Tutto e’ cominciato nel gennaio
di tre anni fa: ci trovavamo nel negozietto di un distributore di carburante
di Windoeck al termine del nostro splendido viaggio in Namibia, la mente
ed il cuore colmi di ricordi meravigliosi, quando davanti a noi vedemoo
la mappa “ContiMap” della Botswana. Se non la compriamo qui, ricordo che
abbiamo ragionato, non la troveremo certo in Italia e chissà che
non ci venga voglia in futuro di tornare ad esplorare nuovi angoli dell’Africa
australe !
E’ proprio su quella mappa aperta
sul tavolo che durante questi ultimi mesi abbiamo trascorso serate entusiasmanti
e fare progetti, studiare percorsi, immaginare incredibili piste in mezzo
a distese di savana, capire il giusto modo di prenotare gli ingressi ai
parchi nazionali … in una parola: ad organizzare questo nostro nuovo
e sorprendente viaggio in Africa !
Non e’ stato semplice pensare a
tutto: un viaggio “fai da te” di un mese in Botswana e’ piuttosto impegnativo,
richiede spirito di adattamento, voglia di passare molte ore in auto, molto
materiale portato dall’Italia, una preparazione quasi maniacale di cibo,
indumenti caldi e freddi, strumenti per eventuali riparazioni del mezzo,
apparecchiature fotografiche, Gps, telefono satellitare, documenti ed un
mare di altre cose che vedremo piu’ avanti nel racconto !
Prima della partenza, poi, sono
necessari tempi molto lunghi per studiare l’itinerario giorno per giorno
e per riuscire a prenotare con la dovuta calma tutti i campi nei parchi;
e’ necessario avere i giusti contatti in loco per le prenotazioni stesse
e per l’auto da noleggiare, una grande pazienza nel prendere informazioni
da quante piu’ fonti possibili sul grande paese che si intende visitare,
nel cercare di capire quali sono le zone che piu’ meritano di essere viste.
A queso proposito, infatti, bisogna dire che noi abbiamo scelto di rimanere
sempre a terra ovvero di seguire solo le piste, non di volare da un posto
all’altro come molti tour operator propongono, con la formula che non incontra
i nostri gusti del “vedere il piu’ possibile”, e quindi abbiamo deciso
di non includere nel viaggio un’area troppo vasta ma di cercare di vedere
al meglio quelle attraversate. Si tratta comunque di un viaggio itinerante,
dove ogni giorno ci si sposta e dove le distanze fra i campi sono spesso
notevoli, soprattutto considerando il tipo di piste e la velocita’ ridotta
alla quale si e’ spesso costretti a procedere, ed e’ per questo motivo
che alla fine del mese troveremo sul conta-chilometri del nostro fuoristrada
qualcosa come seimila km in piu’ !!!
Tornando all’organizzazione, abbiamo
noleggiato il fuoristrada in Namibia, a Windoeck, presso la Camping Car
Hire, dove ci siamo trovati splendidamente tre anni fa. La nostra auto
e’ nuovissima, solo 67 km all’attivo, un pick-up Nissan con cabina doppia
(cosa che si e’ rivelata indispensabile perche’ avevamo con noi 40 kg di
bagagli e stivarli tutti di dietro sarebbe stato assai scomodo !), due
ruote di scorta, due crick, un compressore, un kit di utensili, un serbatoio
per l’acqua da 40 litri, un doppio serbatoio per la benzina piu’ cinque
taniche extra per una capacita’ complessiva di 240 litri, ovvero piu’ o
meno mille e duecento km di autonomia. Tutto per cucinare, due bombole
del gas (ne bastera’ una sola), frigorifero, accetta per fare legna, tavolo,
sedie. La tenda e’ sul tetto e si raggiunge con una comoda scaletta, dentro
ci sono gia’ i sacchi a pelo invernali, i cuscini e due coperte di lana.
Molte di queste cose le abbiamo esplicitamente richieste noi alla compagnia
di noleggio, non essendo comprese nel pacchetto chiamato “full equipped
for camping” e le ragazze sono state formidabili, accontentandoci sempre
per le nuove richieste che, giorno dopo giorno, ci venivano in mente. Pensate
che ci hanno anche comprato 12 bottiglie di birra poiche’ quando siamo
partiti da Windoeck i negozi che vendono alcoolici erano chiusi !
Da un negozio di telefonia di Windock
abbiamo invece noleggiato il telefono satellitare, prenotandolo con un
mese di anticipo dall’Italia. Internet e’ stato fondamentale per tutti
i nostri fabbisogni: automobile, telefono, prenotazione dei parchi, notizie
sulle condizioni delle piste.
Dall’Italia ci siamo portati pasta,
sughi, pane, verdure in scatola, merendine e biscotti. Nei negozi in Botswana
si trova un po’ di tutto ma abbiamo considerato di poter passare dai centri
abitati alla domenica oppure di non trovare i negozi riforniti (puo’ succedere
piu’ spesso con la benzina !) oppure ancora di dover stare fermi in un
posto isolato per giorni prima di ricevere un eventuale soccorso: siamo
autosufficienti per circa 22 giorni, colazione, pranzo e cena … insomma,
bisogna pensare proprio a tutto se si vuole partire sereni !
La nota piu’ dolente e’ quella relativa
alle prenotazioni dei “campeggi” nei parchi. Innanzi tutto abbiamo dovuto
trovare un’agenzia che portasse avanti con successo queste prenotazioni
per noi, dal momento che l’ente governativo che si occupa di riservare
i posti ai turisti e che ha sede a Gaborone, capitale del Botswana, non
risponde assolutamente alle e-mail: queste tornano infatti regolarmente
al mittente come se la casella postale fosse piena da tempo immemorabile
… cosa che non ci stupisce visto che parliamo di un paese africano dove
quasi tutte le attivita’ sono gestite dai locali e non dai precisissimi
discendenti dei coloni tedeschi come succede invece in Namibia ! Gli africani
sono troppo forti, in alcuni casi fanno morir dal ridere e talvolta farebbero
perdere la pazienza anche ad un santo, ma e’ per questo che ci piace tanto
l’Africa !
Ebbene, l’agenzia che si e’ occupata
delle nostre prenotazioni ha sede a Maun, un paesone nel nord del Botswana,
e si chiama Travel Wild. La ragazza che ci ha seguito ha voluto il nostro
itinerario preciso, giorno per giorno e con questo in mano ha prenotato
tutte le notti nei parchi nazionali. Ci ha anche dato buoni consigli per
migliorare alcuni tratti del percorso e ci ha informato quando la sezione
sud del Kalahari ha riaperto, dopo diversi mesi di chiusura al turismo.
Per corriere ci ha
spedito a casa i documenti da presentare
agli ingressi dei vari parchi ed il pagamento e’ avvenuto mediante internet.
I parchi nazionali sono strutturati
in modo molto particolare: sono previsti pochissimi posti campeggio al
loro interno e le piazzole sono spesso molto distanti le une dalle altre.
Per questo motivo prenotare con largo anticipo puo’ dare la certezza di
trovare posto nella zona migliore dal punto di vista paesaggistico di un
determinato parco. Per fare un esempio, nel parco di Mabuasehube, la prima
notte abbiamo dovuto dormire nel campeggio che c’e’ subito dopo l’ingresso
che non e’ certamente bello come quello che c’e’ invece nel bel mezzo del
parco stesso ! E abbiamo prenotato quel parco in gennaio !! Consigliamo
dunque a tutti di muoversi con un larghissimo anticipo !
Inizia cosi’ la nostra avventura,
all’aeroporto con tre valigie colme di cibo, attrezzatura varia ed indumenti,
in attesa del volo Lufthansa che ci portera’ nell’emisfero australe !
Sabato 29 Luglio
L’aereo atterra in Sud Africa con
un’ora di ritardo; fra poco piu’ di mezz’ora parte il nostro volo per Windoeck
e temiamo che i nostri bagagli possano non seguirci fino in Namibia. Quando
infine atterriamo a Windoeck, uno dei tre bagagli non ci viene recapitato:
fila per il reclamo, poi usciamo in una calda giornata assolata, bentornati
a casa Taddy e Gloria !!
C’e’ l’autista della Camping Car
Hire che ci accoglie e che ci accompagna fino in citta’. Qui prendiamo
possesso del pick-up, un mezzo fantastico che ci accompagnera’ per un mese
nel nostro vagabondare. Poche pratiche e l’accordo e’ firmato. Anche il
telefono satellitare ci viene consegnato e tutto e’ pronto per la partenza.
Dopo pochi attimi di confusione per la guida a sinistra, decidiamo di tornare
all’aeroporto per vedere che non sia nel frattempo arrivata l’ultima borsa.
Niente, torneremo domani mattina: questo significa che passeremo una notte
a Windoeck sebbene il nostro programma prevedesse di partire subito alla
volta del Botswana. Siamo stati previdenti: le tappe dei primi giorni sono
volutamente brevi, cosi’ riusciremo a recuperare facilmente una sosta forzata
come questa !
Optiamo per l’ Arrebush, un lodge
con area di campeggio a pochi km dal centro della citta’. Appena arriviamo,
un ragazzo alla reception ci dice: “Siamo pieni oggi, non ci sono posti
neppure nel campeggio; se volete andate a vedere e tornate per dirmi se
vi va bene lo stesso” cosi’ ci rechiamo dove le frecce ci indicano, fin
sul limitare del letto di un fiume in secca … e qui la sorpresa: non
c’e’ praticamente nessuno ! Una roulotte, una jeep come la nostra con la
tenda sul tetto e basta, su di un’area di almeno 50 metri per 50 … boh
! Torniamo indietro alla reception e paghiamo per la notte.
Verso l’imbrunire (in Africa australe
di questa stagione il sole tramonta verso le sei) decidiamo di andare a
cena in un locale super consigliato da ogni guida, il “Joe Beerhouse”.
Non trovando taxi, ci accompagna un amico del ragazzo alla reception, che
ci verra’ poi anche a riprendere a fine serata !
Il locale e’ molto carino, ha un
grande giardino e visto che la zona al coperto e’ tutta piena si sta all’aperto
anche se fa molto freddo (in queste stesse ore in Sud Africa sta nevicando
e qui arriva un vento davvero gelido proprio da sud !), i tavoli sono mensole
di legno grezzo attorno a grandi tronchi d’alberi vivi, si beve buon vino
rosso e si assaporano squisite e tenerissime carni; un grande falo’ attira
i commensali al suo cospetto.
Quando torniamo al campeggio sono
gia’ le undici: saliamo la scaletta che ci conduce nel nostro piccolo ed
accogliente giaciglio e sebbene il freddo sia pungente (quasi tutti gli
indumenti caldi sono nella borsa che non e’ arrivata) ci addormentiamo
in un lampo: e’ stata una lunga giornata ma finalmente ci sentiamo in vacanza
!
Domenica 30 Luglio
Sveglia alle sette. Dopo colazione
cerchiamo di sistemare le nostre cose nella jeep in modo razionale al fine
di non diventare matti ogni volta che cerchiamo qualcosa: tentativo vano
il nostro ! Ci vorra’ almeno una settimana per organizzare al meglio il
poco spazio a nostra destinazione ma superato questo lasso di tempo avremo
acquisito una memoria fotografica sorprendente, per cui anche la pinzetta
o il nastro adesivo avranno una collocazione precisa al millimetro !
Il primo problema da risolvere oggi
e’ quello relativo alla borsa mancante: nel primo pomeriggio dovremo assolutamente
partire per il Botswana o rischiamo di perdere il diritto alle prime prenotazioni,
con il conseguente slittamento di tutte le altre. Questo ci spinge a considerare
l’evenienza in cui la borsa non ci arrivi entro oggi: non possiamo partire
senza gli indumenti pesanti poiche’ nel sud del Botswana il freddo, specialmente
di notte, e’ una realta’ e le temperature sono spesso prossime allo zero.
Decidiamo cosi’ di comprare qualcosa di caldo che ci assicuri la sopravvivenza
nei prossimi giorni: una cuffia, un pail, una calzamaglia. Li acquisteremo
in un grande centro commerciale che ci fara’ dimenticare per un paio d’ore
di essere in Africa: molti prodotti, infatti, sono anche qui d’importazione
cinese !
Dopo la spesa ci dirigiamo all’aeroporto
dove, dopo quaranta minuti di attesa, arriva la nostra borsa ! Meglio cosi’,
le cose acquistate saranno bei ricordi di una giornata di shopping in Africa
australe !!
Col sorriso sulle labbra saliamo
in auto e ci dirigiamo decisi verso est: Botswana … arriviamo !
Il nastro d’asfalto corre dritto
senza traffico; il cielo e’ limpido e, quasi senza preavviso, inizia ad
infiammarsi alle nostre spalle, le ombre si allungano, la giornata volge
al termine. Poco prima del confine fra i due stati, sulla destra parte
una breve sterrata che conduce alla tenuta di un lodge privato, il Kalahari
Bush Breacks Lodge. Al cancello ci accoglie una sorridente ragazza dalla
pelle color caffelatte, il suo bimbetto scorazza felice sul pavimento spoglio
della capanna che accoglie i turisti: sul registro scriviamo i nostri nomi,
paghiamo 55 N$ a testa quindi entriamo.
In fondo alla sterrata c’e’ la costruzione
principale del Lodge, una grande casa di legno risalente al tempo dei primi
coloni europei. La abitano una coppia di bianchi con una figlia adolescente,
vivono qui tutto l’anno, isolatissimi da altri esseri umani ma circondati
da una natura incontaminata. Sebbene abbiamo deciso di dormire nell’area
riservata al campeggio, i proprietari acconsentono a prepararci qualcosa
per cena ed e’ cosi’ che, dopo una bella doccia calda nel pulitissimo bagno
vicino all’unica piazzola occupata questa notte, madre e figlia vengono
a prenderci con il loro fuoristrada (il nostro e’ gia’ allestito per la
notte, con la tenda aperta sul tetto e dunque non si puo’ piu’ spostare
!).
Veniamo fatti accomodare in una
saletta dalla luce soffusa, legno scuro e mattoni donano un’aria assai
rustica all’ambiente. Un grande tavolo al centro della stanza e’ gia’ apparecchiato
per quattro ed infatti ceneranno con noi altri due turisti che dormono
in una delle stanze del lodge, al piano di sopra. Bevendo una birra come
aperitivo, ci guardiamo attorno: sulle pareti ci sono molti trofei di caccia
grossa, teste inbalsamate di orici, antilopi dagli occhi dolcissimi, scimmie.
Il cuore ci si chiude in una morsa. Capiamo che si tratta di ricordi dell’epoca
coloniale che portava qui auropei in cerca di fortuna, gente che non aveva
allora nessun interesse a proteggere la splendida natura selvaggia di questi
luoghi e che anzi provava grande gusto ad andare in giro col fucile e trovare
prede sempre piu’ grandi da uccidere ed appendere ai muri, in segno di
grandezza e di coraggio. Allora di selvaggina ce n’era davvero tantissima,
ma la cosa e’ comunque di una tristezza infinita. Quando i miei occhi cadono
poi su di un cucciolo di giraffa, con il cordone ombelicale che ancora
penzola sotto al tondo ventre maculato, non resisto piu’ e chiedo spiegazioni
alla signora che gestisce questo posto.
Ho fatto bene a domandare perche’
ho capito molte cose: per non rischiare di fare nostre verita’ non vere
non bisognerebbe mai, infatti, fermarsi alla prima impressione. La signora
ci spiega che le antilopi di casa loro furono cacciate da suo nonno per
la carne e poi appese al muro (almeno non sono morte invano), che questa
pratica era abituale allora ma ora non piu’ (e meno male !), che adesso
la carne di cui si cibano proviene da allevamenti in zona e che la piccola
giraffa ha una storia tristissima alle spalle. L’hanno trovata a duecento
metri da casa loro qualche anno fa, la madre l’aveva abbandonata per via
di un grave problema della piccola alle ginocchia: non sarebbe sopravvisuta
a lungo nella savana e la madre lo sapeva alla perfezione. Si e’ dunque
trattato di un caso di pura selezione naturale. La famiglia ha cercato
in tutti i modi di aiutare la piccola, che pero’ non riusciva a reggersi
sulle lunghe gambe inferme e dopo pochi giorni e’ morta.
Ecco, chi viene a visitare l’Africa
australe, con la sua savana e le creature che la abitano, deve essere pronto
anche a racconti come questi, che non rappresentano un’eccezione ma un’ordinaria
realta’ in un mondo che un giorno ci apparteneva e che oggi tendiamo a
consideriamo solo “un mondo selvaggio”.
Lunedi’ 31 Luglio
Sveglia prima dell’alba, colazione
e sistemazione del fuoristrada. Con i primi raggi del sole salutiamo la
ragazza ed il suo bimbo al gate e ci dirigiamo decisi verso il confine
con il Botswana, dove arriviamo dopo 25 km. La burocrazia e’ abbastanza
veloce e dopo altri 10 km pieghiamo verso destra. La strada e’ ancora asfaltata
ma ben presto diventa una larga e comoda sterrata; incontriamo poche auto
e ci riempiamo gli occhi di questo caldo colore rosso del fondo sabbioso
della pista.
Incontriamo qualche sperduto villaggio
e ci fermiamo per osservare le case e la gente che timidamente si avvicina.
Le capanne sono di fango, circolari, piccole ed hanno il tetto a punta
di paglia gialla; le persone indossano vestiti occidentali, magliette colorate
con spesso la stampa di una qualche associazione benefica. Nessuno parla
l’inglese, neppure i piu’ giovani, allora tiriamo fuori una mappa, cosa
che li affascina sempre, e li facciamo ridere con la nostra pronuncia quando
proviamo a dire il nome di una localita’ nei dintroni ! Ad ogni modo le
informazioni che ci scambiamo a gesti sono fondamentali perche’ solo col
gps risulta complicato trovare la pista giusta quando si attraversano questi
villaggi. Non ci sono cartelli, infatti, e ci sono miriadi di tracce parallele
sulla sabbia che magari portano solo ad un pollaio o sotto la chioma di
un grande albero dove si ritrova il villaggio intero nelle lunghe serate
estive.
Proseguiamo sulla pista giusta e
poco dopo ci fermiamo per mangiare qualcosa. Osserviamo in silenzio il
mondo attorno a noi, felici di essere nuovamente in mezzo alla natura,
soli ed in silenzio. Questo stato di calma ci rilassa e ci ricarica al
tempo stesso ! Ad un certo punto iniziamo a vedere un puntino che si avvicina
sulla pista: sembra troppo piccolo e lento per essere un’automobile e naturalmente
questo particolare focalizza la nostra attenzione nei minuti che seguono
! Con calma iniziamo a fare delle ipotesi: un carretto, un animale, una
bicicletta … alla fine si rivelera’ un anziano dal viso nero e grinzoso
con un grande cappello di paglia, in groppa ad un asinello e con un secondo
piu’ giovane asino alle spalle ! Si ferma, non parla niente al di fuori
del suo idioma a noi perfettamente sconosciuto, ma riusciamo a capire che
e’ preoccupato perche’ pensa che siamo rimasti senza benzina ! Lo rassicuriamo
e poi ci scambiamo grandi sorrisi, tanto basta per rendere indimenticabile
l’incontro. Gli diamo una bottiglietta d’acqua e restiamo in silenzio ad
osservarlo mentre si allontana su una strettissima pista che si perde nella
savana gialla sulla nostra sinistra. Chissa’ dove va ? E chissa’ da dove
viene ?
Anche
noi ci muoviamo; dopo un paio d’ore notiamo che la pista larga di poco
fa si e’ lentamente trasformata: ora ci sono due piste piu’ sottili che
corrono parallele, risalgono e poi ridiscendono basse colline sabbiose
ed ognuna rappresenta un senso di marcia. Guai a sbagliarsi: anche se quella
di destra sembra essere migliore, si deve rimanere su quella di sinistra
perche’ se capita (raramente direi, ma puo’ capitare !) di incrociare un
altro mezzo saremmo noi nel torto !
La nostra cartografia ci indica
una pista minore che va verso est, ovvero verso la nostra meta di questa
sera, il pan chiamato Masetleng. Si tratta di una bella scorciatoia, visto
che sta lentamente ma inesorabilmente avvicinandosi la sera e mancano ancora
diversi km all’arrivo. Le piste, infatti, sono piu’ lente di quanto avevamo
immaginato e questo significa che le prime tappe risultano un po’ forzate:
partenza molto presto al mattino ed arrivo a destinazione praticamente
col buio. Non e’ raccomandabile viaggiare col buio, per diversi ovvi motivi,
ed e’ proprio per questo che cerchiamo di trovare la scorciatoia per il
Masetleng pan. Il primo tentativo fallisce miseramente: la pista si dirige
perfettamente verso la meta, ma dopo pochi km finisce in prossimita’ di
un manufatto di cemento. Una cosa pero’ abbiamo imparato da questo errore:
i piloncini di cemento colorati di azzurro che si incontrano lungo le piste
stanno ad indicare un sistema di acquedotti e dato che l’acqua da queste
parti e’ tanto importante, e’ assolutamente naturale pensare che una pista
con tali piloncini conduca solamente al punto di raccolta o di smistamento
dell’acqua stessa !
Torniamo sulla pista principale
e proseguiamo ancora verso nord, finche’ non giungiamo in prossimita’ di
un nuovo incrocio che ancora una volta vede partire una pista secondaria
che si dirige alla perfezione verso il Masetleng pan. Ma qui c’e un miracolo
… un vero cartello di legno con una scritta bianca “camping” ci fa tornare
il sorriso ! Beh, era troppo sperare di leggere “Masetleng pan” … ma
per noi questa indicazione e’ un indizio piu’ che certo ! Imbocchiamo senza
esitazione questa pista con tantissimi alberini spinosissimi che rigano
le fiancate nuove del povero Nissan. Non ci sono alternative, tantissime
piste in Botswana saranno come questa, scordiamoci le larghe sterrate della
Namibia, lasciamo a casa le comodita’ di asfalti puzzolenti e penetriamo
finalmente nella realta’ stradale di questo paese unico, con le sue spine,
le sue buche e le sue sottili tracce sul fondo terroso o sabbioso. Un grido
forte di gioia si fa largo dal nostro io piu’ profondo, gridiamo l’amore
per l’avventura !!
Percorriamo i 20 km che ci separano
dalla meta un po’ in fretta; nell’ultimo tratto ci troviamo ad attraversare
un’ampia zona distrutta da un recente incendio. L’odore acre di legno arso
e’ ancora molto forte nell’aria, ovunque sul terreno giacciono mucchietti
di candida cenere ed alcuni tizzoni neri di carbone bruciano ancora. Un
panorama spettrale e suggestivo che ci racconta molte cose, come ad esempio
il fatto che le fiamme sono sempre state basse, poiche’ le chiome degli
alberi sono
ancora verdi. In questo susseguirsi
di toni neri e marroni, intravediamo due magnifici esemplari di “topi”,
grosse antilopi agili e regali che attraversano la pista mentre noi siamo
fermi e si dileguono al trotto in questo angolo di mondo disidratato.
Il
buio incombe, il cielo oltre alla vegetazione da dorato si fa rosa poi
rosso ma noi non abbiamo piu’ tempo per fermarci ad osservare questa incredibile
trasformazione. Filiamo ai 40 orari finche’ all’improvviso il panorama
si apre su di un vastissimo spiazzo completamente libero da piante, solo
una bassa e gialla erba a ricoprire il terreno. Ma c’e’ anche una zona
piu’ o meno circolare dove neppure l’erba cresce: e’ il pan Masetleng !
Portiamo le gomme del Nissan fin su questa dura crosta di terreno misto
a sale seguendo due sottili tracce che sono l’unica pista in tutta la zona:
impossibile perdere la strada ! Mappa e guida ci dicono che qui c’e’ una
sola piazzola dove e’ consentito campeggiare (anche se siamo fuori dal
parco ci teniamo a fare le cosa per bene e comportarci da persone civili)
cosi’, alla poca luce rimasta, ci guardiamo bene attorno per captare qualcosa
che ci faccia intuire dove tale piazzola si trovi. Alla fine, ecco il segno:
un semplicissimo paletto di ferro infilato per terra ! Siamo arrivati !
Spento il motore, scendiamo e ci guardiamo attorno: ci troviamo davvero
fuori dal mondo ! Che meraviglia, che silenzio, che solitudine; un vento
gelido spazza questa vasta zona piatta dove nulla si muove al di fuori
dell’erba secca.
Prepariamo la cena, alla luce della
lampada alimentata dalla betteria ausiliaria del Nissan, l’unico rumore
e’ quello della fiamma della nostra bombola. Dopo cena proviamo a stare
fuori ancora un po’; non abbiamo ancora legna per accendere un fuocherello
e d’altra parte il vento che soffia questa sera non darebbe vita facile
alle fiamme !
Ecco come ci siamo sentiti la nostra
prima notte nella natura selvaggia del Botswana: provate ad immaginare
solo buio, nero, profondo, infinito e vuoto buio. Chiudete le orecchie
ed ascoltate il silenzio. Nessun odore. Provate adesso ad immaginare una
piccola lucina in mezzo a questo buio immenso, avvicinatevi lentamente
a quella lucina, in silenzio. Vi sembrera’ di galleggiare nello spazio
nero ma poi toccherete il terreno, unico segno tangibile della realta’,
terra dura e fredda. Ora guardate verso la lucina, li’ sotto ci sono due
persone, piccole, ferme: l’unico movimento che potete notare e’ quello
delle loro iridi scure sullo sfondo bianco dei loro occhi aperti. Provano
a seguire con lo sguardo rumori infinitesimali che qua e la’ scricchiolano,
fremono, strusciano … ma non vedono assolutamente nulla, come non vedete
nulla voi. Galleggiano semplicemente in uno spazio vuoto e nero, vasto
come tutto l’universo ….
Martedi’ 1 Agosto
Nell’immensa notte una piccola sveglia
suona: usciamo dalla nostra calda tenda e scopriamo che fa ancora piu’
freddo di ieri sera. Colazione intirizzita mentre il sole tenta di superare
la spessa cortina di nubi a levante.
Prima di partire ci addentriamo
a piedi sulla crosta arida e grigiastra del pan che scricchiola allegramente
sotti i nostri passi. Mentre procediamo osserviamo le nostre ombre che
si allungano a dismisura davanti a noi; il sole, infatti, e’ finalmente
giunto a pennellare di morbida luce questo mondo solitario; il silenzio
e’ ancora perfetto. Non ci sono uccelli o altri animali poiche’ non troverebbero
acqua qui. Solo un grosso uccello, o almeno tale ci e’ sembrato, e’ venuto
durante la notte a farci visita: ci siamo svegliati di soprassalto quando
e’ atterrato sul tetto della tenda e siamo rimasti muti con gli occhi sbarrati
nel buio ad ascoltare il suo becco duro tamburellare sulla tela impermeabile
tesa sopra le nostre teste. A dire il vero non capivamo di che cosa diamine
si trattasse … finche’, dopo pochi minuti, ha iniziato a sbattere le
ali e si e’ immediatamente alzato in volo !
Prepariamo dunque il fuoristrada
e ci mettiamo in marcia, le giacche a vento ancora strette addosso. Torniamo
in breve sulla pista abbandonata ieri sera sul terreno bruciato e subito
il colore dominante torna ad essere il marron. Ben presto comunque tornano
i cespugli e l’erba gialla: qui l’inferno delle fiamme non e’ arrivato.
Un’ora di marcia e siamo di nuovo sulla pista a due corsie che chiamiamo
scherzosamente “l’autostrada” ! Questa ci conduce verso sud-est, passando
accanto ad alcuni villaggi di capanne sparse. Presso uno di questi ci fermiamo
e lasciamo il tempo ai timidi abitanti di prendere coraggio e venire verso
di noi. Finalmete si avvicinano imbarazzate alcune donne, avvolte in colorate
coperte di lana: sorridono e ci mostrano alcuni oggetti artigianali davvero
curiosi. Un grande uovo di struzzo decorato con disegni infantili, bracciali
e collane di perline bianche e nere ricavate sempre dal guscio di uova
di struzzo. Le perline sono perfette, quasi tutte grandi uguali, forate
nel centro con strumenti rudimentali e con una pazienza infinita ! Compriamo
una collana composta da quattro fili di perline intrecciati fra loro, un
capolavoro dall’odore acre e persistente che ci seguira’ per tutto il viaggio
!
Proseguiamo la pista e ci fermiamo
spesso per osservare il cielo che oggi e’ magnifico: enormi batuffoli di
candido cotone galleggiano in un blu impressionante e l’aria fresca rende
tutto talmente nitido e vicino che sembra di poter toccare con un dito
queste nuvole !
Ci fermiamo anche per fotografare
un curioso cartello stradale che intima di non superare i sessanta km orari
… e come sarebbe mai possibile ? Il fondo sabbioso e le cunette durissime
sotto le gomme ci impongono velocita’ assai piu’ ridotte ! Queste cunette
sono le discariche delle tane degli “xero del Sudafrica”, grossi scoiattoli
che pare si divertano un mondo a scavare le loro case proprio nella sabbia
ai lati delle piste: la sabbia buttata fuori si deposita in piccoli mucchietti
che si compattano sotto le gomme delle poche auto che di qui transitano
e diventano duri come sassi !
Ma e’ anche un altro il motivo per
cui procediamo lentamente: gli “uccellini giocherelloni” ! Da queste parti,
infatti, vivono piccoli uccelletti con una singolare passione: al passaggio
di un’automobile, si lanciano davanti al muso della stessa, piu’ o meno
all’altezza dei fanali, e mantenendosi sempre a circa due metri di distanza,
svolazzano come forsennati in una sorta di prova di coraggio finche’ non
decidono che il gioco e’ durato abbastanza e allora virano repentinamente
a destra o a sinistra uscendo immediatamente dalla nostra vista ! Ce ne
sono talmente tanti che si danno il cambio in questo gioco strampalato
che andare forte sarebbe un vero attentato alla loro incolumita’. Non li
dimenticheremo mai … mai vista una cosa simile !
Ci fermiamo a meta’ giornata per
un pranzetto a bordo pista, non prima di aver riempito il fuoristrada di
legna: in questa zona ci sono molte acacie e ci sono parecchi rami o addirittura
interi alberi a terra, secchi e pronti per essere raccolti. Il fuoco sara’
un amico fondamentale durante il nostro soggiorno in Botswana, ci terra’
compagnia nelle serate solitarie, terra’ lontane le fiere, dara’ vita a
tutta un’altra atmosfera e, come abbiamo detto la prima volta che l’abbiamo
acceso, anche a tutta un’altra temperatura !!
Nel
pomeriggio la pista diventa, se possibile, ancora piu’ bella: in taluni
punti risulta come scavata nell’immensa pianura ricoperta di rigogliosa
erba gialla, tanto che per godere del panorama si deve risalire il fianco
sabbioso della sede stradale. Da qui sopra il nostro sguardo si perde all’infinito
e mentre un vento fresco ci scompiglia i capelli, osserviamo l’effetto
sorprendente di questo sull’erba. E’ come se un’enorme mano trasparente
accarezzasse il manto erboso dando luogo ad un’onda dolce e suadente che
staremmo ore a guardare. E invece torniamo in auto, la meta e’ ancora lontana
e non abbiamo ancora preso la mano con le distanze ed i tempi di percorrenza
!
E’ infatti solo nel tardo pomeriggio
che il nostro fedele gps ci segnala che siamo sulla pista che ci porta
dritti all’ingresso del parco Mabuasehube. Questa riserva copre una superficie
di circa 1800 km quadrati e si sviluppa attorno a tre sistemi di saline
fra le quali si trovano splendide dune di sabbia rossissima: lo stesso
nome del parco significa, nel gergo locale, “terra rossa”.
Nella giornata di oggi abbiamo percorso
qualcosa come 240 km e non abbiamo incontrato nessuno lungo le piste. Ci
domandiamo dunque che cosa troveremo nel punto che il gps ci segnala come
“gate” del parco. Siamo in mezzo alla savana, isolati dal resto del mondo,
nessun grosso paese o citta’ nel giro di centinaia di km, nessuno per strada
… sembra improbabile che ci possa essere qualcuno proprio qui. Ed invece,
ecco una delle sorprendenti rivelazioni di questo paese ! In fondo alla
pista c’e una grande costruzione di legno e cemento che, anche se si mimetizzata
bene nel paesaggio, ci lascia senza parole. Quando poi giungiamo alla sbarra
chiusa che impedisce l’ingresso alla riserva e ci viene incontro un sorridente
donnone nero in divisa color cachi delle guardie del parco, le nostre bocche
si spalancano. E quando infine ci accomodiamo nel pulito ufficio e sul
bancone spunta un enorme registro dove sono ordinatamente annotati tutti
i turisti che negli ultimi mesi sono entrati ed usciti dal parco, la nostra
sorpresa e’ ormai del tutto evidente sui nostri volti ! Il donnone ci chiede
la prenotazione e noi le mostriamo i fogli rosa che la Travel Wild ci ha
spedito a casa due mesi fa: segue un minuzioso controllo, il regolare pagamento
per due notti all’interno del parco, l’emissione della ricevuta, la consegna
della mappa della riserva con la spiegazione su come muoversi al suo interno
e su dove trovare le piazzole di campeggio ed un caloroso saluto mentre
la
sbarra finalmente si alza di fronte
al muso scalpitante del Nissan ! Siamo dentro al nostro primo parco in
Botswana !!
La nostra piazzola si trova a poche
centinaia di metri dal gate: quando arriviamo abbiamo giusto il tempo di
prepararci per la notte e subito calano le tenebre. Accendiamo il fuoco
sulla base di cemento designata unicamente a tale scopo, prepariamo qualcosa
per cena, poi stiamo qualche minuto ancora ad assaporare il fresco silenzio
della natura prima di ritirarci.
Mercoledi’ 2 Agosto
Sveglia
poco prima delle sette, accensione del fuoco, colazione. Alcuni uccellini
tondi come palline da tennis e con il petto rosso vengono vicino al nostro
accampamento e svolazzano curiosi fra i rametti dei cespugli. Sono loro
a darci il buongiorno oggi !
Ci addentriamo dunque nel parco
che non e’ recintato, come del resto tutti i parchi in Botswana, per cui
gli animali possono tranquillamente andare e venire senza trovare ostacoli
di sorta: le saline di quest’area rappresenta per loro una fonte indispensabile
di sali minerali. Il terreno si alza in dune di sabbia rossa che si elevano
sulla onnipresente savana e le piste che seguiamo ci portano ora in alto
a seguire il loro profilo, ora in basso a seguire il perimetro delle depressioni
saline. I pochi incontri ci emozionano: un orice con una delle due lunghe
ed affilate corna troncata ed un raficero campestre che anziche’ fuggire
come un razzo alla nostra vista si sdraia a dieci metri da noi a ruminare
beatamente.
Il cielo e’ completamente coperto
e soffia ancora il vento gelido proveniente da sud. Con il passar delle
ore, pero’, le nuvole si disgregano lasciando sopra le nostre teste un
fantastico cielo blu. Durante una sosta per ammirare il panorama di una
salina dall’alto, ci accorgiamo della presenza di due uccelli molto diversi
fra loro che dondolano seguendo i movimenti dei rami mossi dal vento. Sono
vicini e non si disturbano affatto: restiamo ammaliati ad osservarli per
un quarto d’ora con i binocoli: uno dei due e’ un goffo tucano con un grande
becco giallo ricurvo mentre l’altro e’ coloratissimo, tondo ed all’apparenza
morbidissimo: lo soprannominiamo “uccellino della pace” per i colori di
cui si veste !
Continuiamo ad esplorare il parco
e nel primo pomeriggio giungiamo alla nostra piazzola: si trova in una
splendida posizione con la vista proprio sul pan Mabuasehube, ovvero quello
che da’ il nome all’intero parco. Un’enorme distesa gialla e rosa che accoglie
numerosi gruppetti di struzzi, gnu, orici e springbok !
Appena giunti, ancor prima di scendere
dall’auto, ci sentiamo osservati. Sul limitare della zona sabbiosa rialzata
che rappresenta la nostra piazzola, notiamo una ventina di animaletti alti
poco piu’ di due spanne, color nocciola, ritti sulle zampette posteriori
ed immobili che ci guardano con occhietti sgranati: si staranno domandando
chi puo’ essere a disturbare ed invadere il loro territorio ! Sono dei
bellissimi e dolci xero del Sudafrica, gli stessi scoiattoloni che costruiscono
le loro tane sulle piste: finalmente li vediamo questi ingegneri del sottosuolo
! Per timore di spaventarli scendiamo lentamente dall’auto senza sbattere
gli sportelli poi ci sediamo a terra sperando di incoraggiarli ad avvicinarsi
un po’ e poterli cosi’ meglio fotografare …. paura quelli ?? Ma quando
mai ?? Fanno i primi passi timidamente, poi si avvicinano un poco piu’
decisi scambiandosi continui richiami, quindi si lanciano letteralmente
su di noi, ci danzano intorno, allungano le loro manine, danno morsicotti
alle nostre dita con una confidenza ormai assodata ! Siamo stupiti e divertiti,
mai ci saremmo aspettati tale accoglienza !
Preparando il pranzo, a base di piadina
e formaggio, gli xero continuano a ronzarci intorno tenendoci grande compagnia.
Per appropriarsi di qualche pezzettino di piadina arrivano perfino ad arrampicarsi
sulle nostre gambe per accedere al piano del tavolo, insomma, tutt’altro
che timidi questi scoiattoloni !
Lentamente si uniscono alla compagnia
dei simpatici tucani, curiosi di capire se c’e’ qualcosa anche per loro
! Ce ne sono di due tipi: alcuni sono piu’ grandi, meno timidi, col piumaggio
scuro puntellato di bianco, le code lunghe che li impacciano leggermente
quando saltellano a terra. Gli altri sono piu’ silenziosi, educati, piu’
piccoli ma piu’ rotondi degli altri, col piumaggio grigio puntellato di
bianco.
Assistiamo
ad una scenetta degna di un cartone animato: uno xero si sgranocchia beato
il suo pezzo di piadina quando improvvisamente atterra a pochi centimetri
un tucano scuro. Questo, del tutto indifferente e senza guardare lo xero,
lentamente gli si avvicina con un’aria ingenua come se dovesse guarda il
caso proprio proprio passare di li’: lo xero, senza smettere di mordicchiare
la piadina e con i baffetti tremolanti , lo guarda a meta’ fra il preoccupato
e l’implorevole ( …. non vorrai rubarmi il pasto, vero ? … vero ???!….).
Un istante solo … e il tucano con un abile balzo si impossessa di un
pezzo di piadina ! Ora lo xero si volta di nuovo verso di noi: rassegnato
continua imperterrito a sgranocchiare il suo pezzetto decisamente piu’
piccolo di piadina, mentre il tucano si ferma giusto il tempo per farsi
immortalare dalla mia macchina fotografica con la sua conquista nel becco,
poi vola via soddisfatto !
Ad un certo punto, mentre Taddy
schiaccia un pisolino in amaca, io decido di sistemare le stoviglie …
ma mi sento osservata. Questa sensazione non e’ proprio piacevole in mezzo
ad una savana selvaggia, per cui mi immobilizzo con tutti i sensi all’erta
ed inizio a scrutarmi attorno: l’aria e’ immobile da quando il vento ha
smesso di soffiare, l’atmosfera e’ come sospesa, nulla si muove, anche
gli xero e gli uccelli si sono ritirati dopo l’inaspettato pasto. Gli altri
animali sul pan sono troppo distanti per poter udire i loro movimenti e
qui intorno c’e’ solo silenzio. Trattengo anche il mio respiro, pronta
a gettarmi dentro lo sportello aperto del fuoristrada … quando un lieve
movimento a sinistra attira la mia attenzione: a terra, ad una distanza
di non piu’ di due metri, un tondo tucano grigio se ne sta fermo a guardarmi,
curioso, non in cerca di cibo, semplicemente mi osserva. Sorrido sollevata
e riprendo a riordinare le stoviglie: il tucano segue ogni mio gesto con
un lieve e dolcissimo movimento della testolina col suo lungo becco giallo
ricurvo !
Nel pomeriggio si avvicina alla
nostra postazione una jeep: a bordo c’e’ un ranger che ci saluta, si informa
se va tutto bene e poi ci dice che questa notte saremo gli unici turisti
dentro al parco !!!
Verso le quattro risaliamo in auto
e torniamo sulle piste in cerca di animali ma non facciamo avvistamenti.
Tornati giusti in tempo per un fantastico tramonto sul pan, sistemiamo
ogni cosa per la notte e ceniamo.
Giovedi’ 3 Agosto
Sveglia
anche oggi alle sette: il cielo e’ completamente sereno. Alle otto siamo
al gate, firmiamo il librone delle uscite e salutiamo questo bel parco.
Negli ultimi anni pochissimi italiani sono transitati di qua.
La pista e’ sabbiosa e larga, con
due corsie, filiamo a 40/60 km orari. Deviamo verso est; prima breve pausa
per rifornirci di legna (che si puo’ raccogliere solo fuori dai parchi),
seconda breve pausa per fare colazione, terza breve pausa per salutare
due jeep di sudafricani che procedono in senso opposto al nostro e che
ci salutano con un sublime “… enjoy Africa !!”.
A meta’ mattina, dopo aver superato
una zona pianeggiante ricoperta di secchi cespugli color rame sullo sfondo
grigio della terra, all’improvviso la pista peggiora rallentando di parecchio
la nostra velocita’. Ci sono infatti infinite serie di cunette alternate
a dossi che trasformano l’abitacolo del pick-up in qualcosa di piu’ simile
ad un cavallo impegnato in un pazzo rodeo: ci mancano solo una musichina
country ed un cappello sventolato per aria e siamo a posto !! La pista
inizia poi a salire ed il fondo sabbioso costellato di profonde impronte
di zoccoli bovini rallenta ulteriormente la nostra andatura. Quando giungiamo
sull’asfalto a livello di un villaggio non segnato sulla nostra mappa,
tiriamo un sospiro di sollievo ed i nostri orologi segnano gia’ le 12 e
30.
L’asfalto ci porta a Khakhea che
superiamo senza fermarci. Proseguiamo verso Sekoma, dove secondo la nostra
mappa dovrebbe esserci un benzinaio. Non trovandolo, chiediamo informazioni
ad un uomo alla guida di un camion per il trasporto del carburante fermo
ad un incrocio. Questi ci dice che qui non ci sono distributori e va a
chiedere ad altre persone dov’e’ quello piu’ vicino. Scende e si avvicina,
seguito da me, ad una fila di capanne di lamiera dove alcune persone stanno,
apparentemente senza nulla da fare, a fumare e a guardarsi intorno. La
loro risposta e’ che a Juaneng c’e’ un benzinaio, 86 km verso est da qui.
Noi dovremmo trovare ed imboccare una pista che da qui vicino si diriga
direttamente verso nord, per poter raggiungere prima del buio la riserva
di Kutse; non essendo condizionati alla benzina avremmo deciso di posticipare
il rifornimento e domandiamo alle persone se conoscono la pista che interessa
a noi. Ci rispondono che la zona appartiene ad un altro distretto e che
loro non ne sanno nulla, il tutto fra mille sorrisi e mille “thank you”
detti da loro a noi !!
Non abbiamo alternative ed il tempo
stringe, cosi’ riprendiamo l’asfalto in direzione est: siamo di nuovo sulla
Trans Kalahari Highway, asfaltata solo di recente e lungo la quale camminano
e pascolano molti cavalli, asini e mucche. A Juaneng facciamo il pieno,
compriamo farina e succhi di frutta, chiediamo informazioni sulla pista
che dobbiamo imboccare e ripartiamo. In breve troviamo la nostra pista
e la imbocchiamo, direzione nord. Corriamo alla destra del recinto che
delimita l’area di una compagnia di estrazione dei diamanti – una delle
maggiori fonti di guadagno nell’economia del paese – quindi al primo incrocio
pieghiamo a ovest, correndo ora su una larga e polverosa ghiaiata chiusa
fra due recinti. Un’ultima piega verso nord e siamo di nuovo sull’asfalto,
non segnato sulla nostra mappa, che unisce Letlhakeng a Takatokwane. Giunti
al primo paese, facciamo nuovamente benzina poi ci lanciamo sulla pista
che si dirige dritta alla Kutse Game Reserve.
Letlhakeng, come tutti i piu’ grossi
villaggi del Botswana, unisce in un abbraccio fraterno tradizionali capanne
circolari di fango e modeste palazzine di cemento, basse e colorate. Una
partita di pallone ha richiamato gran parte della popolazione cosi’ che
questo villaggio ci appare particolarmente animato.
Torniamo ad avvolgerci nel silenzio
della natura e mentre procediamo verso ovest assistiamo ad uno spettacolo
unico. Alle nostre spalle il blu del cielo si pennella di uno splendido
violetto, mentre davanti a noi la cintura di cielo sopra all’orizzonte
s’infiamma. Passano i minuti e pare di osservare un immenso incendio avanzare
verso di noi; molto lentamente, poi, le fiamme si abbassano, l’incendio
perisce ed al suo posto prende il sopravvento il blu intenso prima, ed
il nero profondo poi, di un’altra grande notte africana.
La pista e’ lunga un centinaio di
km ed il buio rende lento il procedere; arriveremo solo intorno alle 19
al cancello chiuso del lodge che porta lo stesso nome della riserva qui
vicino. Due ragazzi vengono subito ad accoglierci e con loro ci accordiamo
sui prezzi: 50 pula (la moneta locale che significa “pioggia”) per dormire
nella nostra tenda, 75 pula a testa per la cena, 20 pula per la colazione
ed altri 20 pula per la doccia, domani mattina. Entriamo nel giardino del
lodge, che nell’oscurita’ si presenta come una grande ombra scura rallegrata
da faretti sparsi a terra e sulle pareti. In brevissimo tempo siamo pronti
per la cena: siamo gli unici ospiti questa sera. Mangiamo di gusto carne
di manzo, patate arrosto e zucca bollita.
Venerdi’
4 Agosto
Al freddo pungente della mattina
rispondiamo con una stupefacente doccia calda bollente nel bagno di uno
dei bungalow (veramente belli, sia dentro che fuori !). Ne usciamo rinati
! Colazione all’aperto sul bordo della piscina, giro per scattare alcune
foto ricordo, saldo del conto quindi partenza. Dopo un tentativo – fallito
– di acquistare legna presso un minuscolo villaggio (gli uomini l’avevano
finita e non avevano alcuna voglia di andare a cercarne per noi !!) ci
dirigiamo verso il gate della riserva fermandoci tre volte a raccogliere
legna con la nostra accetta: l’antica arte dell’arrangiarsi torna utile
anche qui ! Con il pick-up pieno di rametti e radici secche, entriamo nel
Kutse. Paghiamo circa 40 euro per la prossima notte all’interno del parco.
Quasi subito incrociamo una jeep, poi piu’ nulla fino alla piazzola KH20,
dove un vero e proprio accampamento di sudafricani ci coglie alla sprovvista:
8 tende a terra, 3 jeep e filo per stendere il bucato ! Stanno qui tre
giorni per dirigersi poi a nord, verso il Central Kalahari dove invece
noi siamo diretti domani mattina. Ci indicano sulla mappa la pozza d’acqua
dove oggi hanno avvistato due grossi leoni: e’ poco distante cosi’ decidiamo
di andarci subito. Ovviamente quando arriviamo noi il posto e’ deserto
! Lungo la stessa pista incontriamo un’altra pozza dove scorazzano alcuni
splendidi orici dal portamento fiero.
Proseguiamo la pista e ci fermiamo
a pranzare in una piazzola, null’altro che uno spiazzo rotondo rubato alla
savana che qui intorno si presenta come una distesa di altissima erba gialla.
Ci sentiamo in effetti un po’ chiusi qui dentro, senza panorama e con l’idea
di vedere in ogni istante sbucare un felino affamato dall’erba alta, ma
lungo la pista non ci si puo’ fermare senza bloccare la strada a qualche
altra jeep. Il pranzo sara’ veloce !
Arriviamo nel tardo pomeriggio alla
nostra piazzola che si trova in posizione sopraelevata sul pan asciutto.
Orici, struzzi e springbok, ma niente leoni. Anche per tutto il pomeriggio,
scorazzando sulle piste della riserva, abbiamo sperato di avvistare qualche
felino, senza successo.
La temperatura e’ decisamente piu’
mite degli ultimi giorni e ci godiamo il bel fuoco prima di ritirarci.
Sabato 5 Agosto
Al mattino diamo un’ultima occhiata
al pan, niente leoni: possiamo partire. Oggi attraverseremo il Kalahari,
una delle zone piu’ inospitali e deserte del Botswana, una distesa di sabbie
antichissime coperte di vegetazione. E’ in assoluto l’area protetta piu’
vasta di tutto il continente africano e copre la ragguardevole superficie
di quasi 53 mila km quadrati !
Il popolo dei San che abitava qui
dice che di notte, nel Kalahari, si sentono cantare le stelle. E deve essere
cosi’ per forza, visto che il silenzio e’ pressoche ‘ assoluto soprattutto
nella stagione secca. Anche gli animali, infatti, preferiscono spostarsi
verso nord dove aumenta la possibilita’ per loro di trovare l’acqua. Uscendo
dal Kutse, che fa comunque parte del piu’ vasto parco del Cental Kalahari,
un cartello di legno posto virtualmente sul suo confine cita: Xade 250
km. La traversata sud-nord ci impegnera’ l’intera giornata, dall’alba al
tramonto, con picchi di velocita’ massima intorno ai 35-40 km orari. In
taluni punti si abbassera’ effettivamente fino a 20 km orari, specialmente
negli ultimi 30 km a causa di cunette e dossi molto ravvicinati.
La vegetazione che ricopre la sabbia
muta di aspetto di ora in ora: cambia l’altezza ed il numero delle acacie,
dei cespugli arsi e spinosi, si attraversano immense praterie di sottili
fili d’erba gialla piegati dal vento, si percorrono veri e propri filari
di alberini dalle foglie sorprendentemente verdi che ricordano i nostri
frutteti.
Incontriamo lungo la pista un minuscolo
villaggio, chiuso in un recinto di fascine. All’interno giacciono alcune
capanne di paglia e fango e sembra deserto. Dopo un paio di minuti, pero’,
notiamo un paio di teste sbucare da una capanna; sono due donne che vengono
molto timidamente verso di noi. Con loro c’e’ una bambina che sembra quasi
spaventata. Noi siamo gentili, sorridiamo e cerchiamo di salutarli: questo
basta a far sciogliere un poco la loro diffidenza ed iniziano lentamente
a sorridere anche loro. Si avvicina alle nostre spalle un uomo, forse il
capo del villaggio ormai ridotto forse a una o due famiglie: ha un’accetta
in mano e ci chiede del latte. Noi abbiamo solo dello yogurt alla banana
e loro lo accettano e scoppiano questa volta a ridere tutti quanti insieme
all’idea di bere del latte alla banana, forse non hanno idea di cosa sia
lo yogurt !!
Dopo questo villaggio non ne incontreremo
altri, sebbene la nostra mappa ne indichi diversi nei pressi della pista
e questo ci fa riflettere su un’amara realta’.Un tempo, questa era la terra
dei boscimani, un fiero popolo di cacciatori e raccoglitori che ha vissuto
qui per migliaia di anni, in equilibrio perfetto con la dura natura che
rappresentava assolutamente tutto per ciascuno di loro. Poi e’ arrivato
l’uomo bianco e tutto e’ andato lentamente sciupandosi. Sono nati i pascoli
per il bestiame domestico, le riserve di diamanti, la caccia grossa ed
indiscriminata che ha decimato gli animali che i boscimani cacciavano unicamente
per il loro sostentamento, il bracconaggio. Per questi motivi il governo,
con la scusa di tutelare la fauna selvatica, ha trasferito forzatamente
interi villaggi verso il nord, soprattutto a Xade. Devono integrarsi, e’
stato detto, e l’unica cosa che hanno ottenuto e’ far diventare questi
fieri uomini della savana servi dell’uomo bianco negli allevamenti dei
coloni. Un’altra vergogna, un altro sopruso, un’altra prepotenza ai danni
di un popolo che e’ stato quasi cancellato.
Noi pero’ abbiamo visto che qualcuno
ancora resiste, nonostante le nuove leggi e persevera a vivere la propria
vita nella propria terra a proprio modo !
Torniamo sulla pista: alcuni tratti
con sabbia profonda vengono agilmente superati in seconda, per il resto
e’ quasi del tutto di terra battuta e corre in pianura anche se uno strano
fenomeno allucinatorio la fa sembrare sempre in lieve salita. Siamo ad
un’altezza di 1928 metri.
A circa 45 km dal gate, abbiamo
un emozionante incontro con un leopardo !! Timidissimo felino, il leopardo
e’ assai difficile da scorgere in mezzo alla vegetazione che porta lo stesso
suo colore, ma noi abbiamo avuto la fortuna di vederlo sulla pista ! Camminava
tranquillo, dondolando i suoi fianchi maculati, quando si e’ girato e ci
ha visto, a circa una trentina di metri: allora e’ scattato di lato, andando
a nascondersi veloce sotto un’acacia. Ma per nostra fortuna si e’ fermato
li’ alcuni istanti, seduto, a guardarci curioso: e’ stato li’ che l’abbiamo
visto meglio con i binocoli, una visione affascinante !
Nonostante ci fermiamo pochissimo,
arriviamo al gate di uscita solo 15 minuti prima della chiusura, quando
ormai i ranger se ne sono andati dopo probabilmente un’intera giornata
trascorsa a non vedere passare anima viva ! Per nostra fortuna sono accampati
poco distanti e, vedendoci fermi li’ ad aspettare, un ragazzone nero e’
arrivato di corsa per farci firmare il registro, pagare per le prossime
due notti ed aprirci la sbarra.
Domenica 6 Agosto
La temperatura e’ tornata ad abbassarsi:
al nostro risveglio abbiamo scoperto che la condensa all’interno della
tenda si e’ solidificata formando uno strato di ghiaccio !
Alle otto partiamo in direzione
Letiahau ma il panorama e’ piuttosto monotono. In prossimita’ del Piper
Pan ci si presentano due loop: lungo il primo notiamo enormi impronte di
leone proprio sulla sabbia chiara della pista. Corriamo attorno ad un mare
circolare di erba gialla, enormi termitai grigio chiaro simili a troni
svettano sul terreno pianeggiante e splendidi alberi detti “ghost trees”
(alberi fantasma) ci rallegrano la vista con i loro intrichi di rami dalla
corteccia levigata e rossastra !
Lungo il secondo e piu’ breve loop
non avvistiamo nulla di particolare.
Torniamo sulla pista principale
verso Letiahau, dove dopo aver incrociato una jeep che non si ferma neppure
mezzo secondo per salutarci (viene spontaneo fermarsi e fare due chiacchiere
con quei pochi esseri umani che si incontrano a queste latitudini … ma
probabilmente non e’ cosi’ per tutti !) incontriamo due dolcissime giraffe
solitarie ! Chissa’ cosa mangiano qui ? Non ci sono alberi alti, solo erba
e cespuglietti bassi.
A meta’ pomeriggio arriviamo a Lepobolobolo,
ovvero il nostro campo di questa notte (CKL3). Si trova sotto un magico
boschetto di alte acacie verdi che vediamo avvicinarsi nella savana come
un miraggio; i raggi del sole calante penetrano fra i rami colorando di
un giallo arancio l’erba a terra ed il gioco di luci ed ombre fanno di
questo posto un luogo fatato. A renderlo poi ancor piu’ magico, inizia
dopo il tramonto un concerto impressionante di mille grilli (o qualcosa
di simile !) che cantano all’unisono dando vita ad una colonna sonora senza
eguali !
Lunedi’ 7 Agosto
Con le dita ancora ghiacciate per
aver lavato i piatti della cena, saliamo sulla jeep e partiamo sulla pista
lasciata ieri sera. Incontriamo altri boschetti di acacie attraversando
la vasta Deception Valley. Avvistiamo due sciacalli, uno strano e non identificato
animaletto peloso impegnato a scavare con i lughi artigli affilati, un
numeroso gruppo di gnu, molti springbok vicini alla psta.
Poi iniziano grosse buche tanto
che in certi punti sono nate piste altrenative per evitare zone davvero
disastrate.
Molte volte le nostre narici avvertono
un odore acre e persistente: ci piace pensare che siano i leoni che marcano
il loro territorio e ridiamo divertiti quando ci accorgiamo che abbiamo
entrambi il viso fuori dal finestrino ad aspirare avidamente questo odore
che per noi e’ profumo ! Peccato non poterne portare a casa un po’ …
il tempo affievolira’ fino a far scomparire questo ricordo.
Sul finire del parco si giunge ad
un desolato “ufficio turistico” con tanto di capanne chiuse e di tettoia
sotto cui sono esposti i crani di alcuni degli erbivori che popolano questa
regione oltre al bacino enorme di due giraffe e tre carapaci di tartarughe
lunghi almeno 30 cm !
Dopo questo posto la pista si trasforma
in un susseguirsi di dossi ampi e morbidi che trasformano l’auto in un
motoscafo che solca le onde. Ci sono anche moltissimi alberini in questa
zona tanto che si ha l’impressione di attraversare un bosco. All’improvviso
eccoci davanti al gate di uscita dal parco, dove un ragazzone nero, solo
ed abbandonato, ci fa firmare il solito registro. Proseguiamo per fermarci
poco dopo per un pranzo frugale. Quando ripartiamo guadagnamo in pochi
chilometri l’asfalto, dove fotografiamo con un certo orgoglio l’enorme
cartello che indica che abbiamo portato a termine la traversata del mitico
Central Kalahari !
Nel paese di Rakop facciamo benzina
ad una spettacolare pompa a mano, roba d’altri tempi e d’altri mondi !
Dato che il serbatoio del nostro mezzo contiene benzina per quasi 800 km,
la ragazza dal grande cappello di paglia come unica ombra fa una gran fatica.
Decidiamo non senza divertimento di darle il cambio e lei accetta molto
volentieri: e’ veramente faticoso … dopo pochi minuti abbiamo il fiatone
! Si raduna ben presto un folto gruppo di bambini incuriositi dallo strano
spettacolo e il tutto finira’ con qualche fotografia ed una bottiglietta
di fresco succo di frutta !
Ne approfittiamo anche per acquistare
qualcosa da mangiare e da bere nel piccolo negozio lungo la strada e poi
riprendiamo il nostro peregrinare. Seguiamo ancora il nastro di asfalto
e poi inbocchiamo la pista che ci conduce sul far della sera al Xwaraga
Campsite, adiacente al Leroo-La-Tau Safari Lodge. Lungo l’ultimo tratto
della stretta pista chiusa fra gli alberi, facciamo un incontro sensazionale:
una donna tutta vestita di sgargianti colori che porta in bilico sulla
testa un’enorme fascina di legna. Noi ci fermiamo, lei si ferma, iniziamo
a “dialogare” come solo fra persone che non hanno nessuna lingua in comune
puo’ avvenire e a forza di gesti e di risate riusciamo a donarle un pacchetto
di farina che le da’ una gioia immensa: la guardiamo allontanarsi mentre
continua a ridere come una matta finche’ non sparisce fra gli alberi !
Al lodge non ci prendono neppure
per la cena: sono pieni pieni. Cosi’, dopo aver occupato una piazzola all’adiacente
campsite, ci concediamo una doccia alle rustiche toilette e poi andiamo
comunque a fare un giro nel lodge. La cosa incredibile di questo posto
e’ che, una volta entrati nel ristorante, dove gia’ una lunga tavolata
attende gli ospiti (ma non noi, sigh !) ci si para davanti una grande vetrata,
oltre alla quale c’e’ un terrazzo erboso ed oltre a questo …. una scena
indimenticabile che sembra quasi finta tanto e’ incredibile ! La terrazza
erbosa si affaccia su una valletta scavata dal fiume Boteti, di questa
stagione quasi secco, che e’ piena all’inverosimile di moltissimi animali
diversi ! Vediamo zebre, gnu, elefanti, antilopi tutti impegnati in un
girovagare eccitato dal fresco che sta finalmente rendendo piu’ vivibile
l’atmosfera. E’ quasi l’imbrunire, infatti, e tutti gli animali si danno
appuntamento alle poche pozze per rinfrescarsi e bere. Dato che qui sotto
al lodge c’e’ una grande pozza, ovviamente perennemente alimentata in modo
artificiale per la gioia dei turisti che decidono di venire a soggiornare
qui, il numero di animali e’ veramente notevole … tanto che all’inizio
ci sembra una specie di zoo. In realta’ capiamo che non e’ cosi’ parlando
con i ragazzi del bar del campsite, dove ci beviamo dell’ottimo sidro di
mele di origine sudafricana (Savannah dry) ed impariamo molte cose. Fra
queste, una in particolare ci fa morir dal ridere: noi chiediamo se durante
la notte gli animali si avvicinano alle piazzole del campeggio e la loro
risposta, dato che non esiste recinzione di sorta a proteggere il lodge
o il campsite, e’ ovviamente “Si'”. Quando poi chiediamo se si avvicinano
anche i leoni, la loro risposta e’: “Mah, di solito i leoni preferiscono
il lodge”… hai capito, si trattano bene, eh ?!! Scherzi a parte, la vicinanza
della fauna selvatica non va sottovalutata, basti pensare che gli stessi
ragazzi del campeggio ti consigliano, se devi spostarti dopo il calar del
sole fra la piazzola dove dormi ed il bar (distante non piu’ di cento metri)
di utilizzare l’automobile e di non andare assolutamente a piedi ! Ma,
dall’altra parte, non deve neppure terrorizzare: basta seguire alcune regole
dettate dal buon senso in nome del rispetto e nulla di male capita ad uomini
ed animali, che in definitiva possono convivere tranquillamente sullo stesso
territorio, in barba alle tante leggende metropolitane che sempre piu’
spesso girano fra noi uomini di citta’ e di paesi troppo civilizzati.
Questa sera andiamo a dormire con
un suono tutto nuovo che riempie l’aria, quello delle zebre, che emettono
una specie di raglio acutissimo che rimbalza sulle pareti del canyon terroso
scavato proprio qui sotto dal Boteti.
Martedi’ 8 Agosto
Oggi
attraverseremo la riserva chiamata Makgadigali, sul cui terreno si trova
il campeggio dove abbiamo appena dormito. Dal campeggio, pero’, per entrare
nella stessa riserva bisogna dapprima uscire, percorrere una pista che
corre fra due alte recinzioni elettrificate e solo dopo alcuni km entrare
attraverso un cancello con il chiavistello ricoperto di spessa gomma all’interno
della riserva. Il gate dove pagheremo 290 pula per il permesso di attraversare
in giornata la riserva si trova qualche km piu’ in la’. Un ranger ci da’
la mappa su cui poi ci indica i punti migliori dove scendere al fiume per
poter vedere gli animali. Qui abbiamo imparato che entrare in una riserva
in Botswana senza la prenotazione non si puo’ se si vuole passare li’ dentro
una o piu’ notti (se poi ci sono dei posti disponibili ti fanno entrare
comunque ma e’ un rischio nei periodi di alta stagione visto che sono in
genere pochissime le aree dove si puo’ campeggiare !!) mentre si puo’ tranquillamente
se si vuole semplicemente attraversarla in giornata.
Vorrei soffermarmi un attimo sulla
recinzione elettrificata. Questa lunghissima rete, alta piu’ di due metri,
venne fatta costruire dal governo nel 1954 per un motivo specifico: salvaguardare
la selvaggina dalla possibilita’ di contrarre l’afta epizzotica che colpiva
in maniera sorprendente i capi di bestiame degli allevatori. Si decise
che tale barriera avrebbe diviso fra loro i pascoli degli stessi allevatori
– che ovviamente si accaparrarono il nord del paese, piu’ ricco d’acqua
e dunque piu’ fertile – ed i territori selvaggi dove la fauna selvatica
avrebbe vissuto “protetta” dall’incubo dell’afta. Quasta idea, che parti’
come un buon proposito nei confronti della selvaggina, divenne invece una
trappola mortale per migliaia e migliaia di animali che, durante i periodi
di grande siccita’, come ad esempio quello del 1983, cercarono disperatamente
di raggiungere le zone piu’ settentrionali dove il loro codice genetico
ricordava esserci acqua e dunque vita, per poi morire tutti lungo questa
terribile rete. Sono purtroppo famose le foto strazianti di tanti animali
morti stecchiti sotto la rete con le pozze colme d’acqua dall’altra parte.
Ebbene, sono diversi anni che i movimenti ambientalisti, come ad esempio
Conservation International, cercano di dialogare con il governo del Botswana
proponendo l’attuazione di “canali” che consentirebbero i flussi migratori
della fauna selvatica durante i periodi peggiori … ma ancora nulla si
e’ mosso in questo senso. E sapete qual’e’ la cosa piu’ assurda ? Che non
e’ ad oggi stata ancora appurata scientificamente la possibilita’ di trasmissione
dell’afta epizzotica fra specie domestiche e specie selvatiche …. roba
da fare accaponare la pelle ….
Con questi tristi pensieri in testa,
e con la visione proprio dello scheletro di una zebra sulla pista che stiamo
percorrendo fra le due alte reti metalliche, penetriamo nella riserva Makgadigali.
Percorriamo la pista sabbiosa dapprima in pianura, poi in discesa ripida
verso il letto del fiume Boteti attraverso l’accesso indicatoci dal ranger.
Giunti qui, ci fermiamo subito e spegnamo il motore: una fila lunghissima
di gnu si sta compostamente dirigendo verso una pozza alla nostra sinistra:
restiamo con le narici e le orecchie aperte a vivere questo angolo di mondo
preistorico, dove solo noi siamo gli intrusi. Ci siamo infatti mossi abbastanza
presto questa mattina e non incontriamo altri veicoli in tutta la riserva.
Quando gli gnu sono passati, con cautela attraversiamo la valle fluviale
seguendo sempre le tracce che costituisco la pista principale. Ora, alla
nostra sinistra c’e’ un folto gruppo di zebre e di gnu che si mescolano
tranquillamente fra loro: sembrano persone che passeggiano per le vie pedonali
di una grande citta’. Ogni tanto si sente il lamento di un cucciolo che
chiama la mamma e fa una gran tenerezza !
Proseguiamo lungo la pista ed arriviamo
in un luogo che sulla mappa e’ descritto come “Hippo Pool”: c’e’ una pozza
abbastanza grande d’acqua che riflette il blu del cielo e sulla riva opposta
a quella dove ci troviamo noi notiamo quattro enormi sassi grigi e levigatissimi
… che si rivelano essere, ad un esame piu’ attento col binocolo, quattro
ippopotami stravaccati ed immobili ! Solo una codina o una piccola orecchia
sventola ogni tanto per scacciare qualche insetto noioso.
Torniamo sulla pista che corre in
alto e che percorre verso nord la riserva. Sul fondo sabbioso incontriamo
spesso impronte e cacche di elefante, ma dei pachiderma per ora nessuna
traccia ! Alcuni Kudu femmina fanno capolino fra gli arbusti ed e’ sempre
una gioia vederli !
Ad un certo punto, sulla pista vediamo
due uomini venirci incontro: sono a piedi ed il piu’ giovane ha un bastone
in spalla con una bottiglia d’acqua che pende all’estremita’ posteriore.
Siamo stupiti, che ci fanno due persone a piedi in una riserva ? O sono
indigeni oppure sono … bracconieri. Ci si gela il sangue quando per un
attimo confondiamo il bastone del giovane con un fucile ! Ed invece si
tratta di due allevatori che hanno perso due delle loro capre: qualcuno
le avrebbe viste addentrarsi quella stessa mattina nella riserva e ci domandano
se per caso le abbiamo viste. Povere bestie, crediamo che non abbiano fatto
una bella fine …
Poco dopo questo insolito incontro
raggiungiamo l’asfalto: la riserva e’ finita e da questa parte non ci sono
ne’ sbarre ne’ gate. Voltiamo a destra.
Pochi km ed imbocchiamo una nuova
pista che si dirige decisa, larga, sabbiosa e piatta verso la riserva Nxadi.
Si rivelera’ abbastanza deludente: l’unica pozza e’ secca, ci sono solo
pochi scheletrici springbok e due sciacalli che attendono solo che una
delle loro prede si sdrai sfinita dalla sete. Dove la pista compie un anello
che si chiude su se stesso, pranziamo all’ombra: c’e’ un caldo allucinante.
Poi, dopo un caffe’ che speriamo ci doni un poco di energia per arrivare
sani a sera, usciamo dalla piccola riserva Nxadi e percorriamo a ritroso
una parte della pista larga, sabbiosa e piatta che ci ha condotto qui.
Dopo 17 km pieghiamo a sinistra, direzione: Baine’s Baobab. La pista attraversa
distese piatte di gialla erba accarezzata dal vento per poi scivolare accanto
a sorprendenti ed abbaglianti “salar” di forma piu’ o meno circolare di
un bianco che acceca ! Ne attraversiamo uno piuttosto vasto con il fuoristrada
e sembra di viaggiare sulla neve ! Ad un certo punto, all’orizzonte, un
miraggio di baobab rossi si rivela ai nostri occhi sbigottiti: siamo arrivati
al Baine’s Baobab, un boschetto microscopico di una decina di splendidi
baobab che resistono uniti nel bel mezzo di questo mare di sale ! Ci portiamo
a piedi nel mezzo del boschetto e restiamo come paralizzati da tanta meastosita’:
ci sentiamo piccoli esseri insignificanti mentre questi giganti ci guardano
benevoli dall’alto delle loro migliaia di anni. Abbiamo letto che la crescita
di questi alberi e’ piuttosto rapida nei primi 270 anni, poi rallenta moltissimo;
fioriscono fra ottobre e dicembre ma i loro grandi fiori bianchi stanno
aperti solo 24 ore ! La leggenda vuole che il Creatore si arrabbio’ moltissimo
contro questi alberi, li sradico’ dal suolo e quando torno’ a gettarli
nuovamente verso la terra essi vi si conficcarono a testa in giu’. In effetti,
sembrano proprio radici questi loro rami paffuti e levigati. I boscimani
li considerano sacri e non si fermano sotto di essi a dormire.
Al di la’ del boschetto torna il
candido salar e noi vi viaggiamo nuovamente sopra in direzione di una seconda
isoletta di terra dove e’ consentito accamparsi. Ma quando arriviamo abbiamo
un’amara sorpresa. Un nutrito gruppo di sudafricani sta gia’ bevendo birra
in attesa del tramonto, mentre due “schiavetti” neri stanno allestendo
l’accampamento per loro. Quando li salutiamo, loro non solo non rispondono,
ma ci guardano con volti di pietra senza un sorriso e poco dopo ci dicono:
“Questo e’ territorio nostro, non c’e’ posto per voi.”. Facciamo dietrofront
maledicendo l’uomo bianco e mentre guadagnamo di nuovo la pista larga,
sabbiosa e piatta che ci ha condotto qui ragioniamo su dove poter andare
a passare la notte.
Una cosa eccezionale avviene lungo
la pista: incontriamo una jeep con due ragazzi italiani e ci fermiamo a
parlare con loro, scambiandoci informazioni e consigli, ridendo e sciogliendo
il nervoso che si era impadronito di noi. Dopo esserci augurati un buon
proseguimento a vicenda ci salutiamo e noi ci dirigiamo verso l’asfalto
rincuorati. Gli italiani in viaggio sono un popolo speciale !
A Gweta facciamo il pieno di benzina
poi cerchiamo il bivio che conduce al lodge Planet Baobab, che secondo
la Lonely Planet e’ molto grazioso. Lo troviamo poco dopo essere usciti
da Gweta: a segnalarlo c’e’ sull’incrocio un enorme manufatto di cemento
a forma di oritteropo (un formichiere notturno che raggiunge la lunghezza
davvero considerevole di un metro e mezzo ed un peso di 80 kg !).
Sono ormai le sei di sera quando
entriamo nel cortiletto del lodge ed abbiamo appena il tempo per portarci
col fuoristrada nella zona del campeggio e sistemare la tenda per la notte,
quando uno splendido tramonto pennella il cielo di lingue gialle e rosse
e per un secondo pensiamo a quegli antipatici che avranno questo spettacolo
davanti agli occhi con sullo sfondo i bellissimi baobab di Baines …
Inizia la serata che sara’ una delle
piu’ belle e romantiche di tutto il nostro viaggio ! Questo lodge e’ semplicemente
spettacolare, assolutamente imperdibile se passate da queste parti ! La
savana che unisce l’area del campeggio alla costruzione principale con
la reception ed il ristorante, accoglie un sistema capillare di piccoli
sentierini delimitati da tronchi sottili e paralleli appoggiati al suolo
che uniscono fra loro le capanne, la reception, i servizi igienici e le
diverse piazzole del campeggio; ogni 10 metri circa c’e una lanterna ad
olio che espande sull’erba intorno una calda luce gialla; sullo sfondo
non ancora del tutto nero del cielo si stagliano le imponenti sagome di
maestosi baobab che danno il nome al lodge stesso e a noi pare di camminare
in paradiso !
La costruzione principale e’ un’alta
struttura di legno con bizzarre poltrone zebrate e muretti di pietra rotondi
attorno a minuscoli tavoli. Il personale, tutto nero, e’ carinissimo ed
anche la cena sara’ molto buona: pollo e manzo al curry con riso bianco
ed insalatina mista. Sperimantiamo anche il liquore di palma, denso e zuccherino,
prodotto in Sudafrica utilizzando l’estratto delle palme mokolane che crescono
qui in Botswana. Una serata fantastica !
Mercoledi’
9 Agosto
Con la luce del nuovo giorno diamo
un’occhiata piu’ attenta al lodge. Costruito secondo l’antica architettura
tradizionale degli uomini del bush, possiede un’area adibita al campeggio
che dista circa 200 metri dal gate principale e dalla reception – ristorante.
Il campeggio ha sei piazzole distanti fra loro (40 pula per notte) ed alcune
capanne per chi non ha la tenda con se’. Queste si dividono in due tipi,
uno piu’ economico (130 pula) piu’ semplce e spartano, ed uno piu’ curato
e caro (550 pula). Entrambe hanno forma conica e le pareti sono costituite
di fascine di legna molto adese fra loro. Sono splendide anche le due capanne
gemelle dei servizi igienici: a base circolare e del diametro di 25 metri
circa, portano sulle pareti esterne disegni simbolici distinti su quella
degli uomini e su quella delle donne, una fila di pali conficcati nel suolo
forma una sorta di porticato che sorregge il tetto spiovente. All’interno
la poca luce proviene da lampadine sulle pareti, protette da un cono di
legnetti: l’atmosfera e’ calda ed avvolgente. Un’isola centrale di fango
compresso e lucidato tanto da sembrare ceramica accoglie su tre gradini
concentrici quattro lavandini, ciascuno con la sua saponetta ed il suo
picolo specchio di ferro battuto a forma di fiore. Fre i lavandini ci sono
ciotoline colme di preservativi, sopra ai quali c’e’ la scritta “NOT FOR
SALE”, un estremo tentativo di arginare quell’orrenda piaga che e’ il diffondersi
dell’aids fra un numero purtroppo crescente di persone qui in Botswana.
Anche all’interno delle porte dei vani doccia e wc ricavati lungo la circonferenza
della capanna, sta un cartello che cita: “Being HIV positive is not a death
sentence. Essere positivi all’HIV non e’ una sentenza di morte; vieni a
fare gratuitamente il test per l’HIV presso i centri specializzati. Se
diagnosticata in tempi brevi, la malattia puo’ essere tenuta sotto controllo
con una spesa di circa 100 euro al mese, mentre se diagnosticata tardivamente,
possono essere necessari fino a 1000 euro al mese. Dopo il primo anno di
contributi di spesa, il Governo paghera’ per te le ulteriori spese.” Purtroppo,
anche 100 euro al mese sono una cifra spropositata per la maggioranza della
popolazione.
Per colazione ci offrono squisiti
bigne’ croccantissimi appena fritti che rappresentano un ottimo inizio
di giornata !!
Usciamo dal lodge e ci dirigiamo
nuovamente verso Gweta; qui incontriamo non poche difficolta’ a trovare
la pista che abbiamo deciso di seguire. Anche il gps e’ inutile poiche’
partono dal paese decine di stradine che vanno nella stessa direzione,
che sarebbe per noi quella giusta ma che si rivela sempre essere quella
sbagliata dopo poco che ne seguiamo una ! Nel frattempo, scorazzando fra
le viuzze sterrate e polverose del paesino, assistiamo a scene di vita
autentica che ci stringono il cuore, come una lezione nel cortile della
scuola cui partecipano indistintamente bambini ed adulti.
Chiedendo ai passanti troviamo finalmente
la pista giusta (l’antica usanza di chiedere alla gente, come vedete, non
si perde con l’avvento della tecnologia !!) quindi ci dirigiamo verso sud,
la velocita’ ridotta per la presenza di innumerevoli buche; alberini di
aloe simili a palme in miniatura con un singolare ciuffo sommitale fiancheggiano
la pista in diversi punti.
Incontriamo un primo gigantesco
baobab che si eleva imponente sulla pianura circostante. Sui suoi rami
piu’ alti giace un grande nido e dentro e’ accovacciato un pulcino gigante
di avvoltoio: allunga il gia’ lungo collo per seguire i nostri movimenti
giu’ in basso ed ogni tanto guarda nel vasto blu del cielo se ritorna la
mamma. Che tenerezza … decidiamo di restituirlo alla pace ed alla solitudine
del suo mondo.
Proseguiamo ancora verso sud; la
nostra meta e’ un secondo baobab, talmente grande da essersi fregiato del
nome di “faro”. E lo vediamo finalmente, ci guida davvero come fosse un
faro, un groviglio imponente di rami rossi che svettano sopra ai cespugli
bassi della savana. Con un diametro alla base di ben 25 metri, il Green
Baobab (dal nome dell’esploratore europeo che per primo lo vide) e’ costituito
da sei fusti fusi fra loro alla base. Su ciascuno di essi, ad una certa
altezza, partono rami minori e da questi rametti piu’ piccoli e cosi’ via,
creando un fantastico e complesso ombrello rosso. Ha una grande fessura
fra due tronchi e la leggenda vuole che pioneri ed esploratori lasciassero
le loro lettere proprio qui dentro, trasformando “il faro” in una sorta
di “ufficio postale della savana” !
Qui vicino incontriamo tre giovani
che camminano, stanno tornando al loro villaggio portando con se’ alcune
radici dalle quali, ci raccontano, ottengono un decotto che serve a ripulire
l’intestino.
Lasciato il Green Baobab alle spalle,
la pista si lancia verso un’incantevole ed abbagliante zona di grandi salar,
cosi’ vasta che si vede anche dalla luna. Scendiamo e camminiamo sulla
crosta dura e screpolata, una distesa di zolle la cui superficie si accartoccia
su se stessa per effetto della secchezza dell’aria. Durante la stagione
delle piogge, questi salar si trasformano in immensi acquitrini e circolare
con un’automobile diventa impensabile. Ora la stagione e’ secca e la crosta
di sale e’ compatta e durissima.
Un giro ad anello in questa zona
ci porta fin sulla sommita’ di una bassa duna dalla quale si riesce a dominare
l’ambiente circostante: restiamo in piedi accanto ad un paletto che forse
una volta portava un cartello ed ascoltiamo per lunghi minuti il vento
che spazza questa immensa distesa selvaggia.
Torniamo indietro al Green Baobab
e ci fermiamo in prossimita’ di due villaggi. Arrivati al primo, piuttosto
grande con un grande recinto di legni tutto intorno, scendiamo ed aspettiamo
che un giovane timido e serio ci si avvicini: gli domandiamo se la pista
che vediamo oltre il suo villaggio conduce a Kubu Island e lui ci risponde
affermativamente. Poi gli doniamo un pacco da un chilogrammo di farina
ed una scatolina di fiammiferi ed il suo viso si addolcisce: accetta il
nostro dono che noi consideriamo un ringraziamento per il fatto che ci
lascia scorazzare sulla terra che, tutto sommato, secondo noi appartiene
alla sua gente. Mentre siamo ancora in sua compagnia, alle nostrte spalle
udiamo un rumore di zoccoli al galoppo e, scena degna di un vero film western,
assistiamo all’arrivo di due ragazzi in sella a due cavalli con un puledro
tenuto per le redini. I tre si salutano e scambiano qualche parola, al
che noi decidiamo di togliere il disturbo e di lasciare questa gente alla
propria vita.
Al secondo villaggio, tre sole capanne
chiuse in un rudimentale recinto, ci accolgono tre giovani, l’anziana e
pittoresca madre ed un dolcissimo cucciolo di cane ! Qui i cani sono tutti
assolutamente identici, biondi a pelo corto, di taglia medio piccola: sono
utilissimi perche’ cacciano i serpenti. Questo cucciolo rappresenta un’ottima
scusa per una sosta e questi tre ragazzi sono molto piu’ espansivi del
primo, parlano un buon inglese e da loro veniamo a sapere che si cibano
di verdura che a fatica riescono a coltivare su questo terreno arido (vediamo
alcune grosse zucche stese a terra fra le capanne) e che vanno a prendere
l’acqua ad una pozza qui vicino. Ogni tanto vanno a piedi al paese di Gweta
per il mercato.
Adoriamo questi piccoli villaggi
perche’ ci ricordano che esistono ancora esseri umani in grado di vivere
in simbiosi con la natura senza doverla per forza modificare. Una volta
ho letto da qualche parte che il grado di intelligenza di un essere vivente
si misura in quanto questo riesca ad adattarsi all’ambiente circostante
nelle piu’ diverse situazioni. Da questo punto di vista questa gente, questi
pastori, questi contadini sono di gran lunga molto piu’ intelligenti di
noi !
Torniamo sulla nostra pista e ben
presto passiamo accanto ad una considerevole quantita’ di animali domestici,
soprattutto mucche: ecco la pozza alla quale vengono ad approvigionarsi
d’acqua gli abitanti dei villaggi sparsi in questa zona ! Lungo la pista
incontriamo anche i resti diroccati di due capanne e ci fermiamo ad osservarli
da vicino: le pareti rotonde sono spesse circa quindici centimetri e sono
costituite di un impasto di fango grigio e ciuffi d’erba. Non c’e’ piu’
traccia del tetto ma all’interno e’ ancora visibile l’angolo in cui doveva
esserci il focolare e sul muro una piccola sporgenza che doveva servire
da mensola.
Arriviamo
finalmente al cancello della riserva di Kubu Island: un guardiano viene
ad aprirci e quando noi gli chiediamo quanto dobbiamo pagare, lui ci spiega
che pagheremo una volta giunti all’isola. Alla nostra destra si innalza
un grande cartellone con i prezzi che i veicoli e le persone devono pagare:
se quest’uomo avesse voluto fare il disonesto ci avrebbe fatto pagare anche
qui … non saremmo mai tornati indietro per farci restituire i soldi !
Ma qui in Botswana corruzione e malafede presso la gente comune sono concetti
che non esistono proprio: ecco perche’ e cosi’ facile innamorarsi di questo
popolo !
La pista raggiunge in poco tempo
un grande salar dal nome musicale di Sowa Pan: sviluppandosi per una settantina
di km in direzione sud-nord e per circa una quarantina di km nel suo punto
piu’ largo in direzione est-ovest, questo immenso mare bianco accoglie
lungo il suo margine sud occidentale la mitica isola verso cui siamo diretti.
Rimaniamo sulle tracce ben visibili della pista bianchissima finche’ vediamo
stagliarsi davanti a noi un lembo di terra scura. Piu’ ci avviciniamo e
piu’ non crediamo ai nostri occhi: Kubu Island e’ favolosa. Alta non piu’
di venti-trenta metri sul salar, Kubu e’ un monumento nazionale ed e’ protetta
pur non facendo parte delle riserve nazionali del Botswana. E’ selvaggissima:
chiunque arrivi qui deve essere assolutamente autosufficiente e puo’ rimanere
a dormire in alcune zone stabilite, previo pagamento ad uno dei ragazzi
dei villaggi appena fuori dal salar, che girano a piedi o in bicicletta
sull’isola col loro registro ordinatissimo in mano.
Il sole sta velocemente abbassandosi
all’orizzonte, cosi’ abbiamo appena il tempo di fare un breve giretto dell’isola,
rimanendo con le ruote sul sale e guardando sfilare le “coste” rocciose
dell’isola alla nostra sinistra. Gli abitanti piu’ pittoreschi di Kubu
sono dei bellissimi baobab, che lanciano i loro rami rossi, arancio, marron
e neri verso il cielo. I grandi massi di roccia simile a granito che movimentano
la sua morfologia, le vaste anse simili a vere e proprie spiagge, la terra
che digrada lentamente verso il sale la fanno assomigliare in modo sorprendente
ad un’isola delle Seychelles !
La prima ed unica persona che incontriamo
non appena penetriamo nell’isola e’ una sorridente ragazza a piedi. Le
domandiamo se possiamo rimanere qui a dormire e lei ci chiede di farla
salire in auto: ci indichera’ il tragitto per arivare alla nostra postazione
dove trascorrere la notte. Dietro un gigante millenario dal tronco levigato
e rossiccio, in posizione leggermente sopraelevata, sistemiamo il fuoristrada
e paghiamo questa meravigliosa ed indimenticabile “suite” con vista sul
mare di sale.
Questo posto ha un che di misterioso
e di sacro: sara’ per la presenza dei baobab che nella luce morente del
giorno assomigliano sempre di piu’ a spettri, sara’ per il silenzio surreale
che ci circonda, sara’ perche’ l’isola e’ disabitata da millenni ma una
qualche forma di vita ha costruito un muro di pietre dal significato tuttora
sconosciuto, fatto sta che noi assorbiamo l’energia sacra che emana il
terreno e lentamente ci pervade un gran senso di pace !
Il tramonto e’ bello da mozzare
il fiato e la sensazione di trovarci in un mondo parallelo abitato dagli
spiriti cresce quando nella penombra attorno a noi scorgiamo delle nuvolette
bianche muoversi leggere sfiorandoci per poi morire fra i cespugli. Forse
sono solo farfalle notturne … ma ci diverte pensare che siano in realta’
degli spiritelli venuti a salutarci !
Nella notte buia alcuni puntini
luminosi si avvicinano all’isola in un silenzio perfetto: sono turisti
ritardatari che vengono a passare come noi la notte qui. Non sapremo mai
in quanti saremo sull’isola questa notte perche’ le auto che arrivano si
portano lontane dalla nostra postazione e perche’ dopo il tramonto vige
l’ordine assoluto di non viaggiare.
Il silenzio non e’ rotto da alcun
suono mentre ceniamo. Prima di ritirarci a dormire ci concediamo un lusso
assai raro qui in Botswana: un giretto a piedi mano nella mano nell’oscurita’
appena rischiarata dalla luna crescante in direzione del salar. Su quest’isola,
infatti, la guida Lonely Planet dice che non ci sono animali per l’assenza
di acqua e per l’estrema inospitalita’ dell’ambiente salino. Romanticissimo
ed incantevole, questo giretto si trasforma all’improvviso in una poco
composta ritirata a gambe levate non appena nei bui recessi dell’interno
dell’isola, sotto le fronde di un immenso albero, decine di soffi e di
sbuffi intimidatori di animali non ben identificati rompono la pace: i
nostri sorrisi beati diventano smorfie di puro terrore ! Cosa saranno mai
? Un mistero che si aggiunge agli altri e che rimarra’ irrisolto !!
Giovedi’ 10 Agosto
Nottata spettacolare.
Con la luce del sole questo posto
perde un po’ del suo fascino spettrale e misterioso ma rivela colori inaspettati
e davvero unici. Quando siamo pronti per partire circumnavighiamo l’isola
lungo le sue coste orientali dove splendidi baobab dal tronco rosso sangue
ci salutano coi loro rami contorti protesi al cielo. A piedi risaliamo
gli appena venti metri di altezza dell’isola lungo un sentiero immaginario
che corre parallelo ad un muro di pietre risalente all’era preistorica,
eretto da chissa’ chi e chissa’ perche’. Ha la forma di una mezzaluna e
vi sono stati trovati accanto vari manufatti di origine tuttora ignota.
La vista dall’alto e’ bellissima e lo sguardo spazia sul deserto bianco
che ci circonda.
Una pista diversa da quella di ieri
sera ci allontana da questa meraviglia del Botswana e ci porta al gate,
sulla terra “ferma”. Qui pieghiamo verso est su una pista molto lenta perche’
dissestata, piena di buche insidiose che si celano sotto la folta ed alta
erba gialla. Venti minuti circa e guadagnamo di nuovo il salar: la pista
ora piega decisamente verso nord rimanendo parallela alla terra ed inizia
la navigazione sul mare di sale, candido, piatto ed accecante. Fa una certa
impressione procedere su questo terreno, solido ma al tempo stesso friabile,
le zolle crocchiano sotto il peso del Nissan ed il sole riflette come sulla
neve. Cerchiamo di seguire le impronte di pneumatici delle poche auto che
ci hanno preceduto dopo la fine della stagione delle piogge ma non sempre
e’ cosa facile; spesso infatti le impronte ci porterebbero verso il centro
del salar, in prossimita’ del cosiddetto “occhio” dove la crosta di sale
e’ piu’ sottile. Noi scegliamo di rimanere paralleli alla terra che scorgiamo
sulla nostra sinistra poiche’ anche se sotto di noi il terreno e’ duro
e resistente non possiamo sapere cosa ci aspetta dieci o venti metri piu’
a destra e quello che si rischia e’ davvero eccessivo. Siamo soli qua in
mezzo e la prudenza non e’ mai troppa !
Sul finire della pista incontriamo
delle piramidi di cemento dipinte di uno sgargiante arancione, colore molto
visibile e percio’ facile da seguire; alte circa un metro e mezzo e costruite
nel 1988 per aiutare proprio chi si avventura su questa pista, ci terranno
compagnia fino a raggiungere l’asfalto. Nel frattempo il terreno e’ mutato
gradualmente: lasciato il bianco abbagliante del sale ora corriamo su un
terreno piu’ scuro dove azzardano alcuni ciuffi di erba gialla che ci fanno
tenerezza se pensiamo all’ambiente ostile in cui vivono. Poi l’erba prende
il sopravvento e ci circonda completamente. La pista si trasforma incredibilmente
in una larga “ruspata” tanto dritta e larga da sembrare addirittura la
pista di atterraggio di un improbabile aeroplano e che poi, cosi’ come
e’ iniziata, improvvisamente muore per lasciare il posto ad una sottile
pista decisamente piu’ congeniale al posto dove ci troviamo ! Una curva
decisa verso destra e si torna sul salar, di nuovo seguiamo le tracce ben
visibili di altre auto e dopo qualche km si incontra una pista a sinistra
che torna sull’erba. Abbandoniamo definitivamente il salar alle nostre
spalle per dirigerci con decisione verso l’asfalto che collega Zoroga a
Nata. Nell’ultimo tratto di pista ci sono cunette molto ravvicinate che
e’ meglio prendere in velocita’ (circa 60 km orari) per evitare eccessive
sollecitazioni alle parti meccaniche del pick-up.
Il nerissimo nastro di asfalto ci
conduce in poco piu’ di 10 km a Nata, dove arriviamo affamati. Ci fermiamo
a fare il pieno di benzina e poi pranziamo con cibi pronti scaldati al
microonde, che ci sembrano una leccornìa, in un piccolo negozio
dalla parte opposta della strada.
Tutto il pomeriggio ci vedra’ impegnati
nella corsa verso il confine fra Botswana e Zambia, ovvero verso la cittadina
di Kasane; la strada e’ dritta e noiosa ed e’ frequentata per lo piu’ da
enormi camion che quando incrociamo ci fanno tremare. Ad un certo punto,
pero’, una bella sorpresa ci rallegra e ci fa notevolmente rallentare:
un gruppetto di elefanti sta tranquillamente brucando le fronde degli alti
alberi che fiancheggiano l’asfalto ! Poco dopo ci ferma la polizia stradale
… che ci fa una multa di 15 euro perche’ stavamo superando di 15 km orari
il limite consentito; distratti dalla buffa scenetta dei pachidermi non
avevamo infatti visto il cartello !
Arriviamo a Kazankula e da qui in
breve a Kasane dove, dopo vari colpi di clacson di altri automobilisti
che a quanto pare non ci volevano fra i piedi, entriamo nel parcheggio
del Chobe Safari Lodge. La bella ragazza nera alla reception, dopo averci
elencato i prezzi delle varie sistemazioni, averci diligentemente descritto
come erano composte le varie stanze ed averci mostrato su una mappa come
raggiungerle … ci dice che le stanze sono tutte piene ! In effetti noi
le avevamo domandato quanto costavano le stanze e che differenze c’erano
fra quelle che costavano di piu’ e le altre … e non se ce n’erano di
libere. Quando le abbiamo posto quest’ultima domanda, solo allora ci ha
risposto che erano tutte piene !! Poco male, il lodge ha anche una bella
area pe il campeggio e cosi’ ci portiamo verso una piazzola libera ed allestiamo
il pick-up per la notte.
Questo lodge e’ veramente molto
bello, uno splendido complesso sulle rive dello Zambesi che in questo tratto
scorre placido come un serpentone addormentato. Dopo una bella doccia calda
assistiamo al magnifico tramonto sul fiume, le cui acque si trasformano
per qualche minuto in pura seta dalle striature gialle, arancioni e rosse.
Dopo il tramonto ci concediamo due birre fresche al bar poi ci sistemiamo
al ristorante dove viene servita una cena al buffet per soli 13 euro a
testa. Ceniamo di gusto assaporando saporito formaggio con eccellente vino
rosso sudafricano, zuppa calda di patate, spadellata di carne e verdure
e dolcetti vari. Lasciamo ai ragazzi che ci hanno servito acuni euro di
mancia e loro ci ricambiano con file di dentoni bianchissimi.
Venerdi’ 11 Agosto
Sveglia alle 6 e 30, colazione abbondante
e poi si parte verso gli uffici del confine: qui ci rilasciano subito e
del tutto gratuitamente il visto per uscire dal Botswana ed il foglio di
via per l’automobile.
Ora siamo pronti per attraversare
lo Zambesi, il confine naturale fra i due paesi quassu’ al nord. Ci mettiamo
diligentemente in coda per salire sul traghettino che fa la spola fra Botswana
e Zambia, due paesi diversissimi abitati da gente, come avremo modo di
imparare fra pochissimo, molto diversa. Per il momento siamo ignari di
tutto e quando tre ragazzi si avvicinano sorridenti a noi e ci indicano
dove andare con l’automobile, noi rispondiamo allegri, grati per la sollecitudine
con cui lavorano gli addetti al traghettamento. Il traghetto arriva e dopo
aver scaricato qualche camion ci fanno salire a bordo; i tre individui
salgono con noi. Dopo pochi minuti siamo dall’altra parte e scendiamo in
un mondo opposto a quello che abbiamo appena lasciato. Quello era tranquillo,
pulito, ordinato e con poca gente; qui e’ tutto sporco, c’e’ un fermento
pazzesco, non si capisce niente e noi restiamo per un attimo interdetti.
Sappiamo che dobbiamo ottenere alcuni documento per poter circolare con
l’auto sulle strade dello Zambia ma non sappiamo dove andare. Arrivano
in nostro aiuto i tre individui: ci indicano dove posteggiare l’auto, dove
andare per il primo documento e non ci lasciano neppure un secondo, non
ci tolgono gli occhi di dosso. Noi entriamo nella penombra di un ufficio
dove abbastanza velocemente ci rilasciano per 20 dollari americani la ricevuta
del pagamento del traghetto. Quando usciamo i tre individui ci consegnano
tre fogli che secondo loro sono i restanti documenti indispensabili. E
qui scatta l’imbroglio: ci chiedono il rimborso per il lavoro che hanno
cosi’ volenterosamente svolto per noi (sui fogli c’e’ il numero di targa
del nostro Nissan, ovvero sono realmente stati fatti apposta per noi !)
che ammonta ad un bel po’ di quecia (la moneta locale). Ma noi non abbiamo
che pula, euro e dollari americani con noi per cui, quando rendiamo partecipi
di cio’ gli individui, essi si illuminano tutti e ci fanno il calcolo del
cambio: vogliono 90 dollari. Ormai consapevoli del pasticcio in cui ci
siamo infilati con la nostra stessa leggerezza e con sempre piu’ persone
che ci fanno capennello intorno per vedere come andra’ a finire la trattativa,
iniziamo una disperata ritirata in un inglese un po’ maccheronico che ci
faccia uscire con ancora un po’ di dignita’ da questa assurda situazione.
E’ chiaro infatti che approfittano della nostra ignoranza circa il cambio
attuale fra dollaro e quecia e che la cifra che chiedono e’ abbondantemente
superiore a quella che ci verrebbe richiesta in un ufficio di cambio serio.
Cerchiamo di contrattare ma dato che di abbassare la somma non se ne parla
allora tentiamo di giocare d’astuzia: controlliamo uno per uno i documenti
che ci hanno consegnato e ne troviamo uno del quale la Lonely Planet non
fa alcuna menzione: l’assicurazione dell’auto. Siamo certi che la Camping
Car Hire ci copra i danni anche in Zambia e non vediamo perche’ dovremmo
essere costretti a pagare una seconda assicurazione qui: rifiutiamo dunque
questo pezzo di carta e riusciamo a pagare 60 dollari. Sembrerebbe tutto
a posto ed invece no ! Adesso cercano di venderci il “car levi” per cui
sono necessari altri 60 dollari e non ci mollano, ci seguono come ombre
e non ci fanno avvicinare all’auto. La situazione ha dell’incredibile,
solo un’ora fa eravamo rilassati in un paese meraviglioso ed ora ci troviamo
catapultati nella vera Africa, quella dove bisogna “lottare” sempre e comunque
solo perche’ tu sei quello ricco e loro quelli poveri che ti devono spremere
per forza. Siamo stanchi ma non possiamo abbassare la guardia, gli individui
ora si sono fatti minacciosi e se non fosse per quel meraviglioso sole
africano delle 10 del mattino giuro che me la sarei fatta sotto dalla paura.
Ci dirigiamo decisi verso l’ufficio di polizia davanti al quale ci ha portato
nel frattempo il nostro tentativo di fuga … e qui un omone serissimo
ci consegna questo benedetto “car levi” per due dollari. Due dollari, capite
??? Due dollari …… Usciamo con le labbra strette e le mani sui fianchi:
sanno anche loro che li abbiamo smascherati ed allora cambiano tattica,
cominciano a chiederci dei soldi non piu’ a pretenderli ma secondo noi
hanno avuto anche troppo e ora non ne possiamo davvero piu’. A larghe falcate
guadagnamo finalmente il Nissan e ci chiudiamo dentro: ora possiamo partire
da questo girone dantesco che e’ il porto di confine con il Botswana !
Ecco la lista di cio’ che effettivamente
serve per entrare con la propria auto in Zambia, seguendo la via del traghetto
di Kasane:
in Botswana:
timbro sul passaporto per uscire
dal paese (gratis)
documento per l’esportazione temporanea
del mezzo (gratis)
in Zambia:
ricevuta del pagamento del traghetto
(20 USD, accettano SOLO dollari americani)
ricevuta del pagamento del “car
levi” (10 pula o 5000 quecia, presso la polizia)
tassa di circolazione per l’auto
(150000 quecia o circa 42 euro)
assicurazione chiamata “insurance
goldman” valida un mese (100000 quecia)
visto della Zambia valido i giorni
della permanenza per le persone e per l’auto (400 pula o 20 USD a testa).
Per ottenere questo documento vi chiederanno:
il contratto di noleggio della vostra
automobile
i documenti ORIGINALI dell’auto
(ricordate di chiederli alla compagnia di noleggio della vostra auto !)
documento per l’espatrio temporaneo
del veicolo
passaporto dell’autista.
Sulla strada ci rilassiamo e seguiamo
le indicazioni per Livingstone, senonche’ le disavventure non sono ancora
terminate ! Dopo pochi chilometri incontriamo un posto di blocco: un militare
con la divisa color cachi ci domanda i documenti e dopo averli minuziosamente
controllati ci dice con aria sorniona ed annoiata che manca l’assicurazione.
Non possiamo crederci, dunque serviva veramente questa stramaledetta assicurazione
??! Chiediamo al militare se ci lascia tornare al porto, ma lui risponde
sempre piu’ annoiato che senza l’assicurazione il veicolo non puo’ circolare
sulle strade dello Zambia. Restiamo in attesa senza sapere piu’ cosa fare
o cosa dire e per qualche minuto non succede nulla. Non possiamo restare
ad un posto di blocco tutto il giorno, cosi’ tentiamo una via diplomatica:
io chiedo con una vocetta tremolante “Per favore ci aiuti, come possiamo
fare ? E’ la prima volta che veniamo in Zambia, non sapevamo che ci voleva
l’assicurazione … la prego ci dica come possiamo fare …. “. Questo
sembra intenerire il militare che tutto ad un tratto diventa premuroso
con noi e dopo aver parlato con un collega seduto vicino al bordo della
strada, sale sul Nissan sistemandosi in mezzo a noi. Con lui possiamo tornare
al porto, con lui a bordo un veicolo non assicurato miracolosamente puo’
circolare per le strade dello Zambia ! Lungo la strada ci chiede da dove
veniamo e poi ci racconta che nel suo paese gli italiani hanno fatto molti
lavori di edilizia, ponti e dighe. Poi ci parla della sua famiglia e dei
suoi figli disoccupati, si informa dove abbiamo noleggiato l’auto, insomma
si chiacchiera allegramente come fra amici di lunga data ! Nel frattempo
noi siamo intimamente sconvolti al pensiero di dover tornare cosi’ presto
in quel maledetto porto, ma cerchiamo di tirare dalla nostra parte il militare:
gli domandiamo a quanto ammonta il cambio dollaro – quecia e lo annotiamo
su un foglio di carta, finalmente abbiamo in mano qualcosa di concreto
con qui far valere i nostri diritti ! Appena arriviamo al porto, senza
farlo apposta ci raggiungono i tre soliti individui che ormai riconosceremmo
in mezzo a mille persone: si avvicinano ed iniziano ad urlarci contro che
non li abbiamo voluti ascoltare e adesso dobbiamo pagare loro quello che
ci chiedono per ottenere l’assicurazione che ci fanno svolazzare davanti
al naso. Noi prima ci facciamo piccoli piccoli ma poi tiriamo fuori la
nostra carta, tutta da giocare: il nostro buon militare, che fino ad ora
e’ rimasto un po’ in disparte guardando altrove, fischierellando quasi
a dire “questi sono affari vostri, sbrigatevela voi”. Noi invece lo chiamiamo
in causa e gli facciamo ripetere davanti a tutti il cambio ufficiale. I
tre brontolano che non e’ cosi’ e allora io mi avvio a passo deciso all’ufficio
del cambio che vedo dietro al nostro gruppetto. Tutti mi seguono sbraitando
e tutti entriamo nel piccolo ufficio, improvvisamente pieno di grida e
di gente che gesticola. Il nero dietro al bancone ha un sorriso finto e
strafottente stampato in faccia e non smette di sorridere in quel modo
fastidioso che dice “credavate di fare i furbi vero ? ebbene, noi siamo
piu’ furbi di voi !”. Avrei voluto tanto cavarmi una scarpa e sbattergliela
sul muso: la scritta sulla lavagna verde che riguardava giusto giusto il
cambio dollaro – quecia era chiaramente stato appena cancellata ed al suo
posto era nata come per incanto una cifra spropositamente piu’ bassa ….
Pazzesco, di fronte a questo gruppo di uomini urlanti neppure un militare
puo’ avanzare argomenti di giustizia e noi siamo costretti a cadere nella
rete e ad ottenere quecia ad un cambio per noi assai sfavorevole. Usciamo
dall’ufficio sempre accompagnati da quell’odioso ghigno, mentre i tre fanno
scivolare senza troppo nasconderlo un bel mazzetto di banconote nella tasca
del militare che ovviamente non fa una piega. Lo ricarichiamo in auto e
ci allontaniamo per la seconda volta dal girone dantesco.
Stremati ma finalmente in regola
con tutto, scarichiamo il militare al suo noioso posto di blocco e continuiamo
verso l’agognata Livingstone.
Raggiunto il paese tiriamo dritto
fino ad entrare al Maramba Lodge, sulla strada per le famose cascate Victoria.
Ci concediamo il lusso di una doccia calda e di un pranzetto leggero che
hanno il potere di allentare la tensione accumulata, poi nel primo pomeriggio
torniamo in paese. Qui vaghiamo a piedi lungo la strada principale su cui
si affacciano grandi edifici non sempre in buono stato, allontanandoci
per quanto possiamo da molte persone che ci propongono cambio in nero.
Preferiamo fare le cosa in regola e ci dirigiamo verso un vero ufficio
di cambio dove finalmente il dollaro ci frutta i giusti quecia. Scattiamo
qualche foto ad un mercatino allestito su una via secondaria, colorato
come tutti i mercati africani, quindi ci fermiamo nel cortiletto di un
bar a bere qualche bottiglietta di birra locale dal buffo nome di “Mosi”.
Rientrati al lodge prepariamo il
pick-up per la notte poi ci portiamo sulla terrazza che si affaccia direttamente
sullo Zambesi. Non e’ raro che durante la notte qualche ippopotamo risalga
le pendici erbose e venga a scorazzare fra le auto e le tende degli ospiti
del lodge e ci sono infatti molti cartelli che informano della cosa: istruiscono
le persone a comportarsi con rispetto nei confronti degli animali, per
non spaventarli e non renderli quindi aggressivi. Per il momento non si
vedono animali in giro e l’acqua scura scorre placida ad una ventina di
metri sotto di noi. Foresta impenetrabile le fa da cornice sul lato opposto
al nostro.
Mentre aspettiamo che si faccia
ora di cena assistiamo all’accensione di un bel fuoco sulla terrazza: grossi
rami vengono diposti a raggera per essere sospinti gradualmente verso il
centro e le inesorabili fiamme. Ceniamo al ristorante sorseggiando vino
rosso e poi ci ritiriamo nella nostra tendina. Che giornata …..
Sabato 12 Agosto
Ci
alziamo con comodo e dopo colazione ci facciamo chiamare un taxi dalla
scorbutica ragazza alla reception. Arriva Ken, un ragazzone nero che non
sembra invadente e che anzi quando stiamo attraversando un ponte si accosta
per farci scendere: sotto di noi c’e’ un ben nutrito gruppo di elefanti
che fa il bagnetto ! Che visione sublime, che spettacolo poter osservare
gli animali nel loro ambiente. Non ci stancheremo mai di scene come questa
! Di nuovo sul taxi chiediamo a Ken se e’ vero che all’ingresso del parco
delle cascate accettano solo dollari americani e lui risponde che non possono
non accettare la moneta locale perche’ sarebbe illegale un comportamento
del genere. In mezz’ora arriviamo al parcheggio dove molti banchetti espongono
splendidi campioni di artigianato zambese. Ci soffermeremo piu’ tardi,
ora la nostra attenzione e’ rivolta tutta allo spettacolo naturale delle
cascate Victoria ! In biglietteria entra prima Ken che esce soddisfatto:
accetteranno moneta locale ! Paghiamo dunque 36000 quecia a testa ed entriamo,
dopo esserci messi daccordo con Ken che tornera’ a prenderci tra 2 ore
e mezzo.
Le nostre gambe iniziano a muoversi
su di un sentiero in mezzo agli alberi, fa fresco e anche se ci sono molte
zanzare noi stiamo bene, finalmente in un ambiente che ci e’ congeniale
e che non sentiamo ostile. Il sentiero che seguiamo ora si mantiene alto
e quasi subito ci propone la statua rossastra che raffigura proprio Livingstone,
il primo europeo a capitare da queste parti molto tempo fa. Il fragore
alle nostre spalle ci ricorda che non siamo qui per una statua e ci attira
come una calamita. Proseguiamo dunque il sentiero e finalmente il bosco
si apre su qualcosa di incredibile. Una larga spaccatura profonda 108 metri
sconvolge il panorama piatto che da giorni ormai siamo abituati a conoscere;
in essa si getta con incalcolabile potenza l’acqua del fiume Zambesi, giunta
qui dopo aver percorso centinaia di chilometri e dopo essere nato in Zambia
vicino a Mwinilunga. Il salto si trova sul preciso confine fra due stati,
lo Zambia e lo Zimbabwe; sebbene molte persone preferiscano la vista frontale
sulle cascate dallo Zimbabwe, noi abbiamo preferito godere di una vista
laterale e piu’ alta, qui dallo Zambia. Le cascate sono molto estese –
1,7 chilometri – e noi riusciamo a vederne solo la porzione orientale ma
vi garantisco che lo spettacolo e’ magistrale ! Inoltre, se sul versante
dello Zimbabwe che stiamo osservando ora ci sono diverse costruzioni che
stonano assai con lo spettacolo selvaggio della cascata, qui in Zambia
siamo dentro ad un parco che dunque e’ rimasto vergine e percorso solamente
da sottili sentieri di terra o ciotoli. C’e’ anche un piccolo ponte di
ferro sul quale bisogna fare attenzione perche’ la nebbia di goccioline
che si alza dal fondo della spaccatura e che permane senza sosta sulle
cascate ne rende scivolosa la superficie; bisogna anche proteggere il materiale
fotografico in sacchetti impermeabili ! Il cammino ci porta verso una seconda
spaccatura perpendicolare alla precedente e che rappresenta il vero confine
fra i due stati; qui le acque turbinose del fiume si incanalano per poi
allontanarsi dopo essersi vorticosamente rimescolate in un enorme calderone
spumeggiante che si trova proprio sotto di noi e sul quale si gode un’impareggiabile
veduta alla fine del sentiero.
Torniamo indietro fino all’incrocio
con un secondo sentiero che ci conduce questa volta in basso fino al fiume
che si forma raccogliendo le migliaia di litri d’acqua che sono appena
giunti qui dopo l’incredibile salto: si procede fra l’alta vegetazione
e qualche palma e dobbiamo fare molta attenzione verso la fine poiche’
si cammina su pietre bagnate, scivolose e levigatissime per il passaggio
di molti visitatori. Il sentiero si apre su un’ansa a gomito del fiume
che si dirige decisamente verso est; nel punto dove il fiume compie questo
repentino cambio di direzione c’e’ un violentissimo gorgo dove l’acqua
spumeggia e ribolle, schiantandosi sulle rocce nerissime su cui stiamo
lunghi momenti seduti, assorti nella contemplazione di tanta selvaggia
violenza.
Due ore passano in fretta e a malincuore
voltiamo le spalle a questo spettacolo unico per tornare al parcheggio.
Mentre aspettiamo Ken ci avventuriamo in una serrata contrattazione con
un ragazzo molto battagliero: alla fine portaremo con noi sul taxi una
bellissima maschera di legno che raffigura un viso umano nero sovrastato
da un piccolo muso di elefante con le sue due zannine bianchissime.
Felici e con ancora il sibilo del
fragore nelle orecchie torniamo con Ken verso Livingstone.
Ci teniamo a darvi alcuni consigli.
Nei lodge troverete dei cartelli che sconsigliano di recarsi a piedi verso
Livingstone o verso le Victoria Falls; credendo in una delle solite esagerazioni
per turisti, abbiamo chiesto a Ken il quale ci ha spiegato che e’ proprio
pericoloso per via di numerosi scippatori pronti ad approfittare dei turisti
ed anche per via degli elefanti che potrebbero spaventarsi vedendo gente
a piedi lungo il loro percorso. Dunque scegliete sempre un taxi o la vostra
auto per spostarvi lungo questa strada !
Altro consiglio: diffidate delle
persone che vi propongono escursioni con punti panoramici spettacolari
sulle cascate mostrandovi interi album di foto; finireste a varcare il
confine con lo Zimbabwe in modo del tutto illegale !
Ancora, ricordate che il guadagno
maggiore della gente della Zambia con i turisti e’ rappresentato dal cambio
fra moneta estera e moneta locale: fidatevi solo del tasso ufficiale applicato
dalle banche e dagli uffici di cambio, qui chiamati Boureau De Change.
A Livingstone pranziamo all’Hippo’s,
ristorante rinomato e citato dalle guide, che ci accoglie con una grande
sala fresca dal soffitto altissimo e con alle pareti paralumi di lamiera
bianca a forma di animali.
Torniamo infine al nostro lodge
dove ne approfittiamo per lavare gli indumenti e fare un poco di manutenzione
al fuoristrada (controllo dell’olio, gonfiaggio delle gomme). Mentre siamo
intenti in queste faccende rilassanti, udiamo rumori sospetti provenire
dalla nostra sinistra, vicino alle costruzioni che accolgono i servici
igienici. Curiosi e prudenti ci avviciniamo … e scopriamo subito dietro
la rete che circonda il lodge verso ovest un gruppo di grandi elefanti
dalle orecchie svolazzanti nella calura pomeridiana ! Restiamo semi nascosti
ad osservarli a lungo, mentre con le possenti proboscidi raccolgono grandi
quantita’ d’erba o strappano corteccia da poveri alberi che finiranno scorticati
dopo il loro passaggio ! Non saremo mai piu’ cosi’ vicini a dei pachidermi
e l’emozione e’ palpabile; ci accorgiamo di trattenere anche il respiro
nella speranza che non si accorgano di noi e che dunque restino qui il
piu’ a lungo possibile ! Ma poco dopo uno alla volta si allontanano con
calma ed il silenzio che resta al loro posto si riempie delle nostre preghiere
appena sussurrate: “ciao elefantini, che Dio vi protegga dai bracconieri”.
Se infatti in Botswana ed in Namibia il bracconaggio e’ limitato e perseguito
con forza, lo stesso non si puo’ dire in Zambia, dove la maggiore poverta’
o la maggiore mancanza di scrupoli conduce molti uomini a gesti ignobili
nei confronti di creature indifese che non chiedono altro che di vivere
in pace.
Domenica
13 Agosto
E’ tempo di tornare in Botswana
! Ci mettiamo in moto prestino e percorriamo senza particolari problemi
i 100 km che ci separano dal porto. Sostiamo brevemente a tre posti di
blocco dove controllano ogni volta minuziosamente tutti i documenti che
riempiono un’intera carpetta su cui campeggia in grande la scritta “Zambia”;
ad uno di questi paghiamo il “car levi” per uscire dal paese evitando cosi’
una seccatura in piu’ nel girone dantesco. Che comunque ci attende sfregandosi
le mani ! Ci timbrano i passaporti velocemente e varchiamo con il Nissan
il cancello aperto che conduce all’imbarco. Ora dobbiamo pagare il biglietto
del traghetto e qui ci attende un’altra lotta: accettano solo dollari,
quecia o rand (moneta sudafricana) e la quota ammonta a 20 dollari. Ma
noi abbiamo finito i dollari e possediamo solo pula ed euro … a nulla
vale la nostra spiegazione che l’euro e’ meglio del dollaro in questo periodo,
non vogliono sentir parlare di accettare queste banconote. Allora io provo
con una tattica che mi viene del tutto spontanea: serro le labbra e punto
fissi i miei occhi in quelli del tizio di cui vedo solo la testa dietro
all’altissimo bancone, poi lentamente appoggio sul piano una banconota
da 20 euro e ritiro la mano ma non distolgo lo sguardo finche’ non lo distoglie
lui, che a quel punto allunga la mano e fa sparire i soldi con un gesto
furtivo. Che fatica … ma per fortuna e’ andata ! Un consiglio ? Portatevi
sempre molti piu’ dollari di quanti pensiate vi possano servire, in Africa
non si puo’ mai sapere !!
Sul piccolo traghetto un tizio ancora
ci tedia cercando di venderci dei porta documenti plastificati e finalmente
sbarchiamo. Avremmo voglia di scendere e baciare il terreno tanta e’ la
felicita’ di essere tornati in Botswana … e invece ci fanno pestare con
le suole delle scarpe un orrendo tappetino puzzolente imbevuto di disinfettante
al punto di controllo veterinario ! Poco importa, all’ufficio immigrazione
ci timbrano di nuovo il passaporto e la grande scritta “Welcome to Botswana”
non e’ mai stata cosi’ puntuale come in questa circostanza !
Ci rimettiamo subito in viaggio:
meta di oggi il Chobe National Park. Situato all’estremo nord del paese,
questo parco copre un’area di ben 10 mila km quadrati ed e’ per estensione
secondo solo alla Central Kalahari game reserve. L’ingresso si trova vicino
alla fine della cittadina di Kasane ed al gate paghiamo 3 notti, una a
Ilaha nel Chobe e due nel Savuti (che fa sempre parte del Chobe). Entriamo
e percorriamo lentamente la pista sterrata che corre lungo il fiume che
da’ il nome al parco: c’e’ molta acqua color blu intenso e la vita attorno
ad essa ferve. Facoceri che brucano con le gambe anteriori ripiegate sotto
al corpo, impala dai dolcissimi occhi, splendide femmine di kudu e poi
giraffe che fanno capolino da dietro verdissimi cespugli, babbuini che
giocano coi loro bellissimi scimmiotti e decine e decine di elefanti !
Ci fermiamo a contemplare gruppi inverosimili di pachidermi lungo la pista,
lungo il fiume, dentro all’acqua, sulla riva di qua (Botswana) e sulla
riva di la’ (Namibia): alcuni gruppi si dirigono lentamente verso l’acqua
ed altri gruppi si allontanano lentamente dall’acqua; quando si incrociano
gli individui, del tutto indifferenti, si ignorano.
Mentre procediamo ci fermiamo spesso
per fotografare o perche’ ci troviamo davanti o di lato gruppetti di elefanti;
gli adulti annusano l’aria con le loro lunghe proboscidi e se ritengono
che si nasconda in noi qualcosa di minaccioso per l’incolumita’ della famiglia,
subito aprono gli enormi padiglioni auricolari, abbassono la pesante testa
ed alzano una delle zampe anteriori come per caricare … noi togliamo
senz’altro il disturbo ! Vedere una cosi’ numerosa fauna ci riscalda il
cuore.
Giunge l’ora di raggiungere la postazione
di questa notte, piazzola C14 ad Ilaha sulla riva del fiume; quando arriviamo
sono le 17 ed il caldo e’ ancora molto intenso, intorno a noi si sistemano
diverse altre vetture ma mai troppo vicine a noi, per fortuna ! Dato che
qui ci sono i servizi igienici ne aprofittiamo per lavarci, poi ci sistemiamo
per la sera e per la notte … non prima di aver sconvolto tutto quanto
il nostro materiale dentro al pick-up per cercare una nuova amaca (poiche’
quella vecchia si e’ rotta con divertente volo per terra del povero Taddy
!!), non prima di aver tirato tutto fuori un’altra volta per cercare i
pantaloni di Taddy … e non prima di aver tirato tutto fuori per la terza
volta perche’ nel frattempo avevamo smarrito gli accendini ! Stremati ma
ridendo come matti accendiamo finalmente un bel fuoco, preludio di una
nuova serata nella savana africana. Nel cielo pennellato di rosa in silenzio
passa, seguendo dall’alto il corso del fiume, un gruppo di pellicani, disegnando
un lungo bruco che serpeggia e si allontana.
Lunedi’ 14 Agosto
Questa
notte abbiamo avuto un bel caldino: il grande gelo del sud e’ acqua passata
! Dopo colazione ripartiamo seguendo il Chobe River in direzione sud-ovest,
ovvero verso il Savuti. Seguiamo per un lungo tratto le varie anse del
fiume poi ci addentriamo in una bella valle laterale dai colori tenui e
rilassanti: incontriamo molte zebre e molte giraffe fra gli alberi. Tornati
al fiume avvistiamo alcuni grossi rapaci che volteggiano disegnando spirali
ascendenti.
Usciti dal Chobe incontriamo lungo
l’asfalto un posto di blocco: controllano che non abbiamo carne con noi
poi ci salutano e noi ripartiamo prendendo subito a sinistra una larga
ghiaiata piuttosto frequentata. Incontriamo diversi villaggi con tanti
bimbi che ci chiedono “sweet”; in uno di questi villaggi ci fermiamo a
comprare acqua e caramelle per i bimbi ed in un secondo villaggio ci fermiamo
per fotografare un albero incredibile, mai visto prima, i rami carichi
di grossi fiori arancioni dai petali gonfi come palloncini.
Superato l’ultimo villaggio la ghiaiata
si trasforma improvvisamente in una sottile pista di profonda e soffice
sabbia rossa, spettacolare da vedere ma insidiosa per i mezzi senza le
marce ridotte. Corre piuttosto dritta fra la vegetazione ed il nostro Nissan
sobbalza e rimbalza ma procede senza problemi. Incrociamo quattro vetture,
poi ne vediamo una ferma in mezzo alla pista. Parcheggiamo un po’ di lato
il pick-up e ci avviciniamo per vedere cosa e’ successo: si tratta di un
paffuto ragazzo nero che guida una delle vetture delle escursioni organizzate
di un lodge. Stava portando dal meccanico la vettura che aveva gia’ dimostrato
cedimenti nei giorni precedenti, quando improvvisamente, lungo quella pista,
si era rotto il meccanismo che aziona le quattro ruote motrici. Tutto era
andato bene finche’ non aveva dovuto rallentare fino quasi a fermarsi per
una macchina che aveva davanti, con l’effetto che non era piu’ riuscito
a ripartire, insabbiandosi miseramente. L’autista della vettura davanti
non si era accorto di nulla e se n’era andato tranquillamente, lasciandolo
a scancherare li’ da solo. Insieme proviamo a spingere, a mettere legni
sotto la ruota piu’ sprofondata affinche’ faccia presa, ad alzare tutto
il treno posteriore con un crick a mano … ma senza successo. La situazione
e’ complicata e due ruote motrici non sono sufficienti. Mentre cerchiamo
di escogitare nuove tattiche si avvicina una terza auto e siamo tutti felici
perche’ qualcuno in piu’ serve sempre … ma quando ci rendiamo conto che
l’autista anziche’ fermarsi cerca di passare oltre superando sulla destra
la vettura insabbiata, quando vediamo che la sua auto si inclina pericolosamente
verso quella ferma per effetto del bordo di sabbia rialzato di lato alla
pista, quando capiamo che l’autista e’ costretto a fermarsi per non vedere
l’auto ribaltarsi sull’altra … dentro di noi ridiamo di gusto ! Benone
! Ora ci troviamo con due vetture bloccate in mezzo alla pista. Esce uno
stizzito francese che continua a bofonchiare “…merd … merd …” e prende
a girare attorno all’auto con fare disperato. Escono anche tre distinte
signore, con grandi cappelli calati su candide capigliature e che sembrano
molto divertite da questa avventura: finalmente succede qualcosa di interessante,
sembrano pensare e si scambiano occhiate cariche di gioia. Noi ci avviciniamo
e spieghiamo la situazione al francese, che pero’ non sembra abbia molta
voglia di ascoltarci e si avvia ad aprire il baule della sua auto, estraendone
poco dopo una specie di scivolo a snodo di plastica dura da utilizzare
in casi di insabbiamento. Lo appoggia a terra davanti alle sue ruote posteriori
e si mette alla guida. Noi da dietro spingiamo ma i primi tentativi non
danno esito, ma a forza di dai e dai riesce a muoversi e supera la vettura
ancora miseramente insabbiata del ragazzo. Le tre donne applaudono ed il
francese ancora incavolato per la perdita di tempo scende senza spegnere
il motore e viene a recuperare il suo scivolo. Quando chiude il baule io
e Taddy ci scambiamo un’occhiata in seguito alla quale ci avviciniamo minacciosi
al francese: questa volta gli parliamo con voce non troppo gentile “Adesso
ci aiutera’ a spostare l’auto di quel ragazzo, vero ? Non possiamo mica
lasciarlo li’ …”. Lui guarda perplesso verso il ragazzo, che nel frattempo
e’ sparito da qualche parte, e sembra accorgersi per la prima volta che
li’ c’e’ una vettura insabbiata: risponde con un “Certainement !” e va
a spegnere il motore. Tutti insieme, anche le tre signore dai fluenti cappelli,
spingiamo la vettura … che tutto a un tratto prende a muoversi dapprima
con riluttanza, quindi con resistenza ma poi sempre piu’ liberamente finche’
non parte decisa e sicura e con una scodata si allontana di circa dieci
metri ! Esterrefatti dalla sorpresa gridiamo come matti e mentre i francesi
ripartono in tutta fretta, il ragazzo paffuto ci invita sorridente a guardare
cosa ha fatto: e’ riuscito, non capiamo bene come, a collegare una terza
ruota alle due motrici, di modo che ora il fuoristrada ha tre ruote motrici
fisse ! Tutto felice ci dice: “Sono un bravo meccanico, vero ?”. Lo salutiamo
con grandi pacche sulle spalle e vederlo allontanarsi ci mette una gran
gioia !
E’ ora di ripartire. Lungo la pista
che si fa sempre piu’ sabbiosa incontriamo un bivio: il gps ci indica la
sinistra. Poco dopo notiamo qualcosa di traverso sulla pista: si tratta
di un albero crollato al suolo, probabile pasticcio di qualche elefante
di passaggio ! Notiamo due sottili tracce di pneumatici sotto alle fronde
degli alberi sulla sinistra e le seguiamo perfettamente stando attenti
a non rompere il telo che ricopre il canopy che abbiamo sul tetto. Mentre
siamo di nuovo in pista e stiamo per allontanarci notiamo dietro di noi
una vettura ferma con un uomo che sta correndo verso di noi tutto trafelato:
e’ il francese di prima che ci domanda se quella su cui siamo ora e’ la
pista giusta per il Savuti. Si era sbagliato al bivio a quanto pare !!
Ci rimettiamo in viaggio e nello specchietto retrovisore ci diverte un
mondo guardare lo strano balletto del fuoristrada del francese che ci segue:
sballottato a destra e a sinistra, in alto e in basso, sembra piu’ un’attrazione
da luna park che una vettura 4×4 impegnata in una pista africana ! Ci sembra
di vedere le tre signore che si tengono strette i cappelli rimbalzando
sui sedili e ridendo come matte …
Al gate di ingresso al parco svolgiamo
le solite veloci pratiche che ci permetteranno di restare due notti nel
prossimo campeggio. I francesi invece discutono animatamente con i ragazzi
del gate: ci sembra di capire che non hanno prenotato !
Dentro al Savuti ci sono, oltre
al campeggio, alcuni lodge fra cui due di super lusso dove una notte costa
500 dollari a testa: noi siamo felici di dormire nella nostra tendina “on
the roof” e non per motivi economici: il contatto con la natura circostante
e’ molto piu’ entusiasmante che chiudersi in uno sterile bungalow in muratura
che di naturale non ha proprio niente.
Il parco (che come tutti i parchi
in Botswana non e’ affatto recintato, permettendo una circolazione fluida
e dinamica della fauna selvatica) ci accoglie subito con uno spettacolo
bellissimo: tre elefanti enormi che bevono con movimenti lenti e studiati
ad una pozza. Approposito di acqua, questa zona e’ caratterizzata da uno
strano fenomeno geologico tuttora in fase di studio, legato allo spostamento
delle zolle tettoniche: qui scorre un fiume, chiamato Savuti Channel, che
arriva fino al delta dell’Okavango e che si comporta in maniera assai anomala.
A volte smette di scorrere per anni – fra il 1888 ed il 1957, fra il 1966
ed il 1967, fra il 1979 ed il 1995 – e durante questi periodi la fauna
soffre enormemente la siccità, gli esemplari piu’ forti riescono
e migrare in zone piu’ ricche d’acqua ma quelli piu’ deboli muoiono. In
altri periodi, invece, allaga completamente la regione che diventa un’enorme
palude. Questo non sembra legato al flusso d’acqua di altri grossi fiumi
della zona, per esempio il Chobe, perche’ quando per esempio nel 1925 quest’ultimo
era causa di una terrificante inondazione, queste zone erano assolutamente
in secca. Pare invece che il fenomeno sia legato ad una impercettibile
flessione della crosta terrestre dovuta alla struttura geologica instabile
del sottosuolo ed ai frequenti microterremoti conseguenti.
Arriviamo al Savuti Camp Site con
una bellissima luce: le piazzole, molto distanti fra loro, sono disposte
attorno al blocco dei serivizi igienici sotto alti alberi; sul terreno
grandi escrementi di elefanti ed alberi sradicati ci avvertono che qui
siamo in territorio loro ! Decidiamo di fare una doccia … ma quando fra
i sassi che compongono il muro di cinta dei servizi igienici vediamo la
testa di un cobra tutto sommato non ci sentiamo poi cosi’ sporchi e facciamo
rapidamente dietro-front al fuoristrada !
Mentre il cielo si infiamma per
poi sprofondare in una limpida esplosione di stelle, noi ci perdiamo nelle
fiamme giallo-rosse di un nuovo falo’ ripensando alle avventure di questa
giornata.
Martedi’
15 Agosto
Taddy mette per primo il naso fuori
dalla tende e le vede. Decide di non dirmi niente per non rovinarmi la
sorpresa, scende ed accende il fuoco, mette l’acqua a scaldare per il caffe’,
lo sguardo rapito su qualcosa che gli fa correre un brivido lungo la schiena
ma che e’ anche bellissimo, dolce come il miele ed indimenticabile.
Finalmente anch’io metto la testa
fuori dalla tenda e Taddy osserva sorridente la mia reazione. Sorpresa,
incredulita’ e subito dopo la voglia di andare a vedere da vicino. Scendo
in fretta, faccio lentamente un giro attorno al pick-up e quando torno
vicino a fuoco chiudo gli occhi per immaginare la scena.
Notte. Buio. Silenzio. In giro non
c’e’ anima viva, tutto il mondo dorme … beh, non prorpio tutto il mondo:
nel folto dalla vegetazione che circonda la piazzola brillano due occhi
gialli. Il leone scivola fra i rami senza provocare neppure un fruscìo
e si ritrova sotto le stelle: cosa sara’ mai questo grosso animale che
non odora ma che dorme ? Annusa l’aria col grande naso stringendo gli occhi:
a dire il vero un odore c’e’ ma e’ di un qualche animale che non riconosce
come sua preda. Senza togliere gli occhi dal grosso intruso gira attorno
ad esso molto lentamente, guardingo e curioso. Poi si ferma un lungo attimo,
scrolla la testa possente e si allontana di nuovo fra la vegetazione, di
nuovo nel suo mondo, di nuovo fra gli odori appetitosi che conosce meglio
e che gli mettono un certo appetito …
Riapro gli occhi e mi siedo sulla
sabbia accanto alle impronte fresche e nitide. Grazie leone per la tua
visita: sei stato il benvenuto anche se non ci siamo accorti di te, silenzioso
e curioso re della foresta !
Dopo colazione partiamo per visitare
il parco e lasciamo quasi subito la pista principale per una appena accennata
che scopriamo grazie al gps. Qui la savana e’ bellissima, proprio quella
dei documentari; il colore dominante e’ ovviamente il giallo ma ogni tanto
una verdissima chioma di acacia dona una macchia di colore nuovo. Ogni
tanto scendiamo dall’auto e facciamo qualche passo scrutando il terreno:
in questo modo scopriamo un microcosmo che altrimenti resterebbe del tutto
invisibile; notiamo che una stessa piante puo’ produrre minuscoli fiorellini
rosa, bianchi e gialli e che le piantine che spargono nell’aria questo
fantastico profumo di menta hanno bellissimi fiori sferici viola puntellati
di bianco. Che regali ci fa la savana africana: avreste mai pensato di
trovarvi il profumo della menta ?!
Alcuni tronchi di traverso sulla
pista richiedono tutta la forza delle nostre braccia per essere spostati
di lato.
La pista incrocia molto spesso singolari
sentierini che zigzagando si perdono nella vegetazione rada: ad un esame
piu’ attento risultano pieni di impronte di elefanti e di loro grandi ricordini.
Vorremmo scendere dal Nissan, percorrere a piedi questi sentieri, annusare
l’aria e sentirci elefanti anche noi … non so perche’ ma ho sempre l’impressione
che questi sentieri conducano in posti magici dove l’uomo non ha mai posato
e mai posera’ piede, una sorta di terra promessa verso cui ogni animale
punta ! Non essendo pero’ raccomandabile allontanarsi a piedi dal proprio
mezzo – la zona pullula di leoni e leopardi – continuiamo a procedere guardandoci
intorno con occhi sgranati. La savana e’ diventata cosi’ familiare che
ci sembra di essere in questi posti ormai da mesi !
Sulla distesa assolutamente piatta
che ci circonda si ergono alcune collinette sparse: molti anni fa erano
molto piu’ alte ma l’erosione le ha ridotte di dimensioni ed oggi raggiungono
altezze modeste che comunque si distinguono bene anche da lontano. Sono
le Gubaatsa Hills. Sotto ad una di queste, la Gobabis Hill, parcheggiamo
il Nissan e scendiamo: la Lonely Planet consiglia infatti di salire a piedi
lungo un sentierino per andare a scoprire alcune pitture rupestri lasciate
dai san 4000 anni fa. Saliamo dunque fra rocce scure che nascono dal terreno
come scaglie verticali … ma non siamo del tutto tranquilli: fruscii sospetti
ci fanno girare di scatto e martellare il cuore nelle tempie. Continuiamo
a salire ma ci guardiamo le spalle molte volte, aspettandoci di scorgere
all’improvviso una belva feroce … e se fossimo senza saperlo vicino ad
una cucciolata ? Finalmente troviamo le prime pitture, un elefante, una
giraffa, in fretta scattiamo qualche foto e poi scendiamo immediatamente
quasi correndo e ci chiudiamo nella sicurezza del Nissan col fiatone …
una stranissima sensazione ci aveva infatti colti mentre eravamo lassu’,
probabilmente era solo suggestione ma ci sentivamo veramente osservati
! Il giorno dopo avremmo capito meglio … ma per il momento giriamo la
chiave nel quadro e ci rimettiamo in marcia. Sfiliamo sotto la Leopard
Hill, poi vicino alle Twin Hills quindi risaliamo la Quarry Hill su una
rocciosissima pista che con le gomme sgonfie per la sabbia ci fa impazzire
un po’: in un punto particolarmente ripido il Nissan si blocca e le ruote
slittano penosamente mentre tutto attorno si spande un orribile odore di
frizione sbruciacchiata. Ad ogni modo superiamo l’ostacolo e guadagnamo
la cima, percorrendo l’altura cosparsa di altissimi steli d’erba grossi
come un dito che invadono anche la pista poco frequentata. Da quassu’ godiamo
di una vista davvero insolita sulla savana e scattiamo alcune fotografie.
Torniamo a valle e ci dirigiamo verso la “elephant highway”, lungo la quale
avvistiamo tanti elefanti che vagano solitari oppure in piccoli gruppetti
impegnati a spruzzarsi l’acqua fangosa raccolta nelle pozze sulle schiene
rugose. Ad una pozza particolarmente vasta assistiamo ad una scenetta stupenda:
in mezzo all’acqua c’e’ un’isoletta di terra collegata alla riva fangosa
mediante un istmo e sopra all’isola, vicini vicini, due enormi elefanti
che bevono tranquillamente. Poverini, non si vogliono sporcare le zampette
… !!!
Alle 17 siamo di ritorno alla nostra
piazzola nel Savuti Camp Site. Mentre ceniamo grossi maggioloni color nocciola
arrivano sparati e si schiantano contro il Nissan, poi cadono a terra a
zampe all’aria e sembrano morti. Solo che non sono morti, perche’ come
ci avviciniamo e li tocchiamo, questi iniziano ad agitare le zampette e
scavano nella sabbia fino a scomparirvi … boh !
Mercoledi’ 16 Agosto
Questa
notte forti folate di vento hanno disturbato il nostro sonno e quando al
mattino usciamo dalla tenda ci accorgiamo che l’aria e’ molto frizzante.
Facciamo colazione con una famigliola di impala che bruca alle nostra spalle.
Prepariamo ogni cosa e partiamo che sono le 8 appena passate; imbocchiamo
la pista che esce dal Savuti in direzione del prossimo parco, il Moremi
… quando ci accorgiamo che in prossimita’ di una delle colline visitate
ieri ci sono due auto ferme. Quando in posti come questi si vedono delle
auo ferme, si puo’ star certi che c’e’ qualcosa di interessante da vedere
e cosi’ non perdiamo questa occasione e le raggiungiamo. Usciamo dunque
dalla pista principale per imboccarne una minore e dopo una curva avvistiamo
una grossa sagoma scura; ci avviciniamo un altro po’ e capiamo che si tratta
di un esemplare molto vecchio di elefante (lo si intuisce dal fatto che
le zanne sono scure, molto consumate e rotonde sulle punte) riverso su
un fianco e probabilmente morto di vecchiaia. Tutto intorno alla carcassa
ci sono 7 leonesse e 5 cuccioli … ragazzi, uno spettacolo fantastico
! Spegnamo il motore ed osserviamo la scena con i binocoli. Le leonesse
sono sdraiate a terra, tranquille e sazie, due di loro stanno ancora banchettando
ma a tratti si addormentano ed hanno il muso sporco di sangue. Due cuccioli
si allontanano dalle femmine e si avvicinano pericolosamente alle nostra
auto, che nel frattempo sono aumentate di numero ma che si tengono a distanza
di sicurezza ed in rispettoso silenzio. Una delle leonesse controlla i
cuccioli e quando secondo lei essi si sono avvicinati troppo a noi emette
un ruggito sommesso che ci fa tremare. Osservandola col binocolo i suoi
occhi fanno spavento anche se non hanno nulla di minaccioso: sono gli occhi
di un potente predatore e vi garantisco che fanno un effetto incredibile
! Il cucciolo torna trotterellando vicino alla madre e dopo essersi strusciato
ben bene sul suo muso, inizia a correre intorno all’elefante e con un saltone
gli sale sulla groppa, subito seguito da un altro cucciolo. Restiamo ad
osservare questa scena familiare per un’ora intera durante la quale arrivano
dalla savana altre leonesse che si uniscono al banchetto. Capito l’irrequietezza
di ieri pomeriggio ?
Decidiamo a malincuore di lasciare
i leoni e ci rimettiamo in moto: ci attendono 47 km prima di uscire dal
Savuti, 47 km lungo un’area che la guida definisce paludosa ma che di paludoso
non ha proprio nulla. Quindi attraversiamo una distesa gialla con strani
cespugli formatisi perche’ erba secca proveniente da chissa’ dove e’ arrivata
fin qui con il vento depositandosi su altri cespugli dando vita a nuovi
cespugli dalla buffa forma di capanne. Moltissimi uccellini volano o sgambettano
via all’ultimo secondo dalla pista davanti a noi. Poi viene il turno di
un vero e proprio “bosco d’autunno” caratterizzato da alti alberi dalle
foglie rosse, gialle e marron che ricordano tanto i nostri Appennini d’autunno.
Superiamo il gate deserto e poco dopo ci fermiamo per un pranzetto veloce
a base di tonno e fagiolini in scatola. Dopo aver raccolto qualche pezzo
di legno (siamo fuori dal parco dunque si puo’) ripartiamo.
La pista che si dirige ora verso
il Moremi e’ piena di buche e balliamo parecchio. Ad una pozza deserta
decidiamo di scendere per vivere qualche istante da animali di savana anche
noi: vicino all’acqua il fango scuro e’ pieno di profondi buchi lasciati
dalle zampe degi elefanti; sotto la superficie dell’acqua strani esseri
neri e grossi quanto una falange nuotano a zig zag; le ondine che giungono
a riva sono colorate di rosso. Quest’ultima osservazione ci ricorda che
spesso in Africa pozze e fiumi accolgono altri temibili predatori, i coccodrilli,
per cui giriamo in fretta sui tacchi e torniamo al Nissan di buona lena
!
Poco
dopo il panorama si apre su uno spettacolo mozzafiato, un quadretto che
rimarra’ per sempre impresso sulle nostre retine. Siamo sbucati sul fiume
Khwai che scorre placido rispecchiando il blu del cielo fra erba verde,
canne e rami spezzati; la’ dove il fiume compie un’ansa sparendo alla nostra
vista, in questo angolo di mondo pennellato di blu e di verdi sfumati,
ci sono quattro elefanti enormi che bevono tranquilli, ogni tanto appoggiano
la proboscide su una delle due candide zanne come se pesasse troppo e restano
immobili per molto tempo, svolazzando solo le grandissime orecchie per
scacciare gli insetti. Una scena preistorica …
Ripartiamo: ormai l’ambiente si
puo’ definire “fluviale” e tutta la vita si concentra attorno al fiume
che si snoda ora a destra ora a sinistra della nostra pista: siamo penetrati
nelle propaggini orientali del delta dell’Okavango ! Immaginiamo che durante
il periodo delle piogge la pista non esista piu’, diventando letto dello
stesso corso d’acqua.
Dopo un’altra curva c’e’ un nuovo
spettacolo che richiede una bella sosta: sulla sponda opposta del Kwai
un’intera e numerosa famiglia di ippopotami riposa beata ! Ci sono adulti
giganteschi ed alcuni ciccionissimi cuccioloni !! Con il binocolo entriamo
un poco nella loro vita e ci accorgiamo che ci sono tre adulti in acqua,
di cui vediamo solo gli occhi e la parte sommitale della testa con due
piccolissime orecchie, ed una decina fra adulti e cuccioli sdraiati a terra
ammassati gli uni sugli altri ed assolutamente immobili fatta eccezione
per un orecchio ogni tanto. Ad un certo punto uno dei cuccioli si alza
e visto di fronte sembra una sfera perfetta con due zampe grassocce sotto;
si guarda intorno un po’ intontito poi, forse annoiato da tanta immobilita’,
si dirige lentamente verso uno degli adulti dondolandosi a destra e a sinistra
come un cartone animato. Giunto accanto all’adulto gli sfiora col muso
paffuto il grosso sederone e questo, fastidiato, si sposta sull’altro fianco
senza neppure tirarsi in piedi sulle zampe. Allora il cucciolo se ne va
sempre dondolando da un altro adulto e gli sfiora il sederone: questo non
fa proprio una piega ! Dopo un’altra occhiata intorno quindi, il cucciolo
torna a sdraiarsi, facendosi largo a forza fra gli immensi corpaccioni
con una spintarella di qua ed una di la’ … un vero spasso !
Lasciamo queste creature alle loro
“attività” e proseguiamo la pista: ben presto un cartello ci informa
che siamo sull’esatto confine fra Chobe e Moremi. Per entrare nel nuovo
parco ci troviamo quasi in fila con numerose altre vetture, tutte rigorosamente
fuoristrada; noi pero’ ci fermiamo in un piccolo villaggio chiamato Khwai
Village per fare un poco di spesa. Qui le case sono davvero insolite: i
tetti sono di paglia – e fin qui tutto normale – ma le pareti sono costituite
di fango impastato con … lattine di birra ! “Papa’ papa’, quando potro’
avere una casa tutta mia ?” “Quando avrai bevuto abbastanza birra, figlio
mio !” … che forza !!! In un piccolo negozietto che funziona anche da
bar compriamo qualcosa da mangiare, birra e sidro sudafricano. Poi veniamo
attirati da un banchetto dove sono esposti prodotto artigianali quali bellissime
ciotole di legno decorate e collanine coloratissime. Dato che le ciotole
sono piuttosto care (50 euro la piu’ piccola) optiamo per due collanine
fatte con piccoli frutti rossi e neri seccati al sole.
Al North Gate ci dicono che possiamo
entrare liberamente poiche’ pagheremo all’uscita dal parco. Subito dopo
ci troviamo di fronte ad uno dei caratteristici ponti del Moremi: largo
circa due metri e lungo circa 30, e’ formato da tanti tronchi trasversali,
semplicemente appoggiati al fondo del corso d’acqua che si deve attraversare,
tenuti fermi da alcuni tronchi paralleli al senso di marcia. Ci sono anche
due palizzate a destra e a sinistra piu’ scenografiche che realmente utili.
Passandovi sopra provochiamo un discreto rumore e proviamo una gran gioia
nel pensare che questi ponti sono fatti solo utilizzando cose che si trovano
in natura ! Certo che sono anche soggetti molto piu’ facilmente ad usura
… ed infatti in un punto i tronchi se ne sono andati per conto loro sprofondando
nell’acqua e le ruote del Nissan si tuffano nel pantano uscendone dignitosamente
dopo pochi istanti. Domani il ponte restera’ chiuso tutto il giorno perche’
arrivera’ un “tecnico” per ripararlo e dunque l’accesso al parco sara’
negato da questa parte: ci spiegano che la nostra automobile e’ stata l’ultima
a passarci sopra !
Eccoci al Khwai Camp Site: altissimi
alberi carichi di foglie verdissime ci sovrastano ed il fiume appena attraversato
scorre a dieci metri dalla nostra piazzola. Sugli alberi decine di scimmiette
ci osservano e si scambiano buffi richiami: bisogna fare molta attenzione
a queste signorine, sempre pronte ad intrufolarsi in tutto cio’ che viene
lasciato aperto per appropiarsi di qualcosa ! Auto e tende devono necessariamente
restare chiuse e nessun oggetto va lasciato incustodito all’aperto. Due
ippopotami nuotano tranquilli nelle acque semi-paludose del fiume ed un
elefante si aggira indisturbato per l’accampamento.
Per ora siamo quasi soli qui, dal
momento che i partecipanti ai tour organizzati sono ancora in giro per
il parco, e la quiete della natura ci distende i nervi e ci allieta la
lettura e l’osservazione della vita animale. Quando sul finire della giornata
tutti gli ospiti del campeggio saranno tornati alla base, purtroppo staremo
meno tranquilli.
All’ora del tramonto ci avviciniamo
al fiume e ci sediamo: mentre le pozze d’acqua fra le canne si tingono
prima di rosso poi d’argento, sorseggiando una birra fresca ascoltiamo
i rumori di tre ippopotami che fanno il bagno. Ne scorgiamo solo le sagome
scure, i loro versi assomigliano a rochi grugniti e le loro fauci, impegnate
ad inghiottire enormi quantita’ di alghe ed erba strappate dal fondo del
fiume, emettono un ritmico SPLASH ! SPLASH ! SPLASH !
Rapidamente il buio avvolge ogni
cosa e noi accendiamo il nostro fuoco. Ceniamo disturbati dagli altri turisti
che fanno un gran baccano incuranti delle regole scritte all’ingresso di
ogni parco e comunque dettate dal semplice buon senso: ridono, parlano
forte e cantano ad un volume esagerato per il poso dove siamo.
Ce ne andiamo a dormire ma fatichiamo
a prendere sonno: avrei tanta voglia di andare la’ e dire loro: “Ma insomma
! Almeno qui volete comportarvi da animali e non da esseri umani ? Oh,
perbacco …” e invece mi infilo i tappi nelle orecchie e cerco di pensare
ad altro.
Giovedi’ 17 Agosto
Fa freddo questa mattina e ci stringiamo
intorno al fuoco per scaldarci. Facciamo ogni cosa con molta calma e siamo
gli ultimi a partire dal campeggio.
La pista verso Xakanaxa e’ piuttosto
dissestata ed attraversa boschetti di acacie alte e basse: i raggi del
sole ancora basso penetrano tra le fronde creando spettacolari giochi di
luce ed ombre. Nessun animale e’ in giro vicino alla pista, fatta eccezione
per qualche biondo impala.
Incontriamo un guado su un grande
lago dalle acque immobili e ci fermiamo a lungo ad osservare gli alberi
dalle foglie colorate che si specchiano; ponderiamo anche se tentare o
meno l’attraversata. Con l’ausilio di un bastone capiamo che oltre ad essere
lungo e’ anche piuttosto profondo e alla fine optiamo per tornare indietro
un poco ed imboccare una pista secondaria che aggira sulla destra la vasta
raccolta d’acqua.
Poco
dopo incontriamo un secondo guado che attraversiamo tranquillamente essendo
piu’ corto e poco profondo.
Arriviamo al gate di Xakanaxa dove
paghiamo la notte di ieri e quella di oggi, poi nel campeggio consumiamo
un piatto di spaghetti e ci riposiamo un poco prima di tornare nel parco
dove resteremo tutto il pomeriggio. Questo parco copre una superficie di
quasi 5000 km quadrati, ovvero il 30 per cento di tutta l’area occupata
dal delta dell’Okavango, e di quest’ultimo rappresenta l’unica parte dove
la fauna e’ protetta; e’ caratterizzato da aree paludose e fiumi perenni
ma anche da ampie aree desertiche. Noi decidiamo di visitare soprattutto
le zone paludose che sono una novita’ assoluta in questo viaggio ed e’
cosi’ che ci portiamo verso il Third Bridge, chiamato cosi’ perche’ e’
il terzo ponte che si incontra nel parco dopo essere entrati da sud. Capiamo
immediatamente che il Gps e’ davvero indispensabile poiche’ ci sono un’infinita’
di piste piu’ o meno con le stesse dimensioni che si incrociano fra loro
e che si dirigono in tutte le direzioni: e’ difficile capire dove si e’
e soprattutto dove si sta andando con un Gps … figuriamoci senza !
Prima del terzo ponte passiamo sopra
al quarto ponte – proveniamo da nord – che versa in condizioni non migliori
di quello del North Gate; oltre ad esso passiamo accanto a diverse pozze
con alcuni ippopotami a mollo.
Quando arriviamo al Third Bridge
la delusione ci coglie di sorpresa: e’ distrutto, i legni sono sprofondati
rendendo impensabile l’attraversata e la casetta di legno col cartello
“Welcome to Third Bridge” abbandonata e solitaria in mezzo alle erbacce
mette malinconia. Che peccato, era una delle zone piu’ scenografiche del
Moremi: chissa’ se lo ripareranno ?
Facciamo dunque retromarcia e poco
dopo incontriamo un elefante fermo a bere ad una pozza. Arriva una seconda
jeep e questi, disturbato da troppe presenze estranee, lentamente si allontana
dondolando gli immensi lombi. Solo che rimane assolutamente parallelo alla
pista che dobbiamo seguire noi ed ha cosi’ inizio una buffa processione:
davanti sulla sinistra l’elefante grigio e dietro sulla destra le due auto
bianche che, attente a non avvicinarsi mai troppo all’animale, ne rispettano
l’andatura. Continuiamo cosi’ per diversi minuti poi, attraversata una
piccola pozza, l’elefante decide di allontanarsi definitivamente dalla
pista e noi possiamo riprendere una velocita’ un poco piu’ sostenuta.
Transitiamo per la “valle degli alberi
morti”, una zona paludosa con molta acqua, dove incontriamo un piccolo
coccodrillo che si allontana menando la coda, tante piccole scimmiette,
molti uccelli acquatici. Facciamo infine ritorno al campeggio e cerchiamo
di sistemarci il piu’ lontano possibile dagli altri turisti: scegliamo
una piazzola sul fiume che pero’ non si vede perche’ la riva e’ interamente
occupata da alti papiri. Apprendiamo dalla Lonely Planet che proprio qui,
diversi anni fa, un turista americano mori’ dopo essersi scioccamente allontanato
dal campeggio durante la notte (forse aveva bevuto troppo … fatto sta
che fu accerchiato dalle iene e divorato …. macabro vero ?).
Durante la notte succede qualcosa
di meraviglioso: i versi di un ippopotamo ci sveglia e subito dopo sentiamo
dei passi sulla nostra sinistra, quindi un chiaro rumore di acqua risucchiata.
Incuriositi apriamo in perfetto silenzio un angolo della tenda e sbirciamo
fuori: al chiaro di una sottile falce di luna intravediamo un’enorme sagoma
davanti a noi, un elefante che molto tranquillamente beve e mangia ciuffi
d’erba incurante della nostra presenza. Dopo qualche minuto si gira e si
allontana dal fiume … passando vicinissimo a noi e con l’orecchio a non
piu’ di 10 centimetri dalla tenda ! Che meraviglia ! Altro che storie assurde
e mostruose di animali terribili: se noi li rispettiamo loro rispettano
noi, punto e basta !
Venerdi’ 18 Agosto
Il Moremi ci fa il suo ultimo regalo
questa mattina presto: un leone maschio vicino alla pista ! Ha un muso
gigantesco ed una bellissima criniera, e’ seduto vicino ad una pozza dove
ieri avevamo avvistato la carcassa di un animale. Si lascia guardare per
bene, poi si sdraia completamente e l’erba alta lo nasconde quasi del tutto.
Oltre il gate proseguiamo sulla
ghiaiata in direzione di Maun dove arriviamo verso mezzogiorno. Lunga circa
una decina di km, questa cittadina si sviluppa intorno ad alcuni centri
commerciali molto vivaci dove si puo’ trovare quasi ogni cosa. Passiamo
alla Travel Wild e finalmente diamo un volto a Ruth, la ragazza con cui
abbiamo comunicato tramite internet e che ci ha prenotato gran parte dei
campeggi in Botswana. Le portiamo, come promesso nella nostra ultima email,
della birra fresca e lei apprezza molto il gesto !
Facciamo spesa in un grande supermercato,
riempiamo di benzina i due serbatoi del Nissan e le taniche, mangiamo qualcosa,
facciamo riparare una gomma che abbiamo forato qualche giorno fa (forse
una spina di acacia) per soli 19 pula (3 euro) e scriviamo a casa in un
internet caffe’ .
Alle 18 cominciamo a cercare un
alloggio per la notte e la scelta cade sul molto economico – con inganno
– Okavango River Lodge, dove ci concediamo il lusso di una stanza con bagno.
Siamo a Matlapaneng, 9 km a nord di Maun.
Ceniamo allo Sport Bar, un posto
molto popolare da queste parti, con una pizza discreta, carne bianca speziata
e dolci al cioccolato. Ad un tavolo vicino al nostro c’e Ruth con tre amiche,
tutte allegramente ubriache da venerdi’ sera !
Torniamo al nostro lodge … dove
scopriamo inorriditi l’inganno celato dietro all’economicita’ delle stanze:
musica ad un volume stratosferico con turisti ubriachi fradici che “strisciano”
fra i tavolini del bar-discoteca … Proviamo a dormire ma e’ tutto inutile,
anche i tappi sono insufficienti ! Ci giriamo e ci rigiriamo senza posa,
finche’ alle due non ne possiamo piu’ e decidiamo di andarcene. La giovane
padrona e’ molto comprensibile e non vuole essere pagata per la notte che
non abbiamo finito di trascorrere; e’ anche sinceramente preoccupata per
noi, dove andremo a quest’ora di notte ? Non c’e’ piu’ nulla di aperto,
viaggiare col buio e’ pericoloso ed il campeggio libero in citta’ e’ sconsigliato.
Non sappiamo cosa faremo ma sappiamo per certo che vogliamo assolutamente
allontanarci da questo posto il prima possibile !
Quando l’inferno della musica a
tutto volume e’ solo un brutto ricordo e noi siamo al buio su una strada
buia nella notte buia non rischiarata neppure da un lampione, finalmente
ci rilassiamo e ci piomba addosso un sonno micidiale. Sulla strada principale
c’e’ un campeggio che pero’ ha i cancelli chiusi e nessun guardiano ci
viene incontro. Allora proviamo all’Alfa Lodge, una specie di motel con
stanzette pulite ed un bagno in comune: il cortiletto e’ inaccessibile
per via di un grande cancello chiuso, ma per fortuna arriva subito un guardiano
che ci dice che non possono fare entrare nessuno a quest’ora. Quando pero’
sente la nostra storia e vede i nostri volti da morti di sonno probabilmente
pensa che ogni tanto nela vita si puo’ anche fare un’eccezione e ci apre
le porte per una notte finalmente silenziosa e ristoratrice !
Sabato 19 Agosto
Tre ore scarse di sonno e siamo
di nuovo in piedi: sono solo le sette ma abbiamo un programma molto pieno
per oggi e preferiamo partire presto. La nostra colazione e’ gia’ miracolosamente
pronta in una stanza che fatichiamo non poco ad inquadrare come sala ristorante.
Il motel e’ ancora profondamente addormentato, nessuno in giro cui chiedere
informazioni, tutte le luci sono ancora spente: tentiamo aprendo la prima
porta che ci capita e siamo fortunati ! Su un tavolo ci sono due tazze
ed un piattino coperto con pane e marmellata, mentre in un angolo c’e una
di quelle macchinette che scaldano l’acqua e tutto il necessario per prepararsi
un orribile ma caldo caffe’ solubile !
Partiamo in direzione Tsao su una
veloce strada asfaltata; il cielo e’ nuvolo e fa un discreto fresco. Deviamo
verso ovest sulla pista che conduce alle Aha Hills, sabbiosa ma tutto sommato
piuttosto ben messa e procediamo ad una velocita’ intorno ai 45 km orari.
Breve sosta ad un piccolo villaggio dove scambiamo alcune chiacchiere,
o meglio alcuni gesti, con due donne sorridenti e piene di vita: ridono
come impazzite quando sentono la nostra pronuncia nel nominare Xai Xai.
Nella lingua san, infatti, la “x” non si pronuncia “ics” bensi’ con uno
dei tre click di cui il loro idioma e’ ricco, solo che per noi e’ una cosa
ardua far schioccare la lingua contro l’arcata dentale superiore e subito
dopo attaccarci un “ao” e per ben due volte di seguito … il risultato
e’ alle loro orecchie talmente divertente che non riescono a smettere di
ridere e ci fanno ripetere questi suoni finche’ i muscoli del collo ci
fanno male ! Quando finalmente si calmano, si avvicina al nostro gruppo
un bimbetto che, dall’alto dei suoi forse quattro anni, ci guarda tutto
serio, allunga un braccino verso la pista davanti a noi con un ditino teso
ad indicare la direzione e solennemente dice “STREIT !” … e le due donne
giu’ di nuovo a ridere con le lacrime agli occhi … Meravigliosa gente
africana !
Di nuovo al volante, dopo un’oretta
ci immettiamo su una larga ghiaiata che si interrompe improvvisamente qualche
km dopo cedendo il posto ad una tratto di sabbia che percorriamo in dieci
minuti. Al primo incrocio prendiamo la sinistra; se andassimo a destra
arriveremmo piu’ rapidamente a Xai Xai ma questa scelta non ci permetterebbe
di vedere cio’ che siamo invece intenzionati a visitare. La pista e’ sottile
e compie una sorta di gimcana fra belle acacie; altro bivio, a sinistra
anche qui. Breve sosta per il pranzo senza uscire dalla pista assolutamente
deserta: fa molto caldo e cerchiamo disperatamente l’ombra del Nissan.
Sbirciamo curiosi la savana e se guardiamo verso nord-ovest intravediamo
all’orizzonte delle piatte ombre scure che per il momento non raggiungono
neppure la cima delle acacie: sono le Aha Hills.
Dopo aver superato un piccolo villaggio
abbandonato, la pista si inerpica lentamente su chiare formazioni di dolomia
ricoperte di rada vegetazione; il panorama e’ splendido e selvaggio. E’
proprio all’interno della dolomia che si cela qualcosa di unico qui in
Botswana, qualcosa di cui gli abitanti della zona vanno assolutamente fieri:
una grotta ! Si chiama Drotsky Cave (o anche Gcwihaba), e’ lunga circa
un km ed ha ingresso ed uscita a breve distanza fra loro sulla superficie
terrestre. Ad indicarne il punto esatto troviamo una grande lastra di pietra
scura levigata su cui apprendiamo che la grotta e’ stata dichiarata Monumento
Nazionale. L’ingresso si trova a qualche decina di metri davanti a noi
ma il sentiero e’ piuttosto chiuso dall’erba alta ed abbiamo paura di avventurarci:
strani fruscii e rumori di sassi che rotolano ci incollano alla lastra.
Dopo pochissimo tempo che siamo qui sentiamo il rumore di un’auto che ci
sembra dapprima un’allucinazione, ma che poi si rivela effettivamente reale
! Un pick-up bianco come il nostro si parcheggia vicino a noi e ne scendono
tre persone: sono due ragazzi di un villaggio vicino ed un ricercatore
del museo di Gaborone loro ospite in questi giorni. Ci hanno sentito arrivare
e sono subito corsi qui con l’intenzione di farci conoscere la “loro” grotta
! Ci allungano due caschetti, una torcia ed un registro su cui lasciare
la data ed il nostro nome. Ci invitano anche a leggere una circolare …
sulla quale impariamo che ci apprestiamo a compiere la visita alla grotta
a nostro rischio e pericolo e che le guide declinano ogni tipo di responsabilita’.
Chiediamo allora se e’ facile incontrare animali selvatici pericolosi in
questa zona … e loro ci rispondono candidamente di si’ e che proprio
sull’ingresso della grotta c’e la tana di una coppia di leopardi !!! “Ma
… si va lo stesso ?” domandiamo noi increduli. “Certo” rispondono loro
con un’espressione sbalordita dipinta sui volti nerissimi. Improvvisamente
ci rendiamo conto di quanto la nostra domanda sia stata sciocca: provate
a pensare di ribaltare la situazione e che queste tre persone siano appena
arrivate alle porte della citta’ in cui vivete. Procedete sul marciapiede
e ad un certo punto dovete attraversare la strada; loro, osservando le
auto che sfrecciano, vi domandano “Ma non sara’ pericoloso ?” Voi rispondete:
“Beh, si’, ogni tanto muore qualcuno investito.” E loro: “Ma … attraversiamo
lo stesso ?” Voi cosa rispondereste ? Ecco come si devono essere sentiti
questi ragazzi ascoltando le nostre domande ! Due mondi cosi’ differenti,
con bellezze differenti e differenti cause di pericolo, ma le persone sono
le stesse ovunque: affrontano i pericoli di tutti i giorni con coraggio
ed un pizzico di fatalismo !
Ci incamminiamo dunque ed in loro
presenza non abbiamo piu’ paura: certamente queste persone sapranno come
comportarsi se davanti a noi improvvisamente comparisse un leopardo ! Stiamo
in silenzio ed e’ bellissimo camminare nell’erba alta ascoltanto solo il
fruscio dei passi. I nostri padri in Africa camminavano come noi ora ed
e’ un po’ come trovare un contatto con loro, con cio’ che eravamo. E’ bello
ricordare ed e’ bello non dimenticare.
L’ingresso della grotta ci si para
dinnanzi e ci blocchiamo ad osservare i profili sfrangiati dell’enorme
apertura scura, i grandi massi precipitati dall’alto chissa’ quando, le
radici degli alberi che penzolano nel vuoto. Seguiamo le nostre guide e
ci ritroviamo sul suolo sabbioso della caverna: raggi entrano obliquamente
ed illuminano solo una porzione delle pareti che ci avvolgono. Lentamente
gli occhi si abituano alla penombra e ci guardiamo attorno. Il ricercatore
del museo inizia il racconto in un inglese spedito di cui non capiamo tutto
ma i concetti di base sono chiari. Mostrata dalla gente del luogo per la
prima volta ad un bianco, Martinus Drotsky, nel giugno del 1934, questa
grotta ha origine nell’era Precambriana, quando l’umidita’ e l’acidita’
delle acque piovane dissolsero la dolomia dando vita ad un piccolo fiume
sotterraneo. Due, tre milioni di anni fa iniziarono a formarsi molte stallattiti
e stalagmiti che si possono ammirare ancora oggi e che movimentano l’interno
dell’antro buio; verso di esse i tre ragazzi sembrano provare un’infinita
tenerezza, mostrandocele e parlando loro come si trattasse di crature vive,
e tutto sommato dobbiamo riconoscere che lo sono vive, continuando a crescere
giorno dopo giorno in maniera inarrestabile ! Poi ci vengono presentate
alcune creature che vivono la grotta: si tratta per lo piu’ di insetti,
fra cui spiccano grossi coleotteri neri che camminano sul terreno e che
i ragazzi continuamente ci illuminano per impedire ai nostri piedi di porre
fine ai loro giorni. Dimostrano una sensibilita’ che e’ davvero raro trovare
nelle persone che conosciamo e che incontra completamente la nostra solidarieta’
! Vivono qui anche pipistrelli, rapaci notturni e piccoli roditori.
I
reperti archeologici rinvenuti ci fanno capire che l’uomo preistorico non
ha mai abitato la grotta, ma che la utilizzavano per qualche cerimonia
a noi tuttora ignota.
Dal momento che Taddy soffre un
poco di claustrofobia e dalla via che i ragazzi ci dicono che ci sono almeno
tre punti in cui bisogna superare fori stretti in cui i nostri corpi passerebbero
a malapena, decidiamo di finire qui la visita e di andare pero’ a vedere
l’uscita dall’esterno. Camminiamo per circa sette minuti ed infine troviamo
la seconda apertura, piu’ ripida della prima e rappresentata da un antro
piu’ piccolo. Qui fuori scattiamo una foto ricordo alle nostre belle guide
e offriamo loro del denaro per il progetto che continuamente studia la
biologia e la storia della grotta … ma loro candidamente rifiutano osservando
che “non sono abilitati a ricevere denaro” e che la tassa per la visita
la pagheremo al villaggio di Xai Xai. Restiamo a bocca aperta per tanta
dignitosa onesta’ e li salutiamo con l’intima convinzione che certamente
avremmo tanto da imparare da gente cosi’.
Due ore di auto ci separano dal
villaggio e quando vi giungiamo chiediamo dove possiamo pagare per il campeggio
della prossima notte. I primi ragazzi che consultiamo sembrano non capire
la nostra domanda, cosi’ li salutiamo e questi riprendono con molto gusto
a correre dietro alla loro palla. L’uomo che incontriamo poco dopo vagare
fra le capanne ci indica un gruppo di uomini che, seduti all’ombra di un
grande albero, trascorrono il pomeriggio chiacchierando. Dal gruppo si
alza un giovane veramente altissimo vestito con pantaloni marron ed una
giacca color cachi che sorridendo ci chiede di cosa abbiamo bisogno in
un discreto inglese. Compresa la nostra esigenza ci spiega che dobbiamo
andare dall’altra parte del villaggio, inizia a spiegarci la strada ma
subito dopo cambia idea e decide che e’ meglio se lui sale in auto con
noi per spiegarci meglio ! Sale e si siede al mio posto, mentre io mi siedo
praticamente sul cambio e cosi’ iniziamo a muoversi sulle piste sabbiosissime
di Xai Xai che non e’ altro che un gruppo ben nutrito di capanne in mezzo
alla savana. Dopo qualche minuto il ragazzo ci fa fermare l’auto su uno
spiazzo di terra battuta in mezzo a tre capanne distanziate circa 20 metri
l’una dall’altra; esce e va a parlare con una donna piccolina che subito
si dirige verso di noi. Indossa pantaloni grigi ed un maglioncino di cotone
bianco con rombi colorati – sotto il quale notiamo una certa rotondita’
– ed ha il viso tipico della gente San con il naso molto largo alla base,
la bocca carnosa, gli occhi stretti in due fessure che ricordano i mongoli
e tante rughette a raggera in direzione delle tempie: una fisionomia davvero
singolare a queste latitudini ! Ricordando di aver letto come usano salutarsi
i San, io allungo alla donna la mano destra e mentre lei me la stringe
io con la mano sinistra mi abbraccio l’avanbraccio destro subito sotto
al gomito. Accorgendosi del mio gesto lei rimane sbalordita: non credo
che incontri molti turisti e non credo che molti di questi l’abbiano salutata
alla tradizionale maniera San e questo pare averla colpita moltissimo !
Le raccontiamo di aver visitato la grotta e di voler campeggiare in una
delle aree predisposte alla base delle Aha Hills: lei si dirige verso una
delle capanne per uscirne un momento dopo con in mano un registro dalla
copertina verde rigida. Appunta i nostri dati con bella calligrafia e,
ricevuta la somma di 120 pula (15 euro), ci consega la ricevuta di pagamento,
un esempio di impeccabile burocrazia in mezzo alla savana ! E dire che
c’e’ ancora qualcuno che parla di questi popoli usando la parola “selvaggi”
… se solo tutti gli uomini che popolano la terra fossero ugualmente “selvaggi”
…
Restiamo un’ora intera in loro compagnia
poiche’ nel frattempo abbiamo iniziato a chiacchierare amabilmente, rispondendo
alle loro domande e facendone noi a loro: si e’ radunata una piccola folla
ed apprendiamo che sono quasi tutti componenti della famiglia della “donna
col registro”, la quale ha tre figli, aspetta il quarto ed ha due sorelle
che si divertono a mettersi in posa davanti al mio obiettivo. Queste ragazze
sono molto diverse fra loro, una e’ seria, il viso tondo e la testa rasata,
indossa una gonna lunga color sabbia ed una felpina scura, si cui porta
un telo che la fascia sotto le ascelle e le cade fin sotto la vita, il
collo adorno di perline colorate. L’altra e’ sempre sorridente in modo
assai civettuolo, porta una fascia color fucsia sui corti capelli neri
e crespi ed indossa una maglietta rossa. Entrambe sono estremamente fotogeniche
… ma la piu’ bella di tutte e’ senz’altro una donna piu’ matura, che
quando vede la mia Nikon si apre decisa un varco tra la folla, si accende
una sigaretta e si siede a terra davanti a tutti, tirandosi la gonna fino
alle ginocchia e con la testa alta fa grandi gesti per far capire che vuole
essere fotografata ! Ha un fazzoletto in testa, lunghe collane color turchese
e due cavigliere nere sui piedi nudi. Restera’ fra tutti la mia preferita
e nessuno mi toglie dalla testa che, col suo atteggiamento di gagliarda
ed accettata superiorita’, ella sia la madre di tutta la famiglia li’ raccolta
!
Salutiamo queste persone con la
promessa di mandar loro le foto scattate in quegli indimenticabili minuti
(promessa mantenuta !) e con una luce splendida che allunga ombre fantastiche
sulla savana circostante ci avviamo alle colline; 7 km e 20 minuti dopo
prendiamo una sottile pista fra la vegetazione per giungere in 3 km alla
base delle rocce che costituiscono le Hills sotto cui chiari segni di precedenti
focolari ci indicano il sito del campeggio. Sotto un bel boschetto e con
ancora le risate cristalline della gente di Xai Xai nelle orecchie, ceniamo
e ci prepariamo per una finalmente silenziosissima notte.
Domenica 20 Agosto
Dormiamo
piu’ del solito, avevamo bisogno di recuperare certe ore di sonno perdute
! Partiamo che sono gia’ le 8 e 30 e ben presto riguadagnamo la larga e
comoda pista abbandonata ieri sera per salire al campeggio; direzione:
Gumare.
Vicino al confine con la Namibia,
verso cui si dirige la pista che ora ci troviamo di fronte, la pista diventa
di nuovo sabbiosa e si riduce notevolmente la nostra velocita’. Per il
momento restiamo in Botswana ed all’incrocio prendiamo dunque la destra;
d’altra parte la strada di sinistra puo’ essere seguita per sconfinare
in Namibia soltanto dagli indigeni che si spostano per motivi di lavoro
o di famiglia e non dai turisti come noi !
Poco dopo, all’ombra di un grande
albero, una visione meravigliosa ci fa rallentare fino a fermarci: una
splendida donna vestita in perfetto stile vittoriano, con un ampio vestito
color viola e bianco, un grande fazzoletto porpora legato morbidamente
al collo ed un copricapo a due punte sempre sul viola a completare il quadro,
se ne sta seduta in attesa. Ha un bel viso pieno ed anche il fisico e’
corpulento, un bel sorriso le addolcisce i tratti quando le chiediamo se
vuole un passaggio. Assieme a lei ci sono due bimbetti nudi, fatta eccezione
per un gonnellino appena accennato di pelle in vita ed un collare che abbiamo
gia’ visto in Namibia … addosso agli Himba ! Le ricaviamo un angusto
spazio sul sedile posteriore e, mentre i bimbi le passano due contenitori
pieni di un liquido torbido e biancastro (che poi scopriamo essere latte),
la donna sorride e sistema le grosse membra fra zaini, borsoni e scatoloni.
In breve siamo pronti a ripartire e ridiamo tutti di gusto quando il Nissan
prende quasi subito a rimbalzare come una palla impazzita sulle cunette
dure di sabbia che costituiscono la pista ! L’odore che emana questa donna
ci giunge nuovo ma lo sentiremo varie volte ancora durante le prossime
ore: non capiamo se e’ la sua pelle oppure qualche pianta che si trova
solo qui, sta di fatto che non e’ propriamente un odore piacevole, difficile
da descrivere ma che assomiglia vagamente all’odore di qualcosa che inizia
a marcire, dolciastro e pungente. Non ci consola certo pensare che forse
e’ lo stesso odore che avverte lei ora annusando noi … Parla inglese,
si chiama Kape ed appartiene all’etnia degli Herero. Ecco spiegata la somiglianza
con gli Himba: un tempo i due gruppi etnici erano la stessa cosa, poi i
Nada ne costrinsero alcune famiglie ad allontanarsi verso ovest ed esse
si stabilirono in Namibia nella regione oggi chiamata Kaokovelt e presero
il nome di Himba. Domandiamo a Kape se conosce gli Himba e lei ci risponde:
“Si’, parliamo la stessa lingua”.
Dopo vari balzi e scossoni giungiamo
ad un villaggio e Kape ci fa capire che deve scendere qui: subito arrivano
verso di noi una bimba bellissima ed una ragazza altrettanto bella, dal
viso serio, i capelli corti ed una collanina d’oro al collo ! E’ la sorella
di Kape, sposata al capo di questo villaggio. Fotografiamo le tre donne
e promettiamo anche a loro di spedire le foto (promessa mantenuta; Kape
ci rispondera’ quasi un anno dopo mandandoci gli auguri di buona Pasqua
ed una sua piccola foto formato tessera, non vi racconto l’emozione aprendo
la busta …). Riflettendo sulla collanina al collo della sorella di Kape
– cercando di immaginare il viaggio del marito per andare a comprarla,
senza automobile e col solo ausilio dell’autostop fatto alle rare auto
di passaggio per queste zone remote, forse un mese di tempo in viaggio
– riprendiamo la nostra pista per fermarci ancora dopo pochi chilometri.
Altro villaggio, altra umanita’ vivace e loquace, altre fotografie.
Ancora in pista: incontriamo un
piccolo varano che ci attraversa indolente la strada e si nasconde soffiando
fra i cespugli.
Infine ecco l’asfalto che ci conduce
speditamente a Gumare; qui pranziamo con del pollo scaldato al microonde
al negozietto della stazione di servizio e ci rimettiamo in strada dopo
un breve riposo.
Nel pomeriggio penetriamo nel territorio
degli Etsha. Verso la fine degli anni ’60 scoppio’ in Angola una guerra
civile violentissima e molti civili scapparono verso sud divenendo profughi
in Botswana; le autorita’ di questo paese allestirono un nuovo insediamento
dove i profughi si sistemarono alla maniera angolana, ovvero in diversi
villaggi distanziati fra loro di circa un chilometro. I villaggi si chiamarono
Etsha ed a ciascuno fu dato un numero progressivo per cui nacquero Etsha
1, Etsha 2 e cosi’ via fino ad Etsh 13. Occupano un territorio semi-paludoso
ricco d’acqua anche nel periodo piu’ secco dell’anno, ovvero il mese di
agosto.
Siamo sulla pista per Etsha 6, il
villaggio piu’ grande che ha anche una pompa di benzina; quando arriviamo
ci sembra di essere stati catapultati in sud America ! Palme alte e vie
sabbiose, ragazzi molto svegli e vestiti da “rappers”: si intuisce che
non sono africani originari di queste parti, troppo diversi da quelli che
siamo abituati ad incontrare !
Ci immettiamo ora sulla pista per
Etsha 13 e l’uso del Gps si fa subito indispensabile: nessuna indicazione
infatti ci rassicura sulla direzione presa e spesso ci pare di essere sulla
pista che conduce al campo di qualche contadino ! Il fondo e’ sabbioso
e profondo ed incontriamo due carrelli miseramente insabbiati ed abbandonati
in mezzo alla pista; il Nissan aggira gli ostacoli senza problemi. Arriviamo
a lambire l’acqua del delta del’Okavango che allunga le sue propaggini
fino a qui ed il panorama e’ caratterizzato da ampi prati verdissimi e
“isole” di frondosi alberoni; la vegetazione cela l’acqua che talvolta
e’ profonda ma non ce se ne accorge finche’ non ci si finisce dentro !
Dopo una disavventura nell’attraversare una di queste zone alluvionate
decidiamo che e’ meglio rimanere con le gomme all’asciutto e cosi’ preferiamo
seguire una pista immaginaria che corra il piu’ possibile vicino agli alberi
alti, dove siamo certi esserci sempre la terra. Il Gps ci indica in qualunque
momento la pista buona e non corriamo il pericolo di perdere … la bussola
!
Lentamente ci allontaniamo dal delta
e la terra torna arida e sabbiosa. Ad Etsha 13 ritroviamo l’asfalto e lo
seguiamo fino a Sepupa; qui troviamo l’indicazione per l’accogliente Swap
Stop Campsite. Gestito da bianchi e piuttosto popolare, questo campeggio
ha un largo spiazzo recintato con qualche grande albero sotto cui ci si
accampa, un laghetto con tanti chiassosi uccelli, docce con acqua calda,
un bel bar ristorante sulla riva del fiume su cui si puo’ navigare noleggiando
una barchetta. Bellissimo tramonto fra le canne.
Lunedi’ 21 Agosto
Facciamo colazione con pane ben
tostato, burro e marmellata, yogurt. Paghiamo in pula il corrispettivo
di 48 euro per la notte, la cena e la colazione quindi ci mettiamo in marcia.
Meta di oggi: le Tsodilo Hills.
Sebbene esista una pista 2×4 che
partendo dal villaggio di Nxamasere raggiunge questo luogo singolarissimo
in modo semplice e veloce, noi preferiamo prendere una piccola pista 4×4
assai meno frequentata e che attraversa un panorama senz’altro piu’ remoto
e selvaggio. E’ cosi’ che, dopo appena un chilometro dal campeggio, deviamo
a destra su una pista che si presenta abbastanza semplice nel tratto iniziale.
Ci rilassiamo al punto che, ci rendiamo conto, ci succede una cosa stranissima:
entrambi non riusciamo a concludere un solo ragionamento, ne’ verbale ne’
mentale ! Iniziamo a parlare … poi la mente vola via, leggera leggera,
lo sguardo perso sul panorama che ci circonda … e addio frase ! Iniziamo
un pensiero … poi la nostra mente, normalmente pronta a ragionamenti
precisi e razionali, si assenta, vaga chissa’ dove, galleggia senza peso,
una suggestione di tempo sospeso su uno spazio che si allunga all’infinito
… fantastico ! E’ come aver chiuso i cervelli in un cassetto !
Ben presto, comunque, il cassetto
viene riaperto ed i cervelli tornano al loro posto, scariche elettriche
tornano ad attivare le nostre sinapsi neurali e la voce torna a farsi sentire:
superato un piccolo recinto di legno che racchiude una vecchia pompa a
cinghia di fabbricazione indiana, la pista in diversi punti sembra infatti
perdersi nel nulla ed e’ solo grazie alla consultazione attenta del Gps
che riusciamo a trovare nuovamente le tracce. Le gomme sprofondano nella
sabbia e l’erba alta al centro della pista sfrega contro la marmitta e
le altre parti bollenti del motore, con il risultato che attorno a noi
si sprigiona un forte ed acre odore di bruciato !
Ad un certo punto, davanti a noi
si staglia la sagoma scura di un’altura in lontananza: ancora pochi chilometri
e saremo arrivati ! In tutto avremo impiegato quasi tre ore e mezzo per
arrivare al gate di “Tsodilo, la montagna degli dei” come cita la scritta
che campeggia al centro visitatori. Si tratta di un luogo che emana sacralita’
ed un tocco di mistero e restiamo in silenzio mentre la pista si allunga
verso l’altura che nasce magicamente sulla piatta pianura circostante.
Ci dirigiamo lentamente verso il cancello che da’ sul piccolo parco nato
intorno alla montagna, salutando molte persone a piedi, sorridenti e assolutamente
non invadenti. Sedute vicino al cancello stanno alcune donne e bimbe che
vendono bellissimi cestini e collane colorate di semi grandi e piccoli:
ci fermiamo a lungo, acquistiamo felici questi oggetti davvero originali
e scattiamo molte foto, promettendo di spedirle una volta a casa (promessa
mantenuta !).
Entriamo nel parco e ci dirigiamo
verso il centro visitatori seguendo una pista comoda. Sfiliamo sotto le
pareti a picco e siamo abbagliati dalla bellezza della roccia ! Con i suoi
1395 metri, Tsodilo rappresenta il picco piu’ alto del Botswana e, pur
elevandosi sul bush circostante di appena 400 metri, appare ai viaggiatori
come una piccola Uluru africana; osservando la montagna da diverse angolazioni
si scopre che in realta’ e’ formata da diverse colline rocciose che, secondo
un’antica leggenda locale, erano una volta una famiglia ed ecco perche’
si chiamano “Male Hill”, “Female Hill” e “Child Hill”; sono costituite
di quarzite e presentano splendide striature rosse, arancio, viola, azzurre
e gialle. Accolgono qualcosa come 4 mila spettacolari petroglifi che hanno
reso famosa la zona agli studiosi; sono stati rinvenuti anche molti utensili
ed i resti di due villaggi risalenti al 500 DC. Ci sono diverse possibilita’
di escursioni, ovviamente a piedi, lungo i pendii erti e scivolosi delle
colline, ma quasi tutte richiedono la presenza di una guida. Solo un percorso,
chiamato Rhino Trail, e’ percorribile in solitudine e gratuitamente, cosi’
decidiamo di seguirlo nel pomeriggio. Nel frattempo ci e’ venuta una gran
fame e pranziamo con piadina, salsiccia e verdure in scatola. Si avvicina
un povero cagnolino, tanto magro che gli si contano le ossa e molto debilitato:
non riuscendo a reggersi in piedi si lascia andare a terra e da li’ ci
guarda con occhioni pietosi. Ovunque ci sono cartelli che citano “Non date
da mangiare ai cani per favore” e “I cani disturbano gli animali selvatici”,
ma osservando questa povera creatura indebolita ci ritroviamo a riflettere
piu’ o meno in questi termini: chi e con quale criterio si arroga il diritto
di stabilire che sono piu’ importanti gli animali selvatici degli animali
domestici ? Sempre animali sono … e dalla via che sono nati, perche’
lasciare morire questi cani ? Perduto ogni istinto alla caccia, questi
non sono piu’ in grado di vivere nella natura come i loro parenti selvatici
e morirebbero certamente se nessuno desse loro qualcosa per sopravvivere.
Secondo noi non sono in alcun modo concorrenti degli animali selvatici,
semplicemente possono allontanarli da questa zona … e’ forse questo il
problema ? Se i turisti si lamentano perche’ non vedono animali selvatici
si preferisce lasciare morire dei cani ? Una salsiccia scivola giu’ per
la gola del nostro nuovo amico che sembra fare le fusa dalla felicita’
…
Dopo un breve riposino indossiamo
pantaloni lunghi, calziamo gli scarponcini e ci avviamo lungo la pista
che corre alla base della porzione piu’ occidentale della Male Hill. Presso
il centro visitatori abbiamo chiesto informazioni circa la vita selvatica
sulla montagna e ci e’ stato risposto che in questa stagione non ci sono
animali perche’ fa troppo caldo e non c’e’ acqua a sufficienza: normalmente
ci sarebbero scimmie, leoni, leopardi, elefanti, iene, kudu ed un geco
endemico. Potremmo invece incontrare qualche serpente per cui cerchiamo
di provocare un po’ di rumore con dei bastoncini per avvertire i rettili
che ci stiamo avvicinando e che sarebbe cosa gradita se si allontanassero
prima di farsi calpestare !
Il
Rhino Trail abbandona la pista e si inerpica fra l’alta vegetazione che
ci protegge dai raggi del sole. Mentre camminiamo ci capita un fenomeno
davvero singolare che merita di essere raccontato. Dal momento che, a dispetto
di quanto ci ha detto il ragazzo al centro visitatori, gli alberi sopra
di noi pullulano di scimmie, razionalmente ci aspettiamo che ci siano anche
altri animali e la nostra iniziale serenita’ lascia ben presto il posto
ad uno stato di angoscia sempre piu’ profonda mano a mano che ci allontaniamo
dal Nissan. Eppure non riusciamo a deciderci di tornare indietro perche’
vogliamo assolutamente raggiungere la sommita’ di questa montagna, dove
sappiamo celarsi una valle “strana”, un posto unico dove pare di essere
su un altro pianeta … e cosi’ continuiamo a camminare muovendo i nostri
bastoncini e cercando di non girarci ogni due passi come il nostro istinto
ci detterebbe. In cima alla ripida salita raggiungiamo un passo e, superato
un corridoio naturale fra rocce levigate, ci troviamo all’improvviso davanti
ad uno spettacolo meraviglioso: ecco la valle magica ! Un sentiero ben
marcato dal morbido fondo di sabbia chiara serpeggia in pianura fra alberelli
dalle foglie di un tenero verde ed alta erba giallissima, qualche albero
privo completamente del fogliame ma col tronco arancione dona un tocco
di caldo mistero, sopra di noi il cielo azzurro con qualche pittoresca
nuvola bianca e le vette di grigia roccia nuda delle colline vicine che
svettano dalla vegetazione: un quadro stupendo che ci incanta ! L’ora tarda
dona un colorito rosato prima e decisamente rosso poi a tutto cio’ che
ci circonda, regalandoci sul serio l’impressione di essere appena atterrati
su un pianeta inesplorato che per la prima volta conosce piede umano !
Ed e’ proprio camminando qui, su
questo piccolo altopiano segreto chiuso fra le rocce di Tsodilo, che la
paura all’improvviso ci abbandona completamente per effetto di un preciso
processo mentale cosi’ riassumibile: finche’ sapevamo di essere relativamente
vicini all’automobile, ovvero alla salvezza, il timore per cio’ che ci
poteva succedere teneva i nostri nervi tesi come corde di violino, tutti
i sensi all’erta ed i muscoli pronti allo scatto nel tentativo di salvare
la pelle … ma una volta quassu’, assolutamente lontani ormai dall’auto,
i nostri nervi si rilassano, i sensi tornano a fare ciascuno il proprio
lavoro con calma, i muscoli lavorano tranquilli. Non ci sarebbe niente
da fare se una belva ci raggiungesse qui … tanto vale godersi lo spettacolo
di questo posto !
Sereni anche quando fra l’erba alla
nostra sinistra un forte fruscio ci risveglia dallo stato di torpore in
cui siamo precipitati, decidiamo comunque di allungare un poco il passo
perche’ non vogliamo arrivare con le tenebre. Sfiliamo accanto ad una pozza
d’acqua piena di farfalle che voltaggiano nel piu’ assoluto silenzio, sulle
rocce lungo il sentiero ci soffermiamo ad ammirare molte pitture rupestri:
quando alla fine torniamo al Nissan (dove il cagnolino ci aspetta scodinzolando
senza alzare la testa perche’ non ce la fa …) la passeggiata sara’ durata
in totale due ore ma ci sara’ sembrato di stare via due giorni tante le
emozioni provate ! La paura, la fatica, il caldo opprimente, i colori,
la sabbia morbida sotto i piedi, le rocce, l’acqua, le pitture, il serpente,
il buio incalzante.
La sera inizia con un bel fuoco,
mentre a malapena riusciamo a contenere le risa per il falo’ esageratamente
alto acceso dai figli di una coppia di tedeschi ad una trentina di metri
da noi: mentre i genitori erano distratti a preparare l’accampamento, i
ragazzi avevano raccolto e messo assieme un sacco di legnetti a formare
una pira alta almeno un metro, le fiamme che ne risultano sono alte almeno
due metri e i genitori sgridano i figli che si sono fatti piccoli piccoli
ma che, si capisce bene, in realta’ ridono sotto i baffi !
Terminata la cena e spente le fiamme,
il silenzio sembra depositarsi come una nebbia sottile dall’alto verso
il basso, fino ad inglobare ogni singola cosa sulla terra ed anche noi,
piccoli uomini sotto le pareti alte, ripide e misteriose della montagna
degli Dei.
Martedi’ 22 Agosto
Salutiamo il cagnolino che e’ rimasto
vicino alla nostra auto tutta la notte e gli regaliamo un’ultima piadina
prima del commiato: speriamo che qualche altro turista impietosito decida
di dare come noi retta al cuore piuttosto che alle regole degli umani e
che ti allunghi qualcosa da mettere nello stomaco.
Usciamo dal parco e salutiamo anche
le bimbe delle collanine; imbocchiamo oggi la pista piu’ comoda, 2×4, che
si dirige verso l’asfalto a nord-est; una volta sulla statale pieghiamo
verso nord-ovest e verso il confine con la Namibia, a Botman.
Lungo il noioso asfalto incontriamo
un ragazzo che lavora in modo superlativo un legno chiaro e ci fermiamo
ad osservarlo. Ha una strana deformita’ sul viso ma la sua bocca sorride
sempre e le sue mani sono mani d’oro; priva della corteccia grossi tronchi
di legno, li incide e dona loro forme d’animali, poi passa un ferro sulla
brace di un fuoco sempre alimentato. Quando questo diventa incandescnte
lo prende ad un’estremita’ con uno straccio e sbruciacchia gli animali
appena scolpiti, creando le famose macchie delle giraffe, le squame di
un coccodrillo, le righe di una zebra. Espone le sue creazioni su di un
rudimentale banchetto e si siede a terra aspettando improbabili clienti
(sulla strada non c’e’ nessuno a parte noi). Avendo dei pula da finire,
decidiamo di comprargli quasi tutto quello che espone, lasciandogli il
coccodrillo perche’ e’ gigantesco e perche’ non e’ ancora finito !
Mentre rimontiamo in macchina lui
picchia le mani una contro l’altra in un applauso pacato rivolto a noi
e continua a sorridere finche’ non lo vediamo piu’. Nell’abitacolo si sprigiona
ben presto un gradevole odore di legna bruciata e ci sembra un ottimo modo
per salutare questo paese fantastico. Addio Botswana, addio sul serio questa
volta; belle e timide persone aperte al sorriso ed agli incontri; splendidi
animali impegnati a vivere in modo naturale la loro esistenza; terre sconfinate
di savana gialla; alture magiche con millenni di storia cuciti addosso;
piste selvagge percorrendo le quali l’uomo si puo’ finalmente sentire cio’
che in realta’ e’ ma che sembra troppo spesso dimenticare: un animale in
viaggio.
Superato il confine senza problemi,
entriamo in Namibia ed all’improvviso comprendiamo che in Africa i confini
vogliono davvero dire molto. La natura e’ sempre la stessa, ma e’ diverso
l’uomo che ovviamente cambia la natura per adattarla ai propri bisogni
ed e’ cosi’ che non incontreremo in Namibia piste sottili ed appena accennate
(segnalate sulle cartografie ufficiali perche’ le sole esistenti) come
in Botswana bensi’ correremo su larghissime ghiaiate ben tenute. Non passeremo
accanto a piccoli villaggi di capanne dove la gente timidamente viene a
proporci uova di struzzo decorate, bensi’ passeremo per paesi con casette
in cemento dove i bambini ci fanno i musi dai bordi della strada. Non proveremo
piu’ l’emozione di trovarci sulla pista un leopardo perche’ lo andremo
a cercare appositamente dentro un parco recintato, molto vasto questo si’,
ma pur sempre un grandissimo giardino zoologico dove le regole fondamentali
sono dettate dall’uomo. Insomma, in tre parole, lasciando alle spalle il
Botswana si ha la sensazione di essere abbandonati dalla vera poesia africana.
Mezz’ora dopo il confine troviamo
il cartello per un piccolo lodge dove abbiamo deciso di passare la prossima
notte: consigliatoci dai tedeschi con i marmocchi birichini, Ndovu Lodge
e’ un posto molto gradevole, silenzioso e rilassante lungo le rive del
fiume Okavango. Possiede grandi e belle tende con bagno ed una sola piazzola
per il campeggio a 80 N$ per persona: e’ nostra ! La occupiamo prima che
arrivino altri turisti. Il campeggio (cioe’ noi !) ha un bel bagno privato,
ricavato in una casetta color giallo pastello priva di finestre sul lato
che da’ sul fiume: mentre si fa la doccia si guarda l’acqua che scorre
fra le canne e si puo’ anche vedere qualche ippopotamo risalire la riva
!
Il lodge e’ gestito da Mr. Hornst,
un bianco di mezz’eta’ che si e’ gia’ preso la malaria con due attacchi
molto forti (noi abbiamo finito l’Autan, approposito …); gentile e disponibile,
sembra trattare bene la manovalanza nera che lavora per lui e ci offre
un giro in barca nel pomeriggio per scoprire la vita lungo il fiume. Accettiamo
volentieri, visto che abbiamo perso un’occasione simile solo due giorni
fa in Botswana.
Nel passeggiare per il curato giardino
del lodge, arriviamo alla piscina dall’acqua pressoche’ ghiacciata e qui
conosciamo quattro ragazzi italiani che verranno in barca con noi nel pomeriggio
e che, fra le altre cose, ci regaleranno un po’ di Autan ! Restiamo con
loro a chiacchierare sulle nostre rispettive esperienze ormai giunte quasi
al termine, poi pranziamo con panini nella bella sala ristorante tutta
di legno, che si allunga sul fiume con un bel pontile.
Alle 16 ci imbarchiamo: la barca
si rivela essere in realta’ una specie di zattera su cui vengono appoggiate
alcune sedie prese direttamente dal bar ! Mr. Hornst ci conduce a velocita’
ridotta lungo le rive del fiume, in questo punto molto largo, e ci indica
sporadicamente qualche minuscolo uccellino colorato sui rami degli alberi,
un piccolo coccodrillo che si abbrustulisce al sole, un gruppetto di ippopotami
a bagno di cui vediamo solo occhi ed orecchie e che ci invitano con sbuffi
decisi a tagliare la corda dal loro territorio ! Attendiamo il tramonto
sorseggiando birra e mentre i ragazzi che sono con noi si lamentano del
fatto che questo giro e’ stata una fregatura e che Mr. Hornst ha speculato
sulla nostra curiosita’ di turisti, io osservo gli occhi lucidi – rivolti
al sole morente – di quest’uomo e mi rendo conto che per lui la vita qui
non deve essere affatto una fregatura, che lui e’ veramente felice di poter
osservare i minuscoli uccellini volare liberi e felici in quest’angolo
di mondo, che non prova come i turisti l’ansia di incontrare per forza
grossi animali magari pericolosi e che quando ci ha proposto “uno splendido
giro sul fiume” lui ci credeva veramente. Per questo io e Taddy non ce
la sentiamo di criticare Mr. Hornst solo perche’ e’ una persona semplice
ma anzi abbiamo un ricordo dolcissimo di lui.
Il tramonto non e’ nulla di speciale
perche’ ci sono molte nubi ed il sole svanisce prima di raggiungere l’orizzonte;
quando sbarchiamo sono gia’ le 17 e 30 ed il buio incombe.
La cena purtroppo e’ deludente:
pur essendo a buffet non c’e’ nulla di caldo, inoltre le porzioni sono
davvero scarse e qualcuno finira’ per non riuscire neppure ad assaggiare
qualche specialita’. La gelatina finale, poi, e’ immangiabile. I tedeschi
erano rimasti molto contenti, ma si sa … noi italiani pretendiamo sempre
un po’ troppo in cucina ! Mr. Hornst mangia al tavolo con noi e questo
dona una nota di familiarita’ che e’ difficile trovare nei lodge in Africa:
sembra che si senta solo ed ha voglia di parlare.
Alle 20 e 30 siamo nella nostra
tenda sul tetto del Nissan.
Mercoledi’ 23 Agosto
Dopo colazione paghiamo a Mr. Hornst
il corrispettivo di 78 euro per la notte, i pasti ed il giro in barca e
lasciamo qualche frase sul guest book del lodge, cosa cui Mr. Hornst sembra
tenere in modo particolare. Salutiamo anche i ragazzi italiani e ci mettiamo
in marcia: larga ghiaiata fino all’asfalto e poi in direzione di Rundu
su quest’ultimo. Villaggi di capanne, molta gente che cammina, tante scuole,
banchetti di maschere, animali di legno, bellissimi aeroplanini variopinti.
Deviamo su una sterrata comoda e
larga che attraversa un territorio molto vasto occupato interamente da
enormi recinti di allevatori di bestiame. Le reti ci terranno compagnia
a lungo nel nostro continuo procedere verso ovest, fino a che sbuchiamo
sull’asfalto che ci conduce in una trentina di chilometri al gate del parco
piu’ famoso e frequentato della Namibia, l’Etosha. Eravamo gia’ stati qui
nel dicembre del 2003 e per fortuna notiamo che nulla sembra cambiato …
ma venire qui dopo aver scorazzato per le terre selvagge del Botswana e’
abbastanza deludente. Se la prima volta non avevamo avuto la sensazione
di trovarci dentro una sorta di giardino zoologico, oggi questo e’ un sentimento
reale: ne prendiamo atto e cerchiamo di non fare confronti con il viaggio
appena concluso. Giorgio Bettinelli, nel suo bellissimo libro “Brum Brum
254000 chilometri in vespa”, sostiene che “i ricordi non devono mai essere
confrontati, solo custoditi e messi via senza lasciare che interferiscano
nel delicatissimo meccanismo dello stupirsi” e questo cerchiamo di fare
ora, vivere l’Etosha senza confrontarlo ai ricordi degli altri parchi visitati,
per riuscire a stupirci positivamente anche oggi delle immagini che questa
natura offre e che i suoi animali inconsapevolmente ci regalano.
Non abbiamo prenotato ma entriamo
senza problemi, trovando posto per la prima notte al Namutoni Rest Camp
e per la seconda all’ Okaukuejo Rest Camp.
Il pomeriggio ci regala dolcissime
visioni di giraffe, leoni ed elefanti; la piu’ bella fra tutte ad una pozza
alimentata artificialmente dove si abbeverano tre giraffe. All’improvviso,
dalla macchia di vegetazione alle spalle delle eleganti signorine sbucano
dieci elefanti adulti e tre minuscoli cuccioli che, tutti al trotto per
la gran sete e con i padiglioni sventolanti, si avvicinano all’acqua e,
sistematisi educatamente uno di fianco all’altro, iniziano a bere silenziosamente.
Noi li osserviamo rapiti attraverso le lenti dei binocoli e muoriamo dal
ridere quando ne vediamo uno grande e grosso che, stanco di bere, anziche’
sorbire l’acqua soffia attraverso la proboscide, divertendosi a formare
grosse bolle nella pozza … come un bambino … che spettacolo ! Le giraffe
nel frattempo hanno prudentemente tagliato la corda !
Tranquilla serata al campeggio di
Namutoni.
Giovedi’ 24 Agosto
Proseguiamo la visita del parco
e vediamo moltissimi animali alle pozze. Tutto sommato non e’ poi cosi’
negativo il fatto che l’uomo abbia creato un’area protetta come questa,
qui gli animali sono senz’altro al sicuro dai bracconieri e possono condurre
una vita assolutamente naturale senza correre il pericolo di incappare
in umani che di naturale hanno ben poco. Certo questo comporta anche la
presenza di molte auto cariche di esseri umani che cercano ed osservano
gli animali, ma tutto sommato si tratta di un male da poco: gli animali
si sono gia’ abituati alla loro presenza e si lasciano anche avvicinare
senza provare timore. Inoltre, le pozze sono in gran parte riempite artificialmente
durante la stagione secca e gli animali non corrono pericolo di vita per
assenza di acqua. Insomma, cominciamo ad avere una visione pu’ positiva
rispetto all’inizio di questo posto e ci godiamo ogni singolo momento nel
parco.
Branchi numerosissimi di splendide
zebre con tanti cuccioli ci attraversano la pista; giraffe corrono come
al rallentatore sulle loro lunghe gambe sottili; tre giovani leoni maschi
se ne stanno sdraiati uno sull’altro vicino ad una pozza, sbadigliando
e litigando per gioco; poco distante una splendida coppia di leoni si abbandona
ad uno spudorato accoppiamento sotto gli occhi affascinati di almeno una
ventina di esseri umani … e sotto lo sguardo attento di molti piccoli
springbok che vorrebbero tanto avvicinarsi alla pozza per bere senza pero’
trovarne il coraggio …
Ad Okaukuejo ci sistemiamo per la
notte.
Venerdi’
25 Agosto
Oggi iniziamo il lento avvicinamento
a Windoeck; usciti dall’Etosha imbocchiamo l’asfaltata C38 verso sud. Poco
dopo aver superato la pulita ed ordinata cittadina di Outjo pieghiamo verso
ovest sulla ancora asfaltata C39 e poi nuovamente verso sud sulla sterrata
D2743. Una serie infinita di dossi e cunette – che nella stagione umida
si trasformano in tantissimi guadi – ci conduce attraverso una valle splendida
che ricorda molto i paesaggi western dell’Arizona, con piatte formazioni
rocciose che si elevano a destra e a sinistra dalla circostante savana
chiara punteggiata di acacie verdi. Ventun chilometri dopo giungiamo ai
piedi di uno spettacolo meraviglioso che ci fa tornare con la mente ad
un giorno di due anni fa, quando scoprivamo in Australia il Chambers Pillar:
un incredibile dito di roccia che si erge fiero ad indicare il cielo e
che ci ha condotto qui come fosse un faro ! Reminescenza di un antichissimo
altopiano di calcare formatosi 15 milioni di anni fa, il Vingerklip e’
rimasto fino ai nostri giorni per narrarci un po’ di storia geologica del
pianeta e si eleva per 35 metri su di una collinetta cosparsa di massi
probabilmente crollati dalle sue ripidissime pareti. Parcheggiata l’auto
seguiamo un sentiero che ci conduce fino alla base vagamente rettangolare
del dito e poi ne seguiamo tutto il periplo, fermandoci spesso per ammirare
la bellissima valle che si stende ai nostri piedi o per adorare dal basso
verso l’alto questo rosso monolito arrivato dal passato senza soluzione
di continuita’.
Ancora verso sud attraverso le distese
del Damaraland, su piste che ci portano in alto su colline piene di splendidi
Ghost trees – gli stessi incontrati nel Kalahari – ed in basso su letti
di fiumi in secca dall’incredibile sabbia color rosa, fra villaggi recintati
di casette in cemento molto distanti fra loro, sotto boschetti fitti e
riposanti.
Lentamente davanti a noi si alzano
appuntite montagnole dai colori bruciati e sfilandoci sotto ci dirigiamo
decisi verso un’altra meraviglia geologica africana, circa 180 chilometri
in linea d’aria a sud del Vingerklip. Una volta in questa regione c’era
un vulcano, oggi c’e una curiosa formazione rocciosa cosi’ simile ad un
nostro monte nazionale che gli e’ valso il soprannome di “Cervino d’Africa”
! Il nome vero e’ Spitzkoppe e la sua cima raggiunge altitudine 1728 metri.
La pista finisce contro un cancello aperto, oltre il quale si trova l’ufficio
del campeggio che abbiamo scelto come l’ultimo di questo viaggio.
Gestito dalla comunita’ locale e
molto economico, ha piazzole in posti davvero spettacolari alla base della
montagna: dopo aver pagato ci dirigiamo proprio a scoprire le forme mammellonate
della montagna seguendo le sottili piste sabbiose aperte al pubblico –
ce ne sono infatti di interdette al di la’ di una rete che circonda una
vasta area intorno alla formazione rocciosa -. Per la notte optiamo per
la piazzola numero 20 situata alla base delle pendici occidentali di Spitzkoppe.
Verso ovest si stende all’infinito la piatta savana gialla mentre verso
est contro il cielo privo di nubi si stagliano le forma morbide della montagna.
Ne scaliamo le pareti di roccia ed aspettiamo l’ora del tramonto osservando
i microcosmi nascosti su queste rocce e la savana che si stende sotto di
noi; la stessa roccia si presenta ai nostri occhi incredibilmente simile
a quella che forma Uluru e Kata Tyuta in Australia, con lo stesso colore
arancio rossastro e le stessa ruvidezza che permette una facile arrampicata.
In Australia ci siamo astenuti volentieri dal risalire le montagne sacre
al popolo aborigeno ma qui, non avendo letto nulla circa la sacralita’
del luogo, non resistiamo e ci lasciamo tentare da questa esperienza unica
nel suo genere: camminare su rocce nude color rosso fuoco al sole morente
da’ un senso di liberta’ assoluta e di primitivo piacere regalando alle
nostre anime ricordi di nostalgica dolcezza. Le nostre ombre si allungano
velocemente sulle ripide pareti che sovrastano la piazzola numero 20 e
la piccola Nissan bianca che ci aspetta silente per l’ultima volta, per
l’ultima notte.
Scendiamo e ci incamminiamo nella
savana verso ovest. Quando ci giriamo le rocce del “Cervino” sono cosi’
rosse che sembrano finte, il tramonto che segue sara’ indimenticabile !
Sabato 26 Agosto
Partiamo molto presto questa mattina:
nel pomeriggio ci aspetta il volo per l’Italia.
Lungo una delle ultime piste diveniamo
spettatori di una scena eccezionale nella sua semplicita’: un attimo dopo
chiudiamo gli occhi e decidiamo che questa e’ l’ultima immagine che vogliamo
portare a casa di questo viaggio, di questo popolo, di questa gente.
La pista polverosa. L’erba gialla
che si perde all’infinito. Un gruppetto di acacie spinose. Un ragazzo dalla
pelle nerissima che cammina verso la pista, che ci sorride, che solleva
alta la mano per salutarci.
Due lacrime ci inumidiscono gli
occhi. Una e’ di nostalgia per cio’ che stiamo lasciando. L’altra e’ di
felicita’ per tutti i nuovi meravigliosi ricordi che abbiamo dentro e che
l’Afriva ancora una volta ci ha saputo regalare …. |