
e
solo
la
mia
quasi
ossessiva
attenzione
riuscì a sventare all’ultimo momento il furto !…2 minuti più tardi avrebbero preso il “volo” per sempre !
Oggi (2001) probabilmente questo episodio non sarebbe accaduto a causa della stretta sorveglianza armata che “blinda” letteralmente l’aeroporto !
Infatti
se
nel
1998
(anno
politicamente
tranquillo)
l’aeroporto
di
Nadi
era
un
piccolo
scalo
internazionale
brulicante
di
gente
civile
di
varie
razze,
privo
di
controllo,
quando
tornai
nel
2000
(un
paio
di
mesi
dopo
i
vari
tentativi
di
golpe)
lo
trovai
molto
diverso:
militari
dappertutto,
ispezioni
a
raggi
x
di
ogni
bagaglio,
posti
di
blocco
all’entrata,
postazioni
armate
di
mitragliatrici
pesanti
e
sacchi
di
sabbia
un
pò
ovunque
e
così
via
!…si
respirava
decisamente
un’aria molto tesa e molto differente da quella che si respirava sulle isole minori o negli anni indietro !
Ma
torniamo
all’anno
1998…aspettai
di
fronte
all’unico
gate
per
i
“domestic
flying”
l’ordine
di
imbarco
per
l’isola
di
Taveuni…aspettai…aspettai…ma
nulla
!
Nonostante
fosse
di
molto
passato
l’orario
di
decollo
ancora
non
ci
avevano
chiamato
!
<<Strano…
>>
pensai
e
approfittando
dell’unico
e
raro
poliziotto
a
guardia
della
pista
chiesi
informazioni
in
inglese
:
<<
Scusi,
sa
quando
parte
l’aereo
per
Taveuni
?
>>
…ma
come
avrei
dovuto
prevedere
la
risposta
fu:
<<
Fiji
time
!!!
>>.
Fiji
Time:
questa
fu
la
frase
che
più
di
tutte
(Bula
a
parte,
il
saluto)
mi
sentii
dire
alle
Fiji.
Ogni
volta
che
feci
una
domanda
relativa
al
tempo,
ogni
volta
che
domandai
<<
quando
?,
fra
quanto
?,
a
che
ora
?
>>
la
risposta
fu
sempre
(da
tutti
)
:
Fiji
Time
!
Il
“tempo
delle
Fiji”
si
traduce
(come
mi
spiegò
un
locale)
meno
letteralmente
in
<<
non
ti
preoccupare
e
lascia
che
il
mondo
si
affanni
un
attimo
senza
di
te
!
>>,
uno
dei
concetti
che
meglio rappresenta la mentalità Fijana ed più generalmente l’animo rilassato delle genti del Sud Pacifico.
Ricordo
nel
2000
che
con
la
scusa
del
“Fiji
Time”
(che
si
risolve
poi
sempre
nell’attendere
qualsiasi
cosa
!)
e
con
il
fatto
che
quindi
“non
mi
dovevo
preoccupare”…perchè
alle
Fiji
è
normale
ritardare,
la
reception
di
un
albergo
di
Nadi
non
volle
sollecitare
telefonicamente
l’arrivo
di
un
taxi
che
mi
doveva
portare
in
aeroporto
(volo
internazionale
per
Rarotonga
e
Papeete
–
bisognava
fare
il
check-in
2
ore
prima
!).
Ero
preoccupato
per
il
forte
ritardo
ma
la
reception
continuava
a
rispondermi:
Fiji
Time,
Fiji
Time
!
Solo
quando
il
ritardo
fu
oramai
osceno
(un’ora
prima
dell’imbarco)
si
degnarono
di
telefonare
scoprendo
che
il
taxi
si
era
diretto
(per
distrazione)
da
tutt’altra
parte
!
Morale
della
favola:
arrivai
in
aeroporto
praticamente
a
tempo
super-scaduto
ma
per
fortuna
al
check-in
della
Air
New
Zealand,
l’inserviente
“Fijana”
non
solo
mi
accettò
il
biglietto
ma
mi
fece
capire
che
secondo
“il
loro
tempo”
ero
quasi
in anticipo (della serie: quando le usanze superano i regolamenti !).
Chiusa
la
parentesi
del
“Fiji
Time”
ci
imbarcammo
nel
bimotore
De
Havilland
DH6
Twin
Otter
(20
posti)
che
in
circa
un’ora
e
mezza
ci
doveva
portare
sulla”isola giardino” di Taveuni.
Partimmo
senza
particolari
problemi,
era
una
bella
giornata
di
sole,
poco
vento,
visibilità
perfetta,
panorama
da
“sballo”:
tra
le
distese
verdi
di
mangrovie
e
la
barriere
coralline
color
turchese
(volo
a
bassa
quota
sotto
ai
3000
metri).
Avevo
sentito
parlare
di
Taveuni
come
l’isola
“giardino”delle
Fiji
(è
conosciuta
anche
come
il
“giardino
dell’Eden”)
,
ricca
di
corsi
e
specchi
d’acqua,
con
una
vegetazione
rigogliosa
(diversamente
dalle
altre
isole).
Avevo
letto
che
la
media
annuale
delle
precipitazioni
era
estremamente
elevata,
rispetto
Viti
Levu,
Yasawa
e
Mananucas;
avevo
anche
visto
un
piccolo
sito
internet
(ora
disattivo)
dove
veniva
citato
il
valore
di
300
gg
di
pioggia
su
365,
ma
poichè
si
discostava
troppo
dalle
medie
delle
altre
isole
Fijane
avevo
pensato ad un errore di redazione.
Nessun
errore:
l’isola
di
Taveuni
e
probabilmente
buona
parte
Nord
dell’arcipelago
erano
il
luogo
d’incontro
di
varie
perturbazioni
che
tutto
l’anno
portavano frequenti piogge (per fortuna brevi in questo periodo anche se ad intermittenza continua) e forte vento a raffiche !
Capii
che
il
clima
era
estremamente
diverso
da
quello
delle
Mamanucas
quando
incominciai
ad
avvicinarmi
alla
costa
di
Vanua
Levu:
davanti
a
noi
un
tappeto fitto di nuvoloni neri senza fine incominciò a sballottare l’aereo ed un vento laterale a farlo oscillare come una barchetta !.
L’apparecchio
volava
abbastanza
vuoto:
oltre
io
e
mia
moglie,
c’era
un
enorme
Fijano
(così
enorme
da
dover
stare
praticamente
piegato
per
non
sbattere
la
testa
sul
tetto
),
una
vecchietta
locale,
una
ragazza
e
due
bambine
europee
(che
giocavano
con
una
Barbie
facendo
un
gran
fracasso
!)
e
molti
viveri,
casse
di
acqua
minerale,
pezzi
di
ricambio
meccanici…
Ad
un
certo
punto
incominciò
a
scendere
di
quota
per
atterrare…il
seguito
fu
un
incubo…l’unica
volta in vita mia che ho pensato di non farcela…almeno con un aereo (…e io non ho paura !).
Entrammo
nella
nuvola
scura
(e
bassa)
per
uscirne
dopo
poco
in
preda
ad
un
forte
vento:
l’aeromobile
si
dibatteva
come
pesce
catturato
all’amo
facendo
dondolare
la
coda
ed
il
muso
come
un
pendolo;
ogni
tanto
si
udiva,
per
fortuna
brevemente,
il
“bip”
dello
stallo,
i
motori
erano
imballati
per
aumentare
la
portanza,
totale
mancanza
di
visibilità
a
causa
di
un
acquazzone
fitto
e
violento
che
rendeva
nulli
i
ridicoli
tergicristalli
sul
vetro
anteriore,
scricchiolii
di
ogni
genere…un
vero
pandemonio:
le
due
bambine
si
zittirono
improvvisamente
e
diligentemente
si
misero
a
sedere
con
le
mani
ben
“serrate”
sotto
la
sedia
!
Nell’ultimo
tratto
di
discesa
si
incominciò,
tra
la
forte
pioggia,
ad
intravedere
la
sagoma
della
pista
di
atterraggio:
praticamente
una
strisciolina
di
fango
scavata
in
mezzo
ad
una
foresta
pluviale
fittissima.
Con
mio
stupore
mi
accorsi
che
il
pilota
con
la
mano
sinistra
manovrava
abilmente
la
cloche,
con
la
destra
mangiava
un
pezzo
di
pizza
rossa
di
notevoli
dimensioni.
L’oscillazione
del
muso
era
talmente
ampia
da
far
vedere
attraverso
il
parabrezza
del
pilota
un
attimo
la
pista
ed
un
attimo
dopo
la
nuvola
nera…questo
provocò
a
mia
moglie
una
forte
nausea.
Ricordo
la
mia
prontezza
di
riflessi
in
quel
putiferio…
(il
tutto
a
pochi
metri
e
secondi
dall’atterraggio)
:
con
una
mano
mi
trattenni
al
sediolino,
con
l’altra
tirai
fuori
con
sveltezza
il
“sacchetto”
posto
nell’apposita
sacca
del
sedile,
infilai
la
mano
dentro
per
aprirlo,
poi
la
sfilai
accorgendomi
che
mi
si
era
appiccicata
alle
dita
una
caramella
vetrosa
color
fuxia
con
annessa
carta
trasparente
appallottolata
con
scritte
giapponesi
ed
osso
di
albicocca,
infine
misi
il
tutto
sotto
la
bocca
di
Maria
che
rovesciò
una
piccola
vomitata
proprio
nell’attimo
del
“touch
down”…nel
frattempo
la
pizza
del
pilota
era
stata
momentaneamente
riposta
tra
le
sue
gambe.
L’impatto
sul
terreno
ci
vece
sobbalzare
(che
colpo
alla
schiena
!)
ma
riuscii
ugualmente
a
mantenere
in
equilibrio
(e
in
traiettoria)
il
“cartoccio”
!
L’aereo
poi
incominciò
a
sbandare
per
la
superficie
fangosa
e
completamente
in
“derapata”
si
fermò
sul
fondo
della
pista
evitando
delle
mucche
e
delle
galline
che
sostavano
ovviamente
in
mezzo.
Tirammo
un
sospiro
di
sollievo…era
andata
bene
!
Con
il
gomito
spannai
il
finestrino
per
vedere
meglio
fuori:
praticamente
l’aeroporto
era
formato
da
una
baracca
con
il
comignolo
fumante
e
niente
più…solo
foresta
e
cocchi.
Da
un
lato
si
intravedeva
un
cartello
di
legno
con
una
scritta
verniciata
a
mano:
“Savusavu”
!
<<Savusavu
?>>
esclamò
mia
moglie
<<…ma
allora
non
è
Taveuni…
è
solo
uno
scalo
intermedio
!
>>…effettivamente
sul
sito
della
Sunflower
era
riportato
il
volo
diretto
!
Mentre
facevamo
queste
considerazioni,
l’omone
Fijano
scese
dall’aereo,
vennero
sbarcati
dei
grandi
sacchi
e
ripartimmo.
Il
pilota
fece
un
pò
fatica
a
tenere
in
traiettoria
l’aeroplano
durante
il
decollo,
a
causa
del
fango,
e
contemporaneamente
finire
la
pizza
!
Una
bella
folata
di
vento
frontale
ci
fece
prendere
quota
quasi
verticalmente
!
Altro
giro,
altro
regalo:
dopo
poco
tempo
raggiungemmo
Taveuni
ripetendo
lo
show
dell’atterraggio
(la
pizza
del
pilota
però
era
finita
!
).
Scendemmo
dall’aereo,
le
bambine
vennero
prese
da
una
Fijana,
la
ragazza
invece
salì
su
una
grande
jeep
chiedendoci
dove
eravamo
diretti.
Effettivamente
intorno
a
noi
(a
parte
la
ragazza)
non
c’era
anima
viva,
nessun
taxi
o
mezzo
pubblico
(a
dire
il
vero
nemmeno
la
strada
!),
solo
una
baracca
(vuota)
come
aeroporto
e
tanta
vegetazione
(e
vento
!)
…rispondemmo
che
eravamo
diretti
al
Maravu
Plantation
Resort…la
ragazza
(che
poi
scoprimmo
essere
Tedesca)
sorrise
e
ci
disse:
<<
vi
stavamo
aspettando…salite
!
>>.
Partimmo
con
la
jeep
percorrendo
le
strade
accidentate
e
fangose
di
Taveuni.
L’isola,
nonostante
la
perturbazione
atmosferica,
si
presentava
in
tutta
la
sua
bellezza:
un’
esplosione
di
vita
vegetale
come
mai
avevo
visto
!
Il
nome
di
isola-giardino
era
perfettamente
azzeccato,
anche
se
ovviamente a tanta vegetazione doveva per forza corrispondere…tanta pioggia !
Taveuni è un’isola che nonostante le piogge frequenti consiglio di vedere, sia perchè diversa dal resto delle Fiji, sia perchè meravigliosamente selvaggia.
La
foresta
pluviale
fittissima
unita
alle
antiche
piantagioni
di
cocchi
(spesso
abbandonate:
un
tempo
questa
pianta
era
molto
più
preziosa)
formavano
un
paesaggio
di
raro
fascino.
Taveuni
è
anche
famosa
per
essere
l’unica
isola
delle
Fiji
dove
passa
il
180°
meridiano
(quello
opposto
al
meridiano
0
di
Greenwich
)
ovvero
la
data-line,
la
linea
immaginaria
dove
avviene
il
cambio
di
data.
A
dire
il
vero
le
Fiji
sono
attraversate
dalla
data-line
solo
geograficamente,
in
quanto
convenzionalmente
il
cambio
di
data
si
ha
dalle
isole
Tonga
in
poi
in
quanto
queste
ultime
hanno
l’intero
territorio
“al
di
là”
della
data-line
mentre
le
Fiji
solo
una
piccola
parte
!
Nonostante
ciò
in
corrispondenza
del
famoso
meridiano
c’era
una
casupola
di
legno
dove
era
segnalato
il
passaggio
e
dei
cartelli
ai
lati
di
un
solco
tracciato
sulla
terra
con
scritto:
“oggi”
e”
ieri”
!
Non
so
se
siano
andati
mai
in
porto
i
progetti
di
illuminare
con
potenti
lampade
il
percorso
della
data-line
a
Taveuni
per
tracciare
(insieme
con
le
altre
isole),
con
una
scia
luminosa
visibile
dallo
spazio,
il
meridiano
durante
il
cambio
di
millennio.
Sinceramente
non
penso,
dal
momento
che
oltre
ad
essere
una
grande
baggianata,
poco
fruibile
dai
comuni
mortali,
penso
che
ai
Fijani
poco
sarebbe
importato
!
e
poi
l’isola
è
tutt’altro
che
abitata
o
turistica…un
vero
paradiso
incontaminato
(non
per
niente
hanno
girato il film: “il ritorno a Laguna Blu”), quasi disabitato, ricco di laghetti e cascatelle associate a mille leggende e gente semplicissima.
Finalmente
arrivammo
al
Maravu
(
che
non
per
niente
in
Fijano
significa
“calmo
e
tranquillo”)
Plantation
(perchè
un
tempo
era
una
piantagione
coloniale
di
cocchi)
Resort.
L’atmosfera
che
si
respirava
era
quella
di
una
“piccola
famiglia”.
Pochissimi
bungalows,
effettivamente
occupati:
solo
il
nostro
e
quello
di
una
coppia
di
ragazzi
Tedeschi
(…
e
questo
nonostante
durante
l’Agosto
del
1998
il
turismo
“tirasse”
molto
bene…
ma
alle
Fiji
si
possono
ancora
trovare
molti luoghi dove il tempo si è fermato !).
Il
bungalow
era
una
ristrutturazione
di
una
casetta
coloniale,
con
molti
arredi
originali.
Tutto
era
pittoresco:
il
letto
a
baldacchino
con
zanzariera,
la
poltrona
in
bambù,
la
lampada
a
petrolio,
le
tendine
con
motivo
floreale,
il
vaso
dei
fiori,
il
quadro,
lo
scrittoio…una
vera
chicca
in
stile
d’altri
tempi
!
Fuori
sul
patio
c’era
l’immancabile
amaca,
amica
delle
ore
di
pioggia,
mentre
all’interno
una
buona
collezione
di
libri
di
vario
genere
in
inglese
e
gli
immancabili
gechi
da
soffitto
!
Immediatamente
fuori
dalla
nostra
casa,
la
vegetazione
esplodeva
con
cocchi,
alberi
del
pane,
manghi,
ed
una
marea
di
fiori
colorati
tropicali.
Persino
i
fusti
degli
alti
cocchi
erano
completamente
ricoperti
di
felci
e
bromeliacee.
Nel
retro
c’era
un
orto
dove
venivano
coltivate
ananas
e
papaye,
più
giù
altri
alberi
da
frutta
ed
altri
orti…praticamente
buona
parte
del
cibo
vegetale
era
di
produzione
del
Maravu…sembrava
di
essere
in
pieno
autunno
Europeo
anche
come
temperatura.
La
calma
era
totale
…non
si
vedeva
intorno
anima
viva…persino
lo
staff
del
resort
sembrava
quasi
mimetizzato,
sparito…ed
il
silenzio
era
solo
interrotto
dal
rumore,
talvolta
assordante,
del
vento
tra
le
foglie
dei
cocchi
o
dalle
schioppettate
simili
a
petardi
dei
grandi
rami
di
palma
che
cadevano
al
suolo…ne
schivai
più
di
uno
per
un
pelo
!
A
dire
il
vero
cadevano
anche
molte
noci
di
cocco
provocando,
quando
cadevano
sui
tetti
dei
bungalows,
un
forte
botto.
Camminare
infatti
nella
piantagione
sempre
battuta
dal
vento
a
raffiche
non
fu
molto
“sicuro”…in
compenso
visto
la
grande
disponibilità
di
tempo
e
materia
prima
imparai
ad
aprire
da
solo
le
noci
da
cocco,
aiutandomi
con
un
cacciavite
(che
avete
capito
?
non
si
svitano
mica…il
cacciavite
lo
usavo
come
picchetto
insieme
ad
una
pietra
!),
procurandomi
la
merenda…e
risparmiando
la
preziosa
acqua
minerale
(latte
di
cocco
nella
borraccia).
La
spiaggia
a
circa
300
metri
dal
Maravu
era
ovviamente
“deserta”
e
molto
particolare.
Praticamente
alternava
tratti
di
sabbia
a
tratti
di
roccia
nera
ed
era
orlata
da
alberi
secolari
dal
fogliame
fitto.
Quando
veniva
l’alta
marea
veniva
rapidamente
ingoiata
dal
mare
insieme
con
i
fusti
degli
alberi
(nonostante
non
si
trattasse
di
mangrovie).
Da
lontano
si
scorgeva
una
baracca
con
un
paio
di
tende…mi
dissero
poi
che
era
un
piccolo
campeggio.
Presi
maschera
e
pinne
e
decisi
a
snorkellare
un
pò
da
riva…
ottimo
!:
la
temperatura
del
mare,
nonostante
il
tempo,
non
era
fredda,
c’erano
molti
coralli
“colorati”
e
non
“sbiancati”,
soprattutto
verso
il
largo,
e
pesci
nuotavano
copiosi….tanto
che
rimasi
in
acqua
anche
durante
le
frequenti
piogge.
Di
fronte
a
noi
c’era
lo
stretto
di
Somosomo
che,
secondo
la
letteratura
specializzata
per
il
diving,
rappresenta
uno
dei
migliori
fondali
del
mondo caratterizzato da una particolare abbondanza di coralli molli ed una fauna molto ricca.
Tra le escursioni disponibili…trekking, passeggiate a cavallo o passaggi in jeep per scoprire la natura dell’isola.
La
sera
sentimmo
il
battere
ritmato
di
un
legno
su
un
tronco
cavo…oramai
eravamo
esperti:
si
trattava
del
segnale
che
la
pappa
era
pronta
!
(ricordo
che
alle
Fiji
quando
si
sente
un
Tam-Tam
bisogna
sempre
accorrere…può
voler
indicare
l’inizio
del
pasto
ma
anche
l’inizio
di
uno
spettacolo…
insomma
genericamente parlando: una comunicazione !)
Per
quanto
in
viaggio
io
dia
poca
importanza
al
cibo,
se
non
riferito
a
ricette
strettamente
tipiche
locali,
devo
pubblicamente
fare
i
complimenti
al
cuoco
Fijano
di
questa
semplice
ma
pulita
struttura:
i
migliori
cibi
come
gusto
e
raffinatezza
li
trovai
al
Maravu
!
Tra
i
piatti
che
più
mi
colpirono:
un
pesce
con
una
delicata
salsa
di
cocco
(tipica),
pollo
sempre
al
cocco
ed
un
Italianissima
pasta
alla
Bolognese.
Già,
nonostante
eviti
la
pasta
all’estero,
la
“famigliola”
Fijana
volle
preparare
in
nostro
onore
una
pastasciutta
e
non
me
la
sentii
di
rifiutare
.
Al
primo
scettico
assaggio,
invece,
assaporai
un
perfetto
ragù
guarnito
con
il
basilico,
al
dente…una
pasta
perfetta
!
<<
Qui,
gatta
ci
cova
!
>>
pensai
e
chiamai
il
cuoco
chiedendogli
dove
aveva
imparato
a
fare
delle
pasta
così
“italiana”…non
poteva
essere
farina
del
suo
sacco
!
Infatti
il
cuoco
mi
raccontò
che
aveva
avuto
come
direttore
per
cinque
anni
un
certo
“Gianni”,
Genovese,
che
oltre
ad
insegnargli
alcuni
piatti
della
nostra
cucina
aveva
riportato
dal
suo
paese
una
pianta
profumata
che
in
poco
tempo
aveva
invaso mezza collinetta: era basilico che a queste latitudini e climi diventava un cespuglio perenne…
Dopo
cena
ci
fu
una
festa,
tanto
per
passare
allegri
la
serata…lontani
da
radio,
Tv
e
giornali…una
festa
dove
era
forte
la
sensazione
di
sentirsi
a
milioni
di
km
di
distanza
dalla
terra,
fuori
dal
mondo
reale…come
in
un
bel
sogno
!:
eravamo
gli
unici
forestieri
(la
coppia
di
tedeschi
era
tornata
dopo
cena
nel
bungalow
ed
i
titolari
della
struttura,
un
fratello
ed
una
sorella
anch’essi
tedeschi,
erano
assenti
!)
e
nonostante
ciò
non
ci
sentivamo
assolutamente
a
disagio.
Partecipammo
ai
loro
canti
(rigorosamente
solo
voce
e
percussione
)
ed
alle
loro
danze.
Con
molta
allegria
una
donnona
Fijana
mi
trascinò
brutalmente
al
centro
della
stanza
tenendomi
stretto
(immobilizzato
!
)
tra
le
sue
braccia
per
ballare,
mentre
uno
dei
tanti
omosessuali
Fijani
(ricordo
che
nel
Sud
Pacifico
l’omosessualità
fa
parte
della
normalità,
spesso
incoraggiata
dalle
famiglie
di
origine…leggi
il
mio
racconto
sulla
Polinesia
Francese
o
Tonga) invitò gentilmente e con raffinatezza mia moglie ad un giro di danza.
La
serata
passò
veramente
in
allegria
e
fu
veramente
come
condividere
la
vita
reale
dei
pochi
abitanti.
Ovviamente
un
folto
gruppo
di
uomini
e
donne,
in
disparte,
iniziò
la
cerimonia
del
Kava…
prima
pregando
solennemente,
poi
con
una
serie
di
atavici
gesti,
dando
il
via
alla
preparazione.
Una
volta
realizzati
tre
o
quattro
bidoni
colmi
della
bevanda
“magica”
si
avvicinarono
a
noi
e
tutti
insieme
continuammo
la
festa
!
Le
danze,
tutte
abbellite
dai
costumi
colorati
locali,
andarono
avanti
per
ore
e
fu
per
me
un
onore
assistere
come
unico
spettatore
(oltre
ovviamente
a
Maria)
all’esibizione
disinteressata
delle
coreografiche “funzioni” Fijane.
Il
mattino
seguente
mentre
passeggiavamo
sulla
spiaggia
si
avvicinò
una
Fijana
e
ci
invitò
ad
un
matrimonio
che,
come
tradizione,
si
doveva
tenere
poco
prima del tramonto in riva al mare: una coppia di Tedeschi residenti alle Fiji , infatti, si sposava (realmente) con il rito civile.
Fu
molto
interessante
parteciparvi,
sia
perchè
sempre
più
ci
sentivamo
“di
casa”,
quasi
oserei
dire
tutt’uno
con
la
comunità
locale,
sia
perchè,
nonostante
il
rito
ufficiale
fosse
moderno,
venivano
seguite
quasi
tutte
“regole
”
millenarie
Fijane.
Innanzitutto
fu
creato
il
tipico
“baldacchino
”
di
rami
impreziosito
da
foglie
di
palma
fresche
intrecciate.
In
terra
furono
stesi
tappeti
di
fibra
di
palma
sopra
i
quali
fu
posto
un
trono,
mentre
come
tetto
fu
adagiato
un
vecchio
tessuto
di
tapa
(un’
antica
e
complessa
lavorazione
delle
foglie
del
gelso
battute).
Ovunque
intorno
al
trono
furono
aggiunte
stoffe
con
i
tipici
disegni
decorativi
astratti
Melanesiani.
Tutti
gli
abitanti
del
villaggio
vicino,
vestiti
a
festa
con
abiti
dai
disegni
e
colori
sgargianti,
si
radunò
nei
pressi
della
spiaggia
cantando
e
portando
molte
collane
di
fiori…infine
si
sedette
sulle
lunghissime
stuoie
di
palma
che
erano
state
distese
tra
i
cocchi
in
riva
al
mare.
Un
Fijano
in
giacca,
cravatta
e
gonnellino
comandò
la
cerimonia.
Seguirono
altri
canti
e
balli…e
per
diritto
di
modernità:
anche
un
bicchiere
di
spumante
!
Poi
dal
nulla
spuntarono
un
gruppo
di
ragazzi
carichi
di
secchi
dell’immancabile
Kava
(quasi
un
ossessione…
molto
più
che
a
Tonga
!)
.
Infine
come
detta
la
tradizione
propiziatoria
dei
matrimoni
Fijani,
gli
sposi
furono
fatti
salire
su
una
barca
e
si
allontanarono
all’orizzonte
come
ingoiati
dalla
luce
accecante
del tramonto rosso fuoco…
Appena
fece
buio
tornammo
al
nostro
bungalow…per
fortuna
avevamo
con
noi
la
nostra
fida
torcia
elettrica,
dal
momento
che
ovviamente
in
queste
isole
quando
si
fa
sera,
non
si
vede
assolutamente
nulla
!
Trovammo
la
via
giusta
del
ritorno
anche
grazie
ad
alcune
fiaccole
che
erano
state
accese
nella
parte
comune del resort, vicino la piscina (…oramai in completo abbandono e piacevolmente auto-trasformata in un laghetto dove i rospi si accoppiavano !).
Arrivò
anche
per
Taveuni
il
momento
della
partenza:
lo
staff
Fijano
battendoci
le
mano
e
riempiendoci
di
collane
di
buganville
e
frangipane,
ci
cantò
gioiosamente
il
nostro
“Isa
Lei
”
!
…poi
salimmo
sulla
Jeep
e
rivolgendo
lo
sguardo
verso
i
nostri
amici
seguimmo
con
gli
occhi
da
lontano
il
movimento
labiale
delle
parole
(che
oramai
sapevamo
a
memoria)
della
canzone
d’addio…non
senza
pensare
con
preoccupazione
al
viaggio
di
ritorno
verso
Nadi
(turbolenze !).
Per
fortuna
il
volo
fu
un
tantino
migliore
(ma
non
troppo)
dell’andata,
solito
aereo
vuoto
(Twin
Otter
),
scalo
intermedio
questa
volta
nella
vicina
Laucala,
solita
oretta
e
mezza
panoramica
e
così
via;
…appena
avvistammo
la
costa
di
Viti
Levu
il
sole
tornò
a
brillare
in
un
cielo
privo
di
nuvole
e
gli
sballottamenti
del vento cessarono. Purtroppo però eravamo anche alla fine del viaggio !
Poichè
il
volo
per
l’Italia
(circa
60
ore
complessive
via
Rarotonga,
Tahiti
e
Los
Angeles)
era
previsto
per
il
giorno
dopo
ci
eravamo
organizzati
per
pernottare
un
giorno
nella
squallida
Nadi
ed
avevamo
scelto
un
Hotel
di
buon
livello
(dal
momento
che
di
“verace”
e
tipico
non
c’era
niente):
il
Nadi
Sheraton
Fiji
di
Denarau
Island,
uno
di
quegli
hotels
di
“transito”
dove
il
lusso
faceva
da
padrone
con
mega-campo
da
golf,
campi
da
tennis,
vari
ristoranti
“tematici”,
sale
per
massaggio
e
sauna,
discoteca,
palestra,
fontane,
piano
bar,
negozi
di
artigianato
e
gioielli
all’interno,
parrucchieri,
windsurfs,
belloni
muscolosi
con
occhiali
da
sole
e
drink
in
mano,
formose
“accompagnatrici”
di
colore,
piscina
con
“pool-bar”,
un
vero
impatto
devastante
dopo
la
semplicità
dei
luoghi
dove
avevo
alloggiato…tutto
quanto
l’occorrente
per
farmi
inorridire
!…e
allora
voi
mi
direte
“perchè
ci
sei
andato
?”…
beh
!
a
volte
sbaglio
anch’io ! 🙂 … non credevo esistesse tanto lusso alle Fiji !…ma la buona sorte mi stava riservando una grandissima e graditissima sorpresa !
Vorrei
far
notare
come
tutta
questa
folla
di
granosi
turisti,
come
questa
abbondante
“dolce
vita”,
come
tanta
mondanità
fu
effimera.
Due
anni
più
tardi,
nel
2000,
dopo
lo
scoppio
dei
disordini
a
Suva,
infatti
il
turismo
ebbe
una
tale
frenata
(ci
furono
addirittura
molte
prenotazioni
disdette)
che
lo
Sheraton
chiuse
a
tempo
indeterminato,
molti
voli
internazionali
furono
momentaneamente
ed
improvvisamente
soppressi
e
ricordo
che
quelli
che
un
tempo
erano
alberghi
(mi
riferisco
agli
hotels
nei
dintorni
dell’aeroporto
internazionale
di
Nadi)
brulicanti
di
gente
e
divertimento,
diventarono
veri
e
propri
cimiteri
dove
io e mia moglie ci aggirammo come fantasmi tra i corridoi silenziosi e tristi testimoni di un fasto appena passato…
Ma torniamo all’ultima sorpresa che mi riservò questa fantastica terra.
Appena
sistemati
i
bagagli
in
camera
andammo
a
fare
un
giro
di
perlustrazione.
Ovunque
tanta
gente…la
spiaggia,
deturpata
da
lettini
ed
ombrelloni
non
mi
ispirò
neanche
ad
indossare
il
costume
da
bagno…
tirai
diritto
verso
i
negozi
ed
alcune
bancarelle
all’interno
dello
Sheraton…tutto
bello
ma
a
prezzi
decisamente
poco
competitivi.
Infine
andammo
a
prenotare
un
tavolo
per
le
21.00
al
ristorante
fronte
mare
(alla
reception
mi
avevano
avvertito
che
la
prenotazione
era
obbligatoria
!).
Era
un
giorno
triste
perchè
l’indomani
sarei
dovuto
partire
via
e
perchè
non
ero
riuscito
a
vedere
una
cosa,
della
quale
avevo
sentito
parlare,
ma
che
avevo
capito
essere
molto
più
rara
di
quello
che
pensassi…in
ogni
isola
avevo
chiesto
di
vederla
ma
tutti
mi
avevano
risposto che era impossibile… e quindi oramai avevo perso tutte le speranze…
Mentre
bighellonavo
nel
gigantesco
hotel
vidi
all’improvviso
tra
la
vegetazione
spuntare
un
enorme
fumo…incuriosito
(pensavo
che
fosse
uno
dei
frequentissimi
incendi
che
sia
nel
1998
che
nel
2000
avevo
visto
divampare
nell’arcipelago)
mi
avvicinai.
In
realtà
si
trattava
di
un
enorme
falò,
grandissimo
!,
posto
al
centro
di
una
vasta
arena
di
erba
e
terra
…immediatamente
le
mie
speranze
si
riaccesero…fuori
non
c’era
alcun
cartello,
nessuna
indicazione…per
un
profano
o
comunque
uno
che
non
avesse
letto
approfonditamente
le
leggende
delle
Fiji,
sarebbe
sembrato
un
normale
fuoco
acceso
per bruciare le potature o l’immondizia ma per me era diverso…
Corsi immediatamente alla reception e chiesi se si trattava di quello che pensavo…ed era così: era previsto l’arrivo dei “Firewalkers” !
La felicità fu tanta che ci precipitammo a disdire la prenotazione per la cena.
Verso
le
21.00
ci
incominciammo
ad
avvicinare
al
grande
fuoco.
Altre
persone
interessate
(a
dire
il
vero
non
molte)
allo
spettacolo
incominciarono
ad
affluire: tutti ci disponemmo in circolo, un pò sull’erba, un pò su alcune sedie.
Una grossa Fijana radunò tutti i bambini dei turisti a sè e li dispose in prima fila, seduti in terra, sotto il suo attento occhio vigile.
Ora devo fare una premessa: come dice la parola stessa i firewalkers sono coloro i quali camminano sul fuoco.
Alle
Fiji
è
una
tradizione
antichissima
derivata
dalla
tribù
di
Sawau
che
vive
nei
quattro
villaggi
sul
lato
sottovento
ed
a
Sud
dell’isola
di
Beqa.
Tutt’ora
la
pratica
è
esercitata
solo
dai
membri
dei
villaggi
dell’isola
di
Beqa
(ecco
perchè
è
uno
spettacolo
raro
da
vedere)
e
si
rifà
alla
leggenda
di
un
dio
che
sacrificò la propria vita per donare agli abitanti il potere di dominare il fuoco.
Prima
di
passare
alla
descrizione
volevo
sottolineare
la
differenza
di
significato
che
assume
il
gesto
tra
i
firewalkers
Melanesiani
rispetto
quelli
per
esempio
Indiani (pure presenti alle Fiji).
I
primi
infatti
praticano
il
camminare
sul
fuoco
(anzi
sulle
pietre
infuocate)
solo
a
scopo
evocativo
per
commemorare
un
evento
(in
questo
caso
il
sacrificio
del
dio),
mentre
i
secondi
camminano
sulla
brace
ardente
(e
non
sulle
pietre)
come
atto
di
fede
ovvero
come
atto
di
devozione
a
Krishna
e
purificazione
dell’anima a dimostrazione che con la fede si può vincere anche il dolore.
Innanzitutto
vi
fu
la
spiegazione
in
inglese
sulla
preparazione
del
fuoco.
Dapprima
veniva
scavata
una
buca
di
circa
quattro
metri
di
diametro
e
profonda
uno,
poi
sul
fondo
di
questa
venivano
ammucchiate
grandi
pietre
e
ricoperto
il
tutto
con
una
grande
quantità
di
legno.
In
seguito
veniva
dato
fuoco
alla
legna
e
lasciata
ardere
per
almeno
8
ore
(e
questo
posso
testimoniarlo
perchè
effettivamente
notai
il
fuoco
appena
arrivato
a
Nadi,
poco
dopo
pranzo,
e
fu
spento
solo
la
sera…).
Durante
i
giorni
precedenti
la
cerimonia
i
partecipanti
(
rigorosamente
scelti
di
volta
in
volta
dal
Bete
cioè
dal
sacerdote
del
villaggio)
erano
stati
in
ritiro,
separati
dalle
donne
e
dai
famigliari,
in
regime
di
astinenza
sessuale
ed
evitando
di
mangiare
il
cocco
(???).
Ovviamente
nessuno
doveva
barare
in
quanto
la
superstizione
narrava
che
colui
il
quale
non
si
era
comportato
onestamente
non
sarebbe
stato
refrattario
al
calore…in
pratica chi “sgarrava” si bruciava !
Purtroppo
non
ho
materiale
fotografico
perchè
la
cerimonia
fu
fatta
alla
luce
di
piccole
fiaccole
ed
a
distanza
di
una
ventina
di
metri
da
me,
quindi
il
piccolo flash della compatta, nonostante i 400 asa, non riuscì ad impressionare a sufficienza il rullino.
Parteciparono
al
rito
anche
altri
Fijani
dell’isola
di
Beqa
in
veste
di
preparatori/incitatori
dei
firewalkers.
Quando
arrivò
il
momento,
questi
ultimi
in
preda
all’
eccitazione
vennero
condotti
dal
Bete
per
preparare
l’
arena
per
i
firewalkers.
Muniti
di
lunghi
bastoni
e
lacci
(dei
viticci
verdi
detti
“walai”)
incominciarono
a
frustarsi
le
estremità
dei
piedi
e
delle
mani
…mentre
i
più
giovani
toglievano
dal
fuoco
la
legna
ardente.
Mentre
avveniva
la
fustigazione
pubblica tutti insieme cantavano: ” O-vulo-vulo “!
Una grande felce arborea chiamata “Waqa-bala-bala” (che si dice contenga lo spirito del dio) venne posta nella buca in direzione del Bete.
Poi con l’ aiuto di un grosso bastone vennero livellate e riposizionate meglio le pietre infuocate.
Quando le pietre furono in posizione, il Bete le controllò attentamente per verificarne la stabilità.
Quando
tutto
fu
pronto,
venne
aggiustata
di
nuovo
la
“Waqa-bala-bala”
in
base
ai
comandi
del
Bete
con
la
base
rivolta
nella
direzione
dalla
quale
arrivarono i firewalkers (tutta la procedura fu lunga e complessa).
Gli
uomini
del
villaggio
che
avevano
preparato
il
“forno”
si
disposero
in
circolo
attorno
la
buca
lasciando
il
solo
spazio
per
l’
entrata
dei
firewalkers.
Il
Bete
controllò
ancora
il
tutto
ed
al
grido
”
Vuto-O
”
iniziò
la
cerimonia.
I
firewalkers
sbucarono
all’improvviso
e
si
avvicinano
di
corsa
alla
buca.
Venne
tolto
rapidamente
il
“Waqa-bala-bala”
e
singolarmente
i
firewalkers
salirono
sulle
pietre
infuocate,
camminandoci
sopra
come
se
nulla
fosse.
Non
sembravano
soffrire neanche un pò il calore ! … il pubblico era in religioso silenzio !
I
firewalkers
intorno
al
fuoco
innalzarono
grida
e
canzoni.
Intorno
alle
loro
caviglie
si
poteva
notare
un
laccio
formato
dalle
foglie
della
felce,
chiamato
“Drau-ni-bala-bala”
che
aveva
la
caratteristica
di
essere
ignifugo.
E’
tradizione
al
termine
della
cerimonia
sotterrare
questi
lacci
nella
buca
insieme
a
quattro ceste speciali contenenti delle radici commestibili (il Taro) : questi oggetti prendono simbolicamente il posto degli esecutori nella buca infuocata.
Infine
la
buca
venne
ricoperta
parzialmente
di
terra.
Secondo
la
tradizione
dovrebbe
essere
completamente
ricoperta
di
terra
e
abbandonata
per
un
periodo
di
quattro
giorni,
dopo
i
quali,
il
forno
dovrebbe
essere
dissotterrato
dai
firewalkers
e
le
radici
cotte
mescolate
con
acqua
e
mangiate
(…questo
mi
ricorda tanto il Lovo !).
Quando
la
cerimonia
fu
definitivamente
finita
e
tutti
andati
via
ci
avvicinammo
di
soppiatto
alle
pietre
infuocate…lo
so
!
non
era
un
gesto
carino…ma
i
nostri
animi
diffidenti
imponevano
una
conferma
diciamo
”
di
tipo
galileano”
:
appoggiammo
la
mano
per
sentire
la
temperatura:
i
nostri
ditini,
puniti
per
lo scetticismo, rimasero incollati nella nuda roccia ! 🙁
Le Fiji ci avevano proprio soddisfatto ed erano riuscite a stupirci sino all’ultimo giorno !