MICRONESIA FEB. 2000

di CARLO ROMANO ( [email protected] )


Siete sicuri di non essere tornati in Sudan? Ho chiesto ai miei tre amici d’avventura.

Gli amici d'avventura !

E da quel viaggio che non ricordavo un caldo simile. La prima cosa che ho notato quando l’aereo si e’ fermato, sono stati i suoi vetri bagnati. Ho pensato che piovesse. Altro che pioggia. E’ umidita’. Siamo partiti da Milano Malpensa domenica mattina alle 11 e via Londra Hong Kong Manila siamo arrivati qui a Guam alle 5 di mattino ora locale con la stazione barometrica fuori dall’aeroporto che dava a quell’ora 32 gradi e 93 percento di umidita’. Il viaggio e’ stato buono. L’aerostazione di Hong Kong mi ha stupito per la sua pista e tutto l’aeroporto ricavati in mezzo al mare. E’ il nuovo Chek Pap Lai mi pare se non sbaglio, dove ti senti veramente nel futuro.

L’aeroporto di Manila invece mi ha ricordato le vecchie stazioni ferroviarie degradate del profondo sud degli anni 50. Tutto vecchio, senza un ristoro, dove noti solo guardie armate di fucili a pompa che ti controllano in ogni mossa. E fuori un caldo opprimente.
La sosta a Manila e’ stata di qualche ora e il primo problema che si e’ presentato e’ stato quello dei bagagli un po’…. sovrapeso.
Il mio borsone era di 32 kg e lo zaino ne segnava 16. Ci hanno sconsigliato per questioni di sicurezza di non lasciarli al deposito bagagli. E allora dato che se li portavamo oltre il controllo doganale, ci sarebbero stai problemi a reimbarcarli senza pagare sovraprezzi, siamo riusciti a far fessi tutti in quanto ci siamo rifiutati di ritirarli con la scusa che a Milano avevano messo il talloncino diretto per Guam e che a Manila li avevano smistati all’arrivo per sbaglio. Ci e’ voluto un po’, ma ce l’abbiamo fatta e cosi’ abbiamo avuto qualche ora libera dai pesi, pero’ il mio zaino all’imbarco, non e’ passato come bagaglio a mano e me lo hanno passato al chek in e non vi dico le storie perche’ risultava gia’ un mio bagaglio da 32 kg, ma alla fine con la solita scusa del NO SPIKING INGLISH, pur di levarci di torno, mi hanno imbacato lo zaino senza pagare nulla. A volte mi viene in mente il vecchio trucco studentesco, di fingermi sordomuto nelle situazioni piu’ difficili. Cosi’ susciti compassione e ti accontentano. All’arrivo in albergo, troviamo due stanze con condizionatore a tutto volume che ti fanno sembrare in una cella frigorifera, ma vuoi la stanchezza, il sonno e la fame, ci buttiamo a letto per risvegliarci verso le 11,30 e allora cominciamo a prepararci lo spuntino con carne Manzotin, formaggio parmigiano e taralli secchi portati con noi. Il tutto annaffiano da una bottiglia di ottimo champagne che mi sono portato dietro per mio piacere. Di solito in queste circostanze viaggio sempre con una bottiglia di champagne appresso. Ho dovuto discutere un po’ con i miei compagni che la giudicavano una cretinata, ma al momento di bere, hanno cambiato idea e dato che era fresca di frigo, e’ andata via in un attimo. Per la cronaca si tratta di champagne Andre’ Delaunois che vado a prendere direttamente vicino Reims da un produttore che fa uno champagne che quando lo bevi….. senti le campane suonare a festa!!!! Ora pero’ siamo arrivati alle 13,30 locali e in Italia sono le 4 del mattino e la stanchezza rifa’ capolino e allora diamoci sotto con la “pennica” pomeridiana, quindi buon riposo Carlo!
Siamo sempre a Guam e sono le 16 e abbiamo deciso di uscire. Dopo una sveglia di soprassalto e una vestizione da 10 secondi netti, siamo usciti dal motel. La sensazione e’ quella di essere in un pomeriggio messicano dove tutti si guardano bene dall’andare in giro. Il taxi con l’aria condizionata ci porta alla town (centro) e cosa dire? Che Guam e’ America, ma tanto America che piu America di cosi’ ci sono solo gli USA. Mega alberghi, mega stores, mega centri commerciali, mega di tutto.
Mi e’ sembrato di essere a New York. Ci mancava solo l’Empire e poi sarebbe stata la stessa cosa. Strade a sei corsie,  indicazioni di tutti i generi stile Usa, ecc. Ah! Dimenticavo che Guam e’ territorio americano e anche se e’ un’isola a molte migliaia di km dagli States, e’ sempre America e quindi tutto e’ americano, compreso l’Hard Rock Cafe’ , e allora cominciamo l’avventura. E cosa c’e’ di piu’ caratteristico e di americano? Due cose: il tram di S. Francisco e il vecchio west. Ma niente paura, li abbiamo trovati. Solo che il tram e’ un bus identico in tutto e per tutto al tipico tramway di S.Francisco, colore rosso compreso e per due dollari ci ha portato in giro per tutti gli alberghi e centri commerciali dove migliaia di persone si affannano a comprare di tutto.
E il West? Eccolo qua. Tanti Wild West Center tutti dotati di Gun Club  dove un sacco di gente non fa altro che sparare con pistole vere a delle sagome. In pratica dei veri poligoni di tiro dove chiunque puo’ noleggiare una pistola o anche un fucile o mitragliatore e sparare in una sua corsia. Ci sono Colt di tutti i generi, ma anche Desert Aigle, Smith & Wesson, Beretta 92 e mitragliette Uzi e altri gingilli che fanno la felicita’ di appassionati di armi come me. Confesso di essere stato tentato dalla mitica Desert Aigle dato che la Beretta 92 ce l’ho insieme ad un nutrito campionario di altre pistole, ma di fronte ai miei tre compagni, tutti accaniti “pacifisti” che mi hanno dato del guerrafondaio, ho rinunciato. Andando a spasso abbiamo assistito all’inseguimento da parte della polizia di un tale, che una volta catturato, e’ stato tranquillamente preso a manganellate. Sono intervenuti tutti nel miglior stile americano. Ambulanza, agenti motociclisti, pattuglie a sirene spiegate, e perfino un carro dei pompieri. Il tutto per prendere un disgraziato che dopo essere stato manganellato e ammanettato, e’ stato portato via. Il tutto sotto gli occhi della folla. Cosi’ e’ l’America. E tanto per fare qualcosa di diverso, siamo finiti in un ristorante giapponese.
Cena a base di spaghetti in zuppa con verdure e carne di maiale. Tutto molto buono. Intanto si e’ fatto buio e si sono accese le luci, ma tante luci che sembrava di stare a Las Vegas. Abbiamo deciso cosi’ di ritornare in albergo. Alle 3 ci aspetta la sveglia per l’aereo in partenza per Yap.
E allora buona notte America e….  a domani, Micronesia!
Yap 9 febbraio.

Yap

Dopo un’ora e mezza di volo con un DC 10 della Continental Micronesia, siamo atterrati  a Yap. La prima impressione e’ positiva al massimo. Aria calda ma con una punta di frescura. La seconda impressione non e’ da meno. Al posto di polizia, c’era una bellissima ragazza con tanto di gonna di paglia e tette al vento, pardon, seni nudi, che metteva collane di fiori agli arrivati. Non vi dico!!!! Gia’ pregustavamo il ….. benvenuto, quando arrivati a due persone prima di me, la bella locale, ha finito le corone di fiori, si e’ rimessa la maglietta della NIKE e se ne e’ andata lasciandoci a…. bocca asciutta. In compenso pero’ ci aspettava il donnone, diametro ai fianchi circa mt. 1,35 del servizio immigrazione che dopo un caloroso WELKOME con il suo vocione, mi ha scritto qualcosa sul passaporto e mi ha fatto cenno di proseguire. E il timbro col visto? Almeno quello per ricordo, accidenti! C’erano due corsie con due agenti e un timbro solo, e a me e’ toccato il donnone senza timbro! Niente paura, torno indietro e vadoNoi !dall’altro poliziotto e dopo avergli spiegato che volevo il visto di ingresso per souvenir, lui mi ha accontentato e ridacchiando mi ha congedato. Chissa’ che avra’ pensato. Fuori ci aspettano delle persone che esibiscono cartelli con i nomi degli alberghi e noi, anzi il Neni, specialista in contrattazioni, dopo aver mercanteggiato il prezzo a 55 dollari la camera, concludiamo e saliamo su un pulmino Toyota che ha visto tempi migliori e tra rumori e scricchiolii vari ci porta in una quindicina di minuti in “citta'”.
Stupore ed entusiasmo! Siamo in “albergo”!Si tratta di una costruzione molto modesta, ma pulita, con una “reception” al primo piano composta da una parete di legno con le chiavi appese a dei chiodi e una specie di tavolo. Le stanze sono molto ampie, le pareti in legno rossiccio e dalle due finestre si gode la vista dell’oceano che sta sotto di noi. Poi c’e’ il condizionatore, il frigo e la tv. Un altro albergo disponibile e’ un vero albergo, in cemento con ingresso a vetri. Ma questo senza dubbio e’ migliore in quanto piu’ “vero” cioe’ in tono con l’ambiente esterno. Qui si ha veramente la sensazione di essere realmente dove siamo. Il ristorante e’ una grossa capanna col tipico tetto in foglie di palma e si affaccia su un pezzo interno della laguna. E’ veramente tutto molto bello, volevo dire caratteristico, ma credo che bello, sia il termine piu’ adatto.
10 febbraio. Questa mattina finalmente siamo usciti in mare. Con una barca, abbiamo attraversato la laguna e i canali pieni di mangrovie. Mi e’ venuto in mente il film di 007 Licenza di uccidere, dove James Bond si trovava in giamaica in un ambiente simile. Ma quello era unfilm e noi siamo nella realta’. E’ incredibilmente bello, tanto bello che mi prende la voglia di …ululare! Si perche’ a me certe emozioni mi fanno venire voglia di ululare! Se sul NG c’e’ qualche medico, magari neurologo psichiatra psicologo, gradirei mi dicesse se sono pazzo o e’ normale.
Ci immergiamo e la nostra guida ci fa accovacciare sul fondo a circa una quindicina di metri e ci fa segno di non muoverci. Io quatto quatto, respiro piano e all’improvviso le vediamo arrivare.
Sono due mante che qui chiamanro Manta Rey. Sono enormi, oltre i tre metri senza coda e sono di una bellezza ed eleganza spupenda. Delle vere regine del mare e sono tra le piu’ belle creature che esistano. Ci planano intorno lentamente e sembrano degli alianti.
Piu’ tardi facciamo la seconda immersione e questa volta l’emozione e’ veramente forte. Appiattito sul fondo mi sono sentito tirare una pinna. Era Neni, accidenti a lui, che ha fatto venire un mezzo colpo. Mi fa cenni strani e mi indica l’alto. Io vedo solo un’enorme ombra e alzo la testa e mi vedo una Manta che gira sopra di noi, tanto vicino che lui le accarezza la pancia. E’ stato come se qualcosa avesse oscurato la luce che arrivava a quella profondita’. La Manta continuava a girarci sopra a …volo radente, maestosa, per niente intimorita. E’ stata veramente una cosa inimmaginabile. Poi ne sono arrivate delle altre e anche quelle hanno cominciato a passarci vicino mentre la mia Nikonos 4 scattava a ripetizione. Poi mi sono alzato in piedi e ne ho vista una che mi veniva diritta addosso con la sua enorme bocca aperta per filtrare l’acqua e assimilare il plancton. Era semplicementeimpressionante per la sua bellezza ed eleganza.  Ho continuato a scattare fino a che ho dovuto abbassarmi altrimenti lei mi sarebbe venuta a sbattere contro. Ho consumato in pochissimo tempo la pellicola scattando tutte le posizioni che potevo.
Chissa’ perche’ la chiamano Diavolo del mare, ma di diabolico non ha proprio nulla. Solo la maestosita’ delle sue dimensioni e la regale eleganza dei suoi movimenti. Confesso di essermi sentito molto piccolo di fronte a questo spettacolo.
11 febbraio. Oggi si e’ deciso per un giro a terra. Con la nostra guida e il suo pulmino scricchiolante, degno secondo le leggi italiane della rottamazione, ma qui perfettamente funzionale, ci siamo avviati. L’isola e’ veramente selvaggia. A parte il centro abitato dove siamo noi, per il resto e’ solo foresta, capanne e case ricavate con lamiera ondulata. La bellezza del paesaggio e’ notevole. Palme da cocco e da banane sono in abbondanza. A un certo punto la strada finisce e inizia uno sterrato degno del miglior rallye africano.
Ogni tanto incrociamo qualche altra auto. Tutti si salutano. La foresta tropicale qui la fa da padrona. Palme altissime grandi alberi con le radici che scendono dai rami fino a toccare la terra. Ci fermiamo quando vediamo in una radura delle croci. E’ un cimitero. Scendiamo a curiosare. Le tombe sono solo dei tumuli di terra con una croce fatta con due pezzi di legno inchiodati. Naturalmente senza nome o foto o date. Solo fiori e piante fiorite. Una tomba era circondata da bottiglie di vetro vuote che delimitavano i bordi del tumulo. Chissa’ se era qualche riferimento al defunto? Fiori, tanti fiori e nel silenzio solo i versi degli uccelli.
Piu’ avanti la strada si infila in un villaggio in mezzo alla foresta. Ci fermiamo e la guida ci dice che deve andare dal capo tribu’ a pagare 2 dollari e mezzo a testa per stare nel villaggio. noi siamo in quattro e cosi’ 10 dollari della cassa comune, prendono il volo, pero’ non e’ possibile visitare il villaggio. Siamo confinati in una specie di area di una ventina di metri e gli indigeni ci limitano la zona e ci proibiscono di fotografare oltre. Solo dove ci troviamo e pochi metri intorno. Tra la vegetazione si intravedono delle figure di bambini e altre persone, ma scappano. Niente foto di persone o di capanne o peggio ancora delle loro usanze. Intorno a noi la foresta e’ foltissima. Ci sono ovunque palme e le famose monete di pietra, per cui l’isola e’ conosciuta.
Le ruote di pietra forate, di diametro dai 30/40 centimetri fino ai 2 metri e mezzo, in realta’ non sono monete, ma doni agli dei. Una specie di EX VOTO. Cerchiamo qualche angolo da fotografare, ma non abbiamo molta scelta. Ad un tratto sento degli urli. Neni e’ stato scoperto a fotografare fuori dall’area dove eravamo. Credo abbia ripreso il tempio e qualcuno si e’ arrabbiato, tanto da gridare chissa’ che cosa nella loro lingua. Minacce o insulti? Non lo sapremo mai e a questo punto e’ meglio salire sul pulmino e con 10 dollari in cassa di meno, ce ne andiamo senza tanti complimenti. Dal finestrino del pulmino rubo qualche foto, ma la guida che sente il motore della mia Nikon FE che scatta a raffica, fa cenni di dissenso mentre il mezzo arranca. E’ stato un peccato non avere contatti con i locali.
Ogni tanto ci fermiamo a fotografare i bordi della strada dove ci sono solo mangrovie che formano un tutt’uno con l’oceano. Arriviamo in un altro villaggio in riva al mare fatto di capanne con bambini che giocano e fanno il bagno. Adulti seduti impegnati nel far nulla. Anzi proprio nulla no. Masticano. Qui masticano tutti. E masticano il Betel. E’ una specie di grossa nocciola che spaccano a meta’ per imbottirla di una cosa bianca, a volte in polvere e a folte cremosa, poi ci aggiungono una sigaretta spezzata, avvolgono il tutto in una foglia di non so cosa e mettono in bocca. Dopo un po’ cominciano a masticare. E’ una droga, anche se leggera credo, ma che consuma prima i denti e poi le gengive. I denti diventano rosso sangue e si assottigliano. Ovunque c’e’ gente che mastica sputando un liquido rossastro in grandi quantita’ dappertutto. Diciamo che non e’ un bello spettacolo. Quando qualcuno apre la bocca…bhe’ e’ uno spettacolo impressionante!
Anche in questo villaggio ci chiedono 10 dollari per non visitare e non fotografare. Niente di niente. E siccome esiste un buon vecchio detto Made in Napoli che dice: “Acca’ nisciuno e’ ffesso!” decidiamo che una volta va bene, ma due no e allora decidiamo di non pagare e ce andiamo, inseguiti magari con chissa’ quali maledizioni da parte degli indigeni. peccato perche’ questo villaggio era veramente da favola, almeno da quel poco che abbiamo visto. Lungo la strada l’ormai paesaggio familiare. Foresta pluviale, palme, banane ecc. Arriviamo cosi’ alla Money Stone bank. Anche qui 10 dollari, ma e’ diverso. La cosa e’ gestita a livello governativo. Entri e fai quello che vuoi. C’e’ anche la ricevuta. Si tratta di un villaggio dove vengono custodite per le strade, le caratteristiche monete di pietra. Chi ha le “monete” piu’ grosse, maggior credito ha verso gli Dei per la loro benevolenza eprotezione. Poi se queste monete venissero scambiate tra gli abitanti, non ci e’ dato saperlo. C’e’ anche la Long House. la tipica capanna col tetto molto spiovente in foglie di palma. E’ il luogo dove gli uomini “single” del villaggio andavano a dormire. O almeno cosi’ ho capito. Il luogo e’ veramente incantevole. I fiori sono bellissimi. I colori vanno dal rosso alle varie qualita’ di giallo.
Dopo aver gironzolato e fotografato tutto cio’ che si poteva, ci rimettiamo in marcia e ritorniamo al nostro “albergo” dove ci aspetta lo spuntino quotidiano a base di formaggio parmigiano reggiano portatoci dall’Italia. Io tanto per precauzione, avevo anche carne in scatola, acciughe in scatola, olive e altre cosette che mi hanno deliziato. Aperitivo con Pernod anche quello portato da noi nella misura di due bottiglie.
Il pomeriggio ci aspetta il riposino per poi passare il resto della giornata “cazzeggiando” come si suol dire.
Siamo sempre a Yap e un pomeriggio, siamo stati invitati alla festa di compleanno del proprietario dell’albergo che a giudicare dall’orologio e collana in oro massicci, e’ sicuramente uno dei benestanti dell’isola. Alto 1,45, diametro  al ventre quasi quanto l’altezza, calvo, camicia a fiori stile hawaiano,compiva 76 anni. Carnagione scura tipica degli abitanti Maori del luogo. Non ho capito bene quante mogli e quanti figli avesse. E’ stato allestito un banchetto a base di tutto cio’ che fosse commestibile. Pesce in tutte le salse, polli, e anche wurstel, nonche’ l’immancabile riso e altre cose fritte il tutto in una caterva di tegami in alluminio ricolmi dove ognuno attingeva a piene mani riempiendo piatti di plastica fino a traboccare. Ho avuto l’impressione che dato che era gratis, tutti si abbuffavano e quello che non riuscivano a mangiare, lo portavano via per il giorno dopo. Com’e’ strano il mondo. Anche dalla parte opposta del globo, quando si va a sbafo, tutti ne approfittano. Io non me la sono sentita di mangiare in quanto ero ancora pieno dello “spuntino” di mezzogiorno e poi sono stato buttato giu’ dal letto da Walter all’improvviso nel bel mezzo del sonno pomeridiano. Ho accettato un bicchiere di una bevanda rossa molto profumata. Tipo coctail di frutta, ma … diavolo porco! (scusate) possibile che debba esserci sempre un ma? Ho sentito un gusto a me familiare e li mi sono bloccato. Avete presente il gusto dell’amaretto? Tipo il DiSaronno oppure i classici dolcetti? Ecco proprio quello! Peccato che io sono quasi allergico all’amaretto, tanto che mi provoca nausea, giramento di testa e altre cose che preferisco non dire! Il gusto era dato da un fiore rosso che viene usato appositamente per l’infuso, ma e’ il classico sapore dell’amaretto che a me, solo l’odore fa star male.
Naturalmente con molta non chalance, ho vuotato il bicchiere in un angolo per terra, senza farmi vedere, per poi prontamente trovare uno che me lo ha riempito di nuovo! Ridiavolo riporco! (riscusate) E allora alla ricerca di un altro angolo, ma stavolta ho imparato la lezione. Non l’ho vuotato tutto, ma ne ho lasciato circa un quarto nel bicchiere e con quello ho continuato a gironzolare li intorno e cosi’ mi sono scampato la terza dose.
Ho dimenticato un episodio che ora narro. Il secondo giorno ho cominciato ad avere un mal di gola feroce. Causa il continuo uso del condizionatore in camera, mi sono ritrovato con una gola simile all’anticamera dell’inferno fino al punto che ho avuto difficolta’ a deglutire e facevo anche fatica a respirare.
Dallo specchio, con la pila, mi sono visto due tonsille e un’ugola grossi come un’anguria! E allora cosa c’e’ di meglio che un ricovero nell’ospedale locale? Presto fatto. Mi accompagnano li e nel giro di pochi minuti vengo “preso in carico” da una “infermiera” che masticando betel e sputando in giro, compila una scheda con i miei dati e poi apre un cassetto in una specie di scrivania di legno e ne trae un termometro e me lo porge facendomi segno di metterlo in bocca!  Voi cosa avreste fatto? Io esagerando un po’ ho, le ho fatto capire che avevo difficolta’ ad aprire la bocca e allora ha accettato l’arnese sotto l’ascella. Intanto mi prova la pressione, poi guarda il termometro che segna 37 e mi fa accomodare in una stanza dove c’era un tale, suppongo il medico di turno che mi guarda in gola con la pila e sentenzia: UGUL e TUNSILL! Poi prende carta e penna e mi fa il disegnino della mia ugola e delle tonsille, che caso strano si chiamano nella loro lingua UGUL e TUNSILL! e mi fa capire che sono fortemente ingrossate per una INFEZION. Scrive su altro foglietto altre cose e mi manda alla farmacia dell’ospedale dove dopo pochi minuti mi danno una scatoletta di plastica con un’etichetta scritta col mio nome e il contenuto. 40 pastiglie di antibiotico composto da normalissima penicillina e sodio. Due pastiglie ogni sei ore per dieci giorni. Mi chiedono 13 dollari in tutto per la medicina, dato che la visita e’ gratis. Efficenti al massimo e cosi’ comincio la cura e gia’ dal giorno dopo comincio a stare meglio.
La mattina della partenza, siamo stati salutati come capi di stato tra abbracci e baci da parte di tutti e la cosa a me ha fatto veramente piacere. Siamo veramente stati bene e siamo stati trattati che meglio non si poteva. Allo spaccio dell’aeroporto, compro una maschera di una divinita’ locale e per il resto, la partenza e il volo di circa un’ora e mezzo con un DC10 non hanno storia, tranne che l’atterraggio, molto simile a quello di un caccia su una portaerei. La pista di Koror nella repubblica indipendente di Palau, dove siamo arrivati, non e’ molto piu’ lunga di quella di una portaerei, tanto che l’aereo termina la sua corsa a non piu’ di 5/6 metri dal termine della pista. Poi c’e’ l’oceano. La procedura ormai la conosciamo. Il visto, il ritiro dei bagagli e il clima. Siamo passati dal frigo dell’aereo, all’alto forno del luogo! Fa veramente caldo e con i due taxi, ci facciamo portare al King Hotel, una specie di albergone in cemento a due piani. Lungo la strada ci rendiamo conto esattamente di dove siamo.
Una repubblica a parte, dove ci sono moltissimi negozi, stores, traffico, e tutto quanto tipico della civilta’ occidentale.
L’ambiente non e’ differente da Yap. Palme, vegetazione tropicale, foresta poco distante dalla strada.Il centro cittadino di Koror e’ sviluppato lungo la strada principale per circa 3 km nei quali si trova la stessa concentrazione di auto, negozi e inquinamento da traffico di una qualunque citta’ americana. Solita procedura: sistemazione in camera e solito spuntino. Abbiamo ancora molte acciughe e olive e il parmigiano abbonda. In totale ne avevamo oltre 3 kg! Poi prendiamo contatto con un diving center che sta poco distante per iniziare a vedere dove andare a mettere il cul…pardon, i piedi a bagno! La sera in un ristorante giapponese poco distante, ci diamo da fare con pesci vari e verdure di ogni genere e naturalmente l’onnipresente Budweisser, la birra americana!
Tonno crudo a tranci per Walter e me compongono un delizioso sashimi che sparisce in poco tempo sotto i nostri denti e un piatto con una montagna di tonno arrosto a pezzi con verdure cotte e crude per Neni e Pini. Tutto veramente ottimo. Al primo che dice che fuori dall’Italia si mangia male, sputo in un’orecchio! Chissa’ perche’ poi in un’orecchio? Forse che l’occhio ormai e’ gia’ stato sfruttato abbastanza!
La mattina dopo prendiamo a noleggio un’auto. Berlina Toyota con guida a destra e cambio automatico e con questa giriamo l’isola in lungo e in largo. 42 dollari per 24 ore benzina compresa. Lunghezza dell’isola 15 km e larghezza non piu’ di 4/5, quindi presto fatto. Ci sono angoli incantevoli, dove la natura e’ la vera padrona della situazione. La vegetazione e’ sempre la stessa.

Koror

Palme da tutte le parti e alte pianti con bellissimi fiori di tutti i colori. Ci fermiamo a fotografare degli scorci bellissimi. In lontananza sul mare si vedono le Rock Island. Isolotti a volte grandi poco piu’ di uno scoglio e a volte immensi, completamente isolati nell’oceano e coperti di vegetazione. Il solo vederli ci rende ansiosi di metterci le mani sopra! La giornata passa tra una visita in un negozio di prodotti locali dove acquisto un’altra maschera in legno, e un bagno in mare in un’acqua deliziosamente tiepida in attesa che venga “L’ora che volge al desio e che ai navicanti (e’ giusto navicanti) intenerisce il core…” come diceva Padre Dante nel terzo canto del Purgatorio, almeno credo sia quello.
Ma per Dante il Desio e’ l’abbreviazione di desiderio, o di desinare, cioe’ mangiare? Ah! Che amletico dubbio e allora per non far torto a nessuno, noi optiamo per entrambi: Desio di Desio, cioe’ desiderio di mangiare. Ed eccoci allora in un altro ristorante giapponese, tanto per cambiare. Non esistono altro che ristoranti giapponesi, cinesi e coreani e allora tanto vale! Io ordino Tempura. Verdure e pesce fritto con una lattina di Asahi, la birra giapponese che non e’ niente male. Il mio piatto e’ veramente buono, solo che secondo me loro non sanno che quello che e’ la loro normale portata, per noi e’ un assaggio o un antipasto, ma tanto non c’e’ niente da fare. Quella e’ la dose e allora avanti! Melanzana, zucchina, carota, foglia di non so cosa e gambero, tonno e altro. In un attimo tutto sparisce, ma a dire il vero sto bene cosi’, cosi mome stanno bene anche i miei soci di avventura che hanno preso cose diverse.
La mattina dopo, ci trova imbarcati con le nostre attrezzture, pronti a fare rotta su un relitto. Dopo una ventina di minuti di navigazione attraverso le Rock Island dove riusciamo a vedere da vicino lo splendore dei luoghi, arriviamo a destinazione. Ci immergiamo e a circa 34 metri ci attende la Uni Iru Maru, una torpediniera giapponese affondata nell’ultima guerra. Dalla prua percorriamo lentamente tutta la tolda. C’e’ un boccaporto aperto e illuminando con le torce, si vedono ancora bene bombe e proiettili da cannone. Se qualcuno pensa a un relitto di una nave, come una nave dovrebbe normalmente essere, sbaglia di grosso.
Prima di tutto perche’ difficilmente si puo’ vederla nel suo insieme globalee poi perche’ una volta affondata, il mare se la prende e la trasforma. Si vedono ancora le gru fuori bordo, un cannone e un altro boccaporto. Decido di calarmi dentro di esso, ma e’ troppo buio e allora decido di non rischiare oltre. Punto la macchina subacquea col flash e scatto a caso nel buio e poi esco.
Andando avanti trovo una maschera antigas col suo tubo corrugato in gomma e la scatola portatile del filtro. Mi fermo a pensare sul perche’ di quella maschera. Che fosse servita a qualcuno durante l’attacco che provoco’ l’affondamento? Un pensiero vola alle vittime colpevoli o innocenti di una tragedia. Non voglio fare retorica da quattro soldi, ma quando una nave affonda con i suoi uomini, anche se puo’ essere una nave “nemica”, e’ sempre un dramma. Ci sono vite umane che vengono spezzate e nel peggiore dei modi. La morte per affogamento e’ terribile. In vita mia come sommozzatore ho collaborato con i Vigili del Fuoco al recupero di annegati e vi assicuro che non e’ un bello spettacolo. Ecco perche’ nel vedere una nave sott’acqua, il primo pensiero e’ per le vittime. Immerso nei miei pensieri, non mi sono accorto di essermi staccato dal gruppo che ormai e’ risalito e non vedendomi, scatta l’allarme. Mentre in due, compresa la guida scendono di nuovo sul relitto a cercarmi, io non sapendo nulla di cio’ mi dirigo verso la barca appoggio passando dalla parte opposta a quella dove mi stanno cercando, quindi risalgo a bordo. Dopo un po’ anche gli altri riemergono, dato che e’ passato troppo tempo e la mia autonomia d’aria era finita da un pezzo, e quando mi vedono ormai gia’ a bordo…. bhe’ mi sono sentito le mie! Loro mi cercavano nella nave e io ero gia’ a bordo della barca appoggio e quando hanno visto che il mio tempo di immersione doveva essere finito da un pezzo, credo mi abbiano dato per disperso in mare e forse erano gia’ pronti a commemorarmi in qualche ricorrenza. Forse il 2 novembre per i defunti o il 4 novembre per San Carlo. Insulti a parte, la cosa e’ finita li con grandi discussioni, dato che effettivamente loro avevano pensato che fossi rimasto intrappolato all’interno del relitto. Ci rimettiamo in viaggio e i nostri due motori da 200 cavalli l’uno si fanno sentire. Attraversiamo le Rock Island.
Sono migliaia gli isolotti. Tra uno e l’altro si sono creati dei canali e delle lagune da favola. L’acqua va dal verde smeraldo al blu cobalto ed e’ un invito al tuffo. E’ uno spettacolo difficile da descrivere. Impossibile anche immaginarlo se uno non lo ha visto. Credo che nemmeno le migliori fotografie, possano rendere giustizia. Approdiamo su un isolotto disabitato. La spiaggia e’ di sabbia corallina bianchissima, anzi piu’ che sabbia e’ polvere di corallo.
L’acqua e’ cristallo puro con dei riflessi che nemmeno i migliori Svarovsky si sognano. La foresta arriva a pochi metri dall’acqua.
Nel vedere questo spettacolo, ho pensato che questo tipo di spiaggia e di luogo non esistessero, ma venissero creati artificialmente in studio con i migliori effetti speciali. Vedo un cartello di legno col nome del luogo. ULONG e il tutto e’ di una bellezza spettacolare, che ti prende l’anima e a me e’ venuta voglia ancora di ululare! A proposito, e’ la seconda volta che mi capita e ancora nessuno di voi che leggete mi ha detto il perche’. Possibile che sul NG non ci sia un medico che mi possa dare spiegazioni? E se mi dovesse accadere di nuovo in futuro? Cosa faccio? Le nostre guide che si sono arrampicate sulle palme come fanno le scimmie, buttano al suolo dei cocchi che prontamente vengono aperti per bere prima e per mangiarli dopo. Passano un paio d’ora tra un cocco, un bagno nell’acqua cristallina e una passeggiata sulla sabbia bianchissima, un panino, una bottiglia d’acqua, e nel contemplare fiori bellissimi e vegetazione. Ho visto un sentiero e ho deciso di seguirlo. Mi sono addentrato nella foresta per qualche centinaio di metri e ho provato una sensazione bellissima. Il silenzio e’ assoluto, rotto solo dal frusciare del vento tra le palme e dai versi degli uccelli o di altri animali. Scimmie? Qui i suoni rimbalzano di albero in albero con degli echi enormi. Mi e’ venuto un pensiero: se il paradiso esiste, vorrei che vosse cosi’ e la mia Nikon FE ha avuto pane per i suoi denti!!! Decido di tornare alla spiaggia dove mi diverto a fotografare i fiori. Il tempo e’ passato troppo in  fretta ed e’ ora di ripartire. I due Yamaha per un totale di 400 cavalli ruggiscono e via verso la seconda immersione del giorno. Stavolta scendiamo sulla parte esterna del reef. Qui la barriera corallina, una tra le piu’ grandi del mondo, si e’ mostrata nel suo splendore.
Ho notato l’assenza dei colori violenti del Mar Rosso, ma niente da dire per il resto. Anemoni, pesci dai colori sgargianti, alcionarie tra il rosso e il viola, coralli di vario genere. Tutto il repertorio tipico di una barriera corallina. Sul fondo sabbioso bianco, un paio di squali nutrice. Sono innocui e a me fanno tenerezza. Ci sono anche nei nostri mari e vengono cacciati per essere messi in vendita con voci colorite. Palombo, vitello di mare, ecc. Sono solo poveri squali, per i quali l’uomo e’ il peggiore dei nemici e noi che ci ostiniamo a considerarli animali pericolosi. Hanno fatto piu’ danni i vari film tipo Squalo 1,2,3,4 ecc. che tutto il resto. Loro sono a casa loro e siamo noi gli intrusi. E poi hanno piu’ paura loro di noi che noi di loro. Non per niente l’Onu ha dichiarato lo squalo, animale a rischio di estinzione. Poi vediamo altri squali. Diciamo di quelli veri, a una quindicina di metri da noi in un branco che gironzola pigro e non ci degna di attenzione. Poi siamo capitati sulla pass e li ci siamo lasciati trasportare dalla corrente per parecchio tempo. Sembrava di essere in un fiume, tanto che si andava veloci, poi a un certo punto la nostra guida subacquea, una ragazza cinese, ha lanciato in superfice il lungo pallone arancione verticale da segnalazione e la barca appoggio eì venuta prontamente a recuperarci uno per uno. Il rientro e’ stato passando di nuovo in mezzo alle Rock Island quando un temporale, ma chiamarlo temporale e’ poco, ci ha presi in pieno. Il mare si e’ fatto sentire e cosi’ tra uno scroscio e l’altro degni del film Moby Dick, siamo arrivati a terra. Da queste parti gli acquazzoni sono cosi’. Arrivano improvvisi, terribili con la loro violenza e altrettanto improvvisi se ne vanno. Solo oggi mercoledi’ 17, hanno fatto un’eccezione, per noi, nel senso che il “lavandino” e’ andato avanti per qualche ora e anche per il giorno dopo.
Piove, governo ladro, (anche qui?)! Ha piovutto tutta la notte e per tutto il giorno  e la cosa ci ha impedito persino di uscire dall’albergo, tanta e’ l’acqua che viene giu’. Siamo chiusi in camera ad ascoltare il rumore della pioggia torrenziale sulla vegetazione della foresta che abbiamo appena oltre le nostre finestre. L’albergo si affaccia davanti sulla strada e dietro sulla foresta, tanto che di sera e di notte si sentono i versi di animali che potrebbero essere uccelli che si lanciano richiami strani.
Sembriamo reclusi che si gustano l’ora d’aria, passeggiando sul balcone che circonda l’albergo. Per fortuna che questo e’ riparato dalla pioggia. Ieri sera al ristorante giapponese abbiamo trovato due ragazze americane. E’ stato un dono del cielo perche’ una parlava perfettamente italiano e cosi’ ci ha tradotto tutto il menu’ e questo ha fatto si, che che potessimo apprezzare alcune cose veramente buone, ma a proposito di questo, la sera dopo ci riservera’ una….sorpresa culinaria. Abbiate pazienza e arrivera’ anche
questa. Per intanto visto che e’ l’una, diamo fondo al parmigiano, alle olive e alle aciughe che sembra non debbano finire mai.
Fuori diluvia, governo ladro! ah! l’ho gia’ detto, scusate, e allora speriamo in bene per domani.
Domani e’ un altro giorno! Se lo aveva detto Rossella O’Hara in Via col vento, possiamo dirlo anche noi che siamo qui e che rischiamo, se non smette, di essere noi i portati Via dal vento e dalla pioggia.
Un film di James Bond aveva per titolo Mai dire mai. Cosa c’entra? Presto detto. Oggi dovevamo andare al Jelly Fish Lake, una delle meraviglie del pianeta. Un lago salato situato in mezzo a una foresta pluviale e popolato da milioni di meduse non urticanti. La barca che ci doveva portare ha avuto un’avaria al motore e cosi’ eccoci a piedi. Cercarne un’altra? Facile a dirsi ma dopo aver contattato tutti i “barcaroli” diving ecc. di Koror, abbiamo dovuto rinunciare ed erano le 10,30. Non vi dico l’inkazzatura! Ecco che all’improvviso, l’impiegata dell’albergo, si ricorda che un suo cugino ha una barca. Altro giro di telefonate per rintracciarlo
e una mezz’ora dopo arriva al pontile. Una bella barca con due motori da 150 cavalli l’uno e per 200 dollari e’ disposto a portarci a spasso dove vogliamo noi. Detto fatto eccoci in navigazione attraverso le solite Rock Island e dopo tre quarti d’ora approdiamo su un atollo montuoso.
Scalata di un quarto d’ora in mezzo alla foresta seguendo un sentiero che si inerpica rigido e poi stesso sentiero che discende fino al bordo del lago. Meraviglia! Un silenzio tombale, rotto solo dai soliti versi degli animali. Il lago e’ grande all’incirca 1,5 km diametro ed e’ circondato completamente dalla foresta. Maschera, pinne guanti e fedele Nikonos4 con flash, ed eccomi a bagno in un’acqua leggermente verdastra e fresca. Di meduse nemmeno l’ombra. Ci portiamo verso il centro del lago e di meduse niet! Che l’ente del turismo locale abbia dato un giorno di festa alle meduse? Puo’ essere! Poi ci viene in mente che dato che ha piovuto per tutto il giorno e la notte precedenti, si siano rintanate sul fondo? Iperventilazione, capovolta e giu’ nell’acqua sempre piu’ verde e sempre piu’ calda. Lo strato superficiale dell’acqua e’ freddo mentre a circa tre metri di profondita’ inizia lo strato caldo ed eccole li, le meduse. Dapprima piccolissime, poi piu’ grandi e piu’ giu’ scendo, piu’ grandi sono. La visibilita’ non supera il metro, ed eccole qua le bestie!!!! Non sono milioni, ma centinaia intorno a me si! Comunque sono tantissime. Provo a togliermi i guanti e a toccarle. Niente, nessun effetto. Miracolooooooo!!!! Non sono urticanti davvero!!!!
Risalgo, gironzolo in superfice, rifaccio iperventilazione e giu’ di nuovo ed eccole ancora. Mi diverto cosi’ per un’oretta. Su e giu’ per toccarle, prenderle in mano, accarezzarle. Stranamente toccandole lievemente sulla cupola, non scappano. Rimangono intorno a me e io ne approfitto per scattare diapositive a tutto spiano. Solo che bisogna scendere sui 7/8 metri e la fatica comincia a
farsi sentire. Scopro la signorile eleganza di questi esseri e mi viene in mente una considerazione. Noi ci lamentiamo quando qualcuna di loro ci lascia i segni sulla pelle, ma non diciamo che siamo noi gli intrusi nel loro mondo. Quindi quando entriamo in casa d’altri, dobbiamo essere anche pronti ad assumerci eventuali rischi. E’ in ogni caso uno spettacolo grandioso.
Per la prima volta non temo questi animali e anzi, scopro un sottile piacere nel guardarli ed accarezzarli. Quando decido di uscire, non vedo piu’ il punto in cui eravamo scesi in acqua. Siamo abbastanza in mezzo al lago e ovunque guardo, vedo solo foresta. Anche gli altri sono nella stessa situazione. Confesso che per un attimo, ho avuto una sgradevole sensazione. Non che abbia avuto paura, ma fastidio. Non e’ simpatica la prospettiva di girare a nuoto tutto il lago per ricercare il piccolo pontile di legno da dove siamo entrati in acqua, ma forse lassu’ qualcuno mi ama, e allora prima che io possa chiedere a qualcuno di lassu’ di farmi (o farci) trovare la retta via, ecco che dopo un quarto d’ora di tour, appare il pontile con la scaletta. Ricco sospiro di sollievo e mi fermo a curiosare sott’acqua sotto le radici della mangrovie. Altro mondo! Quanta vita si nascone li sotto! Pesci e pescetti che per nulla intimiditi, mi girano intorno senza paura. Mi godo questa cosa e dopo un po, esco. E quando il rullino finisce, decido di uscire dall’acqua.
Recuperiamo la barca che si mette in rotta per il ritorno, e il pilota, che assomigliava in tutto e per tutto a Eddy Murphy, anche nel parlare, decide di farci toccare con mano le Rock Island che avevamo gia’ visto anche da vicino. Ma oggi e’ un altro giorno (come aveva detto Rossella O’Hara). L’amico sa il fatto suo e cosi’ passiamo in mezzo a lagune magiche.
Paesaggi incantati che ti tolgono il fiato per la loro bellezza.- Spiagge bianchissime di polvere corallina e atolli di tutti i generi. Rocce a picco sul mare e acqua al cui confronto non esiste cristallo. Dobbiamo ringraziare la rottura della barca del diving se abbiamo trovato un ragazzo che conosce questi posti a menadito. O forse a quelli del diving non interessa piu’ di tanto portarti a spasso in cerca di emozioni.
Ci fermiamo a vedere la fusoliera di un aereo americano abbattuto dalla contraerea giapponese durante un’azione. E’ li a pochi metri sotto di noi e si vede perfettamente. Chissa’ se il pilota si salvo’? Poi transitiamo vicino a enormi caverne che servivano da depositi di carburante per i sommergibili giapponesi e si vedono ancora decine e decine di bidoni accatastati e abbandonati. Avrei voluto fermare il tempo, ma si deve proseguire per vedere altro. Gli atolli sono centinaia o migliaia, piccoli, grandi, di tutte le razze e ognuno ha una caratteristica diversa dall’altro. Ci sono archi di pietra sotto i quali passiamo con la barca. Attraversiamo una laguna passando su pochissima acqua, tanto che ha dovuto sollevare i motori, ma evitentemente la conosceva bene, perche’ le rocce scorrevano sotto di noi senza problema.
La giornata finisce nel solito ristorante giapponese dove ormai siamo di casa. Conosciamo a memoria il menu, ma evidentemente non proprio tutto a memoria. Io mi concedo un piatto di ottimi spaghetti tipici giapponesi stracarico di verdure grigliate. Buoni davvero. Pini decide per altro pesce e Walter e Neni che hanno intravisto un tizio che attingeva in una gran zuppiera qualcosa che semprava particolarmente gustosa, a giudicare da come altri la mangiavano, decidono di provare anche loro quella “cosa” . Arriva dopo un po’ un grossso scodellone di porcellana del diametro di una trentina di centimetri, pieno di un brodo lattiginoso bianchissimo. Sembra proprio latte. Al centro si intravede qualcosa che affiora al pelo. Probabilmente qualche pezzo di carne o pesce. Con cucchiai di porcellana, cominciano ad attingere il brodo che trovano squisito, anche se a dir loro, un po’ grasso. Mi chiedono se voglio assaggiare, ma io sono impegnato in una lotta con la montagna di spaghetti e non mi sento di andare sulla brodaglia, e questo mi ha salvato. Per scherzo, man mano che il livello del brodo si abbassa, e non si capisce bene cosa c’e’ dentro, Neni dice che ci sara’ un cane o chissa’ cos’altro. A un certo punto, emerge dal brodo una testa non ben identificata, nera, con un musetto aguzzo. Ancora nessuno capisce cos’e’ e allora i miei due amici decidono di darci dentro col brodo e ecco che spunta nel suo intero un grosso PIPISTRELLO!!!!! Intero, con le ali spalancate che occupano la parte bassa della scodella. Il muso con la bocca leggermente aperta mostra dei denti appuntiti e bianchissimi. Le ali e tutto il corpo nero e gli occhi chiusi. Voi cosa avreste fatto? In un primo tempo cala il silenzio mentre Pini, Neni e Walter si guardano un po’ imbarazzati e la cameriera comincia a ridere. Poi Walter cessa di mangiare e Neni continua col brodo e poi attacca il PIPISTRELLONE togliendoli una coscia e assaggiandola. Altrettanto fa Pini e tutti e  due concordano che non e’ proprio tanto male. Solo molto grasso e dopo un po di bocconi smettono. Io davanti a me aveva gia’ posto una barriera fatta con la bottiglia dell’acqua minerale e le lattine di birra.
Non volevo nemmeno vederlo, quella specie di Batman bollito! E’ finita col Pini che a forza di ridere si e’ fatto venire mal di stomaco. Walter che non ha piu’ aperto bocca fino al giorno dopo e Neni che ci scherzava su dicendo che se altri lo mangiavano, poteva farlo anche lui. Ma l’effetto di vedere un pipistrello intero con le ali spalancate, la boccha digrignante, ve lo lascio immaginare. Per me e’ off limit. Niente da fare, Rifiuto tassativo . Ho preferito credere a loro circa la bonta’ del brodo e dell’animale. Mi fido!!!! La serata e’ finita tra lazzi, scherzi e approfondimenti culinari circa i pipistrelli con possibili varianti, cioe’ meglio bolliti o arrosto? Poi abbiamo divagato se fatti al forno e ripieni ecc. ecc. sempre col Walter in religioso silenzio.
A mezzanotte ci accompagnano in aeroporto dove alle 2,30 prendiamo l’aereo per Guam dove arriviamo alle 5 circa e poi alle 8 l’altro aereo che ci porta a Chuuk. Si scrive cosi’ e si pronincia Ciuk. Ma gli americani lo scrivono Truck e lo pronunciano Trak.
All’arrivo cominciano i guai. Il mio borsone e’ sventrato da un lato e da li sono saltati fuori alcuni rullini fotografici gia’ scattati dall’inizio del viaggio. Dispersi. In un momento di crisi di disperazione, vorrei prendere il primo aereo e ritormarmene a casa in Italia. Abbiamo visto scaraventare i bagagli dal bagagliaio dell’aereo direttamente sulla pista e poi quelli che stavano sotto, li raccoglievano, trascinandoli verso alcuni carrelli. Cosa potevo fare? Niente. Vado al banco della Continental e a una signora della compagnia, faccio vedere il tutto. E’ molto stupita e mi chiede se alla partenza era gia’ rotto. Le avrei mangiato il cuore, ma poi mi viene in mente il pipistrello della sera prima e lascio perdere. Faccio la denuncia e lei si dimostra allora veramente dispiaciuta per il fatto che sono andati persi alcuni rulli scattati tra cui quelli sub delle Mante a Yap. Dopo la compilazione del modulo per la richiesta danni, il mio borsone vuoto prende la strada di Manila dove tenteranno una riparazione visto che cosi’ non poteva proseguire. Nel frattempo fra due giorni mi manderanno un bagaglio sostitutivo. Facendo un salto in avanti, vi dico che due giorni dopo il mio borsone era sempre li negli uffici, del sostitutivo nemmeno l’ombra e allora me lo sono ripreso e con delle fascette di plastica che avevo, l’ho messo in condizione di proseguire. Per la cronaca, questa settimana mi ha contattato la sede della Continental Airlines di Milano e sono stati incredibilmente gentili. Un funzionario, si e’ impegnato personalemnte nel tentare la ricerca dei rullini smarriti. Mi danno 250.000 lire per il borsone, 160.000 per un attrezzo multiuso della Leathermann, di quelli con lame varie, pinza, lime, cacciaviti ecc. poi mi rimborsano il costo delle pellicole e a titolo di risarcimento mi danno un bilgietto aereo di 250 dollari da spendere entro 18 mesi su una qualsisi delle linee Continental. Non e’ male, ma io penso sempre alle mie pellicole. La speranza sara’ l’ultima a morire. Vedremo. Ora passiamo ad altro altrimenti mi vien da piangere. Siamo sempre a Chuuck e domattina cominciamo le immersioni sui relitti della flotta giapponese. Diro’ che molti credono che sia la flotta intesa come navi militari. In realta’ di navi militari ce ne sono ben poche. Ci sono dei caccia, un sommergibile, la nave porta aerei. Per il resto si tratta di navi mercantili adattate all’uso bellico. Era il grosso della flotta che trasportava i rifornimenti in tutto il Pacifico e gli americani davano da tempo la caccia a queste navi. Il 16 e 17 febbraio 1944 le localizzarono nella laguna di Chuuk e ne fecero come si dice, carne di porco. In due giorni e due notti di attacchi continui, le colaro a picco tutte e 60 e da quel momento comicio’ per il Giappone la strada in discesa che lo porto’ alla sconfitta. Non avevano piu’ i rifornimenti e i trasporti e gli americani fecero valere tutta la loro superiorita’ bellica. Le navi sono ancora tutte qui, in questa laguna su fondali che vanno dai 30 agli 80 metri.
Al mattino verso le 9 una barca ci porta su un relitto, sicuramente il piu’ importante. Scendiamo sulla Fujukawa Maru. La nave porta aerei. Il ponte e’ a 22 metri e quindi ci si arriva bene. Partiamo da prua e lentamente percorriamo il ponte. Un cannone e’ puntato verso l’alto come se invocasse ancora una disperata difesa. Scendiamo in una stiva aperta e mi trovo davanti un aereo ancora intero con intorno altri pezzi di altri aerei come ali, fusoliera e bidoni credo di carburante. C’e’ di tutto. Anche bottiglie di birra. In un’altra stiva, munizioni di tutti i tipi. Raccolgo qualche pallottola di mitragliatrice. Bossoli di cannone stanno a testimoniare una difesa inutile contro ondate di squadriglie di aerei. Proiettili di cannone ancora intatti e tante altre munizioni in casse rotte o intere.
La nave presenta un grosso squarcio nella fiancata di babordo (la sinistra della nave) sotto la linea di galleggiamento, segno probabile di un siluro sganciato da un aereo e andato a segno. Segni di bombe e di esplosioni un po’ ovunque.
E stata una emozione arrivare al posto di pilotaggio di un aereo quasi intero in un’altra stiva. Sul ponte una grossa targa d’acciaio che ricorda questa nave come tutte le altre che giacciono in fondo a questo mare. Poi siamo entrati in una parte coperta del ponte e in ponte di comando. Anche qui ho rivolto un pensiero agli uomini che hanno perso la vita su questa nave. Mi viene in mente una preghiera. Per loro e per tutte le vittime della follia umana che si chiama guerra. O Signore, Dio del mare e dell’universo, cosa aspetti a spazzare via dalla faccia della terra tutti coloro che fanno della violenza una religione? Ah! scusa Signore, dimenticavo che tu sei il piu’ grande dei democratici. Hai creato l’uomo libero e non ti intrometti nelle sue scelte! Lasci che l’uomo sia libero di fare del bene o di scegliere per il male anche se questo va a scapito di altri esseri. E’ giusto cosi’. Almeno credo, visto che non si puo’ fare altro. Mi auguro solo che alla fine tutti faranno i conti con Te! Ma non c’e’ troppo tempo per considerazioni di questo genere. Quando sei dentro un relitto, e’ meglio sempre pensare a quello che fai. L’aria va via veloce e i relitti possono tramutarsi in una tomba anche per un subacqueo esperto e allora meglio andare. Ancora pesci colorati, anemoni e coralli. E’ la legge del mare. Quando una nave affonda, diventa esclusiva proprieta’ del mare che nel tempo opera grandi trasformazioni. In un angolo scopro una filigrana di mare. E’ bellissima. Si tratta di una stella di mare sottilissima con tanti piccolissimi tentacoli che formano appunto come una filigrana. Anche in questo caso la mia Nikonos ha fatto il suo dovere.
Le emozioni sono tante e il manometro dell’aria segna 60 bar e questo dice che e’ meglio mettersi in marcia verso la superfice e cosi’ ha inizio la risalita non prima di aver rivolto un addio alla nave. Ciao Fujukawa, riposa in pace dove la pazzia umana ti ha relegata.
Il pomeriggio altra immersione questa volta su un grosso aereo bimotore americano centrato dalla contraerea. Ha un’ala troncata di netto. Entriamo da un portello laterale e percorriamo tutto l’interno fino a uscire dal muso che non esiste piu’.L’interno si presenta in buone condizioni. Era un bombardiere. La parte spezzata dell’ala giace poco distante cosi’ come i due grossi motori riconoscibili ancora con le eliche. Intorno all’aereo, 2 cassette con batterie perfettamente riconoscibili. Poi alcune bombe o bombole di ossigeno, non saprei, poi vedo i rubinetti e allora si stratta delle bombole per la respirazione in quota. Mi ha stupito il metallo dell’aereo. Ancora perfettamente lucido e privo di incrostazioni. D’altra parte e’ avional, una lega di alluminio.
Giro ancora intorno all’aereo in lungo e in largo e finisco il rullino fotografico e allora risalgo. La giornata si conclude con il ritorno in albergo, una salutare doccia, lo spuntino e il relax in attesa di andare a cena.
Domani ci aspettano altri relitti. Parliamo di scendere sul sommergibile, ma il problema sta nel fatto che qui ti danno bombole da 12 litri a 200 atmosfere il che significa 2400 litri di aria e a 58 metri, dove si trova, significa arrivarci di corsa altrettanto di corsa tornare indietro. Poi il relitto di un sommergibile non e’ visitabile. Troppo rischioso. Ne so personalmente molto di questo. Gli spazi sono ristrettissimi e qualunque cavo a penzoloni o trave puo’ trasformarsi in una trappola mortale, comunque vedremo anche in base alle condizioni del mare che non sono troppo buone. Si e’ alzato un vento fortissimo.
Invece dei relitti, ci ha trovato la pioggia e il vento. E’ stato impossibile uscire in mare a causa delle onde e delle condizioni avverse e allora ci siamo fatti accompagnare in giro per l’isola. Il paesaggio e’ sempre lo stesso. Palme, cocchi, banane, papaie.
La differenza sta nel degrado dell’isola. Le poche strade asfaltate sono allo sfascio. Immondizie, carcasse di auto e di frigoriferi, lattine vuote e plastica  e tutto cio’ che e’ da buttare, viene lasciato ai lati della strada o gettato in mare.
Intorno alle case che sono in legno o in lamiera ondulata e anche in muratura ci sono cumuli di immondizie. Ho notato una proliferazione paurosa di cani. Lattine vuote di Budweisser, palme, cani e chiese non mancano.
Peccato perche’ il paesaggio e’ di rara bellezza. I contrasti sono violenti. Un mare che va dal verde cristallo chiarissimo al blu scuro e il cielo blu con nuvole bianchissime, quando non sono grige di pioggia, si scontra con il verde intenso della onnipresente foresta e il rosso e giallo dei fiori. Un sacco di gente e’ in giro per le strade e tutti sono vestiti a festa, tranne alcuni bimbi che girano tranquillamente nudi.
Arriviamo a un grosso centro agglomerato di costruzioni massicce in cemento armato con porte e finestre tipo quelle da nave corazzata. Lo spessore di queste porte e finestre supera i 25 centimetri. Altro che roba blindata! E’ un ex centro di comunicazioni giapponese che durante la guerra serviva da coordinamento per una vasta zona, visto che si trova in cima a una collina dalla quale si domina uno spazio immenso. Da li venivano dirette tutte le operazioni militari compresi i tiri di grossi cannoni posti in altri luoghi, ma sempre in alto. Ora e’ una scuola frequentata da molti giovani che seguono lezioni tenute da personale americano.
Insegnano di tutto, anche a intrecciare foglie di palma per fare i tetti delle capanne. E’ tutto curato al massimo. L’erba tagliata, tutto in ordine e pulito. Ci sono delle capanne alle quali molti ragazzi stanno lavorando. Ci fanno entrare e visitiamo tutta la scuola. Si vedono ancora i segni di un bombardamento aereo. Lo spessore delle pareti in cemento armato, supera i due metri. Dei veri bunker. Ci accompagnano sui tetti piatti e da li si gode una vista mozzafiato. L’oceano nella sua grandezza davanti e di dietro la foresta. Il cielo e’ sereno al massimo e il sole si fa sentire. Il mio cappello di tela identico a quello di Indiana Jones che ho comprato di proposito in Francia a luglio, svolge la sua funzione. Me lo sono concesso in alternanza al mio berretto d’ordinanza della Marina Militare. Cosi’ mi sono sentito anch’io un po Indiana Jones, ma in realta’ sono le larghe falde che hanno riparato le orecchie e il collo mentre per le uscite in barca non e’ pratico proprio a causa delle falde e allora uso guello della Marina.
Ringraziamo il personale dell’accoglienza e proseguiamo fino a un punto dove la strada finisce e ci arrampichiamo a piedi su un sentiero di montagna in mezzo alla vegetazione per un centinaio di metri e piu’. Arriviamo all’ingresso di una galleria scavata nella roccia e che conduce a una caverna dove si trova ancora un grosso cannone che domina tutto dall’alto. Mi ha ricordato qualcosa di simile ai Cannoni di Navarone dell’omonimo celebre film. Qui il cannone e’ uno solo, la caverna piccola, ma l’ambiente e’ lo
stesso. La cosa curiosa e’ che all’inizio della galleria, c’e’ un ragazzino che ti chiede due dollari a testa per farti passare. Non ho capito bene se magari il terreno sul quale devi passare e’ suo oppure lui sta li ad aspettare quelli che vanno a vedere il cannone. In questo caso credo che oltre ai nostri otto dollari, abbia incassato ben poco in passato e non credo che le prospettive future siano migliori. Il cannone e’ in ottimo stato di conservazione. Manca la “culatta” e l’otturatore, ma se ci fossero e con una buona ripulita, non dubiterei che funzionasse ancora. Anche da questa postazione una veduta incantevole. Dopo le immancabili foto di rito in tutte le salse, ritorniamo sui nostri passi ed eccoci ancora con lo scassato pulmino a spasso tra cigolii e rumori di lamera che si lamenta. Sulla strada di fianco a quella che si potrebbe chiamare carreggiata, ogni tanto dei tumuli con delle croci. Sono
tombe e anche recenti direi. E sempre abbastanza vicino a delle case. Evidentemente anche i defunti vengono “buttati” per strada.
Solo che almeno li sotterrano!!! Credo sia per il fatto che e’ piu’ comodo cosi’. Ma volete mettere il portare un morto al cimitero? E’ piu’ comodo seppellirlo dietro casa!!! Mettiamola sul ridere che almeno non fa male!!! La gente e’ in linea di massima gentile, ma non ama essere fotografata. Ho ripreso un chiosco dove una donna vendeva banane e noci di cocco. Questa si e’ messa a strillare come un’aquila che voleva 50 dollari. Dico 50 dollari perche’ l’avevo fotografata! E ho dovuto alzare i tacchi alla svelta in quanto ho notato una certa agitazione nelle persone che stavano intorno a lei. Credo che al di la della diponibilita’ di facciata, anche perche’ sempre pagata, non amino molto gli stranieri. Quando cerco di fotografare qualcosa, se ci sono delle persone, queste girato la testa o si coprono la faccia con le mani e danno segni di fastidio. Ma nessuno capisce che la mia Nikon monta un grandangolo 24 millimetri che ti permette di fotografare quasi uno che ti sta di fianco senza che se ne accorga, e questo mi ha permesso di ritrarre molte belle situazioni in quanto con la macchina puntata in una direzione, riprendo un campo visivo ampissimo. Vedo un tale che da una barca che chiamarla barca e’ un’offesa per le barche (scusate il giro di parole) sta scaricando un grosso pesce lungo oltre un metro. Mi sono avvicinato incuriosito per vedere cosa fosse, ma mi hanno fatto capire con dei gesti molto eloquenti che era meglio che me ne andassi. Molta gente quando ci incrociano, ci fanno saluti e grandi sorrisi, ma comincio a chiedermi se sono gesti di cortesia o presa per i fondelli. Non lo scopriro’ mai, ma il dubbio e’ forte!
Il resto della giornata e della successiva passa in una replica di quella appena trascorsa.
Domani si parte per l’ultima tappa. Ponape. Dicono tutti che uno dei posti piu’ belli del mondo. Staremo a vedere, ma detto in questo momento, mentre sto scrivendo, devo ammettere che se non e’ uno dei piu’ belli del mondo, gli va molto vicino.
Di sicuro la “gita” chiamiamola cosi’ a Nan Mandol sara’ il piatto forte e li veramente dovremo comportarci come dei veri Indiana Jones nei suoi piu’ bei film d’avventura.

Nan Mandol

Siamo tutti ansiosi di andare a vedere questa citta’ morta sepolta nella giungla datata oltre 5000 anni e di cui non si ha nessuna traccia di chi l’ha costruita e abitata. Se ne sono occupati in molti. ONU, scienziati di tutte la parti, ricercatori, archeologi ecc. Ma nessuno e’ venuto a capo di nulla. Uno dei grandi misteri della terra. E ci si arriva solo dal mare e con l’alta marea e bisogna andarsene prima dell’abbassarsi dell’oceano, pena il rimanerci.
I prossimi giorni ci riserveranno sicuramente molte sorprese. Per intanto in alcuni momenti comincio a sentire un leggero desiderio di casa mia. E’ solo un desiderio che velocemente viene e piu’ velocemente se ne va. Credo che sia per il fatto che stiamo per affrontare l’ultima parte del viaggio e allora forse e’ utile cominciare a prepararsi psicologicamente al rientro nella vita quotidiana che abbiamo lasciato alle spalle tanti secoli fa, o sono solo pochi giorni? Chissa’!! Nel venire qui lo sbalzo e’ stato notevole. Abbiamo lasciato il freddo dell’inverno per trovarci nel giro di poco, dall’altra parte del pianeta con usi, costumi,
orari e ambienti semplicemente all’opposto. La differenza di fuso orario e’ di 10 ore e non oso pensare al rientro. Chissa’ perche’ in questo momento sento la mancanza del mio pianoforte? Avrei voglia di suonare qualcosa di romantico e di classico. Mi andrebbe bene Puccini o Chaplin. Lo sapete che Charly Chaplin ha composto delle musiche da sogno? Alcune sono diventate dei classici come Smile, o l’Arlecchinata dal fil Luci della ribalta. Ma ce ne sono tante che sono dei capolavori e che sono sconosciute e io le ho tutte in diverse raccolte. Chaplin era un suonatore di violino di prim’ordine e io ho sempre pensato che sia stato uno degli uomini che hanno fatto grande la razza umana. Chissa’ cosa c’entra tutto questo? Forse che la quiete del tramonto e il silenzio di questi luoghi, ti infondono una pace che difficilmente trovi da noi.
Per il momento non ci resta che far passare la nottata. Un po di fastidio me lo da il pensiero della pista dell’aeroporto, talmente corta da far paura, ma dato che ci arrivano e partono gli aerei come i DC10 i 767, mi tranquilizza un po. Mi ricorda Pantelleria, dove la pista e’ cortissima e si trova su un altipiano ed e’ in pendenza. Si atterra in salita cosi’ si frena di piu’ e si parte in discesa cosi’ si prende piu’ slancio!
Qual’e’ il protettore dei viaggiatori? Ecco di cosa non mi sono informato prima di partire e ora non so a che Santo rivolgermi e allora? Bhe’ la soluzione c’e’! Dato che non so a che santo rivolgermi, l’unica e’ parlare col Capo! Si proprio Lui, il Capo di tutti i Santi, il Principale, il Padrone, il Boss insomma, e cosi’ sempre ricordando Don Camillo che parlava col Crocifisso, rivolgo un pensiero a Colui al quale gia’ durante l’immersione sulla porta aerei mi ero rivolto. Signore, fa che si possa ripartire tranquillamente e altrettanto tranquillamente ritornare poi a casa. Signore, gira Tu questa preghiera al Santo dei viaggiatori! Oh!
Signore, scusa se ti disturbo per queste cose, ma l’avevi detto Tu o tuo Figlio: Chiedete e vi sara’ dato. E io chiedo!
Sono sempre alla ricerca di un medico che mi dia spiegazioni. Prima le voglie di ululare, ora parlo col Padreterno e chissa’ cosa mi riservera’ il futuro. Spero di non essere grave!!!!
Eccoci a Ponape e anche qui l’atterraggio e’ stato degno di un Top Gun su una portaerei.

Areoporto di Ponape

Diluvia che Budda la manda (e’ per la par condicio religiosa) e l’aereo ha preso tanti di quei scossoni da far paura. Ormai e’ riccorrente la frase “PISTA CORTAAAAA” e questo mi fa venire in mente Lee Van Cleef nel film “Giu’ la testa” dove con calma serafica dopo che qualcuno aveva cercato di accendere i suoi candelotti di dinamite ed era saltato in aria, lui appunto esclamava “MICCIA CORTAAAAA”. Ecco che per associazione di idee mi viene in mente PISTA CORTAAAAAA!!! E qui e’ veramente corta. L’aereo e’ arrivato a fermarsi a non piu’ di un paio di metri dalla fine. Poi c’e’ l’oceano. Appena usciti, l’impressione e’ quella di essere entrati in un bagno turco. Prendiamo alloggio al Sea Breze a 60 dollari la camera e tra le 14 e le 18, il cielo ha scaricato tutto quello che poteva. Evidentemente qualcuno del comitato di ricevimento, si era dato da fare! Mi avevano detto che Ponape e’ la piu’ piovosa e unida delle isole, ma ora si esagera. Passa la serata e di notte, tanto per cambiare, piove a dirotto. Alle 10 del mattino sotto la pioggia, riusciamo a convincere con 80 dollari in totale, un tale a portarci con la barca a Nan Mandol. E’ una barca da pescatori, completamente aperta e con K Way addosso partiamo. La laguna interna di Ponape e’ uno spettacolo. Purtroppo il cielo e’ grigio e continua a piovere e i colori sono spenti.
Il paesaggio e’ perfetto per il seguito di Jurassic Parck. La natura e’ sovrana, selvaggia, aggressiva, ma affascinante. Picchi scoscesi e foresta sono ovunque, insieme a nuvole grigio scuro molto basse. Ti aspetteresti di vedere spuntare da qualche parte un animale preistorico. A un certo punto l’acqua e’ talmente bassa che per non far incagliare la barca scendiamo, e, nella laguna con l’oceano alle caviglie, accompagnamo la barca reggendola dai lati cosi’ come farebbero i becchini portando una cassa col morto. Il fondo della barca gratta sul fondo del mare. Passato questo tratto, riprendiamo la rotta fino ad arrivare a Nan Mandol. Piu’ che una citta’ cosi’ come pensavamo, direi che e’ un luogo di alcune centinaia di metri di lato. Da una parte l’oceano che si incunea nella giungla formando un canale che percorriamo fino ad arrivare ad una radura dove lasciamo la barca e proseguiamo a piedi. Da una parte l’oceano e dall’altra la giungla. Allegriaaaaaa!!! come diceva un tale! Ha smesso di piovere e l’umidita’ e’ soffocante.
Nan MandolI soliti versi di animali e uccelli ci accompagnano. Ci sono grandi mura e costruzioni varie  fatte tutte unicamente con pietra vulcanica ridotta a travi pentagonali di lunghezza dai due metri in su. Avete presente le traversine delle rotaie dei treni? Ecco, qualcosa di simile, solo che sono in pietra nera e invece di essere a sezione quadrata, sono pentagonali, e tutte perfette, come se fossero state fatte a macchina. Il guaio e’ che da quelle parti, quel tipo di pietra non c’e’, quindi e’ stata portata. Non oso immaginare come. Nessuna equipe scientifica che ha analizzato il luogo, e’ stata in grado di fornire risposte o capire qualcosa di questo luogo. L’unica cosa quasi certa dalle analisi al carbonio 14, e’ che risale a un periodo intorno a 5000 anni fa, ma chi l’ha costruita e perche’ o tracce dei suoi abitanti non ne esistono. Praticamente un mistero avvolto dalle nebbie del luogo che si sprigionano dopo la pioggia a causa del calore. E’ stupendo pero’. Il luogo sembra che viva. Non e’ degradato. Sembra quasi che la foresta lo abbia rispettato, infatti non ne e’ stato aggredito, ma solo circondato dalla vegetazione. In lontanaza si sente il cupo brontolio dell’oceano che si infrange sul reef. Mi e’ parso di percepire come un alito vitale sprigionarsi dal luogo, ma sicuramente e’ la suggetione e i tanti film visti sulle cose misteriose che avvolgono ancora il nostro pianeta. Imponente la “reggia”, cioe’ la zona riservata al sovrano con una specie di piramide tronca alta 4/5 metri. Impressionante un pozzo di pietra profondo circa tre metri con un cunicolo stretto. Era utilizzato come una galera. Ci mettevano dentro qualcuno, quando questo dava fastidio credo, o qualcosa di simile. E’ difficile descrivere il luogo. Per dare un’idea vi dico che ho scattato tre rullini da 36 pose l’uno per cercare di  documentare il piu’ possibile quello che ho visto, ma non sono sicuro di aver raggiunto lo scopo. Comunque l’impressione di qualcosa di “vivo” che c’era li, non me la leva nessuno.
Riguadagnamo attraverso pietre e sentieri, la nostra barca e lasciamo il luogo, e mentre ci allontaniamo e’ difficile non continuare a girarsi per rubare ancora qualche altro sguardo. Navighiamo una ventina di minuti e arriviamo su un atollo, dove una delle nostre due guide, arrampicandosi meglio di una scimmia, su una palma altissima, ha cominciato a buttare a terra noci di cocco che noi prontamente raccogliamo ed apriamo. Ormai io sono diventato un maestro in questo e quindi si mangia e si beve aggiungendo anche un casco di banane che ci siamo portati appresso. Anche qui la vegetazione e’ impressionante. Nel camminare nell’acqua bassa in cerca di conchiglie, mi sono imbattuto in un serpente che gironzolava in acqua.Mi hanno detto che non era velenoso, ma io mi sono sentito a disagio. Nella vegetazione di Nan Mandol, non ho mai pensato di imbattermi in animali pericolosi. Ho sempre sentito versi strani per lo piu’ attribuibili a uccelli o a qualche scimmia, anche se a dire il vero non sono riuscito a vederne nessuna. Comunque quel serpente mi ha messo paura perche’ era tutto ad anelli rosso scuro e marrone. Se gli anelli fossero stati rossi, avrei detto che era un serpente corallo, che e’ forse il piu’ velenoso essere che esista. Non c’e’ antidoto ed e’ 1000 volte peggio del cobra. Ma gli anelli erano rosso scuri percio’ non saprei dire. Sulla strada del ritorno abbiamo fatto tappa in una altro atollo della misura di 10/12 metri. Visto che ormai il cielo e’ completamente sgombro da nuvole e il sole picchia come un martello, ci concediamo un bagno ristoratore e poi ripartiamo per avvistare nella laguna in un metro d’acqua un grosso squalo, probabilmente un nutrice. Lungo sui 4 metri, gironzolava tranquillo e come ci ha sentito, credo sia impazzito di paura ed ha cominciato a correre come una saetta a zig zag da tutte le parti, incrociandoci e mettendosi di fianco. E’ incredibile l’agilita’ che un bestione cosi’ puo’ avere. Decidiamo di lasciarlo in pace, non prima di aver scattato una raffica di foto che detto in questo momento sono venute molto bene.
Poco dopo incrociamo una grossa razza e anche questa spaventata, si e’ messa a pedalare sventolando le sue “ali” in maniera incredibile. L’abbiamo seguita per un po e poi abbiamo lasciato in pace anche lei. Andiamo ancora avanti e dato che fa caldo, ci riconcediamo un po’ di “snorkeling”. Io preferisco continuare a chiamarlo col caro vecchio nome di “Apnea”. Mentre stiamo rientrando a un km. dalla riva, il cielo si esibisce nuovamente in una replica del diluvio universale, ma tanto ormai non ci interessa piu’ niente. Siamo bagnati!
Le giornate passano pigre, tra un’immersione e le passeggiate per il “paese”, finche’ arriviamo a una mattina. La notte e’ passata insonne a causa dei molti kili di pesce ingurgitati la sera prima. Tre enormi piatti con dei pesci di lunghezza oltre i 50 centimetri piu’ un piatto di tonno arrosto, che con immane fatica e una miriade di birre, abbiamo divorato. Il dormiveglia notturno mi ha riservato incubi strani. Serpenti vari, squali, presenze misteriose ecc. ecc. Tutto il miglior campionario di un film del terrore. Poi pesci che mentre li mangiavo, mi si rivoltavano contro ecc. ecc. Vi lascio immaginare. A nulla e’ servita una doccia
fredda che fredda non era. Con 42 dollari noleggiamo una macchina Toyota Tercel stranamente con cambio manuale. Ci avventuriamo sulla strada che fa il periplo dell’isola in cerca di luoghi caratteristici. Il primo e’ una cascata. Ci arriviamo dopo aver lasciato l’auto su uno sterrato e aver attraversato la foresta per un quarto d’ora, percorrendo un sentiero appena tracciato nella vegetazione. L’umidita’ e’ tanta che gli occhiali si appannano almeno 5 volte al minuto.Arriviamo a un laghetto sovrastato dalla cascata alta una trentina di metri. Il posto e’ suggestivo sempre a causa della foresta e del rumore dell’acqua. Foto di rito e
ritorniamo indietro. A un certo punto la strada asfaltata lascia il posto a uno sterrato in mezzo alla foresta. la nostra Toyota non ha problemi e proseguiamo nella vegetazione tagliata in due dallo sterrato. Sassi e buche sono ovunque. Ai lati della strada incrociamo cani randagi e maiali, galli e bambini che spuntano da chissa’ dove. Arriviamo a un punto che diventa difficile proseguire e anche un paio di persone del luogo alle quali chiediamo informazioni, ci sconsigliano. Quindi dopo aver percorso 25 km, giro l’auto e torniamo indietro sempre godendoci l’itinerario. Il pomeriggio passa con un giro nella direzione opposta a quella del mattino. Ai lati della strada, il paesaggio non cambia tranne che per un tratto dove troviamo acquitrini e mangrovie. Di nuovo piccoli maiali che corrono come matti. Ma avete mai visto correre dei maialini? Viaggiano come saette! Il ritorno in albergo avviene accompagnati da altra pioggia. Era dal mattino che non la vedevamo e cominciavamo a sentirne la mancanza! Domani dovremmo uscire in mare.
Il condizionale e’ d’obbligo da queste parti. L’unica cosa certa e’ la cena a base di marlin che ci aspetta e allora buon appetito!!!
Oggi stranamente non abbiamo visto pioggia. Cosa strana e allora ci sbrighiamo a metterci in moto. Dopo circa 3/4 d’ora di navigazione, siamo pronti a veder cosa abbiamo sotto di noi. E’ un bel reef che ricorda molto quello del Mar Rosso. Solito campionario di pesci variopinti, qualche squalo in lontanaza e un’infinita’ di tipi di corallo.
Poi ci spostiamo su un altro atollo e anche li tutto si ripete, tranne che per una variante. Mentre mangiamo sulla sabbia, vediamo un esercito di paguri che vengono a vedere se c’e’ qualcosa anche per loro. Il paguro e’ un granchietto strano. Va alla ricerca di una conchiglia, se ne appropria facendola diventare la sua dimora e se la porta a spasso sempre con se e man mano che cresce e la casa diventa piccola, la cambia con una piu’ grossa. Spuntano fuori da tutte le parti e sono centinaia. Arriva anche un grosso
lucertolone lungo una trentina di centimetri e ingaggia un duello con un grosso paguro per un pezzo di carne. Uno tirava da una parte e l’altro dall’altra e alla fine hanno deciso di collaborare mangiando entrambi dai lati opposti. Erano tanto impegnati che mi hanno dato la possibilita’ di fotografarli da vicinissimo senza che loro abbiano fatto storie. Il nostro pranzo e’ proseguito con noci di cocco fresche, prese al momento. Una noce puo’ contenere fino a un litro di liquido. E’ buonissimo. Dolce, ricco di vitamine e zuccheri e sostanze nutrienti. Non assomiglia per niente al latte di cocco che normalmente conosciamo.  Il gusto sembra di acqua leggermente frizzante , ma appena appena, e nemmeno proprio tanto dolce. Finito di bere, si rompe il cocco e lo si mangia. Il pomeriggio ci ha visto in immersione in una pass, cioe’ il passaggio che c’e’ tra l’oceano esterno e la laguna formata dal reef.
C’e’ sempre anche qui, molta corrente, quindi bisogna andarci cauti. E’ una specie di canale e a volte e’ piacevole lasciarsi trasportare dalla corrente. Il ritorno mi ha fatto riflettere su una cosa. Ma perche’ lo chiamano Pacifico? Nel ritorno direi che era alquanto inkazzato! tanto che la barca che montava due motori da 150 cavalli, ha faticato non poco tra ondate e scrosci che arrivavavno dentro. Pero’ a parte il tempo impiegato non ci sono stati problemi, tranne che la benzina cominciava a scarseggiare e
siamo arrivati in “riserva”.
Domani e’ l’ultimo giorno e dopodomani si prende il via sulla strada del ritorno che ci riportera’ a casa. Siamo agli sgoccioli e chissa’ cosa e’ accaduto in Italia. Grandi notizie non ne abbiamo. Una telefonata da Chuuk era costata 48.000 lire per pochi secondi di conversazione e allora abbiamo lasciato perdere.
Oggi sempre con la barca da pesca, siamo approdati a ora di pranzo su un atollo che conserva i resti di una grossa postazione giapponese. C’e’ ancora la pista di atterraggio che partendo dal mare, si inoltra nella foresta dove questa ha iniziato da tempo l’opera di assimilazione. Di nuovo la guida su una palma e di nuovo noci di cocco. Intanto come al solito, qualcuno lassu’ ha aperto i rubinetti ed ecco che viene giu’ a catinelle. Un acquazzone improvviso e violento di cui non ne sentivamo la necessita’. Una casamatta giapponese in cemeto armato e’ andata benissimo per ripararsi. All’epoca serviva contro le incursioni aeree e a noi e’ servita da riparo antipioggia.
Oggi inizia il viaggio di rientro che ci portera’ a Guam per un giorno e Manila un altro. Per la cronaca, ora vi dico che Manila ci ha riservato non poche sorprese. Ho provato la paura. Ma ve la racconto più avanti.
Per ora le impressioni sono contrastanti. Peccato che in giro si trovino piu’ lattine vuote e altri rifiuti che cocchi. Penso che gli abitanti di questi luoghi abbiano assimilato la parte peggiore della civilta’ “bianca” con cui sono venuti in contatto. Secondo me ci sono in giro troppe macchine, troppi condizionatori d’aria, troppe lattine. Troppa o dovrei dire tutte le popolazioni masticano il betel, sputando dappertutto a piena bocca il liquido rosso che produce. I miei non vogliono essere giudizi, ma constatazioni che sono sotto gli occhi di tutti. Un viaggio positivo al massimo.
L’aereo ci aspetta ed e’ ora di chiudere i bagagli. Andiamo in aereoporto e una volta dentro il cielo si apre di nuovo e giu’ acqua, tanto che per salire in aereo ci danno un ombrello a testa che depositiamo ai piedi della scaletta. Prendiamo posto e dopo il solito rituale di ogni partenza, ecco che risiamo alle prese della “PISTA CORTAAAA” Il pilota blocca i freni e da tutta manetta alle turbine. L’aereo balla e vibra ma e’ sempre fermo. Quando raggiunge il massimo, molla i freni e noi veniamo schiacciati contro lo schienale. L’aereo viene catapultato in aria e si stacca all’ultimo metro dalla pista. Non oso pensare a cosa accadrebbe se non calibrasse bene sia il decollo o l’atterraggio. Ma penso che i piloti da queste parti siano abituati.
La noia del volo e’ sempre la stessa, ma grazie al cielo, il tempo passa e arriviamo a Guam dove prendiamo una macchina a noleggio per 46 dollari e andiamo nello stesso albergo dove eravamo stati all’andata. E’ sera e siamo tutti molto stanchi e allora andiamo a nanna. Domani ci aspetta il giro completo dell’isola e dopodomani via per Manila. Vi anticipo che a Manila siamo andati in un luogo dove, a parte le solite guardie armate fino ai denti, fuori c’era un cartello in inglese che diceva: “In questo luogo, dovete lasciare fuori le armi prima di entrare” Naturalmente l’ho fotografato.
Eccoci a Guam. Siamo agli sgoccioli. A dire il vero non ho molta voglia di tornare a casa. Credo che sia solo per il fatto che un viaggio cosi’ sara’ impossibile ripeterlo. Neni ha 73 anni, anche se il suo fisico e’ solido come una roccia, Pini, suo fratello ne ha 65, Walter 64 e io….. bhe’ sono il piu’ giovane. Molto piu’ giovane. Vorrei spendere qualche parola sui miei amici. Neni e’ istruttore di kendo e karate, ama la birra, il whisky e tutto quanto contiene alcol. Pini e’ istruttore….culinario. Nel senso che oltre ad essere una buona forchetta, e’ un eccellente cuoco (come me) e a volte discutiamo su alcune ricette e su dettagli che potrebbero migliorare il gusto. Neni e’ un dissacratore nato, Pini e’ il “buono” della compagnia. Walter ha un grossissimo negozio di foto ottica e anche se e’ in pensione, continua ad occuparsi col resto della famiglia dell’azienda. E’ uno al quale va bene tutto o quasi. Tanto vero che ha trovato buono persino il brodo di pipistrello. Poi, se permettete ci sono io. Ormai alcuni mi conoscono. Ho girato per piu’ di un ventennio il mondo occupandomi di concerti, spettacoli, televisione, fotografia ecc. ecc. Sono stato inviato
Rai per alcuni speciali TG e in piu’ mi sono sempre occupato un po’ per professione e un po per …i miei precedenti di tutto quanto e’ tecnico, meccanico, elettronico. Tutti e quattro siamo esperti sub.
Pini e Neni in veste di ex istruttori, io in veste di ex Marina, Walter come brevettato Padi qualche anno fa. Tutti e quattro siamo capaci di litigare ferocemente sul fatto che sia meglio la pena di morte o la galera, ma poi alla fine ci ridiamo sopra scherzando su tutto. Cosi’ siamo fatti. Inutile dire che siamo molto affiatati, pur nel rispetto delle proprie autonomie. Abbiamo alle spalle molti viaggi insieme, e tutti all’insegna dell’avventura e del fai da te. Esaurito questo preambolo ritorniamo a Guam.
Al mattino decidiamo con la nostra auto a noleggio di partire per la Tawn. Il centro cittadino e’ molto bello. Grattacieli, alberghi a 34 stelle e negozi di tutti i tipi, comprese le boutique di Bulgari, Gucci, Valentino, Armani ecc. ecc.
Gironzolando per alcuni negozi tipici, ho acquistato un po di magliette. Allo store dell’ABC SPORT, la commessa quando ho detto che ero italiano ha cominciato a sospirare, citando Venezia, Roma, Napoli ecc. E non ci era mai stata. Cosi’, solo per sentito dire. Mi ha regalato una tazza in ceramica molto bella raffigurante delle palme e delle noci di cocco! Come se non ne avessi viste abbastanza. Poi finalmente in un Western Gun Club. Sono stato li per prendere una pistola in affitto e mettermi a sparare. L’unica che mi attraeva era la mitica Desert Aigle, ma ci volevano 75 dollari per 48 colpi. Decisamente caro, per me. Le altre armi non le ho prese in considerazione in quanto le conosco tutte e le ho usate tutte quante al poligono.
Dato che posseggo numerose pistole, tutte regolarmente denunciate, e queste le ho ritrovate li, ho deciso che l’unica che valesse la pena di provare era troppo cara e allora ho lasciato stare, anche perche’ i miei amici non avevano molta voglia di aspettare me che mi divertissi a giocare a Jonh Wayne.
Invece con 45 dollari mi sono comprato un bellissimo cappello tipo Indiana Jones in tela pesante che sembra cuoio. Ne avevo gia’ uno appresso, ma era in tela beige, mentre quello e’ marrone scuro. E’ di una marca che ho visto qui anche al Guest Ranch di Voghera dove importano prodotti originali americani. Lo conoscete? E’ un villaggio western dove si mangia, beve e balla. Lo vendevano intorno alle 270.000 lire mentre qui con circa 90.000 mi sono tolto il pensiero. Dopo ever esurito il giro turistico cittadino, puntiamo verso la parte meno abitata dell’isola.
Arriviamo cosi’ al Chomorro village. E’ un’area riservata a quello che Guam era una volta.
I Chomorro, erano gli antichi abitanti indigeni e il luogo e’ un po’ una specie di riedizione di quello che fu il tempo passato. In chiave americaneggiante pero’. Niente di speciale. Solite bottegucce con oggetti vari e tipici. Piu’ avanti finiamo nella casa dell’ex governatore spagnolo. Roba del secolo scorso. Molto bello e tutto ben conservato. Avete presente la residenza di Don Pedro come cavolo si chiama? Si insomma, Zorro nella vita civile? Ecco precisa identica. Il patio, il primo piano dove probabilmente
qualche muchacha affacciata ascoltava le serenate con tromba e chitarra di qualche bel peon, magari buttandogli alla fine una rosa. Insomma quella roba li. Il posto e’ veramente splendido. E’ anche molto grande come area. Il muro con la cancellata esterna, il cancello di ingresso, due cannoni del secolo scorso a fare da guardia e il parco. Ci concediamo una pausa all’ombra degli alberi su delle panchine. Il sole e’ infernale. Picchia come non ne avete idea. Poi proseguiamo e facciamo visita a una bellissima chiesa cattolica. E’ di una lindezza incredibile. Andiamo avanti ed arriviamo a un posto con un nome difficile da ricordare: LATTE STONE. E’ un’area ricca di reperti. Ci sono una specie di coppe di pietra alte fino a quasi due metri a larghe uno. Sono dei totem degli antichi abitanti. In un angolo della collina vedo un ingresso strano con una targa col segno della radioattivita’ sopra. Incuriosito vado a vedere e scopro che li i giapponesi avevano costruito un rifugio antiatomico. Roba da pazzi. E’ perfetto ancora oggi. La cosa mi fa pensare che avessero sentore gia’ da tempo di quello che accadde a Hiroscima. Non c’e’ altra spiegazione. Usciamo da qui e approdiamo a una specie di ristorante. Dopo mangiato proseguiamo verso nord e arriviamo alla Puntan Dos Amantos. Two lovers point. Un dirupo che si erge a balcone e a strapiombo sull’oceano per un’altezza di un migliaio di metri e in avanti nel vuoto per una ventina. E’ una cosa impressionante davvero. E’ un sito dedicato a una tenera storia d’amore tra un Romeo e una Giuletta locali, vissuti veramente verso gli anni quaranta mi pare. Le famiglie erano rivali, e avevano destinato i giovani ad altre strade, ma loro per non essere divisi cosa hanno fatto? Si sono abbracciati e …. giu’ nel vuoto. Cosi’ nessuno li ha potuti separare. Che bello! Non la morte dei due, per intenderci, ma il fatto che ci sia stato veramente chi in nome dell’amore ha compiuto un gesto simile. C’e’ una enorme statua di bronzo alta oltre 6 metri che li raffigura abbracciati e poi tutto intorno dei pannelli di pietra con tutta la loro storia scolpita con tanto di nomi cognomi e date. Cosa dire? La bellezza del luogo e’ incredibile. Eppure dovrei essermi abituato a paesaggi mozzafiato. Si paga due dollari per accedere al balcone e io decido di approfittare. Ragazzi! Non sono riuscito ad affacciarmi per la paura.
Sono riuscito a fotografare tenendomi con una mano al parapetto. Naturalmente in un angolo c’e’ il negozio che vende di tutto. In tema pero’ con i Two Lovers. Magliette, portachiavi, cappelli ecc. Compro una maglietta molto bella con incisa la storia dei due e le loro effigi. Solo 9 dollari. Poi mi godo finalmente un gelato e sapete cosa? ma uno della Algida! Anche qui. E’ vero che Algida e’ Nestle’, ma anche qui e’ arrivato il Magnum. Dopo aver girato in lungo e largo il luogo, riprendiamo la strada del ritorno.
Ci fermiamo di nuovo al Chomorro village, dove scopro, una festa ton tanto di cartelloni, musica, bandiere ecc. Tutto marchiato, tenetevi forte: GEORGE BUSH Jr, FOR PRESIDENT!!!! Quelle riunioni dove i candidati incontrano la folla. Eccolo li in mezzo alle guardie del corpo il figlio dell’ex presidente. Assomiglia in modo incredibile al padre e, mentre approfitto e gli punto contro la Nikon, lui alza il braccio e con sorriso a 56 denti saluta e sorride. Non ho capito se ha salutato me che lo fotografavo o uno qualsiasi delle persone li intorno. Ho visto veramente come i candidati in Usa, incontrano la gente. Credo che na noi sia impensabile vedere un politico ai massimi livelli stringere mani e fermarsi ad ascoltare una persona qualsiasi. In America il consenso se lo conquistano cosi’. Viene poi spontaneo il paragone con la politica nostrana. Loro scendono in mezzo alla gente per ascoltarla, e i nostri? Poi magari anche loro fanno come vogliono, ma non troppo.
In Usa il consenso del popolo e’ fondamentale per un politico. Da noi….lasciamo perdere!
Ci fermiamo ancora un po e scopriamo un bar made in Giamaica ed eccoci seduti a un tavolo a gustarci, i miei amici, l’immancabile Budweisser e io un tipico beverone giamaicano a base di frutta e roba varia analcolica. Buonissimo! L’ora della partenza si avvicina e quindi ritorniamo in albergo a caricare i bagagli ed eccoci qua a restituire la macchina. L’addetto guarda l’indicatore del carburante e sentenzia: 6 Dollari! Eccellente per tutti i km che abbiamo percorso! Il resto e’ come al solito. Il gironzolare per
l’aeroporto tanto per far passare il tempo che ci separa al decollo. Al check in sono stati particolarmente gentili. Grandi sorrisi e fragorosi good bye italian boys! Tank for the boys!!! Evidentemente da quelle parti sanno conquistare la simpatia degli stranieri. Ci hanno anche indicato una cassetta postale dove potevamo imbucare un modulo nel caso avessimo delle lagnanze da fare su qualunque cosa riguardasse Guam. Incredibile. Il decollo nella massima normalita’ dato che la pista e’ di una lunghezza che non finisce mai. Poi dopo un po, siamo incappati nel brutto tempo ed e’ cominciato il ballo del qua qua. Cinture di sicurezza allacciate, scossoni e sobbalzi peggio di un vecchio autobus sulla peggior strada dell’Afganistan e i video dell’aereo che trasmettevano un notiziario dove si vedeva il disastro aereo di Chicago o giu’ di li avvenuto pochi giorni prima. Nessun superstite, mi pare!!!! Ricordo che all’universita’ si citava all’incirca: UBI MAJOR MINOR CESSAT, TERNAE ET QUATERNAE, AGLI E FAVAGLI! OPERCOLI TAZIO PALLARUM, MALASORTE FUGATA EST!!!! Il tutto naturalmente con la …compressione o strizzamento dei propri testicoli.
Mi sono sempre chiesto: ma le donne, voi femminucce, come li fate gli scongiuri? Al momento, per caso, chiedete di ….appoggiarvi a qualcosa altrui?  Scusate la divagazione. Non voglio essere volgare, ma mettiamola sul ridere, ma vi assicuro che vedere in video un aereo che si schianta e prende fuoco all’atterraggio e poi tutto il resto, mentre sei su un aereo che sbatte da tutte le parti, non e’ piacevole. Mi ritorna in mente come sono scampato per un pelo  al DC9 Itavia di Ustica. Nel senso che l’aereo e’ partito per un caso senza di me e poi e’ successo quello che tutti sappiamo. Tiro fuori una mascherina per gli occhi che avevo conservato dal volo British e me la metto, cosi’ almeno non vedo e poi mi metto le cuffie del walkman e ascolto il caro amato Puccini. Dopo circa un’ora e mezza, usciamo dalla buriana e cinture slacciate, il volo prosegue tranquillo fino a Manila dove arriviamo alle 22,30 dopo di che con un pulmino andiamo in albergo. Il Best Western in pieno centro della citta’ vecchia. Durante il percorso vedo gente di tutti i tipi abbandonata sulle strade e sui marciapiedi. Sono i “senza casa”, ma ne parlo piu’ avanti. Arriviamo in hotel e qui la sorpresa. Ci toccano le stanze con unico letto rotondo. Ideale se avessi al posto di Walter una compagna femminuccia! Siccome a me la carne di porco non piace cruda, riusciamo a farci cambiare la stanza con un’altra con due letti singoli e poi usciamo alla ricerca di qualcosa da bere. Lungo la strada, molte persone sdraiate sui marciapiedi in mezzo a rifiuti vari.
Dormono o cercano di dormire. Il caldo e l’umidita’ sono soffocanti. Notiamo che ogni negozio aperto, ha una guardia armata di fucile a pompa. Anche il nostro albergo. Entriamo in un negozio che vende bibite. Fuori il vigilante armato e dentro anche.
Tutti con Colt 44 e fucile a pompa. Un po di birre e un paio di bottiglie di acqua minerale. Usciamo per la strada e veniamo aggrediti da persone che a turno ci propongono ragazze, droga, armi, ed altro ancora. Uno si trascina dietro una ragazzina che potrebbe avere non piu’ di 12 anni e ce la vuole offrire a tutti i costi per una decina di dollari. Insiste e non continuiamo a dire che non ci interessa, allora lui ci propone una “donna” piu’ matura. Niente da fare! Non riusciamo a togliercelo dai piedi. Ne arriva un’altro che prende Pini per il braccio e gli propone un centro di “massaggi” . Continua a tirare il braccio di Pini e allora con qualche strattone ci sganciamo e guadagnamo l’ingresso dell’albergo con sollievo. Il portiere, anzi la portiera, una bella ragazza filippina ci sorride e ci fermiamo a scambiare due chiacchiere. Ci dice che non e’ prudente, anche se siamo in 4, andare in giro a quell’ora. C’e’ gente che muore di fame ed e’ disposta a tutto e secondo lei siamo stati fortunati! Poi ci spiega che la delinquenza e’
molto agguerrita. Ti assaltano e rapinano per poco. L’unica soluzione sono le quardie armate. Infatti le abbiamo viste dappertutto. Le troviamo anche la mattina dopo davanti a molti negozi, ristoranti ecc. Ci dicono che se c’e’ la guardia non c’e’ pericolo in quanto basta la vista del grosso fucile a far passare idee strane a qualcuno. Giriamo a piedi per il centro della vecchia citta’. Sembra un cantiere unico. Stanno costruendo di tutto.
Grattacieli a tutto spiano e ogni tanto gente “buttata” per terra. Ci dicono che e’ normale. Ogni tanto passa un camion. I vivi li cacciano via e quelli che sono morti li raccolgono e li buttano via.
C’e’ gente che non ha assolutamente nulla. Niente da mangiare e nessun posto dove stare. Poco piu’ avanti comincia la tawn. La citta’ delle banche, dei grandi centri commerciali ultramoderni, di quelli che girano in camicia bianca e cravatta. Con la macchina e un autista dell’albergo, ci facciamo accompagnare al cimitero cinese. E’ una cosa difficile da descrivere. All’arrivo vedo il cartesso con scritto. “IN QUESTO LUOGO, LASCIATE FUORI LE ARMI PRIMA DI ENTRARE”. Lascio a voi i commenti. Le immancabili guardie armate ci guardano con curiosita’ e ci accolgono con gentilezza. Ci chiedono due dollari a cranio ed entriamo.
Pensare a un cimitero, e’ sbagliato. E’ una citta’ con bancarelle, bar, qualche negozio, luoghi di ristoro e vendita di tutto. E poi le strade come una qualsiasi citta’ e sulle strade delle tombe! Ops!
scusate, case. Case vere e proprie, che sembrano ville. Alcune molto lussuose. La guida ci spiega che per i cinesi, il rapporto con i defunti, normalmente avi o antenati e’ particolare. Loro vanno a trovare i trapassati come uno di noi andrebbe a trovare una famiglia di amici. Ci passano il fine settimana. Tanto che
queste “case” hanno di tutto. Servizi, cucina, tv. Giriamo in lungo e largo e arriviamo al tempio. C’e’ un bellisiimo Budda contornato da uno che e’ Gesu’ Cristo e l’altro che e’ Maometto. Un pò come il nostro Padre, Figlio e Spirito santo. Solo che li abbiamo Budda che fa il capo, Gesu’ e Maometto che sono i gregari. Che dire? Niente! Rubo un po di fotografie sotto il sorriso del nostro accompagnatore che mi dice di fotografare pure, ma senza farmi vedere. Non che ci siano pericoli, ma e’ solo per rispetto. E’ difficile far capire che il mio spirito di fotografo mi porta a scattare su tutto e tutti, non per curiosita’ o spirito morboso, ma solo per scopo documentaristico. Ci fanno visitare anche il crematorio.
Ci sono 8, dico otto nastri trasportatori sui quali viene posta la bara e poi il nastro la porta via oltre una botola. Scusate, non voglio essere macabro, ma e’ la realta’. Per i cinesi la cremazione e’ una cosa normale. Ci sono due bare in attesa e siccome i morti sono morti in ogni luogo, decido che meritano rispetto e ripongo la Nikon e mi viene un pensiero. Cosa faccio? Una preghiera? E se loro non sono d’accordo? Faccio il segno della Croce? O e’ meglio il saluto militare? Non so che pensare. Non e’ uno scherzo, ma veramente mi sono sentito in difficolta’. Opto per un “SHALOM” cosi’ almeno nessuno puo’ offendersi. A questo punto lasciamo il “cimitero” e all’uscita riceviamo sorrisi e saluti. Decidiamo farci portare al mercato. L’autista ci guarda in modo strano, poi ci chiede se siamo sicuri. Certo, e allora che mercato sia! Un po titubante ci dice di togliere gli orologi, portafogli nella tasca anteriore dei jeans e niente macchina fotografica.
Secondo lui si rischia veramente la pelle. Sara’ vero? Fatto sta che mentre ci avviciniamo, vediamo che il degrado aumenta notevolmente. I Jeep J, lo pronunciano Gippi, che sono quei famosi pulmini multicolori a mo di taxi che vanno avanti e indietro per Manila e ce ne sono a mgliaia o milioni? lasciano il posto a sgangherati riscio’ e biciclette residuati di non so quale guerra punica. Ovunque immondizia, sporcizia e rifiuti, vari. A Manila, o perlomento in una certa Manila, non esitono fognature e tutto viene scaricato per strada, sotto i marciapiedi dove scorre l’acqua che porta via di tutto. Vi lascio immaginare. L’autista, mica

Manila

scemo, decide di fermarsi e parcheggia davanti a una banca dove ci sono guardie armate di fucili mitragliatori M16 (quelli dei Marines in Vietnam). Posto sicuro e cosi’ si rinchiude lui e la nostra roba che lasciamo in macchina, all’interno di questa, sotto un grosso OK! a pollice alzato di una delle guardie. Cominciamo il giro.
Apparentemente nessuno fa caso a noi, ma seno sicuro che mille occhi ci stanno squadrando. 4 bianchi occidentali a spasso in mezzo alla miriade di persone tra bancarelle che bancarelle non sono, e generi di tutti i tipi. Vi lascio immaginare. Il mercato e’ a dir poco colorito. C’e’ di tutto. generi alimentari di ogni qualita’, sempre pero’ riferentisi a quelle parti. Pesce fresco, non fresco, secco, di tutti i tipi, puzza compresa, costano proprio pochissimo. Peperoni e ortaggi messi per terra in mezzo a mille
porcherie! Poi ci sono anche negozietti dove si vende di tutto. Ne adocchio uno dove vedo residuati elettrici vari. Incuriosito mi addentro da solo e mentre l’addetto mi chiede cosa voglio, e io rispondo che mi piace curiosare, lui nella sua lingua, con fare arrogante, credo mi inviti ad andarmene, nel frattempo vedo un paio di persone che si mettono tra me e la porta. Ecco ci siamo! Chissa’ cosa accade ora! Ho avuto veramente paura, anche perche’ il bugigattolo non era molto chiaro. Anzi piuttosto buio e i miei tre soci non li vedo. Che faccio? scappo, urlo, o cos’altro? Decido di stare calmo, infilo la mano destra lentamente sotto il gile’ del tipo cacciatore che indosso, come se mettessi la mano su un’ipotetica pistola all’ascella, e mi avvio lentamente verso l’uscita.
Stranamente i due si aprono come il Mar Rosso per lasciare passare Mose’ e mentre passo strisciado contro di loro, sento una mano che mi tocca forte il fianco. Non faccio nulla, ma esco, e quando sono fuori, vedo poco distanti gli altri che un po incuriositi e un po preoccupati mi chiedono dove mi ero cacciato. Non dico nulla e rispondo con un tranquillo: niente! ero li che curiosavo! Ragazzi, ora posso dire che sono riuscito a mantenere la calma, ma vi assicuro che ho vissuto attimi di paura. Poi magari era del tutto ingiustificata, ma questo non potro’ mai saperlo.
Decidiamo di comune accordo di riguadagnare l’auto abbastanza in fretta dato che l’ambiente non e’ dei piu’ salubri e cosi’ rieccoci a bordo. L’autista ci chiede com’e’ andata e noi come se niente fosse rispondiamo che e’ tutto tranquillo, ma non e’ vero. A questo punto ritorniamo verso l’albergo e andiamo a mangiare al Kamajan, un ristorante tipico dove qualunque cosa, la si mangia con le mani e senza posate. E’ molto bello e direi anche lussuoso. Solite guardie armate e menu a base di pesce. Gamberi e verdura arrosto e una specie di tonno che non era granche’.
Dopo pranzo bighelloniamo ancora un po tra le strade adiacenti l’albergo dove vediamo il campionario di quella strana umanita’. Ci sono degli studi notarili col notaio che ha un tavolino in mezzo la strada e li compie gli atti di compra vendita di tutto, anche di immobili. Comprare una casa, ammesso che si abbia i soldi per pagarla, costa solo di notaio l’equivalente di circa 25.000 lire. Poi il nostro accompagnatore ci propone un suo “cugino” che vende orologi. Naturalmente Rolex e dintorni. La cosa ci incuriosisce e gli diamo l’OK. In una saletta dell’albergo, il “cugino” apre il suo campionario di orologi fasulli, alcuni vere patacche, ma altri veramente belli.
Notevoli sono i Kinetic della Seiko ma vuole 30 dollari l’uno. Neni che e’ un esperto mercante, in quanto in vita sua ha sempre mercanteggiato ogni cosa, chiude la trattativa a 10 dollari l’uno per 8 orologi.
Dopo una mezz’ora ariva con tutti i pezzi. A me ne tocca uno che dopo poco perde un pezzo di cassa. Niente paura. Me lo sostituisce. Quindi se ne va. Il tempo passa e le due macchine per l’aeroporto sono pronte e il mio orologio non ritorna. Ormai rassegnato, salgo in macchina, quando lo vedo sbucare e fa grandi gesti.
Mi raggiunge e mi mette in mano lo stesso orologio di prima. Io a questo punto rivoglio i 10 dollari, ma lui non li ha piu’. Comincia una serrata discussione in inglese e un altro venditore mi fa vedere un suo orologio. Un bell’Omega, ma vuole 40 dollari. Io sono seduto sul sedile posteriore dell’auto, la portiera aperta, il motore acceso. Non so cosa mi e’ preso. Prendo al volo l’Omega e gli metto in mano lo scassato Seiko e strillo all’autista un GO! GO! Plese! quello capisce al volo, e parte a razzo con la portiera che si chiude, me con l’Omega e l’altro venditore con il Seiko scassato rimastogli in mano. Chissa’ le maledizioni che avro’ ricevuto, ma l’autista dice di non farci caso.
Non e’ successo nulla. Mi dice che quella e’ gente da trattare col bastone, e anche se per una volta uno di loro e’ rimasto fregato, ci sono 10.000 volte che sono loro a fregare ignari turisti. Manila fa
14 milioni di abitanti e con i sobborghi supera i 17. C’e’ molta miseria. Molti bambini che mi ricordano i Ninos di San Paolo del Brasile. Anche di giorno in giro ci hanno offerto di tutto, ma principalmente ragazzine. Il resto e’ nella assoluta normalita’.
Chek in, dove, cosi’ come all’andata, facciamo fessi i controlli al peso, caricando tutti i bagagli insieme sul nastro di fianco al banco del check in, poi in giro per l’aeroporto, il viaggio di ritorno, il cambio aereo a Londra dopo 17 ore di viaggio, e l’arrivo definitivo a Malpensa dove ci aspetta un cielo grigio e un freddo boia. Ma davvero siamo ritornati? Quasi non ci credo. Le dieci ore di differenza di fuso orario si fanno sentire. La macchina ci aspetta all’esterno e alle 14 siamo a Biella tutti quanti.
L’avventura finisce qui. Rimangono le foto, le diapositive superstiti, e tante belle emozioni da raccontare.
Adesso vi dico che le dia sono molto belle. La Continental mi risarcisce il danno nella misura fino a 250.000 lire per il borsone, 160.000 per il Victorinox smarrito, 180.000 per le pellicole e un biglietto aereo del valore di 250 dollari da spendere entro 18 mesi sulle loro linee e che non so cosa ne faro’. Ora rimane il problema di dove metter le maschere comprate. Ho gia’ le pareti abbastanza piene di spade, pugnali e altre cose portate  a casa da tutto il mondo. Vedremo.
Ora credo di aver finito. Spero vi sia piaciuto e spero vivamente di non avervi annoiato con la lunghezza, ma era impossibile essere piu’ brevi in quanto e’ difficile condensare un mese di emozioni. Ora pensiamo a lavorare e anche a dove andare a metter i piedi la prossima volta. C’e’ la vecchia idea della Siria e dello Yemen, ma ci sono anche altre idee. Melanesia? Borneo? Cina? Altre isole del Pacifico? vedremo.



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Carlo Romano   [email protected]