Antefatto della serie le ultime parole famose: nellestate del 2002, una coppia di nostri cari amici ci manifestò il desiderio di andare in Sudafrica nella primavera successiva. Io mi stupii molto e dissi loro Sudafrica? Come mai avete pensato proprio al Sudafrica? Io in Sudafrica non ci andrei mai, non mi ispira per niente… Loro, alla fine, non ci sono più andati mentre noi, complice un Congresso Internazionale che si sarebbe tenuto nello Zambia alle Cascate Vittoria…
UN PO DI SUDAFRICA, ZAMBIA E BOTSWANA 2003![]()
di Manuela Campanale [email protected]![]()
Siamo appena atterrati a Johannesburg dopo un viaggio notturno con la South African Airlines relativamente breve (circa 10 ore) e confortevole (se si eccettua una fortissima ma fortunatamente breve turbolenza a pochi minuti dal decollo) e siamo ancora un po frastornati, quando alluscita dallaeroporto veniamo avvicinati da un bel ragazzo, altissimo e vestito in maniera straordinariamente elegante. Fa il taxista e ci chiede gentilmente se abbiamo bisogno di un taxi. Gli diciamo il nome del nostro albergo, lHoliday Inn Garden Court di Sandton e concordiamo la tariffa. Il ragazzo si chiama Quentin e inizierà da questo momento una simpatica amicizia: sarà lui a farci da guida e a portarci in giro durante tutta la nostra breve permanenza a Johannesburg!
Johannesburg vista dallaereo è una metropoli sterminata. Con i suoi 2500 chilometri quadrati di superficie (circa due terzi della Valle dAosta) è la più grande città dellentroterra del mondo, tantè che quando alla fine della vacanza siamo ripartiti per tornare in Italia, ho pensato addirittura che laereo stesse tornando indietro per un problema tecnico, dato che, dopo 15 minuti dal decollo, la città era ancora sotto di noi. E anche la città dei contrasti: abitata da circa 6 milioni di persone di cui l80% circa sono nere e solo il 20% bianche la si può considerare divisa in due: da una parte ci sono i grattacieli, ci sono i quartieri residenziali con ville lussuose, quasi tutte con piscina, recintati da muri altissimi con reticolati di filo spinato percorso dallalta tensione e in molti dei quali cè anche la guardia armata (questi quartieri, dove vivono solo i bianchi e i neri benestanti si vedono molto bene dallalto poco prima dellatterraggio). Dallaltra parte invece ci sono i ghetti della vergogna, i quartieri in cui tante persone (ma solo neri) sono costrette a sopravvivere in bidonville fatiscenti in cui noi Europei non faremmo stare nemmeno le galline. Ci sono le vie in cui si affacciano banche e uffici finanziari e poco più in là, voltato langolo invece troviamo le zone del degrado in cui si rischia di essere uccisi per un paio di occhiali o un paio di scarpe di marca. Johannesburg è considerata una delle città più pericolose al mondo, ogni giorno mediamente due o tre taxi vengono assaltati, anche in pieno giorno, e ogni anno circa 4000 persone vengono aggredite nella loro auto. Sulla Lonely Planet, per intenderci, cè un capitoletto che si intitola Sopravvivere ai pericoli ed ai contrattempi di Johannesburg. Se uno si limita a leggere quel capitolo sicuramente ci starà ben alla larga perché lelenco dei pericoli è a dir poco agghiacciante! Una raccomandazione che si trova sulla guida e che, nonostante tutto, mi ha fatto veramente ridere, è stata ad esempio quella di non portare con sé una macchina fotografica perché equivale praticamente ad indossare un cartello con su scritto DERUBATEMI. Noi però nel 2002 avevamo conosciuto alle Seychelles una coppia italiana che aveva appena fatto un safari in Botswana ed era poi transitata da Johannesburg. Ci aveva confermato che è una città pericolosa, ma che è sufficiente prendere le dovute precauzioni e la si può visitare senza necessariamente rimanere barricati nella propria stanza dalbergo. Una di queste precauzioni è sicuramente quella di non indossare gioielli in oro o preziosi in genere. A parte il fatto che sarebbero solo dimpiccio durante il viaggio e che potrebbero ovviamente attirare lattenzione di qualche malintenzionato, direi che sbattere in faccia la propria ricchezza a chi magari stenta a sbarcare il lunario è decisamente lultima cosa da fare. E una considerazione piuttosto stupida e scontata sul comportamento civile che uno dovrebbe tenere in qualsiasi parte del mondo, non solo in Sudafrica, ma ahimè, per alcune persone del genere tamarro in vacanza non lo è per niente! Anzi per molti purtroppo lostentazione di tutti i gioielli di famiglia durante una vacanza in un paese povero è una prassi consolidata! Ho visto croci e braccialetti in brillanti sfoggiati alle Maldive, intere parure di Bulgari esibite in Egitto… Che tristezza! E, soprattutto, che vergogna! E lo dice una a cui i gioielli piacciono davvero moltissimo!
Quentin ci intrattiene parlandoci di lui, della sua famiglia, della situazione del Sudafrica e dopo un viaggio di circa mezzora in cui ci rendiamo conto che il traffico di Milano o di Roma è una cosa insignificante in confronto alle file interminabili di auto lungo le superstrade a diverse corsie di Johannesburg, raggiungiamo il nostro albergo. Sono le 10 di mattina e ci accordiamo con Quentin perché ci venga a prendere nel primo pomeriggio dato che vorremmo visitare Soweto (il nome è lacronimo di South West Township).
Distante 15 km dal centro, Soweto è un simbolo per tutto il Sudafrica: è una città nella città nata solo nel 1932 e che dal 1976 è divenuta il centro della lunga battaglia che solo pochissimi anni fa, nel 1990, ha portato alleliminazione di una delle più grandi vergogne del ventesimo secolo: lapartheid Sistemiamo in qualche modo la nostra valigia (ripartiremo il giorno successivo per cui non vale la pena disfare tutti i bagagli). Abbiamo lasciato lItalia in cui cerano temperature da record (35 gradi) mentre qui, essendo inverno, la temperatura massima raggiunge a stento i 18 gradi mentre la minima è di pochi gradi sopra lo zero. Johannesburg è una delle grandi città più alte del mondo: è una cosa molto strana perché si ha la sensazione di stare in pianura ed invece ci si trova su un altopiano a 1700 metri sul livello del mare! Dopo aver mangiato in albergo (il Sudafrica è molto economico: un pasto squisito a buffet costa circa 10 Euro) aspettiamo il nostro Quentin che arriva puntualissimo.Lungo la strada Quentin ci parla dellapartheid (letteralmente: separazione). Adesso sembra una cosa impossibile da credere, ma le prime leggi antirazziali che prevedevano appunto una discriminazione basata solo sul colore della pelle che portò ad una netta separazione tra bianchi e neri (spiagge separate, ospedali separati, autobus separati…panchine separate!!!) e lemarginazione di questultimi, furono promulgate nel lontano 1911 e solo nel 1990 vennero abolite, facendo del Sudafrica un paese civile a tutti gli effetti. In pratica la popolazione nera non ha avuto pressoché alcun diritto per più di 80 anni! E pazzesco pensare che mentre da una parte il progresso portava luomo sulla luna, in questa zona dellAfrica cera una situazione di questo genere, che del il resto purtroppo era conosciuta e tollerata da tutti gli altri stati del cosiddetto mondo civile. Quentin ci porta come prima tappa nel terribile Nelson Mandela Freedom Camp (chiamato così perché le prime baracche furono costruite dopo la liberazione di Mandela nel 1990). Ci fa scendere dal taxi e siamo accolti da un suo amico che ci farà da guida. Ci dice subito che non dobbiamo preoccuparci dato che in sua compagnia non cè alcun pericolo e ci accompagna per un breve tratto dentro una realtà che al momento facciamo fatica a guardare e che ora faccio fatica a descrivere. Una stradina strettissima a sterrata si snoda attraverso migliaia di misere baracche con i tetti in lamiera e che, purtroppo, sono abitate! Questo campo, ci dice il ragazzo, ospita circa 10.000 persone in 3500 baracche con 90 gabinetti e 5 rubinetti di acqua potabile in tutto il campo! La corrente elettrica, ovviamente, non cè. E una cosa davvero sconfortante, anche se siamo vestiti piuttosto modestamente non possiamo non sentirci imbarazzati e a disagio in una simile realtà così desolante: un gruppo di bambini sta uscendo da una baracca che funge da scuola. Tutti hanno i vestiti stracciati e rattoppati è una visione che spezza il cuore. Benché la nostra guida ci dica che possiamo fotografare, non me la sento proprio perché mi sembra atroce mettersi a fotografare tutta quella miseria. Mi limito a scattare una foto alla scuola e a due bambine graziose e sorridenti che si abbracciano e si mettono in posa davanti alla loro abitazione.
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Il ragazzo che ci accompagna ci fa entrare nella loro casa. La signora che la abita ce la mostra con molta dignità: lalloggio è diviso in tre e le porte sono sostituite da delle tende, non esistono servizi igienici e la cucina è in realtà composta solo un fornellino da campo posto su un tavolo in legno. Su una specie di trespolo, a fianco del tavolo, sono posizionate le pentole, dalla più grande alla più piccola dal basso verso il lalto. In una delle due stanze dormono i genitori, mentre nellaltre le due bambine. Quello che mi colpisce e che mi umilia è constatare come questa baracca sia più ordinata di casa mia. Viene da chiedersi come mai nel 2003 esistono ancora tante persone che vivono in simili condizioni, bisogna oltretutto pensare che durante la stagione estiva a Johannesburg si superano i 28 gradi per cui stare lì dentro, sotto un tetto di lamiera diventa impossibile, probabilmente quelle persone devono vivere e dormire addirittura in strada! Tanti bambini (ma anche tanti adulti) viziati di nostra conoscenza, che si lamentano per ogni sciocchezza, dovrebbero proprio fare un bel giretto istruttivo da queste parti, magari fermarsi anche qualche giorno e forse ne uscirebbero diversi. Siamo piuttosto scossi da questa visita e dopo aver dato dei soldi per comperare qualcosa alle bambine alla signora ed una mancia alla guida ritorniamo nel taxi. Ma prima comperiamo due maschere di legno su una bancarella, costano piuttosto care rispetto a quello che è il loro valore (ne abbiamo avuto la conferma vedendo i prezzi in aeroporto), ma siccome è comunque un modo per aiutare quelle persone, le comperiamo ugualmente dopo una piccola trattativa.La seconda tappa del nostro viaggio è la famosa chiesa Regina Mundi Moroka. Proprio da questa chiesa, che fungeva anche da centro sociale, è partita la rivolta contro lapartheid. Nel 1976 la polizia fece unirruzione e sparò contro i dimostranti. Ci furono diversi morti: molti fori di proiettile ancora presenti nei muri e nei banchi in legno ed il marmo del tavolo dellaltare spezzato lo documentano a tuttoggi. Nelladiacente sacrestia un libro riporta le firme di tutte le persone che sono passate di lì a testimoniare la loro solidarietà al popolo nero: tra di esse spiccano quelle dei coniugi Clinton e di Lady Diana.
La terza tappa è la casa di Nelson Mandela nel quartiere di Orlando, sempre a Soweto. Il leader del movimento per la lotta allapartheid ci visse pochi anni in quanto venne arrestato nel 1964 e trascorse in prigione quasi 27 anni. La casa è piccola e conserva ancora tutti i mobili anche se è stata praticamente trasformata in museo. Tra le tante cose interessanti che si possono osservare spiccano una lettera incorniciata in cui molti potenti della Terra chiedono scusa a Mandela per non essere intervenuti adeguatamente durante il periodo della sua prigionia, e una grossa cintura, simbolo della vittoria nel mondiale dei pesi massimi, dono di Ray Sugar Leonard. Nelson Mandela venne liberato nel 1990, ricevette il premio Nobel per la pace nel 1993 ed è stato Presidente del Sudafrica fino al 1999.
Come ultima tappa ci sarebbe ancora da vedere il museo dellapartheid solo che ormai si è fatto un po tardi e dobbiamo tornare in albergo. Nel riportarci indietro, Quentin ci fa fare un piccolo giro di Johannesburg. Essendo una città piuttosto recente, fondata nel 1886 attorno alle miniere doro che erano appena state scoperte, non esistono edifici storici degni di nota. Quello che colpisce è che non ci sono bianchi che girano a piedi, nemmeno uno. Si vedono in auto, ma mai per strada a piedi! Mentre Quentin ci sta riaccompagnando in albergo ci racconta che lui non fa mai servizio di notte, perché troppo pericoloso. Alcuni suoi colleghi sono stati aggrediti e per poco non ci hanno rimesso la vita. Prima di congedarci ci accordiamo perché venga a prenderci dopo tre giorni, quando dovremo tornare in aeroporto per andare nello Zambia. Segna sullagenda il giorno e lora in cui ci dovrà venire a prendere e ci saluta con un arrivederci. Davvero una bella persona Quentin, gentile ed affidabile! Dopo una buona cena nel ristorante thailandese dellHotel chiudiamo la nostra valigia e andiamo a dormire perché il giorno ci aspetta un lungo viaggio in auto verso il Parco Kruger.
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Alle 7 di mattina si presenta la guida locale che ci porterà al Parco. Il tragitto è inaspettatamente lungo e il viaggio dura circa 5 ore.
La prima parte del viaggio è veramente molto noiosa dato che si percorre la pianura (anche se sarebbe il caso di chiamarla altopiano), molto brutta e spoglia, abbastanza simile per certi versi alla pianura Padana. Solo nellultima parte del viaggio il paesaggio cambia improvvisamente e diventa bellissimo perché la pianura arida lascia il posto ad una rigogliosa vegetazione subtropicale: montagne ricoperte da piantagioni di banane, altre costellate di pini piantati e coltivati dopo essere stati fatti arrivare dallestero (ci spiega la guida). Si nota subito che non sono cresciuti spontaneamente perché sono perfettamente equidistanti. Ad un certo punto aggiungiamo il Crocodile River, che, come dice il nome è letteralmente infestato di coccodrilli e abitato da ippopotami (si vedono tranquillamente dalla strada).
Cè un segnale molto curioso che compare ogni tanto lungo il tragitto e che rappresenta un segnale di pericolo (il classico triangolo con il bordo rosso, analogo a quelli che si trovano in montagna per segnalare la presenza di cervi) e in cui compare invece un bellippopotamo! Ancora oggi sono pentita di non averlo fotografato.
Raggiungiamo il nostro albergo, il Protea Kruger Gate. Questo si trova appena al di fuori di una porta di accesso al parco. Il parco Kruger ha unestensione pari a quella di tutto il Veneto, è interamente recintato e ci sono 8 porte attraverso le quali è possibili entrarvi. Lalbergo e molto semplice e grazioso costruito tutto su delle palafitte, con tante passerelle rialzate in legno che collegano le stanze. Ci sono intere famiglie di scimmie che girano indisturbate: infatti quando trovano la porta di qualche stanza aperta ci si infilano e… (lo abbiamo visto con i nostri occhi) rubano la scatoletta di cartone contenente tutto loccorrente per farsi il the o il caffè solo per toglierci e mangiarsi le bustine di zucchero ivi contenute. Davanti alla porta-finestra della nostra stanza stanno girando dei tragelafi striati (molto simili ad un cerbiatto) ma non appena usciamo scappano via spaventati. Subito dopo pranzo arriva la nostra guida che ci accompagnerà in giro per il parco in questi tre giorni: il nome, Dieter, e laspetto, (capelli biondi ed occhi azzurri), tradiscono le sue origini tedesche infatti ci dice di essere nato in Sudafrica da genitori Tedeschi. Il giro per il parco si farà a bordo di una jeep completamente aperta lateralmente. Ha solo una tettoia per riparaci da eventuali acquazzoni (e purtroppo ci servirà…). Inizia così il nostro primo safari. Entrare nella savana anche se a bordo di un mezzo è unesperienza emozionante. Animali non se ne vedono moltissimi in quanto lestensione del parco è tale da permettere loro una normale vita allo stato brado, per cui sono liberi di girare ovunque e non stanno certo in posa ai lati della strada ad aspettare i turisti… Vediamo subito delle antilopi e moltissimi impala.
Dopo mezzora incontriamo le nostre prime giraffe, sono bellissime, eleganti e non scappano quando ci avviciniamo per cui riusciamo a fotografarle bene.
Poi è la volta di un gruppo di elefanti che vediamo a pochissima distanza da noi e poi bufali, rinoceronti, ippopotami, facoceri, kudu e zebre.Dieter ci spiega che contrariamente a quanto si è portati a pensare, lippopotamo non è per niente un animale mansueto, tuttaltro. Lanimale che uccide più essere umani in Africa non è il leone e nemmeno il leopardo, bensì proprio lippopotamo che diventa poi particolarmente feroce se qualcuno si interpone tra lui e un corso dacqua o un lago.
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Anche il bufalo è molto più pericoloso del leone perché mentre questultimo attacca solo se ha fame, il bufalo uccide anche senza motivo. Se poi vogliamo fare i pignoli il leone maschio in realtà se ne sta tutto il giorno sdraiato allombra ad oziare mentre è la femmina che di solito attacca per procacciare il cibo alla famiglia ed è quindi il vero pericolo. Verso la fine del giro, proprio mentre stiamo rientrando vediamo una iena accovacciata davanti ad una tana con lo sguardo stranamente dolcissimo e mansueto. Dieter ci dice che nella tana ci deve essere un cucciolo, infatti lei dopo un po, accortasi che ci siamo fermati ad osservarla, si sposta per distogliere la nostra attenzione dalla tana. Rientriamo e Dieter, dopo averci chiesto, ridendo, se siamo tipi mattinieri, ci dà appuntamento per il giorno dopo alle 5.45, del mattino sintende! Si cena allaperto ed il menù, a buffet, non è per niente male, ci sono cose strane, mangiamo della carne alla griglia di cui non capiamo la provenienza, forse si tratta di carne di facocero, poi unaltra grossa bistecca di non-si-sa-cosa e delle salsicce di impala. Comunque è tutto squisito. Delle tipiche danze africane completano la bella serataAlle 5.45, con gli occhi ancora mezzi chiusi per il sonno arriviamo come degli Zombie alla reception! Dieter che è già lì, sveglio come un grillo, ci dice che non si aspettava tanta puntualità dato che gli Italiani, secondo la sua esperienza, non sono mai in orario! Fa un freddo terribile, considerando poi che la jeep è totalmente aperta non cè proprio modo di ripararsi. Abbiamo già giacca la vento e la sciarpa, ma ci avvolgiamo anche nelle coperte che Dieter ci ha messo a disposizione. Vediamo ancora un sacco di animali, poi rientriamo per il pranzo e subito dopo ricominciamo il nostro giro.
Questa volta non siamo soli perché con noi cè una coppia americana di origini indiane. Lei è buffissima perché si presenta con dei sandaletti ed un vestitino come se stesse andando in spiaggia! Infatti passerà tutto il pomeriggio battendo i denti avvolta in una coperta. E pur vero che al pomeriggio la temperatura si alza parecchio, ma comunque siamo nella stagione più fredda e laria è sempre piuttosto sferzante dato che la jeep è in movimento. Noi la sciarpa non siamo mai riusciti a toglierla! Iniziamo il nostro giro e poco dopo incappiamo in alcuni elefanti. Per lesattezza ce ne sono due sul lato destro della strada ed uno a sinistra, vicino ad un cartello stradale che indica il limite di velocità (vedi foto). Ci fermiamo con la jeep ed iniziamo a fotografarli. Non siamo soli perché ci sono altre persone che li stanno osservando. Dopo un po lelefante di sinistra comincia a dar segni di nervosismo. Dieter, che fa la guida al Kruger da 17 anni e quindi ha una certa esperienza, ci dice che sicuramente è nervoso perché vorrebbe attraversare la strada per riunirsi agli altri, ma ha paura, perché ci sono troppe auto in mezzo e non ha spazio sufficiente per passare con una certa tranquillità. Facciamo quindi retromarcia in maniera tale da lasciargli quello spazio, ma in quel momento arriva unaltra jeep che si mette proprio in mezzo alla strada davanti a noi! Lelefante, che stava per attraversare, si ferma infuriato: con la proboscide prende il cartello stradale e lo stacca, con un colpettino, dal palo. Poi cerca di raccoglierlo da terra senza riuscirci e sempre più arrabbiato incomincia ad allargare le orecchie e a barrire. E decisamente molto, molto contrariato! Finalmente la jeep davanti a noi si toglie di torno e lelefante riesce ad attraversare la strada e a raggiungere i suoi compagni. Verso sera troviamo una mandria di bufali, saranno un centinaio, molto brutti, mettono paura. Sono tutti fermi e ci stanno fissando finché uno di loro (il capo evidentemente) si alza e se ne va nella direzione opposta alla nostra (per fortuna) seguito a ruota da tutti gli altri.
Siamo ormai arrivati allultimo giorno al Kruger (solita alzataccia, ovviamente) e già dal mattino il tempo è pessimo. Dieter è un po seccato perché dice che essendo Giugno nella stagione secca, il tempo dovrebbe essere bello. A metà mattina comincia a piovere e nonostante il tetto, con la jeep aperta ci si lava. Indossiamo appena in tempo delle cerate ma lo scroscio riesce a bagnarci lo stesso. Quello che mi fa abbacchiare non è il fatto di essermi bagnata, ma il fatto che con la pioggia i colori sono smorti e le foto verranno male! Non abbiamo ancora visto dei leoni, Dieter è arrabbiato anche per questo perché ci teneva a farci vedere tutti e 5 i big five (leone, rinoceronte, bufalo, leopardo, elefante). Pazienza per il leopardo che pare sia quasi invisibile dato che se ne sta tutto il giorno in ozio su un ramo o sotto una pianta ed è un predatore notturno, ma il leone dice che ce lo deve far vedere ad ogni costo! Proviamo ad andare a vedere dove ci sono delle pozze dacqua sperando che siano lì a bere, ma niente. Passiamo in una zona dove di solito se ne vedono molti, ma niente nemmeno lì! A parte la brillante e tanto simpatica idea di Stefano che propone di legarmi ad una pianta ed aspettare che ne arrivi uno affamato attirato dalle mie grida…non cè modo di riuscire a vedere un leone. Per fortuna poco dopo Dieter viene avvisato da alcuni colleghi che cè stato un avvistamento di 4 leoni e ci dirigiamo velocemente nella zona segnalata. Ed infatti, in lontananza vediamo due maschi e due leonesse spaparanzati sotto delle piante. Finalmente uno di loro si alza…ma per andare a sdraiarsi poco più in là. Che scansafatiche! Prima di finire il giro assistiamo ad uno spettacolo unico: due rinoceronti che si stanno accoppiando. Dieter rimane quasi senza parole never seen, never seen continua a ripetere: in 17 anni di dice di non aver mai visto laccoppiamento tra due rinoceronti. Ha visto quello di molti altri animali, ma mai quello di due rinoceronti! Da bravi guardoni ci mettiamo a filmarli e a fotografarli, alla faccia della discrezione e della privacy! Se tutto andrà bene il cucciolo nascerà dopo 18 mesi (in pratica, a fine Dicembre 2004).
E giunto ormai il momento di lasciare anche il Parco Kruger, al pomeriggio ci viene a riprendere la nostra guida. Al ritorno facciamo un percorso diverso, lungo una strada più a nord, ma lo spettacolo della natura è sempre notevole. Riesco a fare qualche foto dallauto in corsa ed anche a fotografare un doppio arcobaleno! Ritorniamo nello stesso albergo di tre giorni prima e ci gustiamo ancora la cucina thailandese.
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Al mattino successivo riecco Quentin, addirittura in anticipo. Ci lascia in aeroporto e ci congediamo da lui definitivamente. Si parte per lo Zambia, destinazione aeroporto di Livingstone, Cascate Vittoria. Dallaereo si sorvola per un lungo tratto il Botswana ed il deserto del Kalahari. Anche le cascate si vedono bene mentre si sta atterrando e dallalto fanno un certo effetto. Raggiungiamo il nostro albergo, lo Zambesi Sun, che è anche la sede del Congresso, con il pullmino predisposto dagli organizzatori. Lalbergo è caratteristico perché le stanze hanno un arredamento in stile africano. In alternativa si poteva scegliere un hotel poco distante, il Royal Livingstone, costruito in un lussuoso stile coloniale, molto più costoso. Al pomeriggio, dopo avere sbrigato le formalità al Congresso ed aver assistito ad alcune relazioni che mi interessavano, ci dirigiamo a vedere le cascate che distano davvero pochi passi. Le Cascate Vittoria, formate dal fiume Zambesi, furono scoperte nel 1855 dallesploratore scozzese David Livingstone che le chiamò così in onore della regina Vittoria dInghilterra.
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Le tribù locali le chiamavano invece Mosi-Oa-Tunya, ossia Fumo-che-tuona, ed in effetti il rumore delle cascate si avverte anche a parecchia distanza. Si estendono su un fronte di circa 1700 metri ed il salto è di circa 100 metri. Si possono ammirare sia dallo Zambia (dove eravamo noi) che dal lato Zimbabwe. Lacqua in sospensione è tanta e si formano ovunque degli arcobaleni. Cè la possibilità di andare lungo un sentiero davanti alle cascate ma è necessario mettersi una cerata che viene affittata sul posto, altrimenti ci si lava e comunque è impossibile scattare foto da quel punto perché si bagnerebbe la macchina fotografica. A monte delle cascate, lo Zambesi ha una corrente davvero impetuosa ed impressionante, chi dovesse finire malauguratamente nel fiume in quel punto non avrebbe scampo.Infatti ci ha colpito molto vedere una famigliola con due bambini piccoli fare una scampagnata a pochi centimetri dalla riva del fiume. E pur vero che gli Italiani sono sempre esageratamente apprensivi, ma vedere dei bambini di due o tre anni giocare tranquillamente a pochi metri da un baratro ci ha colpito più delle cascate stesse! Devo dire sinceramente che a noi le Cascate Vittoria non hanno dato particolari emozioni e secondo noi non vale la pena fare un viaggio fin lì, a meno che non si sia di passaggio, ma è chiaramente una valutazione soggettiva ed opinabile.
Il giorno dopo è stato interamente dedicato al Congresso ed alla presentazione del mio articolo, cosa che penso non interessi proprio a nessuno… quindi passiamo direttamente al giorno successivo in cui abbiamo fatto una meravigliosa escursione al Parco Chobe, in Botswana, organizzata dal Congresso stesso. Si parte la mattina alle 7.30 e ci stupiamo nel vedere che siamo solo in 8! La prima parte del tragitto la si percorre con il pullmino perché bisogna raggiungere in fiume Zambesi un bel po a monte della cascata. Infatti la Zambia ed il Botswana sono separati proprio dallo Zambesi. Arrivati al fiume saliamo su una barca che fa la spola tra una riva e laltra. La guida ci dice che su quel tratto dello Zambesi si affacciano ben quattro stati: oltre a Zambia ed Botswana anche Zimbabwe e Namibia. Appena sbarcati dallaltra parte vediamo un gruppo di bambini piccoli che stanno aspettando di salire sulla nostra barca. Sono molto graziosi, tutti con le loro divise blu uguali, evidentemente stanno andando a scuola. Prima di entrare in Botswana, oltre a fermarsi alla dogana per chiedere un visto che viene rilasciato al momento cè una procedura piuttosto curiosa: bisogna pulirsi bene le scarpe camminando in una grande bacinella in cui cè circa un centimetro di acqua per evitare che la polvere attaccata alle scarpe possa portare in Botswana… non si sa bene cosa! Sbrigata anche questa formalità saliamo su una jeep che ci sta aspettando e ci dirigiamo verso il Parco Chobe. E molto bello, direi meglio del Kruger perché, essendo il parco di dimensioni più ridotte cè una maggior concentrazione di animali. La terra poi cambia colore in continuazione: in alcune zone e marrone, poi rossa, poi ancora marrone. La giornata è bellissima e la temperatura mite. Incontriamo gruppi di antilopi, un intero branco di elefanti con diversi cuccioli, alcuni sono ancora allattati dalle loro madri.
Poi diversi ippopotami, bisonti ed anche alcuni uccelli molto belli e colorati. Vicino al fiume Chobe due elefanti si stanno rotolando nel fango e con la proboscide lo aspirano per cospargerselo addosso: è un modo, ci dice la guida, per proteggere la pelle dagli insetti. Passiamo via veloci perché non vorremmo che in fango arrivasse per sbaglio sulla nostra jeep… Poco oltre ecco un gruppo di leoni a distanza ravvicinata! Tanto per cambiare, stanno oziando allombra, sotto unacacia! La nostra presenza li lascia totalmente indifferenti, solo uno di loro alza la testa, ci guarda e si rimette a dormire. Ad un certo punto la guida ferma la jeep e ci fa scendere per assistere allabbeverata di alcuni elefanti. Ci auguriamo tutti che in quel momento non passi di lì per caso lunico leone vispo di tutto il Parco Chobe! E lora del pranzo (per noi, intendo) e veniamo portati in un grazioso ristorante. La guida ci anticipa che nel pomeriggio il viaggio continuerà, ma questa volta in barca, nel fiume Chobe. Il giro in barca (una specie di piccola chiatta sulla quale hanno saldato delle panchine) è ancora meglio del giro in jeep: è bellissimo vedere la savana dal fiume, tutta unaltra cosa! Vediamo tantissimi elefanti che si stanno abbeverando, poi altri elefanti su un isolotto in mezzo al fiume, ancora tanti ippopotami, (uno molto divertente sta dormendo con il muso appoggiato sul fango) e due orribili coccodrilli.
Inizialmente si trovano entrambi fermi su unaltra isola in mezzo al fiume, ma ad un tratto il più grosso, che sarà stato circa tre metri, si butta in acqua in maniera talmente repentina da non darci neanche il tempo di riprenderlo e fotografarlo. Quello che stupisce è soprattutto lagilità che dimostra in acqua. Decisamente è meglio star bene attenti a non cadere dalla barca altrimenti in pochi secondi ci si tramuterebbe in uno spuntino. Il giro è davvero entusiasmante: ad un certo punto un elefante che stava guadando il fiume emerge spaventato e bagnato non appena ha raggiunto un piccolo isolotto, evidentemente ha sentito il rumore della barca ed ha avuto paura! Purtroppo anche questo giro in barca finisce con grande dispiacere di tutti. E ora di ritornare nel nostro albergo che raggiungiamo quando ormai il sole sta tramontando.
Il giorno seguente abbiamo il volo per Johannesburg al pomeriggio per cui al mattino andiamo a fare una passeggiata lungo la strada che attraverso un ponte, collega lo Zambia allo Zimbabwe. Da questo ponte è possibile anche fare bungee jumping, cosa che noi, ovviamente, ci guardiamo bene dal fare! Comunque ci sono già molti valorosi in fila, pronti a gettarsi; a me fa impressione solo a guardare, figuriamoci a farlo! Arriviamo fino alla frontiera con lo Zimbabwe e ci fermiamo a parlare con un poliziotto simpatico che ci chiede di dove siamo, ma non entriamo, anche perché il visto costa svariati dollari. Lungo la strada incontriamo una donna bellissima, alta e filiforme, che tiene in testa un grosso canestro mentre, legato tra le spalle e la vita ha un sacco contenente un bambino. Nonostante il peso si muove con una grazia ed uneleganza incredibile, ma purtroppo non vuole essere fotografata per cui non insistiamo anche se ci dispiace.
Siamo ormai sulla via del ritorno, ma prima di arrivare ci aspettano ancora due belle sorprese, la prima è a Johannesburg: stiamo cercando il nostro gate per il ritorno in Italia e incrociamo ancora Quentin fermandoci di nuovo a salutarlo! Mentre aspettiamo il nostro volo facciamo un po di shopping: in aeroporto ci sono diversi bellissimi negozi, in particolare in uno di questi che si chiama Out of Africa ci sono numerosi oggetti di artigianato locale, dalle bamboline Zulu agli animali in legno intagliato, alle maschere, alle collane, alle camicie con le stampe dei big five. E praticamente impossibile resistere di fronte ad una tale offerta di cose belle ed infatti tra le persone che girano per laeroporto, moltissime hanno in mano la tipica borsa in carta zebrata con il marchio del negozio.
La seconda sorpresa labbiamo al risveglio (siamo ormai sulla Libia) quando davanti ai nostri occhi compare unalba meravigliosa! Questo secondo viaggio in Africa ci ha voluti davvero sorprendere fino alla fine!
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Unultima considerazione: questo viaggio, ma soprattutto la vista a Soweto e la conoscenza di Quentin ci hanno cambiati, sia in meglio che in peggio. In meglio perché apprezziamo maggiormente quello che abbiamo e ci rendiamo conto ancora di più di come sia intollerabile avere dei pregiudizi basati sul colore della pelle (non che prima fossimo razzisti, per carità). In peggio, in quanto siamo diventati noi stessi insofferenti verso la gente che ha avuto tutto dalla vita e ha la sfrontatezza di lamentarsi per delle idiozie! Io personalmente da allora ho smesso di frequentare alcune persone perché non riesco proprio più a sopportarle!
Manuela Campanale [email protected]