Appunti di viaggio e riflessioni
sulla Sardegna
Sarrabus-Gerrei (e dintorni)-
Agosto 2006 |
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Premessa:
Dopo alcuni
anni torno nella mia amata Sardegna e da qui inizierò una serie
di racconti e foto che toccheranno col tempo molte parti di questa Paradisola
alloggiando in un’ economica casa in affitto in Sardegna ! Ho viaggiato
molto per il mondo, ho visto mari tropicali e paesaggi mozzafiato ma non
la considero una destinazione di “serie B” giacchè non ha nulla
da invidiare a molte mete esotiche, soprattutto se vissuta al di fuori
delle gabbie dorate dei resort e delle spiagge affollate! per me
è come stare in “patria”, la conosco molto bene perchè, pur
essendo nato altrove ed abitando in “continente”, mi ha ospitato infinite
volte: nell’isola ho trascorso la mia infanzia (asilo ed elementari complete
…accento compreso !), da ragazzino con i miei genitori siamo stati ospitati
in tutte le stagioni in molti paesi della costa e dell’interno, sono tornato
da adulto numerose volte per lavoro e vacanza e anche durante il mio primo
viaggio di nozze. E’ la mia seconda terra natale (la migliore) e come tale
l’amo totalmente e da essa derivano in parte i viaggi che ho fatto nei
più bei paesi tropicali del mondo, sempre alla ricerca dell'”isola
che non c’è (più)”: la vergine Sardegna degli anni 60-70
lontana dal turismo di massa e totalmente incontaminata, quando ancora
si potevano vedere le Foche Monache sulle coste centro-orientali ed i grifoni
all’interno.
Eppure, nonostante
il territorio avesse poco di nuovo da rivelarmi, nonostante l’ambiente
costiero fosse indubbiamente contagiato dall’espansione turistica, nonostante
fosse Agosto, cioè il peggior mese per fruire appieno delle delizie
dell’isola, la Sardegna riusciva ancora una volta a lasciarmi a bocca aperta
per la straordinaria avvenenza selvaggia.
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Le
mie “dritte”:
Come ho detto
il mese d’Agosto, non è una grande scoperta, è il peggiore
per l’aumento della massa dei turisti, per il clima perturbato e, non ultimo,
per i prezzi sproporzionatamente alti, tanto da convenire, in alcuni casi
un viaggio all’estero anche molto lontano.
Senza dubbio
Giugno rappresenta il mese migliore (a parte il mare freddino) per godersi
qualsiasi sua spiaggia selvaggia come in origine; anche Luglio e Settembre
sono appetibili soprattutto al Sud.
Negli ultimi
20 anni sono sempre andato in Giugno ma, le cambiate esigenze lavorative,
mi hanno obbligato il mese di Agosto; per evitare quindi scene balneari
fantozziane, spese esagerate e disagi climatici ho dovuto spremere tutta
la mia esperienza nella scelta del luogo.
Il vento:
La Sardegna
è la sede di Eolo, spira il vento davvero sempre e come tutte le
manifestazioni della natura hanno un lato positivo ed un lato (per noi)
negativo: il vento allontana ogni forma di inquinamento (l’aria è
purissima), spazza via le nuvole cariche di pioggia, mitiga l’afa estiva
e fa girare le pale delle centrali eoliche, ma il vento agita anche il
mare, alimenta gli incendi, strappa gli ombrelloni e fa volare la sabbia
tanto da rendere talvolta impossibile restare in spiaggia; l’unica soluzione
è cercare di sfruttarlo a favore !
Mi sono ricordato
che nei mesi estivi (e non solo) il vento che predomina in Sardegna o almeno
quello che predomina per più giorni al mese gli eventi più
estremi e fastidiosi è il Maestrale, un vento molto robusto e freddo
proveniente da Nord-Ovest: anche quest’anno (come riferito da alcuni miei
sfortunati amici) in Agosto ha rovinato molti giorni ai vacanzieri del
Nord della Sardegna rendendo il mare mossissimo e raffreddando l’aria tanto
da obbligare ad indossare un golfino in pieno giorno…a peggiorare poi
le cose si è messo anche un mese d’Agosto in generale schifoso in
tutta Italia abbondante di piogge, vento e sbalzi di temperatura.
Detto ciò
se il peggior vento viene da Nord-Ovest, mi pare palese preferire la zona
opposta ovvero il Sud-Est dove il Maestrale porta solo benefici poichè
mitiga le temperature alte estive senza abbassarle troppo (compreso la
temperatura del mare) in quanto smorzato nel suo vigore ed intiepidito
dal passaggio in diagonale dell’intera isola e poichè rende il mare
sotto costa praticamente una tavola in quanto spirando da terra spiana
la superficie marina allontanando ogni cosa (dalla nuvola in cielo al ramoscello
galleggiante in mare).
Il clima:
La parte Sud
della Sardegna essendo in linea d’aria più vicina all’Africa (Tunisia)
che al “continente” (per i sardi “il continente” rappresenta “il resto
d’Italia”) gode di un clima più secco e quindi risente meno delle
perturbazioni avendo statisticamente più giorni di sole che il Nord.
I prezzi
e la folla:
Il Sud dell’isola
è da sempre meno frequentato del Nord, forse perchè meno
mondano (non c’è la fatidica Costa Smeralda), forse perchè
con minor numero di strutture ricettive di massa (ancora per quanto?),
forse perchè paesaggisticamente parlando leggermente meno abbondante
di spiagge da cartolina (ma chi lo ha detto ? che sia una leggenda ?) o
forse semplicemente perchè ci vogliono più ore di traghetto
per chi viene dal continente avendo inoltre a disposizione più compagnie
marittime.
Sta di fatto
che al Sud ci sono meno turisti che al Nord e i prezzi dei servizi sono
di conseguenza più a buon mercato fatta eccezione per pochissime
località blasonate come ad esempio Villasimius.
Le guide
e la pubblicità:
Una volta
capìta che l’unica speranza per una buona riuscita della mia vacanza
era il Sud, meglio se il Sud-Est, della Sardegna, ho cercato di reperire
guide, siti, pubblicità e deplain per capire quale fossero le zone
meno descritte, meno citate e relativamente più ignorate.
Ne ho consultate
molte e ne ho acquistate on-line un paio. La prima cosa saltata agli occhi
è stata che nelle guide meno dettagliate, nelle guide più
commerciali, nei siti più famosi e negli annunci di affitti case-vacanze
(praticamente nella maggior parte della documentazione) se si risaliva
la Sardegna partendo da Cagliari verso le coste orientali erano descritte
a sufficienza le spiagge fino a Villasimius/Castiadas, poi un piccolo salto
sino alla sabbiosa ed affollata Costa Rei, poi un enorme buco di documentazione
che arrivava sino all’Ogliastra dove riprendevano le descrizioni da Barisardo,
Arbatax e ancora più a Nord Orosei…mancava un bel pezzo del Sarrabus
! Anche acquistando una collana di libri edita da un noto quotidiano sardo,
indirizzata soprattutto ai camperisti, che dettagliava le spiagge persino
con le coordinate gps, la zona meno nota del Sarrabus era trattata a singhiozzi
ovvero saltando alcune spiagge degne invece secondo me di attenzione.
Altri fattori
determinanti:
Ci sono dei
luoghi in Sardegna dove il turismo è forzatamente attenuato per
l’impossibilità di costruire strutture di qualsiasi genere e grandezza,
dove non ci sono agglomerati urbani a ridosso del mare, chioschi, stabilimenti,
porticcioli, boe di ancoraggio, dove la natura è rimasta inalterata
per decine di anni e dove addirittura l’accesso è interdetto per
la maggior parte dei periodi dell’anno, talvolta permesso solo in Agosto:
le
basi Nato. Non voglio dare giudizi sulla loro legittimità: c’è
chi le vorrebbe smantellare per avviare un processo di fruizione dell’area
(come successo quest’anno a fine Agosto per la Maddalena) e c’è
chi le vorrebbe mantenere perchè portano un pò di benessere
economico ai paesi vicini durante il periodo non estivo; sta di fatto che
hanno creato zone in cui, esercitazioni militari d’eccezionale portata
a parte, la natura può prosperare relativamente indisturbata come
in un parco nazionale e molto prima che questi fossero istituiti.
Nell’area
da me presa in considerazione esiste un’immensa base Nato (circa 13.000
ettari) che include il Poligono più grande d’Europa che va dalla
zona deserta del Salto di Quirra all’interno del Sarrabus sino al mare
nel comune di Villaputzu (da Perdasdefogu a Quirra-Capo San Lorenzo) …tanto
per far capire la portata della base, nata per esperimenti scientifici-militari,
quest’estate a fine Giugno è stato lanciato per un test il secondo
stadio del motore del razzo Vega che porterà in orbita i futuri
satelliti dell’Agenzia Spaziale Europea.
Oltre all’isolamento
“militare” le allarmanti e pluridecennali denunce di una presunta contaminazione
del territorio da uranio impoverito causata dal Poligono, da arsenico originato
da una miniera abbandonata (se si digita su un motore di ricerca: “Sindrome
di Quirra” si ottengono vagonate di inquietanti pagine), da radiazione
elettromagnetica emessa dai numerosi radar nonchè alcuni incidenti
del passato come missili caduti fuori controllo nei pressi di centri abitati
non hanno di certo fatto una buona pubblicità.
Infine l’inaugurazione
a fine Luglio di alcuni tratti di una superstrada che quando sarà
completata nel 2007 unirà Cagliari ad Arbatax (evitando un sacco
di curve) aveva già reso inutile percorrere in zona la mitica e
vecchia “Orientale Sarda” (oramai utilizzata solo localmente per brevi
spostamenti tra paese a paese) e anche il turismo “di passaggio” obbligato
a passare nei paesi per recarsi verso altre destinazioni (e che nel caso
ad esempio di un camper può temporaneamente sostare) incominciava
a sparire del tutto. |
La
scelta, Villaputzu:
Considerate
le dritte ed i ragionamenti atti ad evitare la massa dei gitanti agostani
ho scelto la zona che comprende tre soli paesi isolati da svariate decine
di chilometri dal resto della civiltà ovvero
Muravèra,
Villapùtzu
e San Vito, tre comuni a circa una settantina di chilometri dal
capoluogo che, protetti dalle montagne, godono di un microclima eccezionale,
tra i più caldi della Sardegna ma relativamente secco e quindi piacevole
spesso accarezzato da un venticello fresco soprattutto la notte. Devo affermare
che in quattro settimane di permanenza il cielo è stato sempre azzurro
e un solo pomeriggio è stato caratterizzato da una leggera
pioggerellina nello stesso giorno che a Cagliari si è abbattuto
un violento nubifragio…nel resto d’Italia poi, ha piovuto da far schifo!
Non per niente
in questa zona c’è la produzione più importante dell’isola
di arance con tanto di sagra.
Tutti e tre
i paesi non si trovano sul mare, anche se la costa più vicina è
raggiungibile in 15 minuti d’auto, : Muravera è il più grande
e turisticamente più ricettivo con più negozi e movimento
di gente, Villaputzu pur avendo più o meno gli lo stesso numero
di abitanti è un poco più piccolo e molto più tranquillo
mentre il minore è San Vito e si trova all’interno verso la montagna.
La ricettività
turistica della zona è esclusivamente ristretta all’affitto delle
case da parte dei privati (non massiccio dal momento che molte case rimangono
vuote anche nel mese d’Agosto talora per anni), alle seconde case talvolta
di proprietà di sardi emigrati all’estero e al turismo itinerante
(soprattutto camperisti per i quali la Sardegna è il paradiso) fatta
eccezione per un villaggio turistico a Porto Tramatzu ed un paio di campeggi
che per fortuna occupano solo una porzione piccola di costa sabbiosa dove
sorgono servizi come bar, affitto pattini & Co dalle quali difficilmente
la gente si “schioda”; io e la mia famiglia siamo amanti degli scogli,
meglio se corredati da una minispiaggetta dove poter piantare l’ombrellone
e appoggiare gli asciugamani…da bere e uno spuntino lo portiamo da casa
senza necessità di chioschi 😉 . Non esistono hotel, pensioni,
stabilimenti e compagnìa bella !
Dopo
aver verificato che sulle agenzie on-line non c’erano offerte ragionevoli
d’affitto in zona, ho sparso un pò la voce in giro trovando subito
un paio di proposte a Villaputzu, un paese di 5000 anime che tra l’altro
conoscevo in quanto 25-30 anni fa mi capitava di andarci poichè
avevamo degli amici di famiglia (ed un anno ci ho pure passato un mese
di vacanza e raccolto le tipiche e dolcissime arance-vaniglia!).
Con mio gran
piacere ho notato che il paese non era poi tanto cambiato dall’ultima volta
che c’ero stato, c’erano in più un paio di supermercati, qualche
piazzetta risistemata, la raccolta dei rifiuti differenziata, qualche casa,
soprattutto quelle lungo la statale, ristrutturata con materiali moderni,
un piccolo complesso residenziale nuovo verso il mare ma l’anima era sempre
la stessa: le case basse colorate di colori pastello o grezze (ovvero con
i mattoni rossi a vista), i giardini privati delle abitazioni con l’orto
annesso con pomodori, fichi e con grandi barattoli metallici un tempo destinati
a contenere vernice od olio minerale, ora trasformati in boschetti di basilico,
i caminetti a legna onnipresenti, le sbarre alle finestre sconosciute,
le porte talvolta addirittura lasciate aperte a dare non solo il senso
dell’ospitalità ma soprattutto la sensazione di sicurezza sociale
e mancanza di criminalità a tutto vantaggio della serenità
di una vacanza !: giuro di essermi vergognato di chiudere con l’antifurto
l’auto parcheggiata sotto casa !
L’affitto
senza intermediari di una casa attrezzata di tutto (dalla bombola piena
del gas alla lavatrice, talvolta anche il condizionatore) nel mese di Agosto
a Villaputzu (rif.anno 2006) varia da poco meno di 1000 euro a poco più
secondo il taglio ed è comprensiva dei consumi di acqua ed elettricità,
quindi adatta ad una famiglia alla ricerca di una vacanza in luoghi attraenti
ma “very low-cost”.
Il fatto di
non pernottare in un luogo “direttamente” sul mare è perfettamente
ininfluente giacchè ci piace cambiare spiaggia, cala, costa, attività
il più spesso possibile e il territorio offre, come spiegherò
più avanti, molte possibilità…non solo marine…chi decide
di andare in Sardegna con l’intenzione una volta a destinazione di macinare
pochi chilometri con l’auto commette a mio avviso un delitto ! Magari avessi
avuto un fuoristrada !!!
Chi vi parla
passa almeno 3 ore in auto imbottigliato in 100Km di traffico ogni giorno
per recarsi a lavoro e nonostante ciò le deserte strade sarde, i
paesaggi coinvolgenti e rilassanti non solo non mi facevano pesare le distanze
ma, talvolta, avrei voluto che durassero di più !
L’appartamento
scelto si trova al margine del paese in una via che dal centro arriva alla
collina, è ampio, ben rifinito dentro e grezzo fuori con una vista
bagno/camera da letto su una collina di fichi d’india e pecore al pascolo
ed una disposizione Nord/Sud che sfrutta il venticello fresco soprattutto
notturno più efficientemente di un condizionatore. Tutte le finestre
sono complete di zanzariere e ovunque ci sono zeppe di legno per fermare
porte e finestre a testimoniare l’eterno rapporto felice che i sardi hanno
con Eolo…di notte lasciando tutto aperto si sente ululare il vento (cosa
che amo) e le tende si alzano come fantasmi e bisogna dormire sotto le
coperte per il fresco !
Le
zanzariere servono solo ad evitare che entri qualche rara mosca di giorno
in quanto le zanzare sono inesistenti. Questa è stata una gran sorpresa:
essendo una zona molto soleggiata e a causa della oramai cronica siccità
non ci sono pozze d’acqua nelle fogne o rigagnoli infetti da zanzare nelle
campagne. Anche i fiumi che sfociano in questa zona tra cui il Flumendosa
(il più grande della Sardegna) sono quasi secchi e d’estate terminano
sugli arenili senza riuscire ad arrivare in mare (creando tra l’altro coreografie
suggestive). Ho potuto quindi mettere da parte repellenti e fornelletti
a tutto vantaggio della salute; anche la sera in prossimità di pinete
o in pieno centro non ho mai visto neppure l’ombra di una zanzara ! (ed
io le attiro come una calamita !).
Nonostante
la siccità a Villaputzu (altra cosa importante) l’acqua potabile
non è mai mancata, mai razionata, anzi è sempre stata abbondante
e pura in quanto l’acquedotto la preleva da una falda molto profonda.
La mattina
prestissimo ho avuto il piacere di non attivare la radiosveglia ma di lasciarmi
destare prima dal canto del gallo, poi dai campanacci delle pecore, infine
dai rintocchi del campanile della vicina Chiesa di San Giorgio (costruita
nel 1601).
Infine non
posso che porre l’accento sull’accoglienza, disponibilità, onestà
e tolleranza che ho trovato a Villaputzu (ma anche negli altri paesi limitrofi
ed in generale nella mia Sardegna) non solo negli abitanti ma anche nelle
istituzioni nel non imporre “tributi” da pagare allo “straniero”
(abitudine invece tipica di alcuni paesi del continente) del tipo: assurdi
divieti di parcheggio magari nei pressi del mare con vigili pronti a fare
multe (ovviamente non ai residenti), limiti improbabili di velocità
con autovelox nascosti ad un metro dalla segnalazione, parcometri nelle
vie secondarie, zero tolleranza in caso di parcheggio non molto ortodosso
in prossimità di una festa quando si sa che i parcheggi non bastano
per tutti e altri trucchetti per “spennare” il non residente. |
Cagliari:
Per arrivare a Villaputzu bisogna
prendere il traghetto che sbarca ad Arbatax o a Cagliari. Entrambe
le località sono equidistanti (circa 70 chilometri), solo che la
nave che sbarca ad Arbatax, più a nord, ci mette di meno visto che
poi riparte per Cagliari; sono, però minori le corse che fanno tappa
ad Arbatax, quindi potrebbe non essere possibile prenderla e così
è stato per me …ma con piacere…il piacere di rivedere subito
la mia Cagliari con l’inconfondibile Sella del Diavolo, la via di
fronte al porto, Via Roma, dove da bambino, sfilavo in maschera
sotto i suoi portici, a Carnevale, ed ancora il Municipio, la parte
alta della città, il Santuario di Nostra Signora di Bonaria
con il suo museo di ex voto e le sue leggende marinare, la vista panoramica
da
Monte Urpino, il Poetto (la spiaggia di Cagliari a Quartu
S.Elena) oramai irriconoscibile rispetto quando andavo io per la mancanza
dei “casotti” (una sorta di palafitte di legno) sotto i quali giocavo e
per la sabbia scura importata che ha rovinato per sempre l’arenile un tempo
bianchissimo; poi i vicini stagni, il grande stagno stagno di Molentargius,
parzialmente adibito a saline, dove il colore rosso mattone dell’acqua
tradisce la presenza dell’artemia, un piccolo crostaceo di cui vanno ghiotti
i fenicotteri che grazie al pigmento dell’invertebrato diventano parzialmente
rosa. Quando ero piccolo i fenicotteri erano rari e solo talvolta durante
le migrazioni dall’Africa si posavano in questi specchi cittadini, ora,
forse per la diminuizione dell’habitat africano (desertificazione ?), sono
stabili e se ne vedono tantissimi.
Per parlare di questa storica città
non basterebbero cento pagine e non sarebbe questo racconto il luogo più
adatto, dico solo di dedicarle un po’ di tempo per ammirarne le meravigliose
sorprese.
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Le
spiagge:
Le
spiagge nei dintorni di Villaputzu sono molte e varie come caratteristiche.
Personalmente ritengo una spiaggia relativamente vicina quando, con un
massimo di mezz’ora-quaranta minuti, riesco a raggiungerla a prescindere
dalla distanza. Come sempre ho dato la preferenza a spiagge di scogli meglio
se calette sassose o sabbiose circondate da rocce con fondale roccioso
o misto evitando le spiagge “tutta sabbia” che sono sempre più affollate
e che soprattutto non mi permettono di fare snorkeling da riva con la mia
amata macchinetta subacquea e procurare il pranzo a base di polpi e seppie
rigorosamente pescate senza fucile subacqueo (che ho buttato alcuni anni
fa per una crisi ambientalista) con le nude mani o al massimo con una fiocina
nel caso di intanamento. Inutile dire che ho trovato ovunque fondali fantastici
con abbondanti praterie di posidonie, folte nuvole di piccoli pesci, gruppetti
di muggini (cefali), triglie e saraghi e soprattutto a ridosso dell’Area
Marina Protetta di Capo Carbonara banchi di orate e spigole. I polpi
non erano così abbondanti come un tempo quando mi capitava, da ragazzino,
di vederli persino sporgendomi da terra sulle pozze tra gli scogli…in
ogni modo un paio al giorno erano assicurati; molto più abbondanti
invece le murene, forse anche più decenni fà. Colonie di
ricci (che la gente raccoglieva e mangiava crudi sul posto), stelle marine,
granchi, paguri e conchiglie di vario calibro tappezzavano gli scogli multicolori,
multicolori anche grazie ai coralli e alle spugne rossi che qualche volta
ospitavano.
Ogni mattina
dopo il canto del gallo ci alzavamo e alle 7,30 massimo 8 ero già
in acqua con pinne, maschera, muta, macchinetta fotografica, fiocina, retino
e pallone segnalatore, orario perfetto insieme con quello serale
per poter incontrare quanta più fauna possibile. Certo… non è
mare tropicale e come tale non ha i pesci sgargianti ed abbondanti a pochi
metri dalla riva ma se non altro come Mar Tirreno lo ritengo al top (avendo
snorkellato in quasi tutte le regioni tirreniche). L’orario mattutino era
inoltre il migliore per portare al mare mia figlia Marika di 8 mesi nelle
ore meno calde (a mezzogiorno o prima andavamo via per tornare dopo le
17-18), e per avere più tempo, dopo pescato, per far vincere la
paura dell’acqua a mia figlia Maeva di 5 anni facendole indossare dapprima
una mutina, poi dopo qualche giorno i braccioli, poi la maschera ed infine
il boccaglio, fino a riuscire a farla andare a largo con me a snorkellare
e addirittura farle scattare qualche foto con la mia macchinetta…se avessi
avuto un’altra settimana forse sarei riuscito anche ad impararle una forma
rudimentale di nuoto senza braccioli.
In alcune
spiagge che poi descriverò l’uscita mattutina era anche indispensabile
per poter trovare posto, non perchè fossero affollate, ma semplicemente
perchè laddove esistevano delle piccole calette bastava un ombrellone
ad occuparle totalmente, mentre dove il parcheggio era molto limitato rispetto
la capienza della spiaggia verso le 10,30-11 non era più possibile
fermarsi con l’auto.
In generale
comunque non c’erano particolari problemi anche perchè le spiagge
rimanevano deserte sino a poco prima dell’ora di pranzo e soprattutto nelle
prime due settimane di Agosto si riempivano appena…nelle successive due
settimane invece le spiagge erano sensibilmente più frequentate.
Per più
frequentate intendo comunque una situazione accettabile ! per indenderci,
riferendomi alle spiagge da me visitate, il massimo della folla (nei giorni
festivi della seconda metà d’Agosto nelle spiagge più famose
come nella foto d’esempio di Cala Monte Turno) significava una sola
fila di ombrelloni a distanza sufficiente a garantire la privacy e assolutamente
senza tutta la serie di fastidiosi eventi quali radioline accese, partite
a racchettoni, schiamazzi, trilli di cellulari o via vai di persone in
perenne passeggiata lungo l’arenile …tutti erano più o meno in
religioso silenzio ispirato probabilmente dalla sacralità
naturale dei luoghi !
Ovviamente esistono anche spiagge
in zona che non seguono questa regola, ma io, conoscendole, l’ho evitate.
Altri consigli: Anche
se nelle coste che ho frequentato non mai trovato il turbine strappacapelli
che so esistere in altre parti dell’isola, consiglio
di portare dietro per sicurezza una corda con la quale creare almeno un
tirante collegato al cappello dell’ombrellone e fissato a terra da una
pietra (io utilizzavo una mezza bottiglia di plastica con del gesso solidificato
all’interno ed un gancio affogato) per aumentare la stabilità non
solo in caso di vento ma soprattutto in caso si debba piantare l’asta in
un luogo dove lo strato di sabbia è troppo sottile e quindi non
può affondare a sufficienza.
Non scordarsi
mai di entrare in acqua con delle scarpette per evitare tra gli scogli
di pungersi con i ricci (le cui punte si spezzano dentro la pelle e difficilmente
si riesce a toglierle con le pinzette, potendosi infettare) e per scongiurare
nei bassi fondali sabbiosi le punture delle tracine, pesciolini che vivono
sotto la sabbia con un aculeo velenoso sul dorso (da piccolo, quando erano
più abbondanti, mi pungevano spesso!) Se non si è allergici
non è pericoloso ma il dolore, vi posso assicurare, è molto
forte.
Qui di seguito la descrizione delle
spiagge che consiglio facilmente raggiungibili in auto (non fuoristrada)
e con brevissimi tratti a piedi (anche perchè con l’attrezzatura
subacquea, le riserve d’acqua fresca, l’ombrellone e tutto l’occorrente
per due figlie piccole non avevo certo l’intenzione di fare del trekking).
Partendo da Nord e scendendo verso
Sud:
| Spiagge
intorno a Marina di Tertenìa (comune di Tertenìa).
Da Villaputzu
tramite la SS125 mi sono diretto verso Nord in direzione di Tertenia e
poi verso Marina di Tertenia, la strada ha dei tratti panoramici che attraversano
le montagne. Una volta sulla costa alla ricerca di spiagge meno frequentate
mi sono diretto di nuovo verso sud dove la strada diventa, come sempre
nelle migliori tradizioni sarde, non asfaltata. A distanza di qualche chilometro
ci sono una serie di spiagge formate da ciottoli a volte scuri e scogli
rosa affioranti. Sinceramente non mi hanno molto entusiasmato a livello
paesaggistico, anche se le ho trovate molto tranquille: a vista d’occhio
eravamo solo noi in spiaggia protetti dietro una roccia dallo scirocco,
un vento caldo proveniente da sud meno frequente del Maestrale; purtroppo
ci sono stato l’unico giorno (dei due su 4 settimane) in cui ho trovato
il mare mosso perciò non saprei raccontare dei fondali.
Nel pomeriggio
per ovviare al mare mosso causato dal vento cambiato di direzione ci siamo
diretti verso spiagge posizionate diversamente e più riparate (altra
dritta).
Partendo da
Villaputzu ho percorso circa una cinquantina chilometri per raggiungere
le spiagge denominate: Su Prettu e Barisoni. |
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| Murtas
(località Quirra – comune di Villapùtzu)
Questa è
la grande “dritta” di chi si reca in vacanza in questa zona. Per fortuna
non tutti i turisti sono ben informati dell’esistenza e soprattutto dell’accessibilità
della spiaggia durante il mese di Agosto; infatti parliamo di una zona
interdetta la maggior parte dell’anno per via della grande base Nato sopra
descritta.
Teoricamente,
per sapere in quali mesi le spiagge sono accessibili, bisognerebbe leggere
le ordinanze comunali, ma nel mese di Agosto è sicuramente consentito
l’ingresso.
Per arrivarci
da Villaputzu bisogna percorrere la vecchia (ma si potrà presto
utilizzare anche la nuova) ss125 verso Nord, si supera Capo San Lorenzo
(dove c’è l’entrata di uno dei centri di controllo operativi della
base, quindi è inutile girare con l’auto nella speranza di accedere
al mare) sino ad arrivare in località Quirra: fino a questo punto
sono poco più di dieci chilometri. Poi in prossimità di un
bar dove ci sono una serie di cartelli marrone che indicano le rovine del
Castello
di Quirra (o Chirra) e la torre spagnola di Murtas si gira e
dopo circa 300 metri c’è un bivio. Se si prosegue dritto dopo un
pò, la strada diventa bianca (piuttosto bruttina, piena di buche
profonde) e rende disponibile l’accesso alla parte più a Sud della
meravigliosa spiaggia di Murtas (località s’Acqua Durci),
una striscia di sabbia chiara lunga sei chilometri dai chicchi che vanno
dalla grandezza del riso a quella di un seme di anguria. Tra la sabbia
è quella che preferisco in quanto non da fastidio ai piedi, non
si riscalda troppo al sole, non si attacca sulla pelle bagnata e sulle
cose portate in spiaggia e non rimane in sospensione nel mare neppure dopo
una mareggiata. Per questo motivo il mare è di una limpidezza impressionante…verrebbe
voglia di berlo !. Poichè la strada non è il massimo consiglio
di non recarsi in questa parte della spiaggia bensì al bivio girare
a sinistra (attenzione c’è una profonda cunetta !) e proseguire
all’interno dell’area. Qua e là si intravedono manufatti recintati
con il filo spinato e sulle cime delle montagne alle spalle delle installazioni
radar, per il resto c’è solo macchia mediterranea (spesso simile
al bush Australiano laddove si è lasciato inselvatichire l’eucalipto)
e campagna talvolta coltivata, talvolta adibita al pascolo (gli agricoltori
e gli allevatori sono gli unici autorizzati ad accedere alla zona sino
ai loro poderi tutto l’anno). Dopo altre tre cunette e un paio di ponti
su fiumiciattoli in secca (ignorando i cartelli “ponte chiuso” probabilmente
utilizzati in altri periodi) si prosegue avendo come riferimento ottico
in lontananza la torre di Murtas (il castello invece di Quirra quasi non
si nota in quanto si tratta solo di qualche rudere non facilmente accessibile).
Lungo la strada
si trovano vari cartelli che avvertono della zona militare: talvolta ricordano
di attenersi ai sentieri autorizzati, altre volte di non proseguire oltre
con la strada asfaltata, ma in Agosto si possono ignorare, anche se non
c’è scritto; sempre lungo lo stesso itinerario voglio segnalare
la Tomba ipogeica S’Oru, ovvero i resti di una tomba prenuragica
(nulla di sconvolgente ma vane la pena di una foto).
I passaggi
verso la spiaggia sono segnalati da frecce con la scritta “parcheggio”,
da queste si lascia la strada principale per entrare in un viottolo non
asfaltato abbastanza agevole che porta nel giro di qualche centinaio di
metri ad uno o più piazzali sterrati dove lasciare l’auto per poi
percorrere a piedi dai 50 ai 150 metri per raggiungere dal mare.
I passaggi
sono (mi pare) quattro, io sono stato in tre di essi. I primi riguardano
la parte solo sabbiosa. Come detto prima io non amo le spiagge “tutta sabbia”,
ma in questo caso c’è da rimanere a bocca aperta per il colore e
la trasparenza del mare. Il mare degrada velocemente, già superato
lo “scalino” del bagnasciuga è profondo un metro e dopo pochissimi
passi scende a tre, quattro metri. La trasparenza è tale che mi
è sembrato di volare anzichè nuotare e persino senza maschera
ad occhi aperti mi è stato possibile intravedere un branco
di pesci. Più avanti a qualche decina di metri dalla riva inizia
una scogliera scura che si mantiene sempre molto profonda senza affiorare.
Il silenzio
fa da padrone spezzato solo da un raro pattugliamento di un elicottero
militare. La prima quindicina di Agosto la spiaggia è rimasta pressochè
deserta, poi è aumentata la gente (soprattutto camperisti o locali)
raggiungendo un picco festivo di 30 ombrelloni in 6 Km di arenile ! …ovviamente
mai prima delle 10,30-11,00, spesso dopo! e tutti concentrati in prossimità
degli accessi automobilistici. Volendo isolarsi completamente a mezzogiorno
di Ferragosto basta camminare qualche centinaio di metri sulla spiaggia
(cosa che non fa nessuno nemmeno per una semplice passeggiata).
Negli accessi
centrali la spiaggia rimane sabbiosa, talvolta con la vista della vicina
isola di Quirra (o scoglio di Murtas) mentre nell’ultimo accesso verso
Nord, prima che la strada principale salga sul promontorio sovrastato dalla
torre spagnola e da una postazione radar, la spiaggia termina in configurazione
“sabbia con scogli”, dapprima affioranti poi, verso la fine, solo scogli,
pescosi scogli !
Questa è
secondo me la parte più bella anche se relativamente più
frequentata nella seconda quindicina d’Agosto; il paesaggio circondato
da montagne è suggestivo, c’è persino un pulito fiumiciattolo
che si ferma sulla riva senza arrivare in mare ed anche i fondali sono
interessanti pieni di murene, polpi e banchetti di pesci ma anche anemoni,
spirografi e grossi granchi mimetizzati; in questo punto il mare degrada
in maniera ripida quasi come nella parte esclusivamente sabbiosa ed è
calmo quasi sempre in quanto riparato dal vento grazie al promontorio affiancato.
Superando
questi accessi con l’auto è possibile proseguire sulla salita che
scavalca il capo. Immediatamente dopo l’ultimo accesso descritto (quindi
prima della salita) c’è un cartello che invita a non andare oltre,
ma si può tranquillamente continuare (mi riferisco al mese di Agosto
2006). La strada dopo poco si divide in due, a destra si sale sul capo
dove si può arrivare sino alla Torre spagnola di Murtas terminando
in un’installazione militare; se invece si scende (occhio alla curva con
poca visibilità) verso il litorale si scavalca il capo dove la strada
asfaltata termina in una serie di calette più o meno accessibili
completamente sassose con un fondale ricco ed un mare di un colore azzurro-turchino.
Proseguendo
verso Nord la strada che costeggia gli scogli diventa non asfaltata peggiorando
sempre più fino a diventare poco più di una mulattiera. Con
una berlina e con molta attenzione è possibile fare le prime centinaia
di metri, poi per arrivare in spiaggette isolate è necessario un
piccolo fuoristrada o meglio, come ho visto talvolta, un Quad (abbreviazione
di Quadricycle…quella specie di moto-fuoristrada a quattro ruote tanto
famose nel deserto retrostante Sharm).
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Aggiornamento
2011: Le spiagge di Murtas-Quirra incominciano ad essere più
frequentate (non vuol dire “folla”). Sono stati rimossi alcuni cartelli
militari, creati dei parcheggi a pagamento gestiti da una cooperativa locale
e spuntato un chioschetto !. |
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| Porto Corallo
(comune di Villapùtzu)
Porto Corallo
è il punto della costa più vicino Villaputzu; è praticamente
la spiaggia del paese e si raggiunge in dieci minuti di auto percorrendo
la ss125 in direzione Nord e svoltando a destra al bivio omonimo (provinciale
99). La spiaggia è formata da una parte sabbiosa lunga che finisce
verso sud con la foce del Flumendosa che in Agosto non sfocia in mare creando
una coreografia particolare (infatti tra mare e fiume sembra di essere
su un isolotto creato da una striscia di sabbia grigia) mentre verso Nord
è racchiusa da scogli. Il mare non è mai profondo e degrada
lentamente. Io ho preferito come al solito la parte rocciosa in quanto
oltre a permettermi una pesca di polpi e seppie abbondanti, l’ho trovata
più riparata dai venti, comunque, come ripeto, mai fastidiosi. La
parte rocciosa inoltre è quella più vicina alla strada provinciale,
percorrendola sino a vedere il mare, in corrispondenza di un piccolo ricovero
di camper, prima della curva ci si immette in una serie di piazzali e stradine
non asfaltate tra le siepi di lentisco e dopo poche decine di metri si
può parcheggiare in una delle calette. Le calette (come da foto)
in genere hanno un piccolo strato di sabbia, delle scale artificiali in
pietra per scendere più agevolmente e l’accesso al mare a 3-4 metri.
Sono anche pulite grazie anche al lavoro di alcuni ragazzi che la mattina
prestissimo passano a raccogliere gli eventuali rifiuti camminando in acqua
tra gli scogli. La parte sabbiosa è dotata anche di un bagnino e
qualche piccolo servizio gestito da una coperativa. Porto Corallo deve
il nome ai coralli che in questa zona si raccoglievano un tempo abbondanti
anche se poi con il tempo si trasformò in porto commerciale per
i minerali estratti dalle miniere. Ora il porto si trova a Nord di queste
calette ed è stato ristrutturato a vocazione esclusivamente turistica
e peschiera. Nella prima quindicina di Agosto la spiaggia è rimasta
quasi vuota nonostante i servizi per i camper (vicino al porto c’è
anche un punto di carico/scarico) e nonostante il porticciolo…mi sono
meravigliato anche del fatto che in tutta una mattinata non ho neppure
visto un motoscafo all’orizzonte! Nella seconda quindicina la situazione
è cambiata sempre senza raggiungere livelli asfissianti; inoltre
nelle calette che dalla spiaggia arrivano sino al porticciolo esponendosi
a 180 gradi rispetto il vento (quindi con varie angolazioni), c’è
posto solo per un ombrellone, quindi una volta accaparrata si è
sicuri di essere soli anche a ferragosto !
Continuando
verso Nord saltando il porticciolo (con uno scarsissimo movimento di barche,
molto più utilizzato come base per sagre e feste religiose) ed un
ristorante si raggiungono altre calette rocciose ed infine una grande spiaggia
di sabbia grigia fine: Porto Tramatzu. Qui purtroppo si assiste
all’unico scempio della zona, un nuovissimo villaggio turistico che dal
mare si arrampica sulla collina…un pugno nell’occhio estetico per fortuna
visibile solo dal porticciolo in poi, che comunque non affolla la zona.
Porto Corallo
è stato per noi la meta ideale quando non volevamo macinare troppi
chilometri, soprattutto quando volevamo stare in spiaggia la sera ad aspettare
il tramonto. I fondali, risentendo della vicina spiaggia di sabbia, sono
trasparenti solo quando il mare è calmo da parecchio; se, come accaduto,
qualche notte si è agitato, il mattino seguente era un pochino torbido
(anche se a tratti e comunque non mi impediva di usare la maschera e fare
qualche foto). Probabilmente la vicinanza con il Flumendosa dispensatore
(durante l’inverno) di sedimenti indispensabili alla biologia marina ha
fatto si che la vita fosse abbondante: ho visto persino dei banchi di piccoli
barracuda mediterranei. E’ stato un’ottima base di lancio per insegnare
i rudimenti dello snorkeling a mia figlia visto le acque basse e
la fauna abbondante già in un metro d’acqua.
Alle spalle
delle calette e del porticciolo la torre spagnola di Porto Corallo.
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| Torre Salinas
e San Giovanni (comune di Muravèra)
Percorrendo
la statale n.125 verso sud si arriva dopo qualche chilometro a Muravera;
oltrepassando di poco il paese ci sono una serie di stradine non asfaltate
che portano verso la costa. Una delle prime è in comune con il campeggio
“i Quattro Mori” e porta alla lunga spiaggia di sabbia (1,5 km) chiara
di San Giovanni. La spiaggia, che come ho detto, ha vari accessi carrabili
e termina verso Sud accanto un grande edificio, una ex colonia estiva,
a ridosso di una collina alta cinquanta metri sovrastata dalla Torre Salinas.
La parte sabbiosa
è troppo frequentata per i miei gusti in quanto è la spiaggia
per eccellenza di Muravera, il paese più ricettivo della zona, per
i servizi annessi e per la presenza di alcuni campeggi e di un villaggio
Ventaclub.
Il mare è
trasparente, ma è senz’altro più interessante nella parte
attigua alle rocce ovvero la parte di Torre Salinas, l’unica torre costiera
in Sardegna (anno 1650 circa) che presenta una base quadrata, anzichè
conica, per di più sviluppata su tre piani.
Tutta la zona
è caratterizzata da una serie di stagni tra cui lo stagno Salinas
(un’antica salina) e il più grande stagno dei Colostrai in
comunicazione con quello più a sud di Feraxi (si pronuncia
Ferasgi in quanto la “x” in sardo si pronuncia “sg” dolce) dove c’è
un piccolo laghetto di pesca sportiva e si pratica l’acquacoltura di spigole,
orate (che per un particolare metodo di allevamento sono da considerare
quasi selvagge) ed ostriche.
Come nella
maggior parte delle zone umide costiere del sud della Sardegna anche qui
vivono oramai da qualche anno stabilmente i fenicotteri rosa. |
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| Spiagge
di Capo Ferrato (comune di Muravèra)
Da Villaputzu
si prende la nuova statale (che si imbocca poco prima di San Vito) verso
Sud cioè verso Cagliari e si esce a Olia Speciosa, poi si
seguono le indicazioni per Capo Ferrato; da Villaputzu sono circa
35 chilometri. Intorno al capo si trovano delle spiagge e delle cale molto
suggestive e poco frequentate grazie al fatto che tutta la massa
di gente si riversa sulle vicine chilometriche spiagge della Costa Rei,
sabbiose e zeppe di strutture turistiche (e quindi da me rigorosamente
saltate).
Nei pressi
di Capo Ferrato sorge un campeggio in località Porto Pirastu
con una stradina bianca che porta al mare. Questa è la parte sud
di Porto Pirastu, carina con sabbia, ciottoli e scogli ma conviene continuare
un poco più avanti dove la strada asfaltata finisce e ne inizia
una sterrata. Poche decine di metri dopo anzichè proseguire dritto
(dove ci sono i cartelli raffiguranti il simbolo di un delfino blu per
Feraxi)
si gira a destra verso il mare. Una strada sterrata costeggia un reticolato
che delimita una pineta dove è consentito dal Comune il campeggio
libero (ma sottoutilizzato, con pochissime tende canadesi come da foto);
poi la stradina (abbastanza piena di buche e strettissima ma percorribile
con qualsiasi auto) devia a sinistra verso la parete sud di Capo Ferrato
( e del Monte Ferru). Prima della deviazione è possibile
parcheggiare e trovare a pochi metri una caletta incantevole (che fa sempre
parte di Portu Pirastu, ma è più appartata), formata da sabbia
color crema e massi di granito, molto somigliante ad una spiaggia Seychellese
(escludendo la mitica Anse Source d’Argent a La Digue).
Volendo divertirmi
con il fotoritocco (che non uso mai nelle foto che metto sul sito) se sostituisco
il pino marittimo con la palma da cocco, la similitudine diventa più
evidente.
Si tratta
di una caletta di una cinquantina di metri con vista, dal lato Nord, di
Capo Ferrato con tanto di torre sulla cima e delimitata verso Sud da un
grosso masso molto simile ad un menhir; il mare è blu e sempre trasparente…i
fondali suggestivi con un grande anfiteatro sottomarino profondo delimitato
da rocce affioranti. Anche nei giorni più critici la caletta è
rimasta vuota o al massimo con un ombrellone, sulla parte Nord è
possibile a piedi accedere ad altre cale più piccole e rocciose.
Per chi vuole
sostare tutto il giorno è l’ideale in quanto durante le ore più
calde è possibile fare un pic-nic, riposarsi o magari dondolarsi
su un’amaca sotto la retrostante pineta.
Se invece
anzichè parcheggiare vicino alla caletta si prosegue verso Nord
a sinistra sulla strada in salita piuttosto bruttina (sarebbe meglio percorrerla
in fuoristrada o quad ma piano piano un tratto si può fare anche
con una normale auto) si arriva ad altre calette rocciose, meno d’effetto
ma ancora più isolate.
Tornando alla
strada non asfaltata primaria, andando dritti, dove ho detto prima è
piantato un cartello con un delfino blu, si raggiunge la spiaggia di
Feraxi, ma il viottolo, appena transitabile, è piuttosto tortuoso.
La stessa spiaggia è raggiungibile con minore difficoltà
da Nord rispetto il Monte Ferru tramite una serie di strade
parzialmente asfaltate che partendo da San Priamo costeggiano gli stagni.
La spiaggia
di Feraxi chiamata anche Portu SÂ’Illixi è una striscia di
sabbia color panna lunga 4 chilometri con un piccolo stabilimento balneare
a ridosso di Capo Ferrato. Per chi non può far meno di qualche servizio
è la spiaggia ideale in quanto poco frequentata e con la possibilità
di un mare cristallino sabbioso, ma anche, nella parte Sud, degli scogli
del capo. |
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| Cala di
Sinzias, Cala Monte Turno (comune di Castiàdas)
Saltando completamente
l’affollata Costa Rei con la nuova statale n. 125 in direzione Sud
uscire di nuovo ad Olia Speciosa (non proseguire con la statale
verso Villasimius) e andare in direzione della costa seguendo le indicazioni
per Villasimius sulla provinciale costiera n° 18. Si tratta di uno
dei tratti più panoramici della Sardegna comparabile alle migliori
coste del Nord che porta ai più bei gioielli della Sardegna meridionale.
Il rovescio
della medaglia è ovviamente che mano mano che le spiagge si fanno
belle diventano inevitabilmente famose e quindi più affollate. Per
fortuna alcune di queste sono lontane da strutture turistiche (nel senso
che si trovano a 10-20 chilometri) e poichè la maggior parte delle
persone odia prendere l’auto in vacanza preferendo le gabbie dorate dei
villaggi di lusso o degli alberghi, c’è ancora spazio per trovare
angoli di paradiso relativamente vuoti di calca.
Le prime spiagge
degne di una mattinata prima di passare a quelle secondo me più
spettacolari sono:
Cala Monte
Turno è una cala nella quale si alternano scogli a sabbia chiara.
E’ chiamata anche Cala di SantÂ’Elmo (dal nome del tratto di costa) ed è
segnalata da un cartello scritto a mano; possiede un ampio parcheggio al
quale si accede dopo aver percorso la solita strada sterrata, per questo
è abbastanza frequentata. Verso Nord un panoramico capo la cinge.
Nella foto a fianco si può vedere la massima affluenza in un giorno
ed orario di punta. continuando più a Sud si arriva a:
Cala di
Sinzias, una lunga striscia di sabbia bianca e mare limpidissimo che
finisce a Sud con un capo e quindi con degli scogli. Questa spiaggia è
moderatamente affollata alle ore di punta in corrispondenza di alcuni servizi
di ristorazione. E’ stata segnalata da Goletta Verde come il tratto di
mare più puro e meno inquinato di tutto il Mar Mediterraneo…non
che le altre spiagge siano inferiori…anzi pochi chilometri più
a Sud inizia l’ Area Marina Protetta di Capo Carbonara.
Per accedere
a questa spiaggia, che a dire il vero non da l’impressione di una cala,
basta seguire i cartelli che in un paio di punti portano a delle strade
asfaltate seguite dalla solita stradina bianca.
Tra le due
preferisco Cala Monte Turno.
Ma i tre gioielli
vengono dopo, continuando sulla provinciale costiera più a Sud. |
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| Cala Pira
(comune di Castiàdas)
Proseguendo
sulla costiera n.18, verso Sud, poco dopo il Km 11 c’è sulla sinistra,
cioè verso il mare, un masso di granito dove sopra c’è l’indicazione
della cala (anche se si vede meglio venendo da Sud); dalla roccia si gira
verso una strada bianca abbastanza agevole.
Ricordo la
prima volta che capitai, per puro caso, in questa cala: era il 1982, avevo
preso la patente da pochi giorni e, appena finiti gli esami di maturità,
mi ero imbarcato per la Sardegna. Esplorando il territorio con la mia mitica
Fiat 127 capitai in questa mezza luna bianco-rosata di sabbia fine di qualche
centinaio di metri protetta dagli scogli di fronte all”isola di Serpentara,
con al lato Nord una torre spagnola, all’epoca non ancora restaurata, e
dietro un cartello che pubblicizzava la vendita di ville che di lì
a poco avrebbero costruito…un vero paradiso con una laguna bassa dal
fondale bianco accecante assomigliante a quelle tropicali, il mare chiazzato
di varie tonalità di blu, la vegetazione, soprattutto ginepri, rigogliosa,
i pesci abbondanti come in una barriera corallina…era fine Agosto e per
tutta la giornata non incontrai nessuno !
25 anni dopo
la bellezza è rimasta intatta, ma il paradiso è stato scoperto
da un sacco di gente: infatti le ville sono state costruite e quelle più
vicine al mare hanno il muro di cinta direttamente sulla sabbia a pochissimi
metri dall’acqua. Per fortuna non sono molte e, la carenza di parcheggi
per gli esterni, unita alla sottigliezza della spiaggia, limita l’afflusso
dei turisti.
Tra tutte
le spiagge da me fruite in questa vacanza è la più frequentata
ma, considerando che la gente va al mare molto tardi, considerando la carenza
di posti auto (meglio andare di mattina), considerando che vicino non esistono
ristoranti o stabilimenti, considerando che ho scartato a priori le spiagge
veramente affollate e considerando che si tratta di una delle più
belle spiagge sarde posso affermare con certezza che è una meta
“imperdibile” per chi soggiorna nel raggio di qualche decina di chilometri.
Da Villaputzu
dista circa 50Km percorribili in poco più di una mezz’ora tant’è
che siamo tornati ripetutamente in questo luogo anche due volte al giorno
(la mattina ed il pomeriggio).
La particolarità
di questa cala è proprio il fatto che è riparata dai capricci
del vento e del mare tant’è che, parlando con persone del
luogo, nessuno ricorda mai di aver visto il mare mosso. L’acqua cristallina
molto bassa nella parte sabbiosa (ovvero quasi tutta la cala) è
l’ideale per i bambini, mentre nei due lati gli scogli sono l’ideale per
lo snorkeling. La spiaggia ha due accessi carrabili che si trovano nei
due estremi della striscia di sabbia, il primo che si incontra è
a Sud, mentre per il secondo bisogna proseguire sulla strada scavalcando
le ville ed attraversando un boschetto di eucalipti fino a raggiungere
uno sterrato vicino alla torre di avvistamento spagnola.
La parte a
Sud ha un fondale molto più affascinante ed abbondante di pesci
rispetto quello Nord con archi di roccia, banchi enormi di sardine e così
via. Sempre nella parte sud finita la spiaggia inizia una scogliera di
grandi sassi dove non si mette mai nessuno.
La parte a
Nord invece è più suggestiva per il paesaggio con la vicina
torre, con le rocce tondeggianti incastonate nella sabbia bianca ed i ginepri
che arrivando sino in spiaggia permettendo di appendere ai rami gli effetti
personali (asciugamani, borracce, borse..) creando tra l’altro un surplus
di ombra.
L’ombrellone
si può piantare tranquillamente ad un metro dal mare, tanto la cala
è come una piscina immobile, e mentre i bimbi piccoli fanno il bagno
in tutta sicurezza nelle acque basse e sabbiose, i più grandi, con
maschera e boccaglio, esplorano gli scogli qualche metro più sopra
.
Facendo delle
passeggiate verso l’interno si può raggiungere la torre sino alla
sua base oppure si possono ammirare una serie di calette, esclusivamente
sassose, dove non va mai nessuno nonostante sia facile arrivarvi senza
dover camminare molto (talvolta solo qualche decina di metri dalla spiaggia
principale)
Cala Pira
si trova (almeno a tutt’oggi: 2006) appena fuori dall’ Area Marina Protetta
di Capo Carbonara, quindi è consentito pescare; dispone inoltre
di un corridoio dove le piccole imbarcazioni possono approdare (ma anche
nei giorni più critici ce ne erano pochissime). |
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| Cala Porceddu
(comune di Castiàdas)
Di tutte le
spiagge descritte, con grande mio rammarico, è l’unica nella quale
non me la sono sentita di andare limitandomi ad ammirarla (e fotografarla)
da lontano.
Si trova sempre
sulla costiera n.18, a circa 5 Km a sud rispetto il bivio di Cala Pira.
Non me la
sono sentita di andare in quanto la strada bianca d’ entrata è sbarrata
e quindi bisogna lasciare l’auto sulla provinciale, che in quel punto è
abbastanza alta rispetto il livello del mare, e scendere a piedi. Da solo
l’avrei fatta ma, con bimbi e relativo equipaggiamento, non mi andava proprio
! Calcolate che la foto è stata realizzata dal punto in cui bisogna
parcheggiare l’auto ed è abbastanza zoommata. Inoltre poichè
la strada sterrata che scende al mare è molto lunga a causa della
forma a zigzag con tornanti, quasi tutti tagliano più o meno dritto
rendendo il percorso impervio e faticoso soprattutto in salita sotto il
sole.
Se però
si va con un semplice zaino, anche pesante, dietro le spalle, non c’è
problema e si può accedere ad una delle spiagge con il migliore
rapporto bellezza/poca gente !
La foto è
stata realizzata in uno dei giorni/ore di maggiore affluenza 😉
Molto particolare
è l’omonima punta con forma arrotondata. |
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| Punta Molentis
(comune di Villasimìus)
Stupenda località
appena all’interno dell’Area Marina Protetta di Capo Carbonara, ultimo
baluardo prima di entrare nella caotica area di Villasimius.
Per giungere
a Punta Molentis bisogna continuare a percorrere verso Sud la costiera
n.18 sino ad un bivio piuttosto scomodo per chi viene da Nord, all’incirca
al Km 2, dove ci sono le indicazioni per la pizzeria-ristorante l’Oleandro;
poco dopo bisogna girare a destra verso il mare (il ristorante si trova
invece sulla sinistra verso l’interno) passando sotto il ponte (sopra il
quale passa la provinciale costiera) e continuando per un chilometro e
mezzo di strada ovviamente non asfaltata.
Si raggiungono
un paio di parcheggi sterrati a pochi metri dal mare dove lasciare l’auto.
La spiaggia
di fronte al parcheggio è molto particolare in quanto è formata
da ciottoli arrotondati sino al bagnasciuga, poi in corrispondenza della
linea del mare, di netto, il fondo diventa completamente sabbioso, con
una morbida sabbia chiara.
Il luogo è
fantastico sia perchè il paesaggio è notevole, sia perchè
agevole da raggiungere e sia perchè poco frequentato.
La poca frequentazione
è data da due fattori: il primo è perchè a sinistra
(verso Nord) del parcheggio corre una strada in salita, che porta ad una
spiaggia di sabbia quasi opposta alla spiaggia di ciottoli, cioè
una riva fronte terra anzichè fronte orizzonte-mare dotata di servizi.
Questa riva, per fortuna abbastanza lontana e non completamente allineata
alla spiaggia di ciottoli (quindi non rovina la vista) è dotata
di uno stabilimento, più un ristorante mobile, quindi…è
la più gettonata.
Il secondo
fattore è la limitata capienza dei parcheggi.
Anche quando
questi sono strapieni, la spiaggia di ciottoli (quella meraviglia delle
due foto a fianco) è vuota in quanto si tratta delle auto dei bagnanti
della spiaggia con servizi; infatti per raggiungere quest’ultima spiaggia
bisogna percorrere a piedi una strada in salita, per nulla breve, che è
sbarrata alle auto con un sistema elettronico al quale accedono solo gli
addetti alla ristorazione e allo stabilimento.
Per questo
motivo conviene arrivare la mattina presto perchè la gente pur di
raggiungere la spiaggia con lo stabilimento, finiti i parcheggi, incomincia
a sostare lungo la strada occupando tutto il tratto del chilometro e mezzo
o aspettando in doppia fila che si liberi un posto in una follia collettiva
che, secondo me, non ha senso !
Nella mia
bellissima caletta, riparata dal vento sia alle spalle (montagna) che di
fronte (lingua di sabbia distante dove va tutta la folla) e quindi riparata
anche dal mare mosso è possibile fare il bagno come in una piscina,
nell’acqua bassa e cristallina con il fondo bianco e la superficie immobile.
Ai due lati (la cala è lunga ad occhio e croce un centinaio di metri)
ci sono degli scogli dove poter fare snorkeling. Soprattutto la scogliera
verso Sud (quella delle foto) è ricchissima di vita animale grazie
al fatto che qui viene tutelata. Infatti, come ho detto prima, ci troviamo
in un area protetta dove, come segnalato da chiari cartelli, è vietatissimo
pescare; purtroppo quando sono andato io c’era una famiglia che senza alcun
problema pescava sia con la canna che con il fucile subacqueo :-(.
Di fronte
si può vedere l’isola di Serpentara con la torre di San
Luigi.
Oltre questa
spiaggia non sono riuscito ad andare, non mi ha retto il cuore !; infatti
dopo un paio di chilometri di costiera n.18 sono arrivato a Villasimius,
un centro iper-turistico dove traffico e negozi di ogni genere, anche lussuosi:
dagli abbigliamenti alle oreficerie, fanno da padrone.
Ricordo ancora
quando circa 25-30 anni fa era un paesino di pescatori nel quale si innestava
una modesta attività turistica promossa dall’unico villaggio esistente:
il Tanka Village.
Sempre 25
anni fa ci soggiornai una quindicina di giorni e, appena patentato, andai
alla scoperta delle sue spiagge, tutte particolari, tutte uniche, tutte
da incanto…per citarne qualcuna la Spiaggia del riso (dalla sabbia
assomigliante per forma e colore, appunto, ai chicchi di riso),
Porto
Giunco, Cala Caterina, Timi Ama divisa tra il mare e
lo stagno di Notteri nel quale vivono stanziali i fenicotteri rosa:
tutte ben segnalate da cartelli.
Purtroppo
ora le stesse spiagge, pur avendo mantenuto la loro bellezza intrinseca,
sono affollate ed inglobate in strutture turistiche e per accedervi bisogna
talvolta pagare un biglietto, altre volte passare attraverso costruzioni
residenziali, campeggi, ecc.ecc.
…dopo aver
appurato quello che temevo (ovvero ciò che ho detto sopra), ho girato
l’auto e sono corso via ! 😉 …non prima di aver ammirato Capo Carbonara
al termine della strada che attraversa Villasimius. |
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L’archeologia:
La
Sardegna rappresenta un paradiso anche per chi ama l’archeologia soprattutto
quella preistorica, ma non solo… io non sono il più adatto a presentarla
e quindi mi limiterò a raccontare quello visto quest’anno e quel
poco che so.
L’isola essendo
in una posizione geografica strategica è stata colonizzata/influenzata
nelle varie epoche da molte culture che hanno lasciato abbondanti tracce
del loro passaggio: Fenici, Cartaginesi, Romani, Vandali, Bizantini, Pisani,
Genovesi, Spagnoli e Sabaudi, tanto per citare i principali.
Senz’altro
le costruzioni che più saltano all’occhio, anche del più
disattento, sono i Nuraghi e le Torri costiere. Purtroppo
i più “distratti” (chiamiamoli così) le confondono tra loro
pensando che siano tutti dei Nuraghi…orrore! sono due cose ben distinte:
i Nuraghi (ne rimangono circa 7-8000) furono costruiti a partire da 3500
anni fa per vari scopi (spiegherò più avanti) da una civiltà
preistorica che ebbe il suo sviluppo autonomo in Sardegna, le torri costiere
(ne rimangono circa 70), tutte in comunicazione ottica tra loro,
invece sono state costruite dagli Spagnoli (ma qualcuna anche dai Savoia)
dopo il 1500 per avvistare e difendere la costa dagli attacchi dei pirati
Barbareschi e Saraceni.
Entrambe le
strutture (Nuraghe e Torri costiere) sono da sempre a me famigliari tanto
che, quando ero piccolo, facevano parte integrante dei miei disegni ogni
volta che volevo rappresentare un paesaggio agreste o marino.
Iniziando
dal periodo più antico, nel medio e tardo Neolitico, circa 5500-6000
anni fa in Sardegna l’uomo iniziò una rivoluzione mentale che lo
portò a sviluppare una propria cultura soprattutto come manufatti
e tradizioni religiose. A parte quello che si può vedere nei musei,
sul territorio si possono trovare circa un migliaio di Domus de Janas
(dal dialetto sardo:” le case delle fate”) che sono delle cavità
ed anfratti artificiali scavati nella roccia ed adibiti a tombe talvolta
raggruppate in siti minori altre volte vere e proprie necropoli.
Devo dire
purtroppo che quasi tutte sono completamente abbandonate e non curate nella
speranza che non siano mai distrutte dall’azione dei vandali.
Rimanendo
in zona Villaputzu è possibile vederne a San Vito (seguire i cartelli
dell’omonimo Agriturismo) e a Quirra lungo la strada del Poligono Interforze.
Allo stesso
periodo appartengono altre strutture legate al culto funerario come i Dolmen
cioè grandi pietre verticali che ne sorreggono una orizzontale,
Tombe
a circolo (nel Sarrabus però non ce ne sono, bisogna andare
verso Arzachena) e Menhir, alti macigni spesso allineati
tra loro con simbologia sessuale; da Villaputzu consiglio di andarli a
vedere a Goni (Pranu Mutteddu), un paese non distante all’interno
dell’isola oppure direttamente nei complessi megalitici di
Piscina Rei
e di Cuili Piras.
Dal
1800 a.C. la fusione tra i pacifici indigeni con diversi popoli esterni
mediterranei attirati dalle risorse dell’isola, soprattutto il rame, diede
vita ad una cultura sarda unica nel suo genere: la bellicosa
civiltà
Nuragica.
La testimonianza
più evidente della civiltà sono le migliaia di Nuraghe sparsi
su tutto il territorio, attualmente quasi 8000, ma sicuramente molti sono
andati persi, altri si celano sotto collinette e sono ancora da scoprire.
Il loro scopo era simile a quello dei castelli medioevali, cioè,
a seconda del periodo e della grandezza, potevano fungere da fortezza difensiva
o di vigilanza, regge o anche semplici abitazioni. Sono costituiti da torri
a tronco di cono che possono essere isolate o aggregate a strutture più
complesse, tutte sono formati da pesanti massi, talvolta provenienti da
siti lontani, sovrapposti a secco con un’apertura generalmente molto bassa
e rivolta in modo da essere riparata dal Maestrale. Sulle tecniche di costruzione
ci sono varie ipotesi tutti simili a quelle fatte per le Piramidi egizie.
Girovagando
in qualsiasi strada sarda, Orientale 125 inclusa, è possibile vederne
vari, alcuni abbandonati e lasciati deperire, altri (la minoranza) restaurati
o attrezzati per le visite. Ad esempio se da Villaputzu si percorre la
vecchia SS125 verso Cagliari dopo pochi chilometri sulla destra, si incontra
il Nuraghe Asoru, un nuraghe a singola torre con un cortile (purtroppo
in stato d’incuria con un sacco di sporcizia alla sua base e nella macchia
circostante): è possibile dedicargli 2 minuti accostando con l’auto
in una piazzola d’emergenza appena di fronte.
Per poter
capire bene la funzione e la struttura di un Nuraghe non c’è di
meglio che recarsi in uno dei grandi siti ben tenuti dove è possibile,
pagando un modico biglietto, visitarne l’interno accompagnati da una guida
autorizzata. A questo proposito quest’anno ho portato la mia famiglia a
Barùmini,
nel complesso nuragico probabilmente più importante di tutta la
Sardegna: Su Nuraxi (si pronuncia Su Nurasgi).
Su Nuraxi
non si trova in zona, ma occorre da Villaputzu entrare all’interno dell’isola
e percorrere circa 100Km di strade e curve sino ad arrivare nella Giara
di Gesturi, un altopiano (nella zona di Marmilla, caratterizzata
da colline a forma di mammella), riserva naturale, famoso per la presenza
all’interno dei cavallini selvatici dalle origini sconosciute (probabilmente
vennero in epoca preistorica dal lontano Oriente) e per i sughereti.
Arrivare
da Villaputzu seguendo una normale cartina stradale può essere complesso
in quanto si rischia di allungare di molto (anche il doppio) il percorso
se si seguono le strade principali o viceversa, cercando scorciatoie, di
trovarsi in viottoli tortuosi che rallenterebbero la marcia; qui di seguito
riporto il percorso ideale con strade primarie e secondarie tutte buone
con qualsiasi tempo con il quale si riescono a coprire i cento chilometri
in circa due ore (seguire le indicazioni citate su una mappa):
San Vito-Ballao-Goni-Donigala
(la strada inizia con due-tre metri sterrati ma poi il resto è buono
ed asfaltato)-Siurgus-Mandas-Escolca-Gergei-Barumini.
Un percorso
all’interno della Sardegna per giungere a Su Nuraxi, integrabile con altri
siti archeologici minori (ad esempio: il Pozzo Sacro Funtana Coberta a
Ballao), è anche una occasione per ammirare lo spirito selvaggio
della vera Sardegna pastorale, quella lontana dai fasti dorati costieri.
Apro una parentesi
con una considerazione personale: la Sardegna è la più bella
terra d’Italia e non solo per mare in quanto belle spiagge, acque cristalline
e paesaggi marini d’incanto si possono trovare (anche se non con la stessa
abbondanza) anche in altre regioni quali la Sicilia, la Toscana, la Calabria,
o la Puglia ma quello che non si trova da nessuna parte (per quanti anni
ancora ?) è l’evidenza di un territorio, soprattutto interno, ancora
selvaggio, selvatico e poco sfruttato con una urbanizzazione essenziale…ed
in parte in alcune zone questo pregio si estende sino alla costa; in Sardegna
non ci sono autostrade, sono poche le industrie, pochi i tratti ferroviari
(penso tutti) monobinario a scarto ridotto (ricordo da piccolo che per
andare da Cagliari a Sassari ci mettevo quasi un giorno), le ultime superstrade
costruite sono sempre deserte (meno male che le hanno costruite…ricordo
da piccolo che per raggiungere Olbia da Cagliari in auto bisognava percorrere
infinite ore di Orientale Sarda 125: non tutta asfaltata!) e la pastorizia
ancora in cima alle rendite dell’isola, spesso condotta con metodi tradizionali
(mi è capitato in questa vacanza di veder mungere un centinaio di
mucche ancora a mano, per non parlare di pecore e capre). – chiusa parentesi,
torno a Su Nuraxi.
ll complesso nuragico
è stato costruito in varie fasi e comprende, come si vede dalla
pianta del cartello fotografato, un torrione centrale alto 18 metri (il
più antico, rimasto per molto tempo l’unica struttura), una successiva
muraglia ciclopica con quattro torri più o meno allineate nei punti
cardinali, un corridoio stretto tra le mura ed il torrione ed un cortile
interno sul quale è stato scavato un pozzo ancora funzionante, altre
sette torri minori e una serie di strutture come forni ed abitazioni .
La costruzione è iniziata intorno al 1550-1300 a.C., nell’età
del Bronzo per poi continuare, mano mano che aumentavano le esigenze, nell’età
del Ferro sino ad arrivare, alternando periodi floridi a periodi di abbandono,
all’età Punico-Romana (V sec.a.C. – III sec.d.C.) quando Cartaginesi
e Romani misero fine alla civiltà Nuragica.
Il sito, patrimonio
mondiale UNESCO, è aperto tutto l’anno dalla mattina al pomeriggio,
è dotato di parcheggio e nel prezzo del biglietto (meno di 5 euro)
è compresa la guida, obbligatoria per accedere al complesso (si
parte a gruppi).
All’interno
del torrione centrale ci sono dei passaggi molto angusti, perciò
lo sconsiglio a chi ha forti problemi di claustrofobia, per fortuna i corridoi
stretti sono relativamente corti per cui io, che ne soffro lievemente e
che non lo sapevo, ce l’ho fatta senza problemi nonostante qualche volta
mi sia incastrato a causa dello zaino porta-bebè sulle spalle con
Marika dentro ! Lo sconsiglio anche alle persone dotate di scarsa agilità
in quanto, benchè le agevoli scale, ci sono un paio di passaggi
in cui bisogna arrampicarsi poggiando i piedi su alcune superfici rocciose
veramente centimetriche !
Per le altre descrizioni sul complesso
vi rimando all’abbondante materiale che si trova nella rete.
Con un supplemento sul biglietto
è possibile visitare a Barumini anche il Museo di casa Zapata che
contiene sia materiale archeologico nuragico che etno-storico sardo; sempre
a Barumini (ma a me non interessava e quindi l’ho saltato) si può
visitare la “Sardegna in miniatura”, un parco tematico sulla falsa riga
di un altro parco di romagnola memoria.
I Nuraghi sono solo le costruzioni
più appariscenti della civiltà nuragica che ci ha lasciato
altresì diverse strutture importanti (oltre piccoli manufatti come
statuette in bronzo, argilla o pietra e vasellame) legate a riti magici
e al culto dei morti: Santuari, Pozzi Sacri e Tombe dei
Giganti.
Per
Santuari si comprendono costruzioni di diverso tipo come templi, piazze
e luoghi di ritrovo in generale spesso rimpiazzati in epoca moderna da
chiese di campagna o luoghi dove si svolgono mercati e sagre. I Pozzi Sacri
invece sono dei veri e propri pozzi, spesso ancora funzionanti, dove si
svolgevano cerimonie legate al culto dell’acqua, elemento prezioso oggi
come allora nell’arida Sardegna. Il culto dell’acqua rientra nella religiosità
nuragica che adorava un pò tutti gli elementi della natura. I circa
40 pozzi arrivati sino ai nostri giorni sono quasi tutti simili tra loro,
cioè con una entrata in pietra a livello del terreno ed una scala
che porta sino alla fonte. Nei pozzi ancora funzionanti è possibile
scendere la scala sino alla sorgente, mentre d’inverno il livello dell’acqua
può raggiungere quasi l’imboccatura della struttura. Per visitarne
uno partendo da Villaputzu bisogna percorrere la vecchia Orientale Sarda
in direzione Nord fino al Km.88 dove ci sono i cartelli che lo indicano;
inizia così una stradina non asfaltata che prosegue per campi, passando
per un guado cementato su il rio San Giorgio (nessun problema per l’auto)
e per una collina di pini, sino a raggiungere una azienda agricola. La
strada finisce davanti un cancello di legno e dopo bisogna proseguire poche
centinaia di metri a piedi all’interno di una proprietà privata
(c’è un sentiero apposito). Il pozzo sacro Is Pirois, nascosto
tra l’incolta vegetazione, si trova a ridosso di una lunga costruzione
chiara che fa parte della fattoria.
Le Tombe dei Giganti, che in questo
viaggio non ho visitato perchè già viste altre volte, sono
delle grandi strutture sepolcrali chiamate così perchè, proprio
a causa delle loro dimensioni, si pensava fossero tumulati degli uomini
giganti.
Tra le più importanti e relativamente
vicine conviene andare a visitare quella denominata Is Concias,
presso Quartucciu, praticamente alle porte di Cagliari, a circa 60 Km da
Villaputzu. |
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Le Chiese:
Ogni località sarda ha le
sue antiche Chiese, spesso minuscole Chiesette di campagna chiuse da anni,
altre che vengono aperte in occasione di alcune festività religiose,
altre ancora Chiese principali attive…tutte hanno una storia secolare
a volte anche molto particolare come il Santuario di Nostra Signora
di Bonaria (in spagnolo: Nuestra Señora del Buen Aire) a Cagliari
(fondato dagli spagnoli nel 14° secolo) in onore del quale i conquistadores
diedero il nome alla capitale dell’Argentina: Buenos Aires; per
la precisione: Mendoza, fondatore della capitale argentina, quando giunse
nel 1536 al Rio de la Plata fu accompagnato dai monaci dell’ordine della
Madonna della Mercede (all’epoca fondatori e gestori del Santuario Cagliaritano)
i quali proposero il nome della città.
Tornando al comune di Villaputzu,
oltre alla Chiesa di San Giorgio, che era
vicina a casa, ho fatto un salto a quella di San Nicola, che si
raggiunge percorrendo per una quindicina di chilometri la vecchia SS125,
superando lo svincolo per Quirra. La Chiesetta, romanica, a navata singola
con tetto spiovente, costruita tra il XII ed il XIII secolo, ha l’unicità
di essere ricoperta interamente in cotto (i mattoni rossi).
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Le
grotte:
Le grotte
sono un altro importante capitolo per chi si reca in Sardegna, ce ne sono
molte visitabili, la maggior parte delle quali spettacolari.
Le più
conosciute (che ho visitato più volte nel passato) sono quelle costiere
come la Grotta di Nettuno ad Alghero alla quale si accede via mare
tramite un battello oppure da terra scendendo faticosamente una marea di
scalini (fatto!) e quella del Bue Marino raggiungibile prendendo
un’imbarcazione dal porto di Cala Gonone.
Per chi soggiorna
a Villaputzu è da prendere in considerazione quest’ultima grotta
(a circa 130 km percorribili in un paio d’ore e mezza d’auto) chiamata
così per la presenza sino agli anni ’80 della Foca Monaca
(dal tipico verso simile ad un bue). La foca monaca è estinta da
anni in Sardegna, anche se ci sono stati dei rari avvistamenti tra cui
il mio, nel Giugno del 1993, mentre facevo pesca subacquea a poche decine
di metri da riva, non lontano da Cala Gonone, a Sos Dorroles.
Meno conosciute,
perchè spesso meno appariscenti o perchè lontane dai luoghi
di villeggiatura marini, sono le grotte “di terra”. Tra quelle da me visitate:
Ispinigoli
(“la spina nella gola”, per la presenza di una lunga colonna all’interno
della grotta) a Dorgali, la Grotta di San Giovanni a Domusnovas
(un tempo ci entravo con l’auto in quanto era l’unica strada per raggiungere
dei paesini vicini…in pratica fungeva da tunnel con tanto di strada asfaltata
all’interno) ed il gioiello che ho scoperto quest’anno, la Grotta di
Su Marmuri a Ulassai, la più bella delle grotte “non
costiere” ad una cinquantina di chilometri da Villaputzu verso Nord in
direzione di Jerzu.
Ulassai è
un paese non lontano da Tortolì (per citare la località
marina conosciuta più vicina) abbarbicato a 750 metri ad una roccia
delle forme particolari denominata “Tacco di Ulassai” Tutta la zona
è abbondante di “Tacchi” cioè di altopiani calcari
che si ergono a picco su un territorio montagnoso ospitando spesso all’estremità
foreste di lecci e macchia mediterranea. Questi Tacchi sono meta ambita
dei freeclimber di tutto il mondo; la zona è altresì attrezzata
per gli amanti delle scalate con la corda o più semplicemente per
gli appassionati del trekking e della mountain bike; essendo un territorio
carsico non è difficile trovare corsi d’acqua e cascate (soprattutto
durante la stagione meno secca) che uniti ai canyon fanno assomigliare
il paesaggio, in alcuni scorci, a quello dei film western ambientati nella
Monument Valley in Arizona.
Una volta
giunti nel paesino montano basta seguire le indicazioni per arrivare alla
Grotta di Su Marmuri e poco dopo un’enorme opera d’arte, al lato della
strada, raffigurante i resti di un dinosauro si arriva in un parcheggio
dove è situata la biglietteria, un bar, dei wc e un ristorantino
condotto dalla stessa cooperativa che gestisce le visite guidate alla grotta
dove è possibile prenotare a buon prezzo un pasto completo tipico
sardo.
Le grotte
sono visitabili solo con la guida da Aprile ad Ottobre (negli altri periodi
sono chiuse perchè parzialmente invase dall’acqua) in orari che
cambiano secondo il mese, in Agosto dalle 11:00 alle 18:30 con intervalli
tra la partenza di un gruppo e quello successivo di circa due ore.
Su Marmuri
è tra le più imponenti grotte d’Europa per i suoi enormi
spazi con volte che in alcuni punti superano i 70 metri di altezza: sicuramente
consigliabile anche a coloro i quali soffrono di claustrofobia o siano
poco atletici in quanto non esistono passaggi angusti, non esistono corridoi,
non esistono rocce sulle quali arrampicarsi ma solo un “pavimento” quasi
totalmente piano, talvolta su roccia e talvolta su passerelle: unica precauzione
stare attenti al fondo in alcuni tratti viscido per l’acqua; si tratta
infatti di una grotta ancora viva cioè interessata ancora al processo
che, grazie allo stillicidio dell’acqua calcarea, crea dall’alto le stalattiti
e dal basso le stalagmiti dalle mille forme e colori: da candelabri di
alabastro a cactus, da cascate di ceramica ad orecchie di elefante oltre
che laghetti incantati!
Per entrare
nell’antro della grotta bisogna prima salire degli scalini in pietra sino
ad una collinetta e poi scendere 200 gradini tramite una comoda ed ampia
scala di ferro fino al fondo ma non avendo fretta con delle “scarpe comode”
non creano problemi…se considerate che avevo al mio seguito mia figlia
Marika di 10 Kg dietro alle spalle !
In Agosto
la temperatura esterna di 35 gradi cala bruscamente, mano mano che si scende
nella grotta, a 10 gradi (talvolta anche meno) con un tasso di umidità
al limite della saturazione quindi bisogna attrezzarsi assolutamente con
delle felpe e se s’ indossa dei pantaloni lunghi è meglio !
Il percorso
al pubblico è lungo quasi un chilometro e una volta arrivati alla
fine bisogna tornare indietro per la stessa strada; la durata è
di circa un’ora e mezzo.
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Il
cibo:
Il
cibo locale è una parte importante di un viaggio ma, purtroppo in
alcune località del mondo (Sardegna compresa), vuol dire andare
in costosi ristoranti e non sempre è possibile, pena: accorciare
la vacanza per limitato budget.
Per fortuna,
trovandomi nella mia seconda terra dove ho lasciato degli amici, sono riuscito
a degustare nuovamente i sapori unici di questa regione e meglio che al
ristorante, visto che le persone che conosco sono cuochi provetti !
Ma non mi
sono limitato ai pur frequenti “inviti”; conoscendo tutti i piatti e gli
ingredienti tipici sardi sono riuscito a cibarmi in tutto il periodo al
100% di alimenti locali in quanto i due supermercati della zona, uno di
una famosa catena sarda (Nonna Isa), l’altro di un gruppo nazionale (Sigma),
proponevano tra gli scaffali in maggioranza prodotti sardi, da quelli generici
come sale marino, mozzarella, carne, frutta, verdura e yogurt a quelli
specificatamente tipici come bottarga (o bottariga), pecorino, miele di
corbezzolo, salumi, pane e paste regionali fresche.
Altre occasioni
“ghiotte” per immergermi nei sapori isolani erano i due panifici vicini
casa dove oltre alle varietà di pane sfornavano una serie di dolci
caratteristici e le numerose “sagre” anche se, riguardo queste ultime,
consiglio di prenderle in considerazione solo per l’acquisto di prodotti
culinari presso le bancarelle e di lasciar stare le degustazioni di massa
(con offerta minima di due euro) adatte forse ai “nuovi turisti” (ovvero
a coloro i quali non conoscono bene il sapore delle singole ricette) ma
che personalmente mi hanno piuttosto deluso !
L’ultimo giorno
ci siamo concessi l’unica pappatoria extra del viaggio presso l’agriturismo
“Marongiu” poco dopo Villaputzu in direzione Nord sulla SS125 dove con
25 euro abbiamo mangiato una lunga sequenza di portate e bevuto fiumi di
Cannonau sino a scoppiare!
Non vorrei
scrivere un trattato di cucina in un sito di viaggi ma un bel capitoletto
lo voglio…lo “devo” fare.
Le pietanze
sarde sono principalmente legate alla terra, più che al mare, soprattutto
alla pastorizia. Il pesce non manca ma non è nella più stretta
tradizione ad eccezione di alcuni ingredienti come arselle (una
specie di piccola vongola), uova di riccio, Bottarga (la sacca ovarica
dei muggini, dei pesci simili ai cefali) o le anguille.
Nei secoli,
la diffidenza per le coste da dove venivano i vari popoli “stranieri” ad
imporre le loro dominazioni, ha spinto la popolazione autoctona a ritirarsi
all’interno dove sviluppare anche dal lato culinario una propria cultura
legata al territorio, isolata dal mondo forestiero: probabilmente a tutt’oggi
è la cucina più antica ed “indipendente” che ci sia in Italia,
decisamente la meno “nazionale”.
Le carni,
sia derivate dalla “libera” pastorizia (e non carne “da stalla”), sia dalla
selvaggina (cinghiale), sono alla base della maggior parte dei piatti ed
hanno tutte un sapore intrinseco unico che non si può trovare da
nessuna altra parte. E non mi riferisco alle ricette ed ai condimenti,
sempre molto semplici, mai speziate (al massimo un pò di pepe e
qualche ramoscello di una pianta profumata ma mai piccanti), mai elaborate,
mai complicate, ma al sapore proprio delle carni degli animali (soprattutto
maiali, capre, pecore e ultimamente porcastri, un incrocio dall’aspetto
impressionante tra un grande maiale ed un cinghiale) che si sono cibati
liberamente della macchia mediterranea (e nel caso dei maiali delle ghiande,
visto l’abbondanza di querce da sughero) cioè delle piante aromatiche
abbondanti in Sardegna. Se si fa una passeggiata la mattina presto in campagna
e si annusa l’aria o semplicemente se si strofina una foglia tra le dita
di una qualsiasi pianticella anche vicino le spiagge si può capire
cosa intendo: lentisco, mirto, rosmarino e finocchio selvatico, menta,
liquirizia, lavanda, ginepro e non solo…tutti profumi intensi.
Tra
tutte le carni, il maialino da latte (Su Porceddu, la cui vendita
è autorizzata per tradizione solo in Sardegna) fa da padrone, un
maialino di 5-6 chili al massimo, cotto allo spiedo con sapienza e soprattutto
molta pazienza, senza fretta per far meglio abbrustolire la cotenna ben
salata, con una brace di legna aromatica e guarnito di rametti di mirto
magari associato, tanto per fare compagnia, a un pezzo di capretto…il
tutto mangiato tiepido (ma anche freddo va bene!) e accompagnato da un
robusto e secco vino rosso Cannonau.
Il
Cannonau
è uno dei pochi elementi esterni della tavola tipica sarda in quanto
i vitigni sono stati importati dagli spagnoli dopo il 1400.
Altre carni
che non possono mancare all’assaggio: il cinghiale, il cavallo (in Sardegna
c’è la più alta concentrazione di macellerie equine d’Italia
con gioia di mia figlia Maeva), l’asinello, l’agnello ma anche la pecora
adulta, un pò dura ma saporitissima con il suo di grasso color ambra;
infine, da citare, tutta la serie di prosciutti ed insaccati apprezzati
purtroppo più negli Stati Uniti che nel “continente” (leggi: nel
resto d’Italia).
Dopo la carne,
il piatto più importante, a ricordare che siamo comunque tutti italiani
(come lo sono i sardi Antonio Gramsci, Pamela Prati, Gianni Agus, Giuseppe
Materazzi e forse anche Juan Peron !) è la pasta, ma con caratteri
spiccatamente personali: Malloreddus (gnocchetti sardi sia di semola
semplice che arricchita con lo zafferano che difficilmente mancano nella
mia dispensa),
Culurgiones (di cui ho fatto una super-incetta, dei
grossi ravioli ripieni in genere di patate, formaggio e menta) e Fregula
(piccole palline di semola tostata simile al cuscus); pasta che può
essere cucinata in vari modi (ad esempio la Fregula è ottima nel
brodo di carne o con le arselle, i Malloreddus con la bottarga di tonno
o di muggine) ma che dà il massimo con un sugo di ragù di
carne con un’abbondante nevicata di pecorino grattugiato.
I formaggi
sono un altro capitolo importante: è quasi inutile citare i famosi
pecorini più o meno stagionati, in primis il pecorino sardo dop
e quello romano (derivato dalla tradizione dei legionari romani), meno
conosciute sono invece le creme di formaggio, da spalmare sul pane, spesso
piccanti (gli unici sapori piccanti della cucina sarda risiedono in alcuni
formaggi) da quelle facilmente reperibili in barattoli di vetro a quelle
rare (quest’anno non sono riuscito a trovarlo!) come il Casu Marzu
(letteralmente “il cacio marcio”) cioè il formaggio con i vermi.
Le pietanze
sono accompagnate dal pane, anche questo un argomento del tutto particolare.
Il più famoso, il più conosciuto è senza dubbio il
Pane
Carasau chiamato anche Carta da Musica, un pane “sfizioso” di forma
rotonda o (ultimamente) squadrato formato da strati croccanti sottilissimi
che si mantiene tantissimo anche per molti mesi (a me dura anche quasi
un anno senza che subisca alterazioni) che insieme al pecorino è
stato per secoli la base del nutrimento per i pastori.
Ancora più
buona la sua variante: il Pane Guttiau che è formato da Pane
Carasau salato, condito con olio d’oliva e ripassato al forno per renderlo
ancora più croccante (e anche questo si mantiene mesi! ); il papà
di questo pane è però il Pistoccu, di origine più
antica, e dallo spessore leggermente maggiore.
Altri tipi
di pane comune soprattutto al sud (e mi riferisco a prodotti che in Sardegna
si consumano quotidianamente e non in occasioni particolari), sono il Coccoetto
(un pane con una soffice mollica bianca ed una crosta con dei “cornetti”
più duri che, in occasione delle feste, può assumere forme
bizzarre), la Spianada (una focaccia morbida da usare a mò di piadina)
, il Pan’arrescottu (il pane con la ricotta ovina) ed il Pane
con le Olive.
A completare
il quadretto gastronomico anche quest’anno “saggiato”: le Panadas
(tortine fritte di formaggio…talvolta anche di carne o anguille), il
Pane
Frattau (una sorta di amalgama di pane carasau, uova, formaggio e pomodoro)
ed i dolci, che ogni anno degli amici mi spediscono a casa, da quelli a
base di mandorle (Amaretti, Sospiri e Croccanti vari)
a quelli a base di ricotta o pecorino (Pardules ed Arrubiolus)
a quelli a base di miele amaro di corbezzolo come le Seadas (o Sebadas)….ed
ancora i torroni bianchi talvolta grandi come macigni, mostaccioli
di limone e noci, meringhe ed un’infinità di tipi di biscotti secchi
(Pirichittus, Papassinas…)
Il tutto innaffiato
oltre che dai vini classici o dalla Vernaccia anche da un Mirto
fatto in casa (il liquore scuro fatto con le bacche del mirto di cui posseggo
una discreta scorta personale) o un’acquavite (il “Filu ‘e Ferru”
detto anche “s’abbardente” cioè “che brucia”). Una curiosità:
il nome “Filu ‘e Ferru” o “Fil’e Verru” deriva dal fatto che soprattutto
un tempo (ma ancora oggi) veniva prodotto di contrabbando dai pastori che
per sfuggire alla Guardia di Finanza nascondevano l’attrezzatura di distillazione
sotto terra, lasciando fuori come segnaposto: un pezzetto di “filo di ferro”.
…ora basta:
sto svenendo di fame, plop ! |
Le
sagre e la tradizione:
Le sagre rappresentano
l’occasione più importante per avvicinarsi alla cultura sarda, mi
riferisco ai costumi, alla musica, ai balli, ai tanti dialetti, all’artigianato
e alla gastronomia. Alcune, soprattutto quelle legate alle festività
religiose, hanno tradizioni secolari e sono svincolate dal turismo, altre
invece sono nate negli ultimi anni per attirare l’attenzione dei vacanzieri,
anche se sono comunque manifestazioni “veraci” cioè legate ad una
reale tradizione, sentita e coltivata e non “surrogati per turisti” come
talvolta può accadere di vedere ovunque nel mondo.
Ogni zona
della Sardegna possiede un nutrito calendario di feste durante tutto l’anno
(circa 1500), alcune molto impressionati come l’Ardia di Sedilo (alla quale
non mancavo mai un tempo, una corsa selvaggia di cavalli e cavalieri) agli
inizi di Luglio, altre scenicamente incomparabili come la sfilata di S.Efisio
a Cagliari a Maggio, altre ancora “gustose” come, per rimanere nella zona,
la “sagra delle arance” a Muravera in Aprile.
Il mese di
Agosto, tra antiche feste popolari e nuove sagre, propone nel Sarrabus
quasi ogni sera qualcosa di interessante.
Tralasciando
le date precise (i giorni talvolta possono variare all’interno del mese
in anni diversi) e tralasciando le manifestazioni che poco hanno a che
fare con la cultura isolana come concerti jazz, sfilate di moda, gare gastronomiche
tra turisti, raduni automobilistici o serate di disco music-latino-liscio
in piazza (ma che possono lo stesso essere una valida fonte di svago) cercherò
di riassumere lo spirito delle più tradizionali sagre alle quali
ho partecipato quest’anno.
La più
importante, e non solo per i turisti, è la Maskaras
che è l’unico Carnevale estivo dell’isola (si tiene nella
piazza principale di Muravera) per il quale molti sardi giungono anche
da lontano per assistere alle sfilate con i costumi delle caratteristiche
maschere sarde altresì visibili solo durante il Carnevale invernale
di alcuni specifici paesi dell’interno.
In questo
Carnevale non ci sono carri allegorici, non ci sono maschere forestiere,
non ci sono coriandoli e palloncini, ma solo le autentiche maschere ed
i costumi inquietanti che nei secoli hanno accompagnato i riti propiziatori
del paganesimo pastorale e contadino.
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| Boes e Merdules |
Mamuthones |
Issohadores |
Thurpos |
Bundu |
Mamutzones |
…altri riti pastorali |
Per aggiudicarsi
una buona posizione in prima fila seduti comodamente su una sedia è
bene andare in piazza un’oretta e mezza prima dell’inizio del Carnevale.
Il primo gruppo
di costumi è stato quello dei Boes e Merdules (il “bue ed
il padrone”) provenienti da Ottana (un paesino del Nuorese al centro
della Sardegna) ricoperti del tipico abito da pastore sardo, cioè
con la pelle di pecora e con campanacci ed impressionanti maschere, che
traggono origine dai riti orgiastici dei Fenici.
Sono seguiti
i più famosi Mamuthones, di Mamoiada (altro paese
all’interno del Nuorese, senza di loro qualsiasi Carnevale sardo non avrebbe
senso), con maschere di legno e abiti pelosi e di velluto scuro piuttosto
spaventosi, che curvi, camminavano lentamente su due file scuotendo a ritmo
i pesanti campanacci (e spaventando i bambini, Maeva pur essendo grandina
e pur essendo da me preparata ha pianto quando hanno tentato di afferrarla)
scortati dagli agili Issohadores (” i portatori di funi”), vestiti
di rosso con o senza maschera bianca, che con le loro funi (appunto “sa
soha”) cercavano di catturare le persone del pubblico. Ed ancora i
sos
Thurpos (“gli storpi, i cechi”) di Orotelli, che incappucciati
con una palandrana nera e con la fuliggine nel volto interpretavano i ruoli
del contadino e del bue legati da un indissolubile crudele destino, i sos
Tamburinos di Gavoi in processione con i loro tamburi in pelle
di capra, i su Bundu di Orani con le grandi e simpatiche
maschere di sughero rappresentanti i contadini della Barbagia, i sos
Mamutzones e s’Urtzu mezzi uomini e mezze capre ed altri costumi
e rappresentazioni di riti scaramantici spesso violenti (bastonate vere
comprese) tra gli uomini e la natura, tra gli schiavi ed i padroni…il
tutto seguito da nenie, salti, urla, musiche e danze tipiche accompagnate
da strumenti ancestrali come le Launeddas, strumenti a fiato formati
da tre lunghe canne palustri.
Come ogni
importante evento, è seguito e preceduto da alcuni giorni di iniziative
folcloristiche di vario genere come le mostre dell’artigianato (soprattutto
cestini e tappeti ma anche oggetti in legno, ricami, monili ed i particolari
coltelli sardi, s’arresoja, dal manico lavorato in corna d’animale),
rappresentazioni teatrali in dialetto sardo e assaggi di Malloreddus, Culurgiones,
pasta alla Bottarga, pesce fritto, carne, dolci e vino Cannonau.
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Le feste sono
anche i momenti in cui si possono ammirare gli splendidi costumi sardi
e assistere a spettacoli di danze e musiche popolari.
Escludendo
i gruppi folcloristici professionisti che si esibiscono con bravura nelle
piazze e nei palchi dei paesi, il costume sardo è qualcosa di più
che un abito utilizzato per “l’intrattenimento” (come avviene nelle altre
regioni d’Italia); il costume sardo non è qualcosa da far vedere
solo ai turisti, nè un vestito di Carnevale, nè un modo per
“travestirsi” da “antichi”, bensì un vero e proprio abito elegante
da indossare durante le feste più solenni. Quindi, oltre il vestito,
spesso nero, di tutti i giorni che ancora qualche vecchietta indossa nei
paesini più sperduti, il costume sardo colorato, da cerimonia, è
ancora portato con fierezza sia dai giovanissimi che dai meno giovani nelle
manifestazioni più importanti. E’ possibile quindi vedere in costume
tanto dei bimbi in Chiesa durante la messa del patrono del paese, che degli
adulti durante un matrimonio.
Nella foto
a sinistra degli amici hanno fatto indossare a mia figlia Maeva l’abito
sardo; i giorni prima era rimasta così colpita dalla bellezza dei
costumi da chiedermelo in regalo per Carnevale al posto (e questo mi ha
meravigliato!) dei classici abiti da fatina, Cenerentola o Winx ma purtroppo
non la potrò accontentare; il costume sardo non si vende nei negozi,
è un preziosissimo capo di abbigliamento realizzato rigorosamente
a mano dalla perizia di sarte esperte utilizzando delle particolari stoffe
talvolta ricamate con fili d’oro.
Come si può
vedere l’abito femminile è molto più colorato e vivace di
quello maschile; pur variando di paese in paese e personalizzato nei particolari
(ogni capo è unico) rispetta dei canoni comuni. |
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La testa delle
donne è sempre ricoperta da un velo di pizzo spagnoleggiante, uno
scialle oppure un fazzoletto, la camicia rigorosamente bianca spesso merlettata
con le maniche sblusate o addirittura aperte e con un corsetto colorato
ricamato a fantasia che rappresenta in genere la parte più preziosa;
infine una gonna lunga, il tutto addobbato dai gioielli della sapiente
arte orafa sarda in argento, oro o corallo. L’abito maschile invece è
più sobrio: scoppola, camicia e pantaloni di lino bianchi, gilet
scuro, talvolta una giacca di velluto altre volte una cappa lunga di cuoio
od una palandrana di lana di pecora.
Tornando alle
feste nel mese di Agosto, ce ne sono state altre sia a Muravera che nel
grande spazio di Porto Corallo a Villaputzu: sagre di ravioli, bottarga
e pesce, con bancarelle, convegni su piante aromatiche ed officinali del
Sarrabus Gerrei, stand di vario genere, intrattenimenti folk ed animazioni
sia per grandi che per piccini, come clown, giocolieri e mangiafuoco.
Di
una certa rilevanza la Festa della Madonna del Mare, il 16 Agosto, iniziata
il pomeriggio con la processione di una Madonnina dalla parrocchia di Santa
Maria sino al porto, poi issata a bordo di un peschereccio dove alla presenza
delle massime autorità religiose ed una moltitudine di fedeli è
stata celebrata all’aperto la Santa Messa; infine dopo una serie di cerimonie
che hanno coinvolto alcune barchette nel porto (lancio di corone di fiori),
sarebbe dovuta partire in processione in mare, fuori da Porto Corallo,
seguita da chiunque avesse avuto un’imbarcazione (oppure ospite) …purtroppo
quest’anno, per un improvviso capriccio del vento, il corteo marino è
stato cautelativamente abrogato.
Straordinarie,
come sempre, le danze sarde e le musiche, ma anche i fuochi artificiali
che sul mare si sono susseguiti per giorni e giorni, in una sfida tra varie
aziende specializzate in pirotecnica.
Ricordo che
la sera io e Maeva, da soli, come fidanzatini, parcheggiavamo l’auto vicino
il mare e poi con una torcia, a piedi nel buio, riuscivamo ad avvicinarci
a pochi metri dal luogo dove partivano i fuochi, sdraiati sulla sabbia
e lontani dalla calca di gente che si ammassava sul distante porto o sul
lungomare; la totale assenza di inquinamento luminoso, un leggero venticello
marino, il sommesso brusìo della risacca ci regalava uno spettacolo
magico. |
Purtroppo le settimane
sono passate in fretta e a fine Agosto sono tornato a Cagliari per imbarcarmi,
non prima però di aver “imbottito” l’auto, grazie alla squisita
gentilezza dei miei amici, di un pezzo di Sardegna “mangereccia”.
L’ultima sorpresa: sul ponte del
traghetto ad un’ora e mezzo dall’arrivo a Civitavecchia, quando sulla prua
s’incominciava ad intravedere la ciminiera delle centrale elettrica, sulla
poppa, a fianco della scia, scorgevo gli sbuffi di una balena. |