Le persone all’epoca:
IL MIO SUDAN
di CARLO ROMANO ( [email protected] )![]()
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Febbraio 1997.
Neni – 69 anni maestro di kendo e karate
Pini – 62 anni fratello di Neni. Anche lui un duro
Ettore – 32 anni, figlio di Pini. Informatico bancario
Andrea – 31 anni, impresario edile. Fisico da culturista
Luigi – 63 anni ex artigiano edile
Walter – 60 fotografo
Carlo (io) – 50 anni esperto in un miliardo di cose.
Tutti esperti sub, speleo, alpinisti, avventurieri ecc. ecc.
Chissa’ perche’ in una sera d’inverno a casa di qualcuno, davanti al solito
Prosecco, birra, Cabernet, Barbera ecc., venne fuori l’idea del Sudan.
Alcuni di noi ci erano gia’ stati 11 anni prima.
Si doveva decidere dove andare a mettere
la testa sott’acqua e venne fuori la parola magica. MAR ROSSO! Ma quello vero,
non quello di Sharm o Hourgada. E allora SUDAN!
Cavolo, mai visto sette persone d’accordo all’unanimita’ al primo colpo. E che Sudan sia!!!! Ma come, dove ecc?
All’epoca il Sudan, ma ancora oggi, era una repubblica popolare, ultraintegralista, ultraislamica, ultracomunista con problemi di una guerra interna che durava da circa 30 anni. La famiglia regnante comandava un paese dalle immense ricchezze e la gente moriva di fame. La spesa per gli armamenti era di 5 milioni dollari al giorno. Allora come e dove? Ci ricordammo che il nipote del titolare del negozio Bari Sub di Torino, tale Andrea, aveva una barca da quelle parti e la affittava. Riuscimmo a contattarlo e detto fatto, nel giro di poche settimane, tutto pronto. Il motocatamarano Alsiratt da 22 mt. ci aspettava a Port Sudan. Biglietti aerei, visti e permessi. Partimmo da Torino in una vera mattina di febbraio con tanto di nebbia e freddo boia. A Roma uno dei tre aerei della flotta Sudan Aerways, ci accolse. Un 737 mi pare, che aveva visto tempi migliori ci accolse col suo odore di aglio fritto e
sudore. Le moquettes erano state sul rosso lilla, ma non si sa bene quanto tempo prima. Le tre hostess, gentilissime come una suocera incazzata e disponibili come le ortiche, ci fecereo accomodare tra altra gente di varie etnie.
Una delle hostes era tanto larga che camminava di traverso nel corridoio. La seconda dava a intravedere, dato che erano tutte velate, sopra la divisa azzurro militare, lineamenti da favola, e la terza non faceva storia. Decollammo intorno alle 18 e il viaggio ando’ nella normalita’, salvo che a cena ci dettero le solite confezioni precotte qualche anno prima. Tra un giornale e un Pavarotti in walkman che avevo, prima dell’arrivo, guardai con paura la copertina interna di “Motociclismo” che avevo comprato e vidi la foto di una modella completamente nuda che si riparava dietro uno scooter per una pubblicita’ di qualcosa, e mi venne in mente il foglio delle istruzioni per l’uso del Sudan che ci avevano dato insieme al visto sul passaporto. Ricordai anche che ci dissero che in Sudan, la donna esiste solo dagli occhi in su e dalle caviglie in giu’.
Tutto quello che c’e’ in mezzo, se esibito, e’ pornografia e per questa c’e’ la pena di morte!!!! Tanto vero che ci avvisarono proprio a proposito dei giornali. Attenti alle riviste che potrebbero esibire qualche foto dove appaiono un paio di gambe, un ombelico, non parliamo di un reggiseno o altro! Quindi velocemente strappai la copertina e qualche altra pagina interna all’insegna del non si sa mai. Francamente era difficile pensare che per una foto avrebbero applicato tale condanna contro uno straniero, ma giusto a scanso di qualunque problema….
Irrivammo intorno alle 23 ora locale e la prima sensazione che ebbi uscendo dall’aereo, fu quella di essere sceso in sala macchine di una vecchia petroliera. Notai la nebbia! Nel giro di pochi secondi ci trovammo inzuppati dall’umidita’ dell’aria che credo fosse dell’827 per cento con una temperatura intorno ai 42 gradi. E la nebbia era sabbia sollevata dal vento.
Andiamo bene, pensai! E se il buongiorno si vede dal mattino…. Ma che mattino!! dopo una fila interminabile per entrare in uno stanzone, si era fatta oltre mezzanotte e io avevo bisogno di andare in bagno. Vidi la classica porta con la scritta WC, et voila’.
Non vi dico cosa c’era dentro! Ma il bisogno era impellente e facendo finta di nulla, con due dita sul naso e la mano sulla bocca …..operai! Poi ripresi il mio posto in fila sempre piu’ inzuppato tra gli amici che chiedevano: Allora? Com’e’ il bagno? Pensai che le immersioni le avremmo iniziate li. Quando arrivo’ il nostro turno, dopo aver compilato fogli e foglietti vari con la richiesta di notizie assurde, uno per uno fummo perquisiti, gli zaini svuotati e controllati. Avevamo circa tre litri a testa di alcol tra whisky, vodka e grappa. Il whisky nelle bottiglie del the freddo, vodka e grappa nelle bottiglie di acqua S.Pellegrino che Pini aveva
svuotato, riempito e sigillato i tappi con punti di attak. Come specchietto per le allodole avevamo in totale due bottiglie di Glen Grant gia’ iniziate che avevamo comprato a Fiumicino e che vennero prontamente sequestrate tra urli e insulti, parte in inglese e parte nella loro lingua. Pensai: chissa’ se bestemmiano il nome di Allah! E qui mi venne in mente la scena tratta dallo spettacolo di Benigni che feci anni prima. Se uno muore e va dall’altra parte, e invece di Dio si trova davanti Allah, che gli racconta? Tutte le bestemmie sul nome di Dio non sono valide!!!! Che cazzate!!!
Sequestrate anche due cassette VHS che Walter aveva in borsa. Una era “C’era una volta il West” dove in copertina c’era una bella Claudia Cardinale con la sua generosa scollatura, e l’altra era “Comanceros”. In copertina c’era John Wayne.
Tra parentesi sapevamo che a bordo della barca c’era il videoregistratore.
Il bello fu che mentre il militare negro tirava fuori le bottiglie dell'”acqua”, io pensavo a cosa dire se ne avesse aperta una. Qualcosa tipo: “MIRACOLO DI ALLAHHHHHH!!!” Ma che stronzate! Eppure il negro non si accorse di nulla ed esibendo un clamoroso sorriso a 82 denti e aggiustandosi il Kalashnikov a tracolla, strillo’ come un indeminiato:
“AHHHHHH!!!!SANNNNPELLEGRINOOOOOOOO!!!!!
ITALIANNNNN MINERALLLLL WATERRRRR!!!!!!
GOOOOOOODDDDDD!!!!” E io pensavo: speriamo che non abbia sete, altrimenti o gli viene un colpo a lui o ci facciamo quattro risate noi!!!! Evidentemente l’acqua S.Pellegrino era arrivata anche li. Poi finita con molto batticuore la cosa, dopo averci ritirato passaporti e biglietti del ritorno, sempre sotto lo sguardo attento dei militari negri e armati di tutto punto, fummo portati fuori e caricati su due pik up con i bagagli buttati al volo dietro. Dopo un viaggio nel buio e nel deserto, tra vento e sabbia, arrivammo finalmente al porto dove sempre scortati da militari negri e armati che era difficile distinguere, trovammo l’Andrea e un altro negro della barca ad attenderci con i gommoni.
Dopo due viaggi di pochi minuti, fummo tutti a bordo dell’Alsiratt dove ci attendeva Monica, donna di Andrea, che insieme ai due negri dell’equipaggio, Bactrim (si, proprio come il medicinale) e Munsclah erano tutta la truppa. Monica aveva preparato una spaghettata con sugo di montone. Ragazzi che roba!!!! Da favola. Monica era di Roma ed era una cuoca a 12 stelle!!! Naturalmente davanti ai piatti di spaghetti Voiello e alle bottiglie fresche di Pinot Grigio che Andrea comprava di contrabbano a 15 dollari la bottiglia, la vita cominciava ad avere un colore rosaceo. Mi venne in mente “La Vie en Rose” di Edith Piaf, ma non
c’entrava nulla! Seguirono le spiegazioni circa il ritiro dei passaporti e del resto. I passaporti e biglietti di ritorno venivano ritirati normalmente per evitare che la gente potesse andare per conto suo dove voleva e i biglietti per evitare di usarli per venderli e far espatriare qualche sudanese. Ma che cretinate! Se vendo a uno il mio biglietto, io poi con cosa torno? Il whisky sequestrato se lo bevevano loro alla salute di Allah e le cassette le avrebbero usate come merce di scambio per qualcos’altro.Altrimenti la procedura era che l’alcol doveva essere rovesciato nel cesso alla presenza di tutti e per tutto il resto avrebbe divuto essere rilasciata ricevuta! Che ridere!!!! Poi seguirono chiacchiere varie e la assegnazione dei posti nelle cabine da due letti l’una con l’intesa che avremmo salpato l’ancora all’alba. Eravamo ancorati in rada e a me tocco’ il letto superiore con di fianco al cuscino l’oblo’ dal quale si vedeva il porto illuminato (si fa per dire) e stranamente notai che non c’era piu’ ne vento ne sabbia e ne caldo, ma solo una brezza tiepida e tra un pensiero rivolto al wc dell’aereoporto (si fa per dire) e l’altro al doganiere negro e armato con in mano la bottiglia della SANNNNNPELLEGRINOOOOWATERRRRR e a cosa ci avrebbe aspettato il giorno dopo, mi misi giu’ e dall’oblo’ notai una cosa strana.
Da quando le stelle cadenti non si muovevano? Poi mi accorsi che avevano lo stesso bagliore, ma non erano cadenti. Erano solo stelle. e guardando l’orologio che segnava, mi pare intorno alle 3 e mezza, mi addormentai come un sasso.
Se fossi un romanziere direi che sognai l’Africa e chissa’ quali cose. Ma sono uno qualunque e dormii e basta, e fortunatamente non sognai il negro armato che mi correva dietro urlando SANNNNN PELLEGRINNNNNOOOOO ITALIANNN WATERRRR!!!
Il resto fa parte del giorno dopo.
Mi e’ capitato raramente di essere svegliato violentemente. Ma in quel caso e’ stato terribile. Un boato e tutto che tremava e una luce abbagliante.
Per Buddha! (e’ per la par condicio religiosa) il terremoto! Un’incursione aerea!
che ca##o? Niente di tutto cio’. Guardo l’orologio: le cinque scarse! Ma come, ero rimasto alle tre e mezzo! Cavolo. Erano i due motori dell’Alsiratt che si erano messi in moto. Due Bedford da 450 cavalli l’uno.
E la luce era un raggio di sole attraverso l’oblo’ che mi aveva centrato in un occhio! Il sole, si proprio lui. Ma uno si aspetta che alle cinque del mattino magari il sole sorge da qualche parte. E inveve li alle cinque del mattino e’ gia’ alto. Come da noi a luglio alle 10. Dopo aver sintonizzato il cervello su tutto il resto che mi circondava, saltai giu’ e salii in coperta. Che spettacolo, ragazzi! Da una parte Port Sudan con dietro il deserto, e dall’altra il mare. A sinistra, si vedevano le gru e le banchine e a dritta (la destra in marina) lo stesso. E il sole. E una leggera brezza. Dopo poco uscirono come sorci dalle tane anche gli altri e tutti insieme ammirammo lo spettacolo. Ma il sole non dovrebbe essere giallo? Nossignore, li era rosso. Per effetto del riflesso della sabbia o di chissa’ cos’altro. Comunque era ora di partire e mentre i motori si stavano scaldando, noi in coperta facemmo colazione. Frutta,
tanta frutta che era imbarcata in ceste di vimini. Banane dalla buccia nera che sembrava marcia, mentre dentro erano dolcissime e tenere. Poi papaye, mango e meloni.
Tutto insieme a una torta con marmellata che Monica aveva preparato. Vi lascio immaginare cosa accadde. Divorato il tutto, al lavoro ragazzi. Su l’ancora (non a mano!) preparare gli attrezzi, chiudere i boccaporti in quanto c’era mare grosso e avanti piano fino all’imboccatura del porto e poi appena fuori, avanti tutta!!!! Non lo crederete, ma sapete dov’ero io? A prora! Come Leonardo di Caprino nella scena del Titanici con le braccia spalancate mentre la nave va. Lui ha copiato da me però pesche l’ho fatto prima io e per davvero! La prima cosa che mi venne in mente di fare fu quella di “ululare”. Proprio come fanno i lupi alla luna. Fu un impulso che non so da dove venne. Ma l’emozione fu fortissima. Una scarica di adrenalina che oggi non riesco a capire perche’. In fondo nulla di strano, eravamo solo in barca! Mentre l’Alsiratt si dirigeva a sud, Andrea che chiamero’ col suo
nome, mentre quello del nostro gruppo lo chiamavamo “Andy” ci spiego’ appunto che la partenza era fissata intorno alle cinque. Il sole comincia a sorgere verso le quattro e mezza e mezz’ora dopo e’ gia’ alto, mentre la sera alle cinque cala e alle 5 e mezza e’ gia’ notte fonda. La nostra rotta era sud, verso l’Etiopia dove forse avremmo potuto andare. Niente di particolare, una navigazione abbastanza tranquilla col mare di un forza 4 che rompeva un po’, ma la barca non aveva nessun problema. Navigammo così per quasi tutto il giorno fino al primo pomeriggio dove entrammo in un reef per la notte. Solite operazioni di ancoraggio e poi la quiete. Si era fatto pomeriggio e faceva abbastanza caldo. Nel reef si era riparati dalla barriera tutta intorno e quindi eravamo in condizioni di mare assolutamente piatto e fermo mentre fuori le onde picchiavano in lontananza contro l’anello esterno del reef. Era ora di provare l’acqua. E quindi come primo giorno, solo apnea. Preparativi e raccomandazioni. Non toccate nulla. Attenzione al corallo di fuoco che se lo toccate l’effetto e’ di una ortica all’ennesima potenza. Occhio ai conidi, quelle meravigliose conchiglie coniche che come la prendi ti sparano fuori un aculeo che ti paralizza in pochi secondi e rischi di morire per annegamento, occhio al vermecane, una specie di vermone che se lo tocchi anche quello, non ha niente da invidiare al corallo di fuoco e altre amenita’ simili. Ah! dimenticavo il pesce cobra. Dai 10 ai trenta centimetri di pescetto bellissimo da vedere ma se lo tocchi… non hai scampo. Non esiste antidoto e muori in venti secondi (cosi’ dicono) e poi per chiudere in bellezza c’e’ il serpente di mare. Un serpente tipo il serpente corallo, tutto colorato a strisce e anelli e che viaggia sott’acqua come una saetta. Anche per questo non ci sono antidoti. Ci mancavano solo gli squali e la compagnia sarebbe stata al completo, ma non preoccupatevi, ci disse Andrea, arrivano anche quelli, ma non in questo reef. Bene!!!! Allegriaaaaa!! Una passeggiata insomma. Lo scandaglio dava non piu’ si 7 metri quindi poca roba, ma tanto per gradire…. giuuuuuuu’ – E che vi devo dire? Come si fa a descrivere quello che vidi? Colori, colori, colori e ancora colori. Non avevo mai immaginato una cosa simile. I rossi, i verdi, gli azzurri nelle tonalita’ piu’ strane. E pesci di tutti i tipi. Eravamo a tre/quattro/cinque metri in apnea e c’era da impazzire.
Coralli, madrepore, anemoni, actinie con pesci pappagallo. L’actinia e’ una specie di cespuglio vivente. Attira microrganismi nei suoi tentacoli velenosi e urticanti che poi assimila. Per l’uomo e’ quasi innocua. Il pesce pappagallo, rosso
arancione giallo, vive in simbiosi. Lui fa le pulizie di casa e lei lo protegge con i suoi tentacoli. Poi ancora dei conidi dai colori
verdeviolaceo indescrivibili. E la temperatura dell’acqua. Ne fresca e nemmeno tiepida. Si stava meravigliosamente e non saremmousciti piu’ da li, ma il tempo passo’ e a un certo punto sentimmo la sirena dell’Alsiratt e ritornammo a bordo.Il sole stava scendendo e la cena era quasi pronta.
Andrea aveva messo al posto della scialuppa di salvataggio sollevata a poppa dai due bracci di una gru, un enorme catino metallico dove dentro c’era….? Indovinate un po’? Una grandiosa griglia con la brace!!!! E cosa
c’era sulla brace? Un grosso carangide. Un pesce diciamo simile a un tonno. Sara’ stato una decina di kili. E gia’! mentre noi ci divertivamo in apnea, uno dei negri dell’equipaggio, era andato con uno dei gommoni fuori dal reef e si era tuffato e aveva arpionato quell’affare. ragazzi, il profumo!!!! Volete fare la doccia? ci disse. E noi: doccia? cos’e’? Siamo stati in acqua fino ad ora e figuriamoci se abbiamo bisogno di lavarci! E poi non si puo’ mica far aspettare il carangide, poverino!
E allora a tavola. Nel salone principale sottocoperta, due tavole imbandite.
Una per noi sette e l’altra per il resto della truppa. Solo per il fatto che era impossibile stare in 11 alla stessa. Cosa dire? Buon > > > appetito! Era dalla notte prima che non mangiavamo e si vedeva.
Sembravamo i congiurati che menavano coltellate a Giulio Cesare! La bestia era da favola. Bactrim, sapeva il fatto suo. Erbe ed aromi si sprecavano, ed il risultato era eccellente. Sulla lavagna di bordo ognuno di noi segnava quel che prendeva da bere dalla dispensa, perche’ non era compreso nel prezzo e quindi bisognava tenere il conto. Poi dopo esserci abbuffati come otri,
ritornammo in coperta e che spettacolo. Le stelle sembravano dovessero caderci addosso.
Non c’era luna, ma le stelle sopperivano magnificamente e il silenzio rotto solo dal sommesso borbottio del generatore di corrente che a un certo punto fu spento per usare solo le batterie di bordo. E allora sentii il suono del silenzio.
Scusate, ma prendo a prestito la traduzione della canzone di Simon & Garfunkel. The sound of silence! Nulla e’ di piu’ adatto. L’Alsiratt dondolava impercettibilmente al riparo del reef e in lontananza si udivano le onde contro la barriera corallina e una quiete che ti scendeva dentro. Mi vennero in mente i versi di Dante dal Purgatorio circa “…l’ora del disio che ai navicanti
intenerisce il core, lo di c’han detto a dolci amici addio e per lo novello core….” forse ho fatto qualche errore, ma insomma, quella cosa li. Mi venne in mente che la gente prende sonniferi e tranquillanti, e noi eravamo tranquilli e in pace con noi stessi e col mondo. D’un colpo pero’ un campanello mi suono’ dentro.
Carlo, dissi, sei un bastardo. Tu stai qui in pace a coccolarti e in questo momento chissa’ quanta gente muore e soffre per guerre, fame, malattie ecc. Non ci pensi? O pensi solo a te stesso, come al solito? Mi vennero in mente i film di Don Camillo dove Fernandel conversava normalmente col Cristo in Croce. Be’ devo dirvi che sentii il bisogno di fare altrettanto. Guardai in alto, al blu scuro della notte e alle stelle e pensai: Dio oppure devo chiamarti Allah! sai qui siamo a casa sua! Cosa posso fare? Nulla! Se puo’ servire una mia preghiera, tienine conto!” e pregai. Non so come, non ricordo cosa, ma credo che pregai. Poi gli altri
mi chiamarono e il richiamo delle cose terrene era forte! Sempre con i mente Don Camillo, credo che pensai: “Scusa Dio, ma ora devo andare. Ci sentiamo in un altro momento! A proposito, devo chiamarti Allah o posso continuare con Dio?” Coca cola e whisky (il nostro) ci aspettavano. Poi parlammo del programma. Il giorno dopo ci saremmo portati in un altro reef e poi verso
l’Etiopia e, nel frattempo, avremo iniziato le imersioni. Quelle vere. Il programma era nutrito. C’era da andare a PRECONTINENTE, la citta’ sommersa di Jaques Cousteau che aveva creato per la vita sotto il mare, poi il relitto di un cargo che trasportava auto Toyota, il faro di Shaan Ga Naab (spero si scriva cosi’, ma si pronuncia Scianganeb), le Marse, l’equivalente dei fiordi norvegesi, dove il mare entra nel deserto e crea isole e canali. Poi l’entroterra, il relitto dell’Umbria, nave italiana carica di tutto dalle bombe alle auto balilla, che il primo giorno di guerra, il 10 giugno 1940 per non cadere in mani inglesi si sutoaffondo’, poi Suakin, la citta’ morta, gli incontri con gli squali, i grandi branchi di barracuda, e altre cose che diro’ piu’ avanti. A questo punto si era fatto tardi. Erano circa le sette di sera.
Cosa fare? Solo chiacchiere di vario genere, ma il punto principale era che dentro io avevo una carica e un entusiasmo che non mi ricordavo dai tempi di quando a Natale mi regalarono il mio primo Meccano! Avevo voglia di ululare, ma non c’era la luna e allora niente da fare. Mi tenni tutto dentro e cominciai a ordinare l’attrezzatura: controllo degli erogatori, la muta, gli strumenti, le macchine fotografiche ecc. E gia’ scusate, ma non vi ho detto che sono stato anche un fotoreporter, e allora mi coccolai la mia Nikonos quattro, i flash subacquei e tutto il resto, poi fatto questo ancora a guardare il panorama.
Ma che c’era da guardare? Intorno a me buio pesto e le stelle. Sempre quelle! Ah dimenticavo la cosa piu’ importante: The sound of silence.
Andai “in branda”, misi mano al walkman e inserii la cassetta con la piu’ bella compilation di Puccini. Inizia con Un bel di vedremo e poi Che gelida manina, E lucean le stelle e tutti gli altri. Come non vi ho detto che amo Puccini? Ora lo sapete. Vi lascio immaginare cosa possono fare le emozioni di un luogo cosi’, le stelle, e Puccini in cuffia! Un’overdose!!!! E crollai! Se fossi uno scrittore, direi che sognai il negro della San Pellegrinoooooo!!!! che correva inseguito da uno squalo, con intorno serpenti di mare e l’anima del carangide che voleva mettere me sulla griglia, ma poi interveniva Allah o Dio? e tutto si metteva a posto! E Dio che mi diceva: Vedi la mia potenza? Ho creato tutto io!!! E io allora: “perche’ non dirigi tu l’orchestra che mi sta suonando in cuffia?” In realta’ non ricordo nulla di quella notte. L’unica cosa certa e’ che a un certo punto mi svegliai per
un dolore a un orecchio. Era la cuffia del walkman che ancora diceva: “Che gelida manina….me la lasci riscaldar….” e io: “Ah Pucci’ mo’ bbbasta e lassame dormi’ che ciò li squali pe la testa”
Il resto venne domani. L’alba del terzo giorno fu uguale alla precedente. Il sole sempre pronto a batterti in testa alle cinque del mattino.
Solita colazione a base di torte varie, frutta e the.
Usciti dal reef affrontammo di nuovo il mare aperto. Tanto per quel che cambiava, in quanto non e’ che fossimo sotto costa. Navigazione regolare per la mattinata fino a quando entrammo in un altro reef per fermarci. Qui decidemmo di fare la prima immersione vera.Dopo i preparativi, salimmo sui 2 gommoni di servizio e via verso la parete esterna del reef e una volta li, immersione, con Andrea che aveva a tracolla un sacco strano.Ci disse durante il breve tragitto che erano avanzi di carne da dar da mangiare agli squali. Io cominciai a rivedere le sequenze dello Squalo 1/2/3/4 e stavo seriamente pensando di rifiutarmi di scendere, ma non potevo far vedere agli altri che avevo paura. Paura? macche’ Diciamo un sano profondo terrore, allorche’ vedendo il mio “disagio” e anche quello di Walter che proprio entusiatsta dell’idea non era, Andrea ci rassicuro’ dicendo che mentre lui attirava gli squali, Bactrim sorvegliava il tutto con la cara vecchia lupara antisqualo. E poi ci disse che il posto era sicuro. C’erano molti grossi scogli e anfratti dove mettersi al sicuro e non avremmo corso il minimo rischio. Se lo diceva lui! Ma io gia’ mi vedevo come nelle vignette delle barzellette. Nel pentolone fumante con gli squali che danzavano intorno armati di coltello e forchetta. Mi lasciai convincere dai “vecchi” Neni e Pini che di squali ne avevano gia’ esperienza e ci tuffammo tutti.Giu’ fino a una ventina di metri. Bactrim ci accompagno’ in una zona ricca di anfratti dove a quella
profondita’ tutto e’ bluastro/grigio per il fatto che i raggi ultravioletti si fermano a circa 4/5 metri e poi i colori si perdono per assumere un colore quasi unico.
Una tonalita’ che dal verdastro passa per il bluastro per finire in un grigiastro. Ma appena accesi la lampada, fu come essere abbagliato dai colori. Cosa indescrivibile. Non avevo mai visto dei gialli e dei rossi cosi’.
C’era da impazzire! Coralli grandi come auto, gorgonie che potevi usare per giocare a nascondino, anemoni incredibili. Ma i colori erano la cosa piu’ bella.
Fummo quasi subito attorniati da vari pesci come il chirurgo che si nutre di scorie di corallo. Poi arrivarono i pesci vela che viaggiano sempre in coppia. Gialli e neri. Poi di tutto. Mentre mi guardavo intorno capii perche’ il Mar Rosso e’ chiamato L’Acquario di Allah. Fu allora che notai che Andrea e Bactrim si allontanavano di una decina di metri e tirato fuori dal sacco un grosso pezzo di carne con osso, lo infilarono su un bastone metallico. Ragazzi miei! Il cuore che batteva all’impazzata. Faceva tanto rumore che avevo paura lo sentisero glia altri! E lui! Il re! Sua maesta’ lo squalo grigio! Arrivo’ in un attimo, silenzioso e maestoso. A giudicare dalla proporzione con Andrea era intorno ai tre/quattro metri. Comincio’ a girare intorno e mentre io, prima
terrorizzato poi pian piano rassicurato dalla presenza del gruppo, vidi arrivare altri squali da altre direzioni. Erano i pinna bianca. Classico squalo da tra i 3/5 metri comunissimo. Uno in un attimo piombo’ sulla punta del bastone e ingoio’ il pezzo. Come nei film. Nel frattempo anche gli altri giravano in tondo ad Andrea mentre Bactrim si teneva pronto a intervenire. Notai che alcuni, si
allontanavano per dirigersi verso di noi! Pensai che anche se me la facevo addosso, poco male, tanto eravamo in acqua! Pero’ poi si tennero a distanza gironzolando a distanza tra i 5/6 metri da noi mentre Andrea continuava a dar damangiare agli altri che quasi come cagnolini, prendevano il cibo dalle sue mani, pardon, dal suo bastone. La cosa mi tranquillizzo’ molto. Avete presente una
situazione difficile in aereo? Se vedete le hostess non battono ciglio, anche voi sarete piu’ tranquilli. Ecco la stessa cosa. Dopo un po, Bactrim ci venne a prendere e ci porto’ fuori dal rifugio e mentre pinneggiavamo, notai che c’erano sempre loro a distanza che giravano seguendoci, ma sembrava solo che ci accompagnassero. A un certo punto ci fu fatto segno di risalire. Riemergemmo e ritornammo a bordo.
Spiegazioni e commenti vari. Gli squali: hanno piu’ paura loro di noi che noi di loro. Si tengono sempre a distanza, ma sono una presenza perenne. Dificilmente attaccano l’uomo e tutto cio’ che ci hanno fatto vedere nei film della omonima serie, sono solenni cazzate. Scusate l’espressione volgare, ma la circostanza lo merita. C’e’ solo lo squalo bianco che attacca ciecamente tutto cio’ che si muove. Pero’ ci sono anche dei sistemi per difendersi. Lo squalo ha la bocca sotto il muso e quando attacca, devi essere sotto di lui o comunque non puo’ mordere come un case che aprendo la bocca azzanna. Poi quando lo squalo attacca, chiude gli
occhi e qui e’ facile centrarlo con qualcosa (se fai in tempo). Poi basta avere una parete alle spalle e questo non ti si avvicina. Nella peggiore dei casi basta rannicchiarsi sul fondo a pecoroni offrendogli la schiena che e’ riparata dalle bombole. Pensate che in media in un anno si registrano non piu’ di una trentina di attacchi in tutto il mondo dei quali circa due o tre mortali.
Roba da ridere confronto a cio’ che accade sulle strade! Comunque sono animali da non sottovalutare in quanto sempre imprevedibili, ma non per questo bisogna averne paura folle. Lo squalo capta perfettamente le onde elettriche cerebrali di chiunque e quando sei in agitazione ne emetti a tonnellate e questo lo eccita, quindi piu’ stai calmo e piu’ lui ti stara’ lontano. Poi i commentie le battute si sprecarono. Mi sentii un leone! Avevo vinto la paura e me ne vantavo, ma era poi proprio vero? Davanti agli altri, mica potevo far vedere le vere emozioni. Gli squali? Tze! Cosa vuoi che siano! Paura? Ma figuriamoci!!!!
Poi un bel pranzetto a base di pesce che l’altro negro aveva pescato e poi di nuovo in navigazione fino al tramonto quando ci fermammo in un’altro reef.
Le emozioni erano le stesse della sera prima e questo mi mise a disagio. Avevo paura di abituarmi, mentre io volevo scoprire ogni giorno una cosa nuova.
La serata passo’ mentre vedevamo il sole scendere a una velocita’ impressionante. Nel giro di pochi’ minuti spari’ dietro l’orizzonte lasciando in cielo un’esplosione di rosso.La mattina dopo ci vide in navigazione fino a quando vedemmo arrivare una motovedetta che poi si rivelo’ della marina Etiopica che ci sbarro’ la rotta. Chiaramente eravamo dalle loro parti e fu impossibile proseguire in quanto privi di passaporti. A dire il vero ci avrebbero anche lasciato passare, ma volevano troppi dollari per chiudere tutti gli occhi che avevano e allora per non rischiare guai, decidemmo di lasciare perdere. Volevamo andare davanti alle isole Lacca o Laccadine (un nome del genere) ma erano in acque territoriali etiopiche.
Rotta allora su PRECONTINENTE dove arrivammo dopo un giorno e mezzo di navigazione. Qui fu una bellissima esperienza. Tanti anni prima, Jaques Cousteau, aveva costruito il primo esempio di citta’ sottomarina. Non era una propria citta’, ma alcune cupole, capannoni e depositi, tutti intorno ai 25/30 metri di profondita’. Qualcosa di simile alle citta’ spaziali viste nei film di
fantascienza. Ormai ridotte male in quanto il mare aveva fatto il suo lento, ma inesorabile lavoro. Pero’ si poteva ancora entrare in qualcuna di queste cupole e dall’interno guardare fuori attraverso gli oblo’. Certo fu una cosa emozionante, pensare che li, anni prima si, stava sperimentando qualcosa di fantastico. Naturalmente anche qui gli squali. Onnipresenti, pero’ avevamo imparato a
non averne paura finche’ …. be. vi raccontero’ piu’ avanti. Finita anche questa immersione, riprendemmo la solita vita. Sveglia intorno alle 4,45, partenza, navigazione, soliti reef, solite immersioni, solite mangiate di pesci vari, principalmente tonni, carangidi, barracuda (buonissimi) e aragoste che ogni tanto qualcuno prendeva dai fondali, ma sempre senza esagerare.
Poi il relax al sole in coperta, a volte il riposino pomeridiano e poi di nuovo sera con il tramonto e la pace notturna. Le serate a bordo erano bellissime. Dopo cena in coperta. Ettore e Andy pescavano, Pini e Neni impegnati a sorseggiare il loro whisky o vodka o grappa, Walter a guardarsi intorno, Luigi in perenne silenzio a fissare il nulla e io, come un’anima in pena, sempre alla
ricerca di qualcosa da fare.
Poi i commenti su quanto accaduto nella giornata e sul domani. Gia’ il domani! Cosa ci avrebbe riservato? Un brutto incontro mio, con uno squalo grigio che all’improvviso, decise di comportarsi in maniera anomala. Mentre eravamo in immersione un pò sparpagliati, ma tutti nel raggio di una decina di metri, questo decise di staccarsi dagli altri che giravano intorno a noi, e mi puntò decisamente addosso. In un primo tempo non ci feci eccessivamente caso, ma visto che lui non cambiava rotta, la cambiai io e lui sempre dietro e sempre piu’ vicino. Mi venne in mente una frase da un film di guerra con John Wayne. Ma sempre nei momenti
migliori ti devono venire queste idee? Lui diceva che in guerra non esistono eroi, ma solo uomini che a volte a causa della circostanza e senza che essi lo vogliano, tirano fuori o fanno cose che in altri momenti non si sognerebbero nemmeno.
Era vero. In una frazione di secondo il mio cervello prese decisioni che ora analizzo a rallentatore. Calma Carlo, stai calmo, non succede nulla. Mi cercai una parete rocciosa, e aspettai. Lo vidi venirmi decisamente addosso, ma rimasi fermo e immobile col pugnale in mano. Alla peggio speravo che a qualcosa sarebbe servito. Si svolse tutto in un attimo: avete presente quando in strada vedi uno che ti viene addosso a velocita’ pazzesca e tu non puoi fare nulla se non aspettare lo schianto? La stessa cosa. Poi l’altra auto all’ultimo momento, sbandando ti scansa, magari rompendoti solo lo specchietto! Ecco accadde questo. Lo squalo mi venne addosso, poi viro’ di colpo strisciandomi addosso e sentii la sua pelle sulla muta. Come se mi fosse passato vicino un autobus con al posto delle pareti della tela smeriglio, ma di quella grossa. La manica della giacca della muta, conserva ancora l’abrasione. Confesso che non ebbi paura, ma ora penso che fu solo un fatto di incoscenza. Poi non contento, la bestia, giro’ e mi ripunto’. pensai che se voleva aggredirmi lo avrebbe gia’ fatto. Tanto che non aveva avuto nemmeno paura dei lampi che il mio flash aveva fatto mentre scattavo a raffica. Allora decisi un’altra cosa. Lo aspettai con la macchina fotografica col braccio del flash subacqueo puntato. Come mi passo’ vicino, prima lo fotografai e poi gli appioppai una botta incredibile usando appunto tutto il blocco macchina/flash. Sentii il tutto affondare nel suo fianco e credo che fu questo a convincere l’amico che ero un osso troppo duro per i suoi denti!!!! Dai lasciatemela dire, questa frase!!!!
Vennero fuori della diapositive incredibili di questa cosa. Fu allora che l’animale decise di soprassedere e se ne ando’ nel blu.
Termino’ cosi’ un’immersione che ricordero’ sempre e di cui conservo appunto delle dia incredibili.
Per quel giorno di emozioni ne avevo avute abbastanza e non vedevo l’ora di ritornare al mio walkman con la compilation dei piu’ grandi cori da opera.
Mi aspettavano, il Va pensiero, i vari cori dei soldati da Carmen, Trovatore ecc, il coro a bocca chiusa della Butterfly e la Turandot. Ah Turandot! Puccini, ma perche’ sei morto prima di finirla? Va bene che Franco Alfano nel completarla, non ha fatto un cattivo lavoro, ma se Toscanini alla prima dell’opera alla Scala, quando giunse al punto in cui Puccini si fermo’ non ando’ avanti, depose la bacchetta e scese dal palco, rifiutandosi di proseguire. Giacomooooo! ‘accident’ a te! ma perche’ sei morto? Ah gia’ dimenticavo! E’ perche’ il tempo passa per tutti e anche per noi. In uno dei giorni successivi, visto che il mare si metteva al brutto, decidemmo di rientrare a Port Sudan. Tanto eravamo ritornati da quelle parti, per poi fare rotta a nord. E allora via radio,
Andrea chiese il permesso di scendere a terra. Nel giro di un paio d’ore, arrivo’ una barca che chiamarla barca e’ un’offesa per tutto cio’ che galleggia, con due negri in divisa armati fino ai denti, anche con bombe a mano appese alla cintura e ci scortarono, noi in gommone, a terra. Un altro tipo ci aspettava con i passaporti in mano e ce li consegno’! Miracolo! Ma poi venimmo a sapere che Andrea aveva pagato una manciata di dollari per questo. Cominciammo a girare per il porto e notai su un molo un container con le porte spalancate. Era brutto, ma di un brutto che non vi dico. E poi aveva qualcosa di sinistro. Era anche l’unico. Mi incuriosi’ e chiesi an Andrea il perche’ di quell’affare. Lui lo chiese a Bactrim che era stato capitano nella Marina Sudanese con il lauto stipendio dell’equivalente di 10 dollari al mese, e il negro ci spiego’. In quel container, ci mettevano quelli destinati al carcere. Li appendevano per i piedi a testa in giu’ e chiudevano. Poi il giorno dopo li andavano a riprendere.
Se erano ancora vivi, li portavano in carcere altrimenti li buttavano in mare!
Carino vero? Chissa’ se da noi servirebbe a diminuire la delinquenza?
Gironzolando li intorno vedemmo arrivare un pulmino, classico Toyota, con un nero alla guida e un ragazzino di fianco. Ci fecero cenno di salire e cosi’ ci imbarcammo in un arnese pieno di merletti appesi da tutte le parti e ciondolini di vario genere. Carino, pero’ il rumore non era rassicurante. Sembrava avesse la marmitta sfondata. Cosi’ inizio’ il nostro viaggio che si rivelo’ ricco
di emozioni. La destinazione era Suakin. La vecchia capitale sudanese ai tempi dei vari pascia’. Era anche il principale porto degli schiavi. Il viaggio inizio’ attraversando la citta’ (si fa per dire). In una piazza c’era una rotonda che oggi direi alla francese, con sopra un monumento alto tre o quattro metri. E indovinate cos’era? Una gigantesca bottiglia di Pepsi Cola! Si signori! La Pepsi in Sudan la fa da padrona. La trovate ovunque. Poi passammo davanti all’aereoporto dove eravamo arrivati e di giorno vedemmo che era una specie di campo volo con qualche baracca, delle tettoie, alcuni aerei militari, e tante capre che giravano intorno. Puntai la mia Nikon FE con tanto di 200 mm. e fui fermato dal ragazzino. Guai a fotografare! Si rischia grosso! In mare puoi
fare quello che vuoi, mai a terra e’ proibito. Scattai lo stesso senza farmi vedere tossendo forte tutte le volte che premevo il pulsante, per coprire il rumore del motore. Poi ci inoltrammo nel deserto per una strada che piu’ diritta non si poteva. L’asfalto era in condizioni ottime. Ma da quelle parti, non piove mai quindi…. Fummo fermati da vari posti di blocco con carri armati e blindati vari, ma dopo averci guardati in faccia, ci facevano segno di proseguire. Lungo la strada ogni tanto vedevamo persone vestite con teli di colori stupendi. Ci dissero che erano locali e che vivevano di piccoli commerci. Ci impressiono’ la quantita’ di angurie che questi vendevano lungo la strada, ma ci dissero anche che non erano buone. Passammo di fianco a un’enorme costruzione di pietra e cemento. Un cubo immenso con una fila interminabile di persone che attendevano e tutti armati di vari fardelli. Ci dissero che era un carcere e le persone in fila erano parenti o amici dei detenuti che quotidianamente o quando potevano portavano cibo e acqua ai carcerati. Eh gia’ cari miei! Il motivo sta nel fatto che quando in quel posto ti mettono in galera, non e’ previsto il vitto, ma solo l’alloggio! Incredibile. Chiesi: “E se non hai nessuno che ti porta qualcosa come fai?”
L’autista alzo’ le spalle e disse che saresti rimasto senza mangiare e senza bere. Ma fino a quando? Fino a quando resisti, poi quando muori ti buttano via, o magari ti buttano via prima! Bello vero? Altro che legge Gozzini!!!!
Altra cosa curiosa fu il vedere dei grossi camion con dei cassoni stipati di gente e un nero con mitragliatrice sul tetto della cabina. Anche qui ci disse che era gente che veniva prelevata in carcere e portata nel deserto. A lavorare,chiesi io? No! i camion tornavano sempre vuoti! Volevo fotografarle queste cose, ma preferii lasciar perdere. Solo una foto rubata di nascosto mentre il
ragazzino mi teneva d’occhio. Poi dopo un paio d’ore arrivammo a Suakin. Qui vidi l’incredibile. Una citta’ in rovina, tanto che le mie diapositive sul luogo le ho chiamate “Berlino 1945” Una citta’ distrutta dal vento e dalla sabbia, dove i pochi abitanti si arrangiano con un po’ di bestiame e commerci vari vivendoin mezzo a macerie e riparandosi dal vento con qualche asse o lamiera. In giro solo macerie come dopo un bombardamento della seconda guerra mondiale. Pero’ c’era ancora il palazzo del sultano. Semidiroccato, ma conservava ancora barlumi della sua antica bellezza. A guardia della porta, c’erano ancora due immensi cannoni. Un ragazzino mi chiese se avevo qualcosa da mangiare, e io mi sentii male!
Avevo solo un tubetto di caramelle Cloralit e una borraccia d’acqua. Gli e le diedi e lui mise in bocca l’intero tubetto senza nemmeno togliere la carta. Altra gente ci chiedeva se avevamo qualcosa. Luigi aveva in tasca delle bustine di zucchero e sparirono anche quelle. Alla partenza Andrea ci aveva dato dei pacchi di sale grosso. Servivano come merce di scambio. Il sale loro lo usano per conservare quei pochi pesci che pescano e a me servi’ da scambio per un bellissimo pugnale bedu’. Di quelli a lama curva, con fodero in cuoio, lama affilata che potevi farti la barba, ma attenti a non tagliarsi perche’ non era proprio di acciao inox ma di ferraccio battuto a mano. L’impugnatura in osso e i decori in argento. Ora questo pugnale e’ appeso alla parete dei ricordi in sala a casa mia. Dopo aver distribuito quel poco che avevamo, un rgazzino ci disse che per 5 dollari ci avrebbe fatto visitare il palazzo reale! Incredibile! Non c’era niente da visitare e bastava girare l’angolo per entrarci in quanto era semidiroccato. Gli diedi un dollaro pensando a cosa ne avrebbe fatto. Ci furono offerte lattine di Pepsi Cola, ma l’autista ci fece cenno di rifiutare. Poi ci spiego’ che per noi era rischioso bere quelle lattine, in quanto possibilmente contaminate, anche solo all’esterno, da chissa’ quanti e quali germi. Il caldo era opprimente e ogni tanto arrivava qualche folata di vento che alzava mulinelli di sabbia. Mi trovai a chiedermi come mai hanno un mare ricco di ogni grazia di Allah e muoiono di fame (o quasi) Bastava pescare. Ma credo che ci sia molta indolenza da quelle parti oppure… cosa devo dire? Inch’Allah! Dio lo vuole!!! Ripartimmo, mentre il vento aumentava e lungo la strada di ritorno il pulmino si fermo’ bofonchiando. Il vento e la sabbia ci stavano ricoprendo e noi non potevamo far nulla. Impossibile aprire i finestrini e dentro stava diventando un forno. Seriamente cominciammo ad avere paura. I due negri
imprecavano nella loro lingua picchiando con un corto bastone il coperchio del motore. All’improvviso, il vento cesso’. Uscimmo un po a fatica e vedemmo che la strada non esisteva piu’ Solo un mare di sabbia! Ecco, ci siamo! pensai. E mo’ che si fa? Dopo aver tolto la sabbia con le mani e quello che avevamo, il negro apri’ il cofano e credo bestemmio’. Poi riprovo’ con la chiave, ma la
batteria o quel che ne restava, era agli sgoccioli. Poi sempre col corto bastone, ancora botte sul pulmino, dove capitava. A Roma si dice: n’do coio, coio! dove prendo, prendo e a un certo punto mentre il ragazzino picchiava, l’autista giro’ la chiave e, miracolo!! Il motore parti!!! Cosa dire? C’e’ una scena identica nel film Il Giorno piu’ Lungo. Un blindato che non ne vuole sapere di andare e il sergente inglese gli mena una botta col suo bastone e il blindato parte.
Roba da pazzi! A raccontarla e’ difficile crederla! Merito delle bastonate? O Allah si era impaurito per le bestemmie? o il nostro Dio al quale credo molti di noi si erano rivolti dicendogli: fagli vedere a questi!
Non lo sapremo mai. Una volta in moto non ci furono altri inconvenienti.
Rientrammo a Port Sudan e ritornammo a bordo dopo aver lasciato nelle mani dei militari i nostri passaporti e altri dollari con l’intesa che saremmo ritornati a terra dopo il tramonto per vedere la metropoli di notte. Ma questa e’ un’altra storia che vi raccontero’ credo domani. Ora come allora mi e’ venuta fame, ma mentre allora ci aspettava Monica sull’Alsiratt con la tavola pronta, ora devo cercare nel frigo dell’ufficio qualcosa da sgranocchiare. E poi tra poco devo andare. Gli amici con i quali abbiamo appuntamento a Milano per la pizza non possono aspettare, quindi in ricordo di quella lontana sera e di questa odierna, lasciatemi dire: BUON APPETITO!!!!
Dopo aver cenato a bordo, sempre via radio, chiedemmo il permesso di scendere a terra. Stessa procedura, stessi militari di scorta e fu cosi’ che ci trovammo nel buio di Port Sudan. Le macchine circolanti erano quasi tutte vecchie Peugeot, Toyota e Nissan al cui confronto dei rottami erano fuoriserie.
Auto senza luci, senza targa, con una luce sola, fumanti come vecchie ciminiere, con rumori allucinanti, circolavano un po ovunque. In alcuni punti della strada, c’erano buche profonde un paio di metri. Noi avevamo le pile e la cosa ci rassicurava un po’. Gironzolammo fino a un bar dove seduti a un tavoloordinammo da bere. Pini chiese se avevano della birra, e ci fu portata. Miracolo, sette birre appena uscite dal frigo. E Allah, che ne pensava, visto il divieto degli alcolici? Forse anche lui si era venduto al dollaro? Agli angoli delle strade, gente seduta o sdraiata per terra che chiacchierava. Alcuni pero’ mi sembro’ che non avessero nemmeno la forza di aprire bocca, tanto erano mal ridotti. A un angolo un assembramento. Ci facemmo strada e vedemmo alcune persone con classici abiti arabi, dromedari, e ceste varie. E gente che discuteva animatamente.
Erano mercanti carovanieri che arrivavano chissa’ da dove con merci di tutti i tipi che vendevano e la gente contrattava. C’erano bastoni di legno, coltelli, sacchi di tela cianfrusaglie varie. Uno di essi guardandomi mi fece segno di avvicinarmi e quando lo feci, mi fece vedere una cosa che mi colpi’. Una “parure” (chiamiamola cosi’) composta da un bellissimo collier, un bracciale e un anello. Il tutto in argento massiccio. La collana era lavorata incredibilmente bene, ma si vedeva che le maglie non erano perfettamente uguali, frutto tipico di lavorazione manuale. Aveva un ciondolo rappresentante il sole. Ricordava molto i disegni aztechi. Mi mise il tutto in mano e mi chiese a gesti 50 dollari. Io ero molto tentato, ma ne offrii 20. Lui fece cenno con le dita 25, e io dissi OK! Il tutto lo porta ancora oggi mia figlia ed e’ di una bellezza incredibile. Mi sarebbe piaciuto saperne la provenienza. Poi proseguimmo e vedemmo un negozietto che aveva in vetrina alcuni oggetti tipici.
Maschere di legno, fruste, bastoni ecc. Entrammo a curiosare e a forza di trattare io ne uscii con un frustino per cammelli che mia figlia usa ancora oggi per il suo cavallo, solo che questo e’ anche un accuminato lungo pugnale.
Tipo bastone animato insomma. Poi l’arabo mi fece vedere una scatoletta metallica con pietre rosse all’apparenza tagliate benissimo. Erano rubini e nella scatola ce ne erano una ventina. Voleva cento dollari. Io non sapevo cosa farne. Ne presi solo due, pensando magari a farli montare in un paio di orecchini. 5 dollari l’uno dopo varie trattative. Tanto pensai, per 10 dollari non vado in miseria. Al ritorno a casa li portai dal mio orefice che li stimo’ intorno alle 800.000 lire tutti e due. Roba da mangiarsi le …mani! Vedemmo anche qualche donna, naturalmente completamente velata. Si vedevano solo gli occhi e nemmeno la punta dei piedi spuntava dal barracano.
Gironzolammo a caso ancora per un po’ e poi ritornammo a bordo dopo aver dato sigarette ai militari che ci accompagnavo sempre a distanza.![]()
Il giorno dopo facemmo rotta su Marsa Fijab dove giungemmo dopo un paio di giorni e qui si apri’ un altro mondo. Mentre si ancorava, notai col binocolo un individuo che faceva strani salti sulla riva.
Era tale Abhu Medin che a bordo di una ex tavola da surf e con un pezzo di legno a mo di remo venne a bordo. Alto oltre due metri, lui ricordava di avere 75 anni ed era da due anni sulla riva del mare ad aspettare che qualcuno passasse di li.Aveva una t shirt ex bianca, talmente consumata che aveva dei buchi come se
gli avessero sparato con un mortaio. Completamente calvo, assomigliava molto nei lineamenti a Indro Montanelli. Dopo saluti e abbracci con l’equipaggio, si servi’ da mangiare e da bere. Tiro’ fuori un sacchetto di conchiglie e con queste, a turno ci fece a tutti delle profezie. A Luigi toccarono tre mogli, a me buona salute e tutto bene nella vita e anche agli altri predisse cose positive. Poi Andrea gli diede tre taniche di plastica vuote. Due erano del detersivo per piatti e una di olio motore, ma per lui andavano bene lo stesso.a di acqua!!! Poi se ne ando’ benedicendoci tutti con un comportamento fiero e nobile che mi colpi’ molto.
Nel pomeriggio Andrea tiro’ fuori una cosa eccezionale. Il terzo gommone. Tutto qui? E no! troppo semplice. Questo gommone era dotato di ala superiore e motore Rotrax come un aereo. Lo aiutammo a montarlo e, meraviglia, si trasformo’ in un piccolo ultraleggero a due posti con al posto della cabina, il gommone. Partendo dal reef, per tutta la giornata, ci porto’ a turno in volo sulla marsa. Ragazzi che emozione. Il deserto e il mare dall’alto. Non so piu’ quanti rullini scattai. Una cosa cosi’ e’ inimmaginabile.Un gommone volante! La mattina dopo ci venne a “trovare” una vedetta della marina sudanese. Sei persone a bordo, vestite ognuna per suo conto, tutti armati. In quattro salirono a bordo, mentre gli altri due restarono su quella specie di tinozza di 5/6 metri che aveva visto tempi migliori.
Uno ci puntava contro una grossa mitragliatrice e l’altro reggeva il nastro dei proiettili. Io chiesi a Bactrim se era proprio necessario avere quell’arnese puntato addosso. E lui mi tranquillizzo’ dicendo che non avrebbe mai potuto sparare in quanto era poco piu’ che un ferraccio e nel caso avrebbe premuto il grilletto, con buona probabilita’ sarebbe esplosa la mitragliera con tutto
il negro compreso! Consolante! Ma i militari a bordo furono abbastanza gentili, nel senso che quasi non ci degnarono. Il tutto si svolse tra loro e Andrea che con una manciata di dollari, qualche bottiglia tra acqua minerale e birra, e qualche pacco di biscotti Saiwa, se li tolse di mezzo e ripresero il mare da dove erano venuti. Poi passarono altri due giorni tra immersioni, voli sulla Marsa,
mangiate, bevute, discesa a terra sul deserto per incontrare un paio di nomadi che attraversavano la Marsa con i dromedari nei punti dove l’acqua era bassa, tanto che l’effetto era degli animali che camminavano sull’acqua.Finita anche l’esperienza Marsa, restava la penultima tappa a Shaan Ga Naab (si pronuncia Scianganeb). Un reef col faro piu’ alto di tutto il Mar Rosso che si trova proprio al centro di esso. Ormeggiammo al centro del reef e scendemmo sul faro. I tre guardiani, tutti militari in barracano invece che in divisa, ci fecero festa e in nostro onore, stapparono birre. Chiesi loro scherzando, cosa
diceva Allah della birra e uno di loro mi rispose testualmente: Allah sta la’ e noi stiamo qua. Traduzione letterale di Bactrim. Poi ci portarono in cima al faro e di qui una visione incredibile. A 82 metri di altezza si aveva la visione di quasi tutto il Mar Rosso (si fa per dire). L’emozione anche qui fu incredibile.
Poi ancora fotografie, convenevoli, scambio di piccoli doni e ce andammo.
In un’immersione qui, fuori dal reef, finii in un enorme branco di barracuda. Avevo una paura boia, ma ormai ero abituato agli squali che al confronto sembravano una presenza rassicurante. Poi vidi arrivare un’enorme squalo balena. Circa una decina di metri di lunghezza. Immenso e soprattutto assolutamente innocuo in quanto non ha denti e si nutre di plancton, ma fa sempre un certo effetto trovarselo intorno. Gli corsi dietro con la macchina fotografica, ma lui era piu’ veloce di me, ma qualche foto riuscii a
scattarla, cosi’ come dei barracuda che mi giravano vorticosamente intorno.
Salpati da Shan Ga Naab, volevamo dirigere verso Zabargad una stupenda isola quasi disabitata, ricca di relitti. Ma in acque territoriali egiziane, ma non era il caso. Senza passaporti e provenienti dal Sudan! Loro si amano tanto che si scannerebbero con le mani nude. Il Sudan era, e credo ancora oggi, alleato di Sddam Hussein e di Gheddafi, e per cio’ sono odiati da tutto il resto degli arabi. E ce accorgemmo al ritorno quando l’aereo dovette far scalo al Cairo a causa della mancanza di carburante.
Allora rotta verso Port Sudan dove arrivammo dopo pochi giorni, non prima di aver fatto un’immersione su un relitto di un cargo che trasportava auto e camion Toyota. Sono ancora li, mangiati dal mare, ma perfettamente accessibili. Ci facemmo delle bellissime foto alla guida di fuoristrada…subacuei. Poi tocco’ all’Umbria, la nave italiana carica di tutto autoaffondatasi il primo
giorno di guerra per non cadere in mani inglesi. Fu un’esperienza fantastica. Entrammo nelle stive e trovammo auto Fiat Balilla, Moto Guzzi con sidecar, cucine e stufe da campo, casse di munizioni, bombe di tutti i tipi, e sacchi di cemento ormai solidificato. Anche qui, feci largo uso di pellicole visto che incontrammo anche varie qualita’ di pesci e anche una tartaruga marina. Ho delle bellisime dia scattate sia all’interno che fuori vicino alle eliche e al timone. In una stiva piena di bombe d’aereo, riuscimmo a smontare da una di esse, alcune spolette, quelle che stanno in testa con la piccola elica che serve a dirigerle durante la caduta, provocando il classico sibilo. Diciamo che fu una cosa molto da incoscienti, ma visto che ricordavo bene le nozioni ricevute durante gli addestramenti, non ci vidi nulla di strano. La mia spoletta, e’ in bella vista nei miei cimeli in casa.
Il giorno dopo ancorammo in rada. Scendemmo ancora a terra, sempre dopo la solita trafila. Era sabato e c’era il mercato. Indovinate perche’? Neni che e’ un mercante nato, aveva voglia di acquisti e allora andammo a comprare quello che c’era. Abbigliamento vario col quale il Neni si divertiva un mondo a contrattare e il tutto alla fine fini’ in grosse pacche sulle spalle dateci dai locali e un po di magliette che non si sa bene da dove provenissero.
Vedemmo stranamente una chiesa con croce! Miracolo! Il nostro Dio era anche qui?
Andammo alla porta chiusa e bussammo. Lentamente ci apri’ un tale che sembrava la controfigura di Rasputin. Riuscimmo a far capire che volevamo entrare e detto fatto. Con molta titubanza ci fece entrare. Era una chiesa cristiano/copta.
Molto spoglia, ma con delle bellissime piccole icone dappertutto. Alla fine, a Rasputin, che era una specie di guardiano, sacrestano, chierichetto, gli lasciammo un dollaro, ma lui non capiva il perche’ e faticammo molto a fargli capire che era per lui. Cosi’, una mancia. Alla fine accetto’ sempre con molta titubanza. Ritornammo a bordo per l’ultima sera che trascorse in un mix di
tristezza e allegria. Tristezza perche’ la vacanza era finita e sarebbe stato quasi impossibile ripetere un viaggio simile, ma anche un po di allegria in quanto dopo tanto tempo, cominciava a farsi strada la voglia di rivedere le famiglie. Il mattino dopo a terra con bagagli e sempre scortati da militari, ritornammo in aeroporto con i soliti pik up sgangherati. All’aereoporto trovammo un tizio che ci consegno’ biglietti e passaporti e ci accompagno’ al controllo. Ci svuotarono di nuovo i sacchi, ma questa volta non avevamo paura. Al di la delle spolette di bombe, ben camuffate nelle mute puzzolenti di sale e sudore (non erano mai state lavate), qualche conchiglia, il mio pugnale, la parure d’argento e i rubini infilati dentro una scatoletta di caramelle, non avevamo altro. Gli alcolici erano finiti da un pezzo! L’aereo ci aspettava, ma non ci imbarco’.
Decollo’ vuoto. Poi ci dissero che era andato a Kartum a prendere dei notabili locali e infatti dopo un paio d’ore abbondanti ritorno’. Scarico’ i boss tutti vestiti di bianco e imbarco’ noi. Il decollo e il resto del volo furono normali, fino a quando l’aereo a corto di carburante, dovette atterrare al Cairo. Aveva fatto il tragitto Port Sudan/Kartum e ritorno, che non era previsto.
Al Cairo, l’aereo fu parcheggiato in una zona fuori mano e fu fatto rifornimento con noi a bordo e quattro blindati agli angoli che ci puntavano i cannoncini contro. Faceva un caldo asfissiante e allora si decisero ad aprire le porte dell’aereo cosi’ che a turno andavamo a prendere una boccata di aria infuocata esterna. Ma i militari egiziani, dopo un po, fecere segno di chiudere le porte e il pilota esegui’. Dentro credo ci fossero 60 gradi o giu’ di li. Alcuni stavano male, ma non c’era nulla da fare. E poi c’era anche il pericolo di far rifornimento con le persone a bordo, senza nemmeno un estintore sulla pista! Naturalmente riuscimmo a vedere che il cavo di terra che si attacca per mettere a terra le cariche elettrostatiche, non c’era. Roba da pazzi. Alla fine dopo non so quanto tempo, fini’ tutto e l’aereo si rimise in moto. L’aria condizionata fece il suo lavoro e riprendemmo tutti un aspetto piu’ umano. Capito come gli arabi in genere trattano i sudanesi? Se l’aereo avesse preso fuoco, non importava niente a nessuno.
Arrivammo a Roma finalmente e da qui a Torino con Alitalia. Ci sembrava unaltro mondo, pero’ a Torino giungemmo in serata con una nebbia incredibile. Strano che l’aereo riusci’ ad atterrare.
E qui finisce il viaggio e il racconto. A parte vi dico che l’aereo sudanese che ci riporto’ indietro, (erano tre in tutto) una ventina di giorni dopo, precipito’ tra Port Sudan e Kartum e non si salvo’ nessuno a bordo, ma a noi poco interesso’. Mica eravamo andati noi a Kartum!!!!
Per il resto devo dire che ancora oggi, e’ rimasto un ricordo bellissimo di tutto. Delle serate a bordo, dei tramonti, degli squali, ecc. Una cosa che piu’ passa il tempo e piu’ la nostalgia di quei luoghi e quelle situazioni si acuisce. Sara’ perche’ difficilmente si potra’ ripetere un’esperienza simile. Qualcuno ha parlato di Mal d’Africa. Non so se qualcuno di voi lo ha contratto, ma in tutti noi, se non e’ quello, di sicuro gli assomiglia molto. Spero di essere riussito a trasmettere qualche emozione e a farvi conoscere
un po’ di quel meraviglioso paese che purtroppo a causa di chi lo dirige, e’ rimasto quasi al medio evo, ma forse e’ meglio cosi’. Quanti posti, dopo aver conosciuto il cosiddetto progresso, non sono piu’ stati gli stessi, ma questo e’ un altro discorso.Se qualcuno volesse altre notizie, informazioni o dettagli riguardo al
questo viaggio, scrivetemi pure.
CARLO ROMANO ( [email protected] )