Benvenuti in paradiso: siete alle Cook!

di Manuela Campanale [email protected]
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Dopo 36 ore di viaggio, quattro scali negli aeroporti di Roma, Londra, Los Angeles (ormai lo potrei girare bendata), Papeete (ore 3.00: un caldo umido allucinante), Sabato 23 Aprile 2005 raggiungiamo finalmente Rarotonga. Sono le 5.30 del mattino ed una splendida luna piena illumina la pista di atterraggio. Come nella tradizione polinesiana un’orchestrina accoglie allegramente i visitatori appena sbarcati, che bello, rieccoci in Polinesia!
Prima di lasciare l’aeroporto, cambiamo i nostri Euro in Dollari Neozelandesi, la moneta che si utilizza alle Cook (1€ = 1,78 NZ$). Dopodiché usciamo e cerchiamo di rintracciare il ragazzo che ci dovrebbe portare al nostro primo alloggio: il Shangri-La Beach Cottage (www.shangri-la.co.ck) dove trascorreremo quattro giorni. Troviamo finalmente il tipo che è davvero un Polinesiano atipico: un orso di poche parole che comunque, in una ventina di minuti, ci accompagna alla nostra destinazione. Il posto è decisamente bello ed anche se è ancora notte fonda e non si vede bene, ci fa subito un’ottima impressione. Il Shangri-La si trova sulla spiaggia più famosa di Rarotonga: Muri Beach.
La particolarità di questa spiaggia è che si trova davanti ad una splendida piccola laguna racchiusa tra quattro motu (motu è appunto il nome che i Polinesiani danno agli isolotti che circondano le lagune). Il nostro bungalow si affaccia su un grande prato inglese dove c’è pure una grande piscina. Più che un bungalow si dovrebbe definire miniappartamento perché è circa 40 m2 con un soggiorno, una parete attrezzata a cucina (c’è anche il forno a microonde) separata da un muretto basso dalla zona notte. Il bagno ha una doccia ed anche una vasca con l’idromassaggio. Ah, dimenticavo che c’era pure la TV e l’aria condizionata, ma non abbiamo mai utilizzato nessuna delle due cose. Siamo felici e frastornati e mentre attendiamo l’alba cominciamo a sistemare le nostre cose e ci cambiamo! Abbiamo intenzione di noleggiare un auto per qualche giorno per girare tutta l’isola che, abbiamo già capito, è incantevole.
Sta ormai sorgendo il sole e le nuvole si diradano, stentiamo veramente a crederci ma è una giornata stupenda con un cielo blu senza nuvole. Considerando la pessima nomea di Rarotonga dal punto di vista climatico, ci aspettavamo come minimo il cielo nuvoloso per cui siamo fuori di noi per la gioia. Conosciamo subito i nostri vicini di bungalow: sono una coppia californiana che è venuta alle Cook per sposarsi ed è molto amareggiata perché, ci dicono, quello è il primo giorno di sole dopo ben due settimane (!!!) consecutive di pioggia e loro sono in partenza. Gulp! Ci sentiamo quasi in colpa per essere stati così fortunati. Loro comunque non devono odiarci più di tanto perché si offrono gentilmente di darci un passaggio con la loro auto fino ad Avarua (la capitale). E’ necessario infatti, prima di noleggiare un auto, recarsi alla Stazione di Polizia e farsi rilasciare un permesso di guida che costa 10 NZ$. Ottenuto il permesso, ci rechiamo al vicino autonoleggio. Un ragazzo molto simpatico e chiacchierone ci chiede da dove veniamo, quanto ci fermiamo alle Cook e fa un paio di battutine sul tipo di auto che ci darà e sul fatto che dobbiamo prendere l’auto per almeno tre giorni perché loro fino a martedì mattina sono chiusi. Il costo del noleggio è piuttosto contenuto: 55 NZ$ al giorno. La nostra prima giornata a spasso per Rarotonga ha ufficialmente inizio! La prima tappa è il Mama’s Cafè dove preparano dei mega panini con dentro un po’ di tutto. Sono solo le 8.30 di mattina ma abbiamo già una gran fame. Con la pancia piena si sta decisamente meglio: facciamo un giretto nel negozio Island Craft ma restiamo molto delusi: solo paccottiglia che è tutto tranne che artigianale e soprattutto prezzi alle stelle. Usciamo a mani vuote e ci dirigiamo verso il famoso mercato Punanga. Anche questo è una mezza delusione, situato all’aperto è composto da tante piccole baracche ognuna delle quali ospita un venditore. Ci sono soprattutto parei, statuette in legno, collane di conchiglie, ma benché i prezzi siano più contenuti non c’è nulla che attira la nostra attenzione ed usciamo senza acquisti anche da lì. Facciamo un salto anche all’ufficio postale per comperare delle cartoline ed una scheda telefonica. Io sono attratta da dei bellissimi francobolli che rappresentano la fauna marina e ne acquisto l’intera serie. Sono esposte anche le monete delle isole Cook. E’ difficile trovarle in giro ed hanno forme particolari: la moneta da 2$ ha una forma triangolare, mentre quella da 1$ ha i bordi ondulati. Comunque entro la fine della vacanza ce se siamo accaparrati un po’ come ricordo, anche se al di fuori delle Cook non hanno alcun valore. Facciamo poi una tappa in un supermercato dove prendiamo acqua, birra, biscotti, spaghetti e un sugo pronto di pomodoro che non ci ispira molto ma che alla fine si rivelerà eccellente. A questo punto possiamo finalmente iniziare il nostro giro dell’isola. Andiamo verso l’aeroporto. la strada che lo costeggia è sopraelevata ed è protetta dal mare da un muro molto alto. La onde che raggiungono quella parte dell’isola infatti sono grosse ed il reef che si trova a circa 100 m dalla strada non riesce ad attenuarle completamente, tant’è che in certi momenti arrivano gli schizzi fin sulla strada.
La spiaggia circonda l’isola in maniera pressoché continua.
Diversamente dalle isole della Polinesia Francese in cui molto spesso le spiagge sono piccole se non del tutto assenti, alle Cook ci sono grandi spiagge bianche ovunque. E tutte belle, orlate da palme, come nell’immaginario collettivo. Allontanandosi dall’aeroporto e continuando a percorrere il perimetro dell’isola (32 km) si raggiunge una zona in cui la spiaggia bianca è particolarmente bella ed anche la laguna ha dei colori fantastici. Questa è anche la zona in cui si trovano le maggiori possibilità di alloggio. Bisogna sottolineare come non solo il mare e la spiaggia siano stupendi, ma anche l’entroterra non è da meno. In pratica a destra si vede una spiaggia bianca ed un mare turchese, mentre a sinistra la classica vegetazione lussureggiante in cui compaiono mille sfumature di verde. Ci fermiamo al Rarotongan Beach Resort che assieme all’Edgewater Resort è l’unica struttura dell’isola in cui non si pernotta solamente, ma si fa colazione, si pranza e si cena. Tutti gli altri posti forniscono unicamente l’alloggio con in più però la possibilità di prepararsi da mangiare da soli in quanto c’è sempre l’angolo cottura. Qui al Rarotongan vogliamo prenotare un tavolo per la cena dato che ci sarà una Island Night, vale a dire una serata con le danze tipiche delle Cook. I ballerini delle Cook sono considerati i migliori di tutta la Polinesia per cui non possiamo certo perderci le loro esibizioni. La cena costa abbastanza (55NZ$ a testa), ma ne dovrebbe valere la pena. Almeno così dicono tutti. Completiamo con calma il giro dell’isola senza perderci nemmeno uno scorcio e alle 13.00 siamo di ritorno al Shangri-La. Facciamo la conoscenza del signor Elliot, il padrone, un tipo estremamente chiacchierone che parla mangiandosi le parole per cui capiamo a stento quello che dice. Ci racconta un sacco di cose sull’isola, ci consegna le scarpe da utilizzare per camminare nell’acqua ed evitare di tagliarsi i piedi con i coralli e ci mostra dove sono le canoe di libero uso. Unica avvertenza: utilizzarle per al massimo due ore per dare a tutti l’opportunità di farci un giro. Ce ne andiamo finalmente in spiaggia a fotografare la laguna e gli isolotti approfittando di questa splendida (e rara) giornata di sole che rende tutto ancora più incantevole. Ci prepariamo poi per la cena e alle 19.00 siamo puntuali al Rarotongan come ci avevano raccomandato. Il posto è bello anche se ci sono troppi tavoli per i nostri gusti ma la cena a buffet non è assolutamente all’altezza della fama del resort né tantomeno di quello che la fanno pagare. Solo i dolci sono ottimi, il resto lascia molto a desiderare: cibo insipido, patate crude ecc. Tirando le somme a fine viaggio è stato sicuramente il posto in cui si è mangiato peggio. In compenso però, quando alle 20.00 iniziano le danze (che si concluderanno ben un ora più tardi) il malumore lascia il posto all’ammirazione. Decisamente la fama di ballerini migliori della Polinesia è meritata. La ragazze, giovanissime e sottili, ballano in maniera sinuosa muovendo i fianchi con grazia tutta femminile mentre i ragazzi, tutti con dei bei fisici (palestrati?) si muovono sulla stessa musica, ma in modo molto virile, direi quasi aggressivo. Nell’insieme è un gran bel vedere. Bisogna ammettere che è stato questo il miglior spettacolo di danze che abbiamo visto alle Cook (ne abbiamo visti poi altri tre). Alle 22.00 siamo già a letto: la giornata è stata troppo piena di emozioni e siamo stecchiti! 
Il mattino successivo è Domenica e ci svegliamo sotto un cielo nuvoloso. Ci beviamo un po’ di the con i biscotti e poi senza perdere un solo prezioso secondo di tempo via di nuovo verso Avarua anche se sappiamo che è Domenica e probabilmente tutti i negozi saranno chiusi. Infatti è proprio così, ma fortunatamente i bar sono aperti per cui ci fermiamo a mangiare al Blue Noon Cafè. Ci vuole davvero la pazienza di Giobbe nei bar di Avarua perché il servizio è stralento; dopo ben 35 minuti arriva il mio bel croissant caldo ripieno di formaggio e prosciutto, mentre Stefano si mangia una bella omelette con contorno di frutta tropicale tra cui una splendida carambola dolcissima. E pensare che io ero convinta che fosse un frutto acido e che non sapesse di nulla. Evidentemente è molto diverso mangiarla a 20.000 km dal posto di produzione dato che verrà raccolta e spedita ancora acerbissima! Non è facile quest’anno trovare la frutta alle Cook. Ci hanno spiegato in molti (è uno dei loro argomenti di conversazione preferiti) che quest’anno frutta se ne trova poca per via dei cicloni. Dai primi giorni di Febbraio alla metà di Marzo ben quattro, (sì, proprio quattro!!) cicloni hanno attraversato le isole Cook, alcuni di intensità massima, pari a 5. Mina, Nancy, Olaf e Percy hanno spazzato via la frutta che stava completando la maturazione sugli alberi, quando addirittura non sono stati sradicati gli alberi stessi! Erano anni che sulle Cook non si abbatteva un ciclone di così forte intensità, figuriamoci quattro, uno dopo l’altro poi! Fortunatamente non ci sono stati né morti né troppi danni alle strutture (“solo” l’isola di Puka Puka, a nord, è stata devastata), il raccolto di frutta però è stato irrimediabilmente compromesso. Dopo questa megacolazione raggiungiamo la Perfume Factory. E’ chiusa, ovviamente, ma ci fermiamo lo stesso ad ammirare la grande fontana che si trova davanti all’ingresso ed è piena di ninfee fiorite, rosa e viola. C’è anche una scimmietta chiusa in una grande gabbia. Un cartello appeso alla gabbia dice che è lì dal 1985 (poverina!!!) e di non introdurre le dita perché morde. Perché, voi cosa fareste se foste chiusi in una gabbia da vent’anni? 
Superato il fiumiciattolo Avatiu ci inoltriamo per alcuni chilometri sulla sinistra, in mezzo ad una splendida e fitta vegetazione. Ad un certo punto un cartello invita a parcheggiare l’auto e a proseguire a piedi. Ci inoltriamo lungo un sentiero largo e pianeggiante, fiancheggiato dalle più comuni (da noi) piante…d’appartamento che lì crescono spontanee e bel rigogliose. Inizialmente si cammina agevolmente in quanto la salita è minima, mentre dopo una decina di minuti si svolta a destra ed il sentiero comincia ad inerpicarsi verso la cima chiamata Rua Manga (413 m).  Questa cima è detta l’ago per la sua forma appuntita e la si vede bene stagliarsi in lontananza. Dopo un po’ diventa impossibile proseguire perché il sentiero sparisce letteralmente in mezzo alla fitta boscaglia, per cui, per evitare di passare il resto del viaggio alla ricerca della via d’uscita, preferiamo desistere e, seppur a malincuore, ritorniamo indietro. Nel frattempo è uscito anche il sole e dato che sono ormai le 13.00 ce ne ritorniamo al Shangri-La. Ci facciamo fuori un po’ di pacchetti di crackers con il formaggio e la maionese e ci sistemiamo al sole in veranda. Due ore dopo siamo ormai stufi di non fare nulla e risaliamo in auto. Questa volta ci dirigiamo verso sud e dopo una decina di chilometri abbandoniamo la strada principale che costeggia il mare per percorrere quella parallela che sta un po’ più all’interno. La strada si snoda in mezzo ad una vegetazione verdissima dove le palme la fanno da padrone. Veniamo attratti da un cartello con la scritta “wood handmade” proprio davanti ad una bancarella lungo la strada. Scendiamo a dare un’occhiata: un signore sta intagliando delle statuine ed infatti sulla bancarella sono esposte delle belle cose fatte a mano e completamente diverse da quella paccottiglia fatta in serie che si trova nei negozi per i turisti. Comperiamo una statuetta di Tangaroa, il dio della fertilità, ed un grazioso ukulele tutto dipinto a mano, la cui cassa è ricavata da mezza noce di cocco. Ci congediamo da due robuste signore regalando delle caramelle ad un bambino bellissimo e sorridente. Il viaggio prosegue fino al completamento del giro dell’isola. A cena, decidiamo di provare il sugo comperato al supermercato e ci facciamo un bel piatto di spaghetti. Una curiosità: gli spaghetti hanno un solco longitudinale che fa “prendere” meglio il sugo, non credo di averli mai visti da noi. 
Il giorno successivo è l’Anzac Day una festività che commemora i caduti di tutte le guerre. Quando ci alziamo sta piovendo, prendiamo l’auto ed andiamo ad Avarua come al solito. I negozi sono chiusi come alla Domenica perché gli abitanti delle Cook sono molto religiosi e santificano le feste nel vero senso della parola, nessuno si sognerebbe mai di lavorare in un giorno festivo. Peccato, perché speravamo di poter fare un po’ di acquisti. Questa volta andiamo a mangiare al Salsa: colazione molto leggera a base di uova, prosciutto ed omelettes. Il servizio anche qui è esageratamente lento: alle Cook è consigliabile non aspettare mai di avere veramente fame per sedersi al tavolo di un bar o di un ristorante perché sarebbe una vera e propria agonia. Dato che è tutto chiuso torniamo indietro e finalmente, verso le 11.00 esce inaspettatamente uno splendido sole. Ci stendiamo sulle sdraio nel prato davanti fino a mezzogiorno, quando decidiamo di fare un salto fino alla spiaggia che si trova esattamente di fronte al bar Fruits of Rarotonga. Questo posto è famoso per lo snorkeling perché pare che sia il migliore dell’isola. In effetti pesci ce ne sono moltissimi, ma di coralli se ne vedono decisamente pochi. Ritorniamo al Shangri-La e decidiamo di approfittare della splendida giornata per uscire con la canoa a due posti. Pagaiare in mezzo ad una laguna il cui colore va dal verde al turchese e la cui acqua ha una incredibile trasparenza è un’emozione difficile da descrivere. Facciamo il giro dell’isola di Koromiri e raggiungiamo quella di Oneroa.
E’ troppo bello! In alcuni punti la laguna è talmente bassa che si fa persino fatica a pagaiare. Torniamo indietro dopo più di un’ora e, depositata canoa e pagaie, ci spostiamo verso la parte nord di Muri beach perché la spiaggia davanti al Shangri-La sta andando in ombra. Troviamo un posto che ci piace e stendiamo i nostri asciugamani poco distante da una ragazza giovane, con tanti capelli ricci che ha una carrozzina vicino a sè. Dopo un po’ di tempo la ragazza si alza e si avvicina a noi: ha sentito che parliamo in italiano ed è Italiana anche lei. Si chiama Roberta e, assieme al marito Stefano gestisce un piccolo ristorante italiano, il That’s Pasta (ora ha cambiato nome in STEFANO’s italian cuisine http://www.stefanos-restaurant-rarotonga.com/ ) in cui preparano bruschette, pasta e ravioli fatti in casa. Hanno due bambini: quello nella carrozzina, Alex, ed una bambina un po’ più grande, Ambra, che ha degli splendidi occhi dello stesso colore della laguna. Ci raccontano che vengono da Milano e sono a Rarotonga dal 1999. Parliamo anche con loro dei quattro cicloni e ci raccontano di come per fortuna i danni alle cose siano stati contenuti, mentre siano state maggiormente danneggiate le piante. L’isola di Oneroa, ad esempio, era molto più bella prima, con una vegetazione ben più fitta. Ci congediamo promettendo che la sera successiva saremmo passati a trovarli nel loro ristorante. Concludiamo la giornata con una cena al Flame Tree bellissimo ristorante che prende il nome dall’enorme pianta che sovrasta il giardino ma che purtroppo è ormai sfiorita. Ceniamo all’aperto, si mangia divinamente, cose molto diverse. Ci prendiamo un tempura ed un secondo piatto a base di pesce, sin troppo abbondante. La spesa è comunque contenuta (40 NZ$ a testa).
Martedì 26 Aprile ci svegliamo prestissimo ed un’alba meravigliosa tinge il cielo di rosso. Ci vestiamo precipitosamente e in un attimo siamo in spiaggia a fotografare il sorgere del sole.
Un’alba così sfolgorante è difficile da vedere! Riesco a fotografare l’isola di Taokoka con uno sfondo rosa e celeste e con una botta di fortuna riesco a riprendere anche un pescatore che sta tirando la sua rete in acqua. Alle 8.00 siamo già diretti verso il centro, dato che entro le 10.00 dobbiamo riconsegnare l’auto e prima vogliamo fare ancora un sacco di cose. Entriamo in un grande negozio e comperiamo due magliette azzurre di Rarotonga, due magliette della squadra di rugby del Sud Pacifico e un cappellino del Rarotongan Fisherman Club. Ritorniamo alla Perfume Factory che finalmente è aperta ed acquistiamo una bottiglietta di profumo di tiarè. Puntuali riconsegniamo l’auto ed una ragazza ci accompagna al Shangri-La. La giornata è soleggiata per cui ci sdraiamo al sole. A mezzogiorno una bella spaghettata al pomodoro (non abbiamo fatto la nostra solita super colazione per cui abbiamo fame) finché nel primo pomeriggio il cielo comincia a coprirsi di nuvole e piove. Pazienza, purtroppo siamo senz’auto e non ci possiamo muovere quindi passiamo il tempo con la Settimana Enigmistica che abbiamo in valigia (di solito ci portiamo in vacanza gli ultimi tre numeri). Appena smette di piovere però andiamo in spiaggia ed io raccolgo il mio solito sacchettino di sabbia che, essendo umida, metto nel microonde ad asciugare… Ceniamo da Roberta e Stefano al That’s Pasta. Noi di solito all’estero non andiamo a mangiare nei ristoranti italiani, ma questa volta è diverso perché i due ragazzi sono molto simpatici per cui ci fa piacere scambiare finalmente qualche parola in italiano. La bruschetta ed i ravioli che mangiamo sono squisiti ed anche il tiramisù è speciale. Mi secca molto dirlo perché Stefano è un uomo e pure un po’ rompi, ma cucina molto bene. Torniamo al nostro bungalow e facciamo le valigie dato il mattino successiva si parte: destinazione Aitutaki, uno degli atolli più belli del mondo, dove passeremo ben sei giorni.Piove tutta la notte e al mattino sta ancora piovendo quando, alle 7.00, viene a prenderci il solito taxista musone. Alle 7.15 siamo già in aeroporto, che però è ancora completamente deserto: siamo noi i primi ad arrivare. Dopo 10 minuti si presenta un ragazzo che dal banco dell’Air Rarotonga ci fa cenno di avvicinarci. Gli porgo il biglietto elettronico fatto attraverso il sito (www.airrarotonga.com) e, senza chiederci alcun documento, ci dà le carte d’imbarco. Ovviamente, di metal detector e raggi x per le valigie non se ne parla proprio. Del resto, a chi verrebbe in mente di fare un attentato alle isole Cook? E a quale scopo, poi? L’aereo parte alle 8.10 ed il volo dura circa 45 minuti. Quando siamo in dirittura d’arrivo, il cielo è quasi sgombro da nuvole e la veduta sulla splendida laguna di Aitutaki è indescrivibile. La sua forma assomiglia vagamente a quella di un triangolo equilatero i cui lati siano lunghi circa 12 km ed è tutta circondata da motu. Ad Aitutaki splende il sole. Assieme a noi, sull’aereo c’è il un gruppo organizzato che visita l’atollo in giornata. Secondo noi è una vera follia fare solo un’escursione giornaliera da Rarotonga (peraltro molto costosa) e non trascorrervi invece un po’ di giorni, e questa convinzione si rafforzerà dopo la nostra permanenza in quest’angolo di paradiso. A proposito di paradiso: fuori dall’aeroporto ci sta aspettando il pullmino che ci porterà alla nostra prima sistemazione dove trascorreremo tre giorni: il Paradise Cove appunto! (www.ck/aitutaki/paradisecove). Il posto è molto bello: i bungalow sono situati su palafitte in mezzo alle palme
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e si affacciano su una lunghissima spiaggia bianca. Il nostro bungalow si chiama Are Tipani e la terrazza che dà sul mare è costruita attorno ad una palma. All’interno per la verità i bungalow non sono un gran che anche se hanno TV, frigorifero ed angolo cottura. In proporzione alla stanza invece i bagni sono grandi e nuovi. Dato che la giornata è splendida, ci precipitiamo in spiaggia. Il mare è bellissimo, anche se la laguna vera e propria, che si trova dall’altra parte dell’isola, è sicuramente migliore. Il fatto è che solo su questo lato dell’isola c’è una splendida spiaggia, mentre il lato che si affaccia sulla laguna non ne ha. Da qui la scelta (o la necessità) di costruire tutte le strutture “turistiche” sulla parte sinistra di Aitutaki. La sabbia è talmente fine che si appiccica ovunque. Entriamo in mare per fare snorkeling: l’acqua è decisamente calda, molto più che a Rarotonga. Ci sono anche qui molti pesci, ma pochi coralli, in mezzo ai quali spicca una enorme stella di mare azzurra. Più tardi andiamo a fare una lunga passeggiata verso il sud dell’isola fino a raggiungere una zona in cui si trovano delle rocce scure sul mare e poi ancora verso nord, fino a raggiungere la pista dell’aeroporto.
Il cielo è di un blu intenso, come da noi lo si vede solo in montagna, quando torna il sereno dopo un temporale. La spiaggia è ovunque piena di coralli (è necessario indossare della scarpette di gomma per evitare di tagliarsi i piedi) e le palme sono ovunque: un posto da favola. Terminiamo il pomeriggio spaparanzati al sole, non prima però di esserci recati alla reception per farci prenotare un tavolo al Blue Noon Cafè, dato che quella è la serata in cui ci sono le danze. Chiediamo pure di noleggiare uno scooter che ci viene recapitato dopo pochi minuti. Dopo una bella doccia calda inizia il nostro giro in scooter: bighellonare senza meta in un posto simile ci dà un senso di appagamento e di libertà che è impagabile ed indescrivibile. Aitutaki è incantevole. Ormai abbiamo una certa esperienza di isole e questa ci colpisce molto perché, oltre ad essere meravigliosa, piena di verde, di fiori, di prati con l’erba ben tagliata, è anche pulita ed ordinata come non ci saremmo mai aspettati.
Raggiungiamo la parte sud dell’isola, ci inoltriamo verso l’interno ed è tutto un susseguirsi di sorrisi e di ciao con la mano da parte della gente del posto.
Prima di tornare al Paradise Cove ci fermiamo al Maina Traders Superstore, nel villaggio di Arutanga, per comperare Coca Cola, crackers, biscotti, e la seconda maglietta per Stefano, questa volta rossa. Alle 20.00 siamo al Blue Noon Cafè che dista solo pochi minuti, in scooter, dal Paradise Cove. Qui la cena (c’è l’Island Night) costa solo 25NZ$ ed è a buffet. Ci sono molte meno cose che al buffet del Rarotongan, ma in compenso sono tutte squisite, a cominciare dal pesce crudo marinato e dalle patate pasticciate. Le danze invece non sono all’altezza di quelle viste a Rarotonga perché i ballerini sono meno professionali ed i costumi meno curati. Nel complesso comunque una serata molto piacevole. Torniamo alle 21.30 sotto una pioggerellina sottile.
Ed eccoci ormai a Giovedì. Alle 8.30 una signora gentile ci porta la colazione in camera. In teoria avremmo dovuto avere un piatto di frutta tropicale, ma dato il problema della scarsità di frutta, viene sostituito con del pane, burro, marmellata e succo di frutta che a noi va anche meglio. Alle 9.30 passano a prenderci per l’escursione nella laguna che avevamo prenotato il giorno prima con Teking (costo 65 NZ$). Il cielo purtroppo è coperto e alle 10.00 si parte. La laguna sarebbe una favola se ci fosse il sole, ma col cielo coperto tutti i colori sbiadiscono per cui non vale neppure la pena fare foto. La barca è lunga circa 7 m e siamo in 10, più il capitano Ricky, molto simpatico e spiritoso. La prima tappa è l’isola di Akaiami
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in cui sorge il Gina’s Beach Lodge. Ci fermiamo circa 20 minuti: il tempo di fare due passi e comperare un pareo in vendita su una bancarella. Risaliamo in barca e ci dirigiamo verso l’isola Tapuaeta’i chiamata semplicemente One Foot Island in seguito ad una leggenda che Richy ci racconta. Si narra infatti che molti anni addietro, un padre, fuggendo con il figlio dall’isola principale in cui erano arrivati dei guerrieri sanguinari, si rifugiò qui arrivando via mare con una canoa. Una volta raggiunta l’isola ed attraccato la canoa, il padre prese sulle spalle il figlio, attraversò la spiaggia e lo nascose all’interno, tra gli alberi. Poco dopo purtroppo i guerrieri raggiunsero l’isola ed uccisero il padre, ma avendo visto sono un paio di orme sulla sabbia non si avvidero della presenza del figlio che così si salvò. Da qui il nome di “one foot” island, che significa appunto “un solo piede”.
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Su quest’isola c’è un ufficio postale molto particolare, ad uno esclusivo dei visitatori, in cui, a richiesta, viene posto gratuitamente uno speciale timbro sul passaporto. C’è anche un bar ed anche qui si possono acquistare dei bei parei. L’ultima tappa del nostro giro in laguna è l’isola di Maina, all’estremità inferiore sinistra della laguna. Prima però ci fermiamo nelle vicinanze per fare snorkeling. Ci sono i soliti pesci, coralli, ma ci colpisce una tridacne gigante, ma veramente enorme, avrà avuto il diametro di un metro!!! Sembrava che ci potesse inghiottire! Raggiungiamo Maina: è l’ora di pranzo e si mangia seduti su sedie in plastica poste nell’acqua caldissima della laguna. Il pranzo è squisito: tonno cotto al momento sulle braci (mai mangiato un tonno migliore) e tanti piatti a base di verdura. Dopo aver mangiato, mentre stiamo passeggiando in spiaggia scorgiamo un piccolo paguro rimasto non si sa come senza casa e ci diamo da fare per trovargliene una. Finalmente gli proponiamo una conchiglia di suo gradimento e ci si insedia. Alle 15.30 si riparte per tornare indietro e dopo circa mezz’ora siamo al Paradise Cove. Ci laviamo e poi usciamo per fare il solito giro dell’isola con lo scooter dato che non l’abbiamo ancora esplorata tutta. Per finire il pomeriggio ci godiamo un bel tramonto sul mare
dalla terrazza del nostro bungalow. Per la cena abbiamo prenotato al Coconut Crusher Bar, vicinissimo a noi, dove ci sarà l’ennesima Island Night. Facciamo la conoscenza di un ragazzo tedesco (di Francoforte) che sta girando (BEATO LUI) tutto il Sud Pacifico e ritroviamo pure una coppia di Americani conosciuti al Shangri-La. La cena a buffet è ottima anche qui ed anche le danze sono belle. Vengo coinvolta pure io da un bel Polinesiano e Stefano si diverte molto a riprendermi con la videocamera minacciando di divulgare il filmato… Alle 20.00 ci trasciniamo a letto stanchi morti.
Venerdì la giornata inizia nuvolosa. Alle 9.30 ci attende il transfer per la seconda escursione sulla laguna, questa volta abbiamo scelto di andare con Kia Orana Cruise. Il capitano Andrew è simpatico anche lui e anche stavolta siamo in 10. La barca è molto simile a quella di Teking ma si sta più comodi. La prima tappa questa volta è l’isola di Motorakau, che, ci dice Andrew, è di origine vulcanica. Pare sia famosa in quanto nel 2000 vi è stato girato il reality show “Survivor” edizione inglese.
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L’isola è, manco a dirlo, bellissima, con spiaggia bianca da una parte e una zona rocciosa dall’altra. Non deve essere stato tanto difficile fare i “sopravvissuti” in un posto del genere! La seconda tappa è One Foot Island, un classico che non manca mai nei giri in laguna, ma l’ufficio postale è chiuso. Forse solo Teking ha una convenzione per fare timbrare i passaporti? Boh! Andrew ci porta poi a fare snorkeling in mezzo alla laguna in un punto in cui l’acqua è particolarmente bassa e si tocca. Nel frattempo è uscito il sole e finalmente la laguna appare ai nostri occhi in tutto il suo splendore. L’acqua è calda e trasparente, pinniamo un po’ e vediamo i soliti pesci, i coralli, ma ogni volta è un emozione. Se si tiene tra le mani un po’ di pane in men che non si dica si è circondati. Facciamo tappa a Maina island dove ritroviamo Ricky che sta pranzando in acqua con sei persone. Andiamo a salutarlo e gentilmente ci invita a mangiare con loro, ma gli spieghiamo che purtroppo non possiamo fermarci ed abbandonare il nostro gruppo, per cui rinunciamo a malincuore a tutte quelle cose buone che avevamo mangiato il giorno prima. Risaliamo in barca ed approdiamo sulla vicinissima Honeymoon Island, tappa finale per il pranzo.
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Andrew ci racconta che quell’isola è di nuova formazione, infatti sulle foto più vecchie della laguna l’isola non è presente. Ha cominciato a formarsi recentemente: all’inizio era solo un banco di sabbia stretto e lungo che è andato via via estendendosi finché sono arrivate dalle isole vicine le prime noci di cocco che hanno cominciato ad attecchire. Un po’ alla volta l’isola ha cominciato a rinverdirsi, oltre che continuare ad espandersi. Ora è sicuramente una delle più belle, con una spiaggia bianca immensa che si estende anche in profondità per centinaia di metri. Il pranzo questa volta non è un gran che: niente pesce fresco cotto al momento, ma solo panini con il tonno (in scatola), verdura e frutta, un po’ deludente insomma. Comunque l’isola è davvero incantevole e vale la pena fare l’escursione ed inoltre ha una particolarità: è abitata da degli uccelli bianchi chiamati redtailed per via della loro sottilissima coda rossa. Ce ne sono molti che stanno covando e riusciamo a fotografare anche un pulcino. Un signore australiano, peraltro molto simpatico, che evidentemente si era avvicinato troppo, viene allontanato in malo modo da una femmina che sta covando e che lo rincorre per qualche metro. Prima di tornare indietro ci fermiamo ancora a fare snorkeling: anche se abbiamo appena mangiato, l’acqua è talmente calda che non c’è pericolo di fare una congestione. Anche stavolta, alle 16.00 siamo già di ritorno. Anche noi, durante il consueto giro pomeridiano in scooter, rischiamo una aggressione. Stiamo percorrendo una stradina sterrata, quando in lontananza vediamo che proprio in mezzo alla strada c’è una gallina con sei pulcini. Questa, non appena ci vede, prima porta tutti i pulcini oltre il ciglio della strada e poi, incavolatissima, si mette a rincorrerci starnazzando. Una bella acceleratina e voilà, quella stupida gallina è seminata! Non glielo abbiamo mica detto noi di mettersi in mezzo alla strada con la prole!! Ormai stiamo veramente scoprendo ogni angolo più nascosto dell’isola ed è veramente tutta bella, non ci sono zone abbandonate o degradate, è tutto un fiorire di ibischi, frangipane, ed è tutto ben curato. Torniamo indietro per il tramonto che però non offre nulla di speciale e ceniamo in un locale che si trova a 30 metri dal Paradise Cove: il Puffy’s, dove assisteremo alla quarta serata tipica con le danze. Al nostro tavolo si siede anche una coppia di signori anziani originari delle Cook che, ci raccontano, hanno abitato per molti anni in Nuova Zelanda ed ora hanno deciso di rientrare definitivamente ad Aitutaki. Il buffet è molto buono anche qui, in particolare c’è del pesce crudo fatto a cubetti e marinato che è la fine del mondo! Le danze sono di un buon livello e scopriamo che i ballerini sono gli stessi che si esibivano il giorno prima al Coconut Crusher. 
E’ ormai Sabato, e ci svegliamo presto. Al solito facciamo colazione in terrazza e riceviamo la visita di un gattone rosso e di alcuni uccellini che vengono a beccare le briciole. Al gatto diamo il latte che ci hanno portato e che noi non beviamo mai. Saliamo in scooter e via verso il centro per fare il pieno e per comperare una Kia Ora Card e dei sigari per Stefano. Alle 10.00 arriva una ragazza, Melanie, che ci porterà al Ranginui’s Retreat (www.pacific-resorts.com/ranginui/) dove trascorreremo altri tre giorni. Questo posto si trova in fondo alla pista dell’aeroporto e si affaccia sulla laguna. Salutiamo la ragazza alla reception che ci infila al collo due splendide collane di fiori, poi Stefano carica la valigia sull’auto di Melanie e noi la seguiamo in scooter. Arrivati a destinazione conosciamo subito il padrone, Steve, un simpatico Neozelandese che ha sposato una ragazza del posto e che ha quattro figli, tutti splendidi, ovviamente, è difficilissimo infatti che una persona nata da un incrocio di razze diverse non sia più che bella. O, perlomeno, tutti quelli che abbiamo conosciuto noi lo erano. I bungalow sono semplici ma spaziosi, con angolo cottura, divano, forno a microonde, frigorifero e ventilatore a soffitto. Trascorriamo la giornata in spiaggia, sdraiati sui lettini in dotazione.
Un sottile tratto di mare ci separa dal motu di fronte, Akitua, su cui sorge il costoso Aitutaki Pearl Beach Resort. Dopo un po’ di ozio prendiamo la canoa (anche qui messa gratuitamente a disposizione dei clienti) e decidiamo di attraversare il sottile canale per andare su quell’isola e fare un po’ di foto alla laguna da una prospettiva migliore. Stando ben attenti a non bagnare macchina fotografica e videocamera, pagaiamo velocemente ed in tre minuti di orologio siamo già arrivati. Effettivamente il Pearl Beach si trova in una posizione privilegiata perché da quella parte la laguna è un gran bel vedere! Una distesa di acqua verde-azzurra si perde davanti a noi per chilometri ed all’orizzonte si scorge l’isola di Rapota che la delimita verso sud.
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Non si finirebbe mai di fotografare! Alle 17.00, tornati indietro, riprendiamo il nostro adorato scooter e, superata la pista dell’aeroporto, ci dirigiamo proprio di fronte al Paradise Cove. Una coppia conosciuta la sera prima ci ha spiegato infatti che, salendo verso la collina proprio da una strada che si trova di fronte al Paradise Cove, si arriva sulla “cima” Maungapu (124 m) da cui si gode di una splendida veduta dell’isola e della laguna. Si sale per un centinaio di metri, dopodiché si deve parcheggiare lo scooter proprio di fronte ad una casa e si deve proseguire a piedi. Si impiegano solo quindici minuti per raggiungere la cima, ma nell’ultima parte del percorso la salita è MOLTO impegnativa. Bisogna indossare scarpe o sandali ben fissi al piede e antiscivolo perché la strada è ripidissima, la pendenza sarà del 70%. Se è bagnato, ovviamente, neanche provare a salire, anche perché il vero problema è la discesa, non la salita che in qualche modo si fa. Dall’alto il panorama non tradisce le aspettative, ma sono ormai le 18.00 e c’è poca luce per cui ci proponiamo di ritornare il giorno successivo con più calma. La discesa è proprio dura: rischiamo di scivolare n volte e farla con il fondoschiena non sarebbe proprio piacevolissimo. Scendendo molto lentamente ne usciamo indenni e raggiungiamo lo scooter. Torniamo indietro e ci prepariamo per la cena. La scelta stavolta cade sul Samade, locale che si trova al di là della strada. Ordiniamo un piatto a base di pesce ed io prendo anche una crema di frutti di mare che è la fine del mondo, persino Stefano che normalmente odia le minestre, la trova divina, tanto che me ne mangia la metà. Troviamo lì anche Dennis e Mark, una coppia Californiana che abbiamo conosciuto in escursione il giorno prima. Loro alloggiano al Samade. Parlando con loro, scopriamo che in fatto di vacanze abbiamo esattamente gli stessi gusti. anche loro sono entusiasti della loro esperienza alle Cook, vorrei vedere come potrebbero non esserlo! 
Il giorno successivo si parte alle 10.00 per il terzo giro sulla laguna. Stavolta l’escursione è organizzata da Quentin, il biondissimo figlio di Steve ed è compresa nel nostro pacchetto-vacanza, assieme al noleggio dello scooter. Mentre aspettiamo l’ora della partenza, facciamo un giretto sulla spiaggia e raccogliamo conchiglie. Questa volta tocca a me trovare casa ad un pagurino sfrattato! La barca di Quentin è molto bella e grande. Siamo solo in tre coppie più Melanie, la sua fidanzata ed un’altro ragazzo suo amico che sfoggia una lunghissima chioma di capelli neri. La giornata, dal punto di vista meteorologico, è tanto bella quanto brutta era stata invece quella della prima escursione. Le foto alla laguna ed ai motu si sprecano. Torniamo all’isola di Akaiami che era stata la prima tappa dell’escursione con Teking. Certo che, vista con il sole e il cielo blu, era proprio tutta un’altra cosa! Ci fermiamo una ventina di minuti, spesi a passeggiare e fotografare. Facciamo poi rotta su Motorakau (quella di Survivor) ed anche quest’isola sotto il sole assume tutto un’altro aspetto. Come al solito lo snorkeling si fa vicino a Maina Island, in una zona diversa dalle altre volte. L’acqua non raggiunge i due metri, ma la corrente è molto forte ed è faticoso non farsi trascinare via. Abbondano i balestra Picasso ed i pesci luna. Finalmente è l’ora del pranzo e ci fermiamo all’isola di Tekopua,
a fianco di One Foot Island. Il menù è vario e gustoso: parrot fish alla griglia, patate con carote e maionese ed un sacco di altre cosine sfiziose. Dopo il pranzo andiamo ad One Foot Island dove trascorriamo il resto del pomeriggio fino alle 17.30. Nel frattempo Quentin porta una coppia a fare sci d’acqua, anche questo è compreso nel prezzo dell’escursione (70NZ$). Finalmente un tour nella laguna che non termina alle 15.30! Alle 18.00 siamo in camera, appena in tempo per fare la doccia ed andare a cena di nuovo al Samade dove ritroviamo Dennis e Mark. E’ buffo scoprire che anche loro, nel 2004 sono stati alle Fiji e in particolare sono stati alle Jasawa ed hanno alloggiato all’Octopus Resort come noi. Solo che loro ci sono stati ad Aprile ed hanno trovato tempo bellissimo sempre. La cena, a base di un piatto unico con carne e pesce cotti al barbecue è squisita, abbondante ed economica. Solo 18 NZ$ a testa, compreso birra e gelato.
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La mattina successiva decidiamo di andare a far colazione dove ci ha consigliato Steve, a pochi passi dal Ranginui’s Retreat. Non si tratta di un vero e proprio bar, ma di una casa privata nella quale preparano panini ed omelettes per chiunque. Se avete almeno 40 minuti di tempo per aspettare che ve li preparino, mangerete un’ottima omelette o un toast con prosciutto, formaggio e pomodori. Dimenticavo, sono molto gentili e servono anche della frutta omaggio per ingannare l’attesa… Dopo aver oziato sotto il sole fino al primo pomeriggio, torniamo verso la cima Maungapu. questa volta c’è ancora una bella luce per cui la visione sulla laguna è migliore. Al solito, il problema più grosso è la discesa e Stefano, proprio subito dopo avermi tenuto una breve conferenza su come si deve fare a scendere per non scivolare, cade rovinosamente senza farsi nulla per fortuna, mentre io scendo tranquillamente sbellicandomi dalle risate. Prima di rientrare, solito giretto dell’isola. Ormai abbiamo percorso anche la stradina più remota e comunque è tutto un salutare e un fermarsi di continuo a fare foto. Abbiamo fatto il conto che con lo scooter ad Aitutaki avremmo fatto più di 200 km. La cena è al Puffy’s: bistecca, patatine ed insalata. Dobbiamo anche fare le valigie perché il giorno successivo si parte per Atiu, terza ed ultima tappa del nostro viaggio. Inoltre Stefano alle 6.00 ha in programma un’uscita di pesca d’altura con Quentin. alle 6.00 piove e tira vento, ma gli impavidi pescatori escono lo stesso. Rientrano alle 10.00, sotto un bel sole con un bel bottino composto da un tonno pinne gialle, un barracuda ed un bonito. Li hanno pescati al di fuori del reef, ovviamente, a poche miglia dalla laguna. La cosa incredibile è che il mare, subito fuori dalla laguna ha una profondità enorme, sui 500 metri ci dice Quentin, tant’è che l’ecoscandaglio non riesce a vedere il fondo. Alle 12.30 arriva il transfer per l’aeroporto dove abbiamo una sgradita sorpresa: ci fanno pagare 40 NZ$ per 20 kg di eccedenza bagaglio! L’aereo è da 15 posti, visto dall’esterno sembra bello ma dentro è tenuto malissimo. Il volo dura circa 45 minuti e ad un certo punto si sorvola un atollo mozzafiato: Manuae. E’ disabitato ed è una visione che lascia senza parole: è un atollo in miniatura che racchiude al suo interno una splendida laguna. Sorvoliamo anche un’altra splendida isola disabitata: Takutea. Atterriamo ad Atiu sotto un sole sfavillante alle 13.00.
Roger, il padrone di Atiu Villas (www.atiu.info/atiuvillas) ci sta aspettando. Ci accoglie con delle splendide collane di fiori ma non siamo soli, assieme a noi c’è un’altra coppia e due ragazzi australiani che si fermeranno solo due giorni. Nel portarci al resort, Roger fa diverse tappe ed ogni tanto si ferma, scende dall’auto e ci spiega molte cose del posto. Ci racconta come Atiu sia completamente diversa dalle altre isole in quanto è nata da un sollevamento della crosta terrestre. La roccia grigia che abbonda sull’isola è in realtà il reef emerso, ed infatti se si guarda la roccia attentamente si vedono coralli o madrepore ormai fossilizzati. Raggiunto l’Atiu Villas prendiamo possesso del nostro bungalow (in tutto ce ne sono quattro): si chiama Aretai ed è in legno, molto spazioso e carino, con una grande veranda che dà su un giardino pieno di fiori e molto curato. Il bungalow ha l’angolo cottura mentre il frigorifero e la dispensa sono pieni di cibarie: si utilizza quello che serve e si paga tutto alla fine. I prezzi sono molto onesti tanto che alcune cose costano addirittura meno che al supermercato. Appena il tempo di disfare le valigie che siamo sullo scooter che, a pagamento, è a disposizione dei clienti.
Usciamo dal resort e giriamo a sinistra per raggiungere il mare. Arrivati in fondo, andiamo verso destra. La strada litoranea che circonda l’isola è di fatto una stradina con due corsie in terra battuta e l’erba in mezzo, proprio come i nostri sentieri di campagna. Con lo scooter non ci sono problemi perché si viaggi nella corsia di sinistra, ma se si vuole girare in auto è necessario un fuoristrada o un pick up. La strada si snoda tra degli arbusti bassi simili alle mangrovie, di un bellissimo verde brillante. Il sole splende per cui tutto assume un colore ancora più luminoso. Ogni tanto si aprono sulla sinistra dei minuscoli sentieri che portano verso una spiaggetta racchiusa tra delle ruvide rocce grigie (completamente diverse dai massi granitici delle Seychelles).
Atiu
Questa roccia grigia onnipresente si chiama Makatea ed è il vecchio reef di cui parlavo all’inizio, emerso undici milioni di anni fa con un eruzione vulcanica e che poi ha avuto un successivo innalzamento centomila anni fa, o perlomeno questo è quello che ci dicono, dato che nessuno di noi c’era… L’acqua del mare è trasparente, ma non si riesce a fare il bagno perché è troppo bassa. Il reef che ferma le maestose onde oceaniche si trova a soli cinquanta metri dalla riva. Nel complesso il paesaggio è inaspettatamente completamente diverso da quello visto sinora in qualsiasi isola del mondo e forse proprio per questo è così affascinante. Ah, ovviamente in giro non c’è proprio nessuno. Dopo pochi chilometri la strada si addentra in una fitta foresta di palme, felci, ibischi e una miriade di altre piante. Girare l’isola in questo modo è entusiasmante, sarà per il sole che rende tutto scintillante, sarà che dall’alto l’isola non pareva un gran che per cui è tutto una sorpresa, ma siamo gasatissimi.
Atiu
Superiamo Orovaru Beach dove un cartello informa che fu proprio qui che Cook approdò nel 1777 e poi arriviamo fino al porto. Proseguiamo addentrandoci nell’isola girando verso destra. Case ce ne sono proprio poche e anche qui la gente è cordiale e saluta con un sorriso o con la mano. Durante tutto il giro sulla strada incrociamo solo i due ragazzi australiani che alloggiano con noi all’Atiu Villas e che stanno facendo il nostro stesso giro, ma nell’altra direzione. Quando sta ormai imbrunendo, rientriamo finalmente per la cena. Non essendoci ristoranti sull’isola, l’unica possibilità (a parte quella di farsi da mangiare da soli) è di prenotare la cena presso il ristorante dell’Atiu Villas: Kura’s Kitchen (la signora Kura è la moglie di Roger). Si mangia bene: viene servito un piatto unico con due cosce di pollo, del purè di patate e tutta una serie di altri contorni e poi c’è una fetta enorme di dolce al cioccolato con la crema pasticcera. Roger mangia con tutti gli ospiti del resort e ci intrattiene piacevolmente anche se è decisamente un tipo simpatico ma burbero. 
Siamo ormai arrivati a Mercoledì 4 Maggio. Che giornata stupenda! Non si vede una nuvola! Dopo esserci preparati un’abbondante colazione a base di the, biscotti, pere e pesche sciroppate, riprendiamo il nostro scooter e raggiungiamo Matai Landing. Questa volta giriamo a sinistra, ci fermiamo a vedere Tauraroa Beach e poi via a nord, verso Oneroa Beach, famosa per le conchiglie. La spiaggia si raggiunge dopo aver lasciato lo scooter ed essersi avventurati in una breve discesa tra le rocce. Attenzione a non scivolare! Il mare davanti alla spiaggia è incredibilmente cristallino. L’acqua arriva al polpaccio, difficilmente raggiunge le ginocchia. Si possono vedere coralli, cipree, splendidi ricci matita rossicci, ed anche dei pesci scatola. Passiamo la mattinata esplorando quell’angolo meraviglioso anche perché l’acqua è calda, non da nessun fastidio stare in ammollo per ore.
Atiu
Alle 12.00 risaliamo le rocce e, ripreso lo scooter, ci dirigiamo verso la bella spiaggia di Matai Landing per stenderci al sole sul nostro asciugamano e pranzare con…gallette (che in realtà qui spacciano per crackers), formaggio e Coca Cola. Data la povertà del pranzo, ci proponiamo di andare a cercare il forno che ci dovrebbe essere sull’isola e che, secondo la guida Lonely Planet, sforna pane croccante ogni mattina. Facciamo una passeggiata verso sud camminando sulle rocce, dopodiché andiamo fino al Coral Garden per vedere se ci si può immergere, ma l’acqua è troppo alta ed il mare troppo impetuoso, per cui desistiamo. In serata torniamo all’Atiu Villas: doccia e cena a base di un pesce fantastico e di un sublime creme caramel come dessert. Roger ci parla anche lui dei quattro uragani e di come, a Febbraio, poco prima dell’arrivo di Mina, fossero arrivati ad Atiu dei turisti testardi, che pure erano stati avvisati in tempo dall’agenzia viaggi che aveva inutilmente tentato di far cambiar loro destinazione. Ovviamente non si poteva assolutamente uscire dal bungalow, per cui Roger aveva fornito loro anche una torcia elettrica e…una cerata da indossare nel caso fosse volato via il tetto!!!! Per fortuna il tetto ha retto e dopo tre giorni di pioggia i due stolti turisti erano riusciti a rientrare a Rarotonga… giusto in tempo per richiudersi in un altro resort ad aspettare il transito di Nancy!!!! Non si sa se poi abbiano deciso di “godersi” anche Olaf o se se ne siano finalmente tornati a casa! Ma si può essere più cocciuti di così?
Prima di congedarci chiediamo a Roger di prenotarci un’escursione alla cava Anatakitaki per il giorno successivo. Atiu è famosa per avere molte cave, alcune delle quali sono state utilizzate in passate come tombe per cui vi si trovano i resti di molti scheletri. Noi però abbiamo optato per visitare una cava che non è mai stata usata per seppellire i morti, ma che è famosa per la sua bellezza e per essere la dimora dell’uccello Kopeka, dato che l’idea di vedere cataste di teschi e femori mi dava il voltastomaco.
Anche il mattino successivo splende il sole. Mentre facciamo colazione viene a farci visita Einstein, il gatto di Roger. E’ ormai anzianotto (15 anni) e pieno di acciacchi anche per via dei combattimenti con gli altri gatti perché ha fama di essere un attaccabrighe. Con noi è molto dolce, fa le fusa e si lascia accarezzare ben volentieri. Andiamo verso il centro del paese per cercare appunto il famoso panificio.
Dopo aver girato invano, chiediamo informazioni nell’unico negozio di generi alimentari presente sull’isola e ci viene tranquillamente risposto che il panificio è chiuso perché sull’isola non c’è farina. L’ultima volta che è arrivato il cargo con i generi alimentari, ci spiegano, non ha portato la farina per cui, esaurite le scorte, il panificio ora è chiuso fino a quando non arriverà di nuovo il cargo (e non si sa quando…), sperando che porti anche la farina. Pane croccante addio: si mangeranno gallette anche nei prossimi giorni! Riprendiamo il nostro giro: le strade sono innumerevoli, alcune impercorribili mentre alcune invece sono a fondo chiuso e bisogna tornare indietro. Raggiungiamo la pista dell’aeroporto e resistiamo alla tentazione di percorrerla in scooter, poi prendiamo la strada costiera, scopriamo ancora qualche piccola spiaggia e torniamo ad Oneroa Beach che ci è piaciuta troppo il giorno prima. Ci fermiamo lì a mangiare le solite quattro cose e raccogliamo un sacco di conchiglie molto belle. Non c’è traccia di altri essere umani, anzi, abbiamo saputo da Roger che, essendo partiti tutti quelli che erano all’Atiu Villas  siamo rimasti noi gli unici stranieri sull’isola. Alle 14.30 purtroppo siamo costretti a tornare per fare l’escursione, ma non appena arriviamo Roger ci dice di essersi sbagliato e che il giorno in cui c’è quell’escursione è il Venerdì. Poco male, ritorniamo in sella e riprendiamo il nostro giro. Stavolta andiamo a Taunganui Harbour dove ci sono i resti della nave Edna che si incagliò nel 1990 per via delle condizioni del mare proibitive e di una manovra sbagliata. Poi ci fermiamo sulla piccola Orovaru Beach (quella di Cook). A cena, Roger ci racconta del naufragio, ci mostra le foto e ci spiega quali difficoltà abbiano le navi ad attraccare ad Atiu per via del reef così vicino a riva. 
Ci svegliamo, neanche a dirlo, sotto un sole abbagliante. Abbiamo deciso di andare a vedere il lago Teroto e lo cerchiamo con la cartina sottomano per non sbagliare strada. Dopo circa 2 km si arriva in una splendida piccola vallata, piena di coltivazioni, e al lago che, attraverso un canale sotterraneo, cede l’acqua al mare o la riceve se il mare è in burrasca. Ci fermiamo ad ammirare il paesaggio: ci sono anche molte caprette e dei porcellini. Proseguiamo fino al mare e procedendo verso sinistra arriviamo al punto più a sud dell’isola Te Tau, fermandoci sulla spiaggia omonima. Questa è collegata ad altre belle spiagge da una serie di rocce ed il paesaggio appare quasi lunare.
Atiu
Stefano ha la brillante idea di rompere una noce di cocco e si arrabatta in ogni maniera senza riuscirci. Per sua fortuna però, proprio in quel momento passa un pick up con dei ragazzi a bordo che, dopo essersi fatti qualche risatina composta sullo sprovveduto turista, prendono il machete ed in pochi secondi la noce è aperta. Credo che stiano ancora ridendo…
C’è molto vento proveniente da est, ma la spiaggia è riparata per cui si sta benissimo. Il mare invece è molto grosso e le onde raggiungeranno i due metri prima di frangersi sul reef. Il nostro breve pomeriggio di ozio termina alle 14.30 quando rientriamo per l’escursione alle grotte. Alle 15.00, puntualissimo, passa a prenderci James, un bellissimo ragazzo figlio di un inglese e di una signora delle Cook. Ci dice di essere nato a Londra, ma che i suoi genitori si sono trasferiti ad Atiu quando lui aveva pochi mesi. Il suo lavoro, se così lo si può chiamare, ed anche quello di tutta la sua famiglia, è quello di organizzare le varie escursioni sull’isola. Saliamo sul suo pick up: un primo breve tratto di strada viene percorso in auto, dopodiché si continua a piedi. Il percorso è abbastanza impegnativo, James ci fornisce un bastone da usare come appoggio. Il sentiero è molto stretto ed in alcuni punti si cammina sulla Makatea appuntita. E’ necessario avere degli scarponcini ed è assolutamente sconsigliato cercare di fare questo giro da soli senza guida. Finalmente ecco la cava. Si scende per circa tre metri con una scala a pioli, poi James ci dà una fascia con una piccola torcia elettrica da infilare sulla testa. E’ tremendamente facile scivolare perché in alcuni punti la roccia, levigatissima, è pure bagnata. Andiamo a vedere se in fondo alla grotta c’è l’uccello Kopeka, ma purtroppo non ce n’è nemmeno uno. Evidentemente sono tutti fuori a caccia. James ci racconta una leggenda da cui ha preso il nome la cava Anatakitaki. Il giro all’interno della cava dura circa un’ora: è molto bella, ovviamente piena di grosse stalattiti e stalagmiti. Volendo (ma noi ce ne siamo ben guardati) si può fare anche il bagno in un laghetto interno in cui l’acqua però pare sia gelida. Al ritorno, James ci porta in un posto in cui si sta svolgendo il rito del tumunu: da Aretou. Il tumunu fa parte della cultura di Atiu ed ha le sue origini nella cerimonia della kava (di cui ho ampiamente parlato nel resoconto sulle Fiji) e nella visita dei balenieri inglesi 200 anni fa. A loro, la kava che avevano bevuto in questa zona del Pacifico, non era piaciuta per niente (cosa che condivido pienamente) per cui si adoperarono a pensare come fabbricarsi una bevanda diversa e con un buon sapore. Scoprirono così che distillando le arance si poteva ottenere una bevanda leggermente alcolica e dal sapore simile a quello della birra, che venne chiamata appunto tumunu. Una volta la produzione era illegale, mentre dal 1987 la produzione del tumunu è stata legalizzata. Da Aretou troviamo un gruppo di uomini che, seduti attorno ad un mastellino, la sta già bevendo. La procedura è analoga a quella della kava: con una piccola ciotola viene prelevata la bevanda e, a turno, viene bevuta da tutti i commensali. Il sapore è buono, non è neanche confrontabile con quello fangoso della kava. Dopo alcuni giri di tumunu, un po’ di chiacchiere con i nostri commensali e dopo aver lasciato il nostro nome ed un breve pensiero su un grosso quaderno ce ne andiamo lasciando, come da tradizione, una piccola mancia (5 NZ$). James ci riporta all’Atiu Villas. Il piatto forte della cena è uno squisito cosciotto d’agnello. In via del tutto eccezionale anche Kura mangia con noi. E’ una signora molto dolce e riservata che vorrebbe viaggiare e visitare l’Europa ed il mondo, ma pare che Roger da quell’orecchio non ci senta… E’ ormai ora di fare le valigie: il nostro soggiorno alle Cook ha ormai le ore contate dato che il giorno successivo, alle 23.00 il nostro aereo decollerà tristemente per riportarci in Italia.
Atiu
Sabato 7 Maggio però, prima di lasciare Atiu, abbiamo un’escursione mattutina dato che il volo per Rarotonga è alle 12.00. Andremo con Jürgen, di chiare origini germaniche, a fare il “tour del caffè”. E’ un uomo simpatico e socievole che parla inglese con un forte accento tedesco. E’ il proprietario dell’Atiu Island Coffee (www.islandcraft.com/coffee.htm) ed ha iniziato lui per primo a coltivare il caffè sull’isola nel 1983. Jürgen ci porta prima di tutto alle sue piantagioni di caffè. Ci spiega che ad Atiu è difficile produrre per l’esportazione beni deperibili in quanto non si può mai sapere quando arriverà esattamente il cargo e nel frattempo la merce potrebbe marcire. Più di 20 anni fa decise lui, per primo, di coltivare le piante del caffè. Dopo averci mostrato le piante, coperte di bacche rosse che contengono appunto i semi che poi verranno trattati e tostati, ci porta nella sua “fabbrica” (un piccolo capannone) e ci mostra tutte le fasi della lavorazione del seme. Questo, una volta estratto dalla bacca, viene inizialmente fatto asciugare al sole affinché perda parte dell’acqua contenuta, dopodiché viene tolta ancora la sottile pellicola che lo ricopre fino ad arrivare alla fase più delicata che è la tostatura. Il giro si conclude nel negozio della moglie, l’Art Fibre Studio, dove ci viene fatto assaggiare il caffè ed in cui si possono comperare bellissime tivaevae (sono stoffe particolari, tipiche delle Cook, ottenute cucendo varie applicazioni in tessuti diversi su un tessuto di base). Le tivaevae sono belle ma costose per cui io mi limito a comperare due parei dipinti a mano. Jürgen, nel congedarci, ci dice che lui in Germania non tornerà proprio più perché ormai la vita caotica dell’occidente non riesce a reggerla e ci riaccompagna all’Atiu Villas dove Roger è pronto per portarci in aeroporto. Riceviamo un’altra splendida collana, stranissima, non più di fiori questa volta, ma ottenuta intagliando ed infilando foglie ed una pianta arancione. Ha un profumo forte e speziato particolarissimo. Vediamo per l’ultima volta Atiu dall’aereo  ed in meno di un’ora siamo di nuovo a Rarotonga. Dato che ci dobbiamo trascorrere l’intera giornata, decidiamo di noleggiare un auto, impresa non facile dato che di Sabato pomeriggio è tutto chiuso! Prima però, ci sbarazziamo dei bagagli, lasciandoli in custodia nello stanzino dei Vigili del fuoco dell’aeroporto che offrono gentilmente questo servizio (dato che il deposito bagagli non è operativo). Ci dirigiamo verso l’autonoleggio di fronte all’aeroporto, ma è chiuso. Per fortuna un signore di poche parole che sta lavorando lì vicino ci carica sulla propria auto e ci porta in un altro autonoleggio in centro, l’unico aperto! Finalmente mezz’ora dopo abbiamo la nostra auto! Nel frattempo il cielo si è fatto grigio e questo ancora a dimostrazione di come il tempo a Rarotonga sia peggiore che nelle altre isole. Per prima cosa andiamo a trovare Roberta e Stefano al That’s Pasta perché vogliamo prenotare un tavolo per la cena. C’è solo Stefano perché Roberta, ci dice, è andata al matrimonio di due Italiani che, dopo un lungo giro in Australia, sono venuti a sposarsi su una spiaggia delle Cook. E’ una bella idea perché così si evitano tutte le seccature di un matrimonio tradizionale. Stefano ci suggerisce di salire sulla collina di fronte perché dall’alto pare ci sia una bella vista su quello spicchio di laguna e sui motu. Lo facciamo anche se, mancando il sole, la bellezza della visuale è molto ridimensionata. Proseguiamo in auto andando un po’ a zonzo senza meta. Alle 19.00 arriviamo puntuali al That’s Pasta e ci facciamo preparare un bel piatto di maccheroni al sugo. Dopo poco arrivano anche i neosposi: sono due toscani molto simpatici ed assieme a loro c’è un ragazzo di Milano che vorrebbe trasferirsi da qualche e lasciare l’Italia per sempre. Alle 21.00 salutiamo tutti e torniamo in aeroporto, restituiamo l’auto, cambiamo i soldi avanzati, recuperiamo le valigie e chi ritroviamo? Dennis e Mark che stanno rientrando con il nostro stesso volo. Un bacio ed un abbraccio ed è subito l’ora dell’imbarco. Il pilota deve aver avuto un po’ di fretta perché partiamo mezz’ora prima dell’orario previsto. Di nuovo Papeete, Los Angeles, Londra, Milano… Nella tratta Papeete Los Angeles è seduta vicino a noi una fantastica signora inglese: Ann. E’ già nonna ma ha la vitalità di una teenager: ha fatto il giro del mondo con diverse tappe tra cui Johannesburg e Rarotonga e sta rientrando a Londra. Parla benissimo l’italiano perché uno dei suoi figli vive in Italia in quanto ha sposato un’Italiana. E’ invidiabile lo spirito con cui ha affrontato il viaggio. Ci racconta che ha persino attraversato Rarotonga da una parte all’altra, da sola, attraverso il sentiero. Noi che ci siamo ben guardati dal farlo, perché troppo impegnativo, ci sentiamo dei vecchi ruderi. Nell’aeroporto di Londra faccio un’altro incontro curioso e simpatico: Sara, una ragazza di Singapore che sta provando degli occhiali da sole e mi chiede un consiglio. E’ molto sveglia e mi fermo un po’ a parlare con lei: vive in Svizzera, ma ha il fidanzato a Londra e la famiglia a Singapore. Prova n paia di occhiali finché alla fine, dopo circa mezz’ora di prove, ne trova uno che le piace… Stefano seduto su un divanetto fuori dal negozio ci guarda con gli occhi sbarrati. Ormai stanno chiamando il nostro volo, tra poco saremo a Milano, poi a Venezia e di tutto questi giorni come al solito non resteranno che delle foto e dei ricordi indelebili.