Premessa: Trattasi di note piu’ o meno sparse su un viaggio breve ma intenso… giugno ’99. ISOLA DI PASQUA GIUGNO 1999″ L’ombelico del Mondo “
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di Paola Sumi
E’ la seconda parte del mio viaggio di nozze, iniziato in Polinesia.
Si arriva a IPC solo con la Lanchile, che trasporta passeggeri solo il lunedi’ e il giovedi’ ( 5 ore ca. il volo, +4 ore di fuso con Papeete ).
Nel venire qui ero talmente elettrizzata che non mi sono ricordata di comprarmi del mercuro cromo per la mia gamba, reduce da un incontro ravvicinato con un corallo a Bora Bora, e ho fatto malissimo perche’ non esistono farmacie sull’isola: mi hanno recuperato della tintura di iodio dall’asilo ( all’ospedale unico posto dove puoi trovare delle medicine non ne avevano ).
Per la prima volta arrivo in un posto senza essermi informata a fondo, semplicemente perche’ non si trova molto in giro, tranne nel web…confidiamo nelle guide locali, visto che ci hanno caldamente sconsigliato di girare l’isola da soli.
In effetti e’ vero: l’isola sara’ anche piccola, ma e’ una specie di enorme prato (con pochi alberi) SENZA indicazioni, tranne qualche minuscolo cartello che di solito si trova esattamente nel posto che vuoi raggiungere e non, per esempio, nei 5-6 bivi che hai incontrato sulla via!!
La cosa che ci colpisce di piu’ all’inizio e’ il cambiamento di clima: vento e freddino…anni luce di distanza dal Paradiso di B.B! Inoltre, ci dicono che piove la meta’ dei giorni dell’anno, mah! In 4 giorni non abbiamo avuto neanche una goccia…Iniziamo a girare armati di 2 macchine fotografiche, una a colori e una in b/n, con una mitica guida, Ivan, uno di quelli che amano incantare i turisti con storie di altri tempi, e noi siamo li’ apposta per sentire tutti i suoiracconti. Peccato che poi debba ripetere tutto anche in inglese ( pochi turisti e se tra questi ci sono inglesi o americani ovviamente lo spagnolo mica se l’imparano ).
Ivan e’ gentile e parla lentamente, e’ abituato a turisti di ogni dove ma non e’ abituato agli italiani, non se ne vedono quasi mai ( miracolo: oramai in qualsiasi fettina di mondo ci sono piu’ italiani di giapponesi e coreani ) e infatti non ne incontreremo per ben 4 giorni di fila.
Ci racconta che, ad esempio, questa e’ una delle isole che sono state colonizzate piu’ tardi nella storia del Pacifico, e il primo colonizzatore e’ stato il leggendario Hotu Matua ( matua, in polinesiano, significa “antenato” ) che alcuni dicono provenisse da oriente, altri dicono provenisse dalle isole Marchesi. La guida EDT dice che proveniva dalle Galapagos.
C’e’ anche una teoria sugli Incas ( Vd. ultimo paragrafo ), che in realta’ e’ suffragata anche da un altro fatto, riportato dal nostro Ivan: in lingua inca, in rapa nui e in polinesiano la patata dolce viene chiamata nello stesso modo ( non mi ricordo piu’ il nome ) ed esisteva gia’ quando sono arrivati gli olandesi, nel giorno di Pasqua dell’anno vattelapesca.
Loro, i Rapa Nui, si sentono piu’ polinesiani che “continentali” e assolutamente non cileni. Pero’ godono di tutti i vantaggi di una “colonia protetta”, se cosi’ si puo’ chiamare… hanno sconti bestiali sui voli da/per il Cile, non pagano tasse e godono di una specie di “listino prezzi” speciale per quanto riguarda le merci provenienti dal Cile.
Tanto per farvi capire: non ho mai visto un paese nel sudamerica in cui tutti i negozianti hanno il pc e si collegano a internet mentre servono i clienti…La loro lingua rapa nui non e’ scomparsa, la studiano a scuola come da noi si studia il latino, la differenza e’ che iniziano da piccoli e ogni tanto qualche parola salta fuori, come una specie di dialetto non spento. Il sospetto e’ che lo tengano in vita per i turisti…
Comunque – anche se fosse cosi’ – e’ senza dubbio un’isola avvolta in un’aura di mistero come poche altre, dove qualsiasi pezzetto di terra e’ legato ad una leggenda o una storia.
Racconti tramandati solo oralmente nel corso dei secoli, i cui unici resoconti scritti (le tavole di rongo rongo) sono stati distrutti quasi interamente, tranne pochi superstiti che non si trovano neanche li’, ma in qualche museo del mondo dove stanno ancora cercando di decifrarle.
Oramai non esistono piu’ i “Rapa Nui” veri e propri ( sono tutti meticci, nati da matrimoni misti tra polinesiani e… gente sparsa, dal centro al sudamerica ), ma come carattere sono piu’ polinesiani che sudamericani: gentilissimi e attenti, pero’ qui amano le mance ( mentre in Polinesia in genere si offendono se provi a dargliela – meno male, visto che il paese e’ gia’ caro di suo !!! ).E poi i balli polinesiani piu’ belli e coreografici li ho visti QUI.
Arrivando qui, abbiamo trovato un turismo molto diverso da quello che abbiamo lasciato: oltre al fatto che, appunto, gli italiani sono una rarita’, abbiamo visto persone che si guardano in giro come se sentissero di far parte di una specie di club ristretto e la “frase d’ordine” fosse: “anche tu sei tanto pazzo da farti tutta questa strada per questo fazzoletto di terra che non ha neanche una spiaggia pur essendo in mezzo al Pacifico?” ( Beh, una spiaggia ce l’ha, ma con un’acqua cosi’ gelida da impedire altro che non la classica “puccia” dei piedi… )Poi ci sono i gruppi di adolescenti: le scuole “in” del Cile mandano qui gli studenti in gita scolastica.
Un’altra attrattiva dell’isola ( non vi preoccupate, poi arrivero’ anche ai moai ) e’ il suo magnetismo: la terra e’ ricca di ferro e ci sono diverse cave da cui ricavavano i “pukao”, cioe’ i “capelli” dei moai, che sembrano cappelli rossi posti sopra alcune di quelle statuone.
Ma, al di la’ di questo, ci sono diversi punti dell’isola in cui la bussola impazzisce e noi ne abbiamo visitato uno. Vicino alla spiaggia, in mezzo ai ciottoli vulcanici neri come la pece, c’e’ una specie di altare segnalato solo da rocce poste in circolo, al cui centro c’e’ una enorme palla nera ( diametro: boh, ca. 1 metro ), anch’essa di roccia vulcanica, sulla quale la bussola da’ i numeri ( l’abbiamo visto con i nostri occhi ).
La guida dice che i sacerdoti venivano in posti come questi a fare i loro riti, e per caricarsi di energia di disponevano a coppie, da una parte e dall’altra della palla, si inginocchiavano e poggiavano la fronte sulla palla, mentre si tenevano le mani e pregavano.
( O non sono abbastanza sensibile o non sapevo quale preghiere dire, fatto sta che ne’ io ne’ mio marito abbiamo sentito nessuna energia… pero’ abbiamo visto la bussola impazzire )Avete visto il film “Rapa Nui”? io non l’avevo visto, l’ho noleggiato poco prima di partire per il viaggio di nozze – volevo vedere cosa raccontava.
Tolta la parte melensa dedicata alla storia d’amore, racconta romanzescamente un pezzo di storia dell’isola, basato sulla leggenda del Manutara, l’uomo uccello.
Il re dell’isola regnava (con il suo clan) per un anno. Ogni primavera, tutti e 30 i clan facevano una gara in cui i campioni di ciascun gruppo dovevano buttarsi in mare, raggiungere un’isoletta a nuoto, raccogliere un uovo deposto proprio in quei giorni dall’uccello sacro, riportarlo a riva, scalare una scogliera che mette i brividi da tanto e’ scoscesa e portare l’uovo (integro, se no non vale) al re.
Il primo che arrivava regalava un anno di regno al suo capo. Doveva essere una gara sanguinosissima, senz’altro difficilissima, le cui origini risalgono addirittura ai tempi di Hotu Matua.
Quando ne parlano le guide, lo fanno come se si trattasse dell’epoca neolitica; difficile realizzare che invece la tradizione si e’ protratta fino a ca. 2 secoli fa.Beh a questo punto vi racconto un po’ dei moai.
In foto li avrete visti tutti: dei faccioni eretti di fronte al mare… qualcuno con i “capelli”, qualcuno con gli “occhi”, tutti fatti in roccia vulcanica altamente sbriciolabile.Si trovano su altari ( “Ahu”, che significa anche “sepolcro” ) posti dirimpetto al mare, lungo i confini dell’isola.
Tutti danno le spalle al mare, tranne 7, e sono quasi tutti distrutti. I pochi che sono in piedi sono stati restaurati pochi decenni fa. Sono stati gli stessi Rapa Nui a distruggerli, nel corso della loro guerra.
Cosi’ dice la leggenda: dopo diverse gare di Manutara un gruppo di clan, detto dei Lunghi Orecchi, si era imposto all’altro ( Corti Orecchi ), tanto da impedire loro di partecipare alla gara dell’uomo uccello e utilizzarli come schiavi.
Per differenziarsi dai Corti Orecchi (che non portavano orecchini) decisero di… rendere omaggio a loro stessi, obbligando i Corti Orecchi a costruire i moai, che in pratica sarebbero delle statue onorifiche dedicate a qualche personaggio importante morto da poco. Piu’ era importante, piu’ era alta la statua.
Infatti, visti da vicino i moai non sono affatto tutti uguali: si notano differenze anche nell’espressione del viso. E poi hanno trovato molte ossa umane nelle vicinanze dei moai.
Erano disposti con le spalle al mare perche’ dovevano proteggere il villaggio, che stava un po’ piu’ all’interno.
I personaggi piu’ importanti avevano anche i “capelli”, che all’apparenza sembrano invece “cappelli” rossi – il colore della statua era ottenuto da terra ferrosa, il motivo del colore era dovuto al fatto che, nelle feste ufficiali, questi uomini si tingevano i capelli di rosso ( tratto dalle piume di un certo pollo sacro, rossastro ).
Tutti, poi, avevano gli occhi ( oggi invece sono stati riportati solo su una manciata di moai): la cornea era fatta con il corallo, l’iride con la stessa terra ferrosa dei capelli.
Dopo cos’e’ successo: i Corti Orecchi si sono ribellati alla schiavitu’, hanno demolito tutti i moai e hanno… mangiato tutti i Lunghi Orecchi, salvandone solo uno.
E da allora i moai sono rimasti a terra, finche’ ( in questo secolo ) non sono stati restaurati.Il mistero piu’ grande pero’ resta quello del trasporto dei moai: la pietra, tipo tufo, era troppo fragile per permettere il trasporto a mezzo di corde. E poi sarebbero rimasti i segni sulle statue.
Piu’ facile portarli facendoli scivolare su tronchi d’albero ( e in effetti, quando arrivarono gli olandesi, non trovarono neanche un albero), pero’ cosi’ si sarebbero potuti rompere molto facilmente.
Ci sono innumerevoli teorie, ma la leggenda dice che i moai andavano sui loro altari… camminando con i loro piedi: i sacerdoti, carichi di energia, li levitavano dalla cava ( una sola, in tutta l’isola ) dove erano stati costruiti fino ai loro altari. ( E la guida, Ivan, ci guarda sorniona mentre noi siamo li’ a immaginarci, pur sapendo di fantasticare, queste enormi statue che, sotto la volta stellare, “camminano” fino ad andare alle loro “case”… )E rimaniamo impressionati nel visitare la cava, Ranoraraku: e’ un gigantesco cratere, coperto da fiori come se fossimo su una collina scozzese, in cui giacciono ( in piedi o sdraiati ) o spuntano appena dal terreno oltre 300 moai!!
Solo qui, nella cava e circondario, ho fatto fuori due rullini di foto in bianco e nero…
Prima ho parlato di 7 moai che invece sono disposti verso il mare. Sono ad Ahu Akivi e, dice Ivan, rappresentano i 7 navigatori eroi che hanno portato qui Hotu Matua e il suo popolo.
Secondo la leggenda, il sacerdote di Hotu Matua ( un re di un’isola delle Marchesi ), che era un veggente e interpretava i sogni, una notte fece 2 sogni: in uno vide una grande tormenta che avrebbe distrutto l’isola e in un’altro vide se stesso che camminava sulla spiagga di un’altra isola, che avrebbe potuto ospitare la sua gente.
Cosi’ iniziarono i preparativi per trovare quest’isola e scampare all’uragano incombente.
Hotu Matua prese dunque questi 7 navigatori e le famiglie a lui fedeli e parti’, arrivando a Rapa Nui.
Questi navigatori, pero’, avrebbero dovuto tornare alle loro famiglie. Non potendo farlo, perche’ morirono prima, vennero omaggiati con questo altare, che e’ disposto proprio in direzione delle Isole Marchesi.Te Pito O Te Henua: Si pronuncia come si legge e vuol dire “l’ombelico del mondo” – e’ cosi’ che gli indigeni chiamavano Rapa Nui ( che, d’altro canto, significa “grande isola” in polinesiano ).
[ Anche Cuzco vuol dire “l’ombelico del mondo” – o ‘sto mondo e’ pieno di ombelichi, oppure ci sono fin troppe coincidenze tra i peruviani e i rapa nui, non vi pare? Anche se vorrei sempre essere imparziale, forse avrete capito che io credo che in questi rapa nui ci sia il sangue di antenati peruviani… ]
Note pratiche: ALLOGGIO – Noi siamo stati all’Hotel Manutara ( manco a dirlo ), classificato dalla guida edt come livello medio-alto. Bagno in camera, lenzuola e servizi puliti, accoglienza casalinga, piscina inutilizzabile per i 20-22° di temperatura fissa dell’isola ma pulita anche quella, giardino circondato da piante di mini-banane ( platano continental, che produce banane piu’ asprigne e piu’ piccole di quelle normali ).
Nelle escursioni abbiamo visto anche degli “ostelli” ( sembravano piu’ B&B a dire il vero ) che in pratica sono delle dependance di case piuttosto grandine, riarredate in tante camere. Sembravano carini e accoglienti.
Sono dei “residenciales”, a meta’ tra campeggi (nei giardini) e “ostelli”. Il nostro hotel era molto comodo, a 100 mt. in linea d’aria dall’aeroporto che mica e’ Malpensa: 2 voli al giorno, piu’ i voli passeggeri 2 volte alla settimana e a 10 minuti a piedi dal centro.MANGIARE E BERE – Consiglio vivamente il pesce: che sia tonno o mahi-mahi ( pesce del Pacifico ), lo sanno cucinare veramente bene. Si dilettano inoltre con i dolci: buonissimo il platano saltato in padella ( alla venezuelana ), con un po’ di caramello e una pallina di gelato alla vaniglia sopra. Un contorno classico: le “papas mayo”, semplicissime patate bollite condite con maionese.
Vino: cileno, naturalmente – consiglio il cabernet.
Birra: qui va alla grande la Cristal, cilena. Non so se e’ la stessa ditta della Cristal peruviana.
Oppure acqua in bottiglia ( non si sa mai ), ma perche’ accontentarsi se c’e’ di meglio? 🙂
E dopo pranzo una bella manzanilla, che e’ si’ ottenuta con la camomilla, ma la servono in bicchierini da grappa ed e’ alcolica, una specie di distillato di camomilla. Buono e digeribile.
Avete sete e vi sentite spenti? fatevi fare un frullato alla banana o in qualsiasi altro frutto ( usano molto anche delle specie di pere ): vi tirera’ su in un attimo… poi li fanno con acqua gelida, non con il latte.LA CITTA’ – Hanga Roa, l’unica citta’ dell’isola anche perche’ di piu’ non ce ne stavano. E’ una specie di “villaggio allargato”, neanche 3000 abitanti di fronte al mare. Vicino alla casa del sindaco c’e’ il mercato coperto ( e unico ), dove comprare di tutto, dal pesce alle banane alle statuette in legno o tufo dei moai ( naturalmente ).
Va beh, il vento ti ammazza la gola e hai sete? puoi comprare dell’acqua nel supermercato, proprio li’ dietro, ovvero un negozietto di ca. 10 metri quadri che e’ l’unico posto che mi ricorda da vicino il Sudamerica…
Negozi chiamati in modo un po’ pretenzioso “boutiques”, con magliette di tutti i tipi ( non posso tornare da un viaggio senza una classica maglietta raffigurante qualcosa del posto, non importa se e’ made in Taiwan ) e ricordi di tutti i tipi, compresi piccoli moai fatti in lapislazzulo o onice. Dovete solo attrarre l’attenzione del negoziante, troppo preso dal “solitario” di windows o da un viaggetto in internet…
E non pensate di essere, che so, al mercato di Pisac in Peru e cavarvela con una manciata di pesos, i prezzi sono piu’ sul polinesiano che sul cileno.MUSEO – Ce n’e’ uno, a 1,5 km. da Hanga Roa ( e’ una bella passeggiata a piedi lungo la costa, si vedono anche degli ahu con moai restaurati e molto suggestivi lungo il percorso ), il Museo Antropològico, ma per nostra rogna-e-strarogna era chiuso: avrebbe riaperto il mese dopo ( cioe’ luglio 99 ) con una mostra permanente. Nel frattempo, tutti i reperti sono finiti in mostre a tema in diversi musei del mondo.
Va beh, ci siamo goduti la passeggiata e peccato aver gia’ comprato i nostri moai in miniatura al mercato: gli artigiani che bivaccano con la loro coperta davanti al museo ne hanno di bellissimi.VARIE – Saranno modernizzati e tutto, pero’ non azzardatevi a salire sopra un Ahu o vi beccherete insulti/manate in lingua/braccio locale: sentono molto il rispetto per questi “altari” o “sepolcri”, inoltre sono superstiziosi ( una delle poche cose molto sudamericane che hanno ) e hanno una fifa blu di cosa potrebbero fare le anime di quelli che sono rappresentati dai moai e giacciono li’ sotto.
LA GENTE – Sono una via di mezzo tra sudamericani e polinesiani: l’estrema gentilezza innanzitutto, i tratti somatici molto particolari, una “voglia di lavorare saltami addosso” molto sudamericana e un “longing” verso la cultura polinesiana che li fa sentire dei cugini separati dal ceppo base.
Rimediano come possono: ad esempio sono specialisti nel cucinare il pesce, oppure ti offrono anche loro collanine di conchiglie quando dai l’addio, il che e’ meta’ dell’Usanza polinesiana vera e propria: quando arrivi, ti danno una collana di fiori per simboleggiare la natura ridente che ti vuole dare il benvenuto; quando te ne vai ricevi invece una collana di conchiglie, che non appassiranno ( come invece i fiori ) come i bei ricordi che porterai con te.
Ci tengono tantissimo a far sentire a proprio agio gli ospiti: a noi addirittura, mentre facevamo colazione, chiedevano cosa volevamo mangiare per cena e, durante la cena, la cuoca veniva li’ e ci chiedeva se ci era piaciuta l’escursione.
I bambini ( vittime dei miei scatti ovunque io capiti a tiro ) sono un po’ timidi ma li sciogli con un sorriso, dopodiche’ diventano sfrontati e vogliono a tutti i costi essere fotografati, per poi scherzarsi l’un l’altro con frasi tipo “ha fotografato piu’ te di me, ecco” e correre dalla mamma a indicare la turista che li ha immortalati, neanche fossi Goya.TRASPORTI – La guida dice che ti puoi spostare anche noleggiando auto, moto, mountain bike, cavalli… noi siamo invece andati sempre con la guida e in bici o moto non abbiamo visto andare in giro nessuno. Qualcuno in auto e altri a cavallo, sempre con la guida. Ricordatevi che le cartine qui non sono affatto dettagliate e non ci sono cartelli, fuori dalla citta’ le strade sono quasi completamente sterrate, in percorsi che si intrecciano l’un l’altro.
Ci sono invece i taxi, che pero’ sono usati dai rapa nui: mica tutti hanno la macchina! La nostra bibbiaedt diceva che c’erano solo 4 taxi sull’isola, in realta’ sono molti di piu’ e si usano per scarrozzarsi l’un l’altro…boh!
Noi l’abbiamo preso una volta sola, per tornare da una serata di balli polinesiani: avevamo camminato come dei maratoneti tutto il giorno e le nostre gambe sembravano una gelatina alla frutta… a proposito, ricordatevi
di andare a vederli, perche’ sono proprio bellissimi, piu’ allegri, movimentati e coreografici di quelli della “vera” polinesia e tenete al guinzaglio i vostri mariti: le seminude e procaci signorine ancheggianti faranno di tutto per accaparrarsi i bellimbusti campioni di machismo turistico e coinvolgerli nel mezzo della mischia.
Immaginatevi una tranquilla neosposa in viaggio di nozze come puo’ tramutarsi in sbuffante gorgone piena di sicilianesca gelosia ( nonostante sia nata a Milano ) in una situazione simile, mentre d’altro canto il neosposo minaccia terrificanti vendette nei suoi riguardi, visto che comunque la neosposa, una volta ripreso il controllo di se’, si lancia in risate-da-lacrime e scatta 10-12 foto al minuto all’inusitato ancheggiante maritino…ma sto divagando.
C’e’ anche un autobus, per andare a Playa Anakena, se volete fare un bagno e… avete la muta!! ( ricordate la temperatura )I MOAI PIU’ STRANI – Un moai va dalle 20 alle 250 tonnellate, altezza dai 2 ai 21 metri. Il piu’ alto, detto “Il Gigante”, e’ pero’ sdraiato: non hanno finito di ottenerlo dalla cava, e’ pronto per 2/3 ma e’ stato “piantato” li’.
Tutti i moai sono in piedi tranne uno, detto “Il cantante”. E’ anche lui alla cava, pero’ sulle pendici esterne. E’ come accovacciato e ha un’espressione sul viso diversa da tutte le altre, sembra piu’ un Buddha che un polinesiano. Il mitico Ivan ( famoso anche per il suo ipnotizzante intercalare “si’, ahora vien…” che ha sfinito piu’ di un turista ) dice che rappresenta un personaggio simile al bardo dei celti, che proteggeva con i suoi canti e la sua musica gli altri moai e i lavoranti alla cava.
I moai piu’ inquietanti sono, secondo me, quelli con gli occhi ( per fortuna pochi ): visti da vicino sembrano vivi e mettono i brividi…E per finire, una curiosita’:
Visto che siamo in un momento di [RECE] e di rimembranze…
Immagino che abbiate in mente i classici muri di Cuzco, realizzati ( non si sa bene come ) con pietre perfettamente sagomate e “incastrate” tra loro, con una pietra in posizione piu’ o meno centrale che mantiene insieme l’incastro.
E’ uno dei misteri degli Incas. Forse pero’ non sapete che c’e’ un posto, lontano migliaia di chilometri, dove si puo’ trovare un muro simile: l’Isola di Pasqua.
Infatti, in un angolino a sud dell’isola, c’e’ un muro tale e quale quelli degli Incas, con tanto di pietra centrale ( piu’ piccola delle altre, come da architettura Inca ).
E’ un muro lungo forse venti metri, logorato dagli agenti atmosferici, che si erge in mezzo alla sterpaglia e guarda il mare. La leggenda ( riportata dalla nostra guida ) dice che degli intrepidi Incas decisero di sfidare il mare, riuscirono ad arrivare fin qui ma date le difficolta’ incontrate nel viaggio di andata rinunciarono a tornare indietro, per cui, pieni di nostalgia, eressero questo muro qui, lontano dai centri abitati, rivolto a Est, proprio verso la loro patria.
E lo studioso Thor Heyerdhahl ( mi perdonerete, spero, se la grafia non e’ corretta, non ricordo bene ) dimostro’, con la sua barchetta ( Kon Tiki ) di balsa, realizzata secondo le conoscenze dell’epoca, che puo’ essere avvenuta un’emigrazione dal continente verso le isole del Pacifico, tra cui anche Rapa Nui.
C’e’ pero’ un’altra teoria che parla di una datazione delle rocce del muro ben inferiore a quella dell’era inca, ragion per cui probabilmente il muro puo’ essere stato l’ultimo risultato raggiunto da una civilta’ preincaica che ha sviluppato per i fatti suoi la stessa “tecnologia”.
Allora come mai questo muro e’ solo qui, ad Ahu Vinapu? e non si trova in altre parti dell’isola? pero’ ci sono altri resti similari nelle isole Marchesi ? Mistero.
Per ironia della sorte, se puo’ essere vero che tra i primi abitanti dell’isola ci sono stati degli “emigranti dal Peru”, sono stati proprio i peruviani la principale causa della scomparsa degli autentici Rapa Nui, gli indigeni: avendo bisogno di manodopera per le miniere di guano, li hanno deportati in massa e di oltre 3000 persone deportate ne sono tornate a casa ( con la fine della schiavitu’ ) 81, la maggiorparte malati, dei quali ne sono sopravvissuti una decina.