Appunti di Viaggio a Singapore
E’ una realizzazione: SteveR On line da Gennaio 1999
APPUNTI DI VIAGGIO A SINGAPORE
AGOSTO 2004
Singapore, la città del Leone
Qualche notizia generale.
Singapore
prende
il
nome
da
una
leggenda
Malese
che
narra
di
un
principe
dell’isola
di
Sumatra
che
si
imbatté
a
Temasek
(l’antico
nome
della
località
corrispondente
più
o
meno
alla
odierna
Singapore)
in
un
leone
(poiché
i
leoni
in
questa
zona
non
sono
mai
esistiti
probabilmente
si
trattò
di
una
tigre),
fatto considerato di tal buon auspicio da spingerlo a fondare “Singapura” ovvero la “città del leone” dal sanscrito Singa = “leone” e Pura = “città”.
Singapore
è
una
repubblica
facente
parte
del
Commonwealth
formata
da
un’isola
principale
completamente
urbanizzata
e
58
altre
piccole
isole
semideserte
o
abitate
da
piccoli
villaggi
di
pescatori,
zingari
del
mare,
ecc.
L’isola
principale
è
collegata
alla
Malaysia,
alla
quale
nel
passato
il
piccolo
stato ha fatto più volte parte, tramite un ponte stradale di poco più di un chilometro.
La
posizione
geografica,
pochi
chilometri
più
a
Nord
dell’equatore,
rende
la
città-stato
calda,
nuvolosa,
afosa
e
piovosa
praticamente
quasi
tutto
l’anno
(con
un
picco
di
precipitazioni
intorno
a
Novembre-Gennaio)
anche
se
nel
nostro
caso
abbiamo
avuto
la
fortunata
eccezione
di
trovare
quattro
giorni
di
cielo limpido (ma il clima era comunque molto afoso).
Sempre
a
causa
della
posizione
geografica,
in
mezzo
alle
principali
rotte
mercantili,
Singapore
fu
sempre
al
centro
degli
interessi
commerciali
mondiali
e
questo
favorì
uno
sviluppo
che
negli
anni
sessanta
decollò
lo
Stato
verso
la
modernità.
La
stabilità
politica
degli
ultimi
quarant’anni
(purtroppo
spesso
a
discapito
della
democrazia)
cosa
non
comune
in
questa
parte
del
mondo,
il
basso
tasso
di
criminalità
e
corruzione
fecero
il
resto:
oggi
è
praticamente
uno dei paesi più ricchi e alfabetizzati al mondo con poca disoccupazione ed ottima sanità.
Il nostro viaggio.
Non
pretendo
di
conoscere
bene
Singapore
in
quanto
vi
ho
sostato
meno
di
quattro
giorni
(divisi
in
due
soggiorni
da
due
notti
ciascuno:
uno
per
spezzare il viaggio di andata verso Darwin ed un altro di ritorno da Sydney) ma sono stati intensi per poterli sfruttare fino all’ultimo minuto.
Singapore parte uno – la City
Arrivammo
il
pomeriggio
con
un
jumbo
della
Quantas
da
Francoforte
e
dopo
aver
spedito
qualche
email
di
saluto
e
rassicurazione
ai
cari
tramite
uno
dei
tanti
internet-point
gratuiti
dell’aeroporto
ci
dirigemmo
subito
verso
Orchard
Road
dove
avevamo
prenotato
una
stanza
al
superlussuoso
“Le
Meridien” (aggiornamento 2010: oggi si chiama Corcorde Hotel)
Come
ho
spesso
detto
non
amo
il
lusso
ma
a
Singapore,
metropoli
ricca
e
occidentalizzata,
fu
una
scelta
che
mi
sembrò
intonata,
incoraggiata
anche
dal
fatto
che
i
prezzi
erano
abbastanza
“orientali”
ovvero
contenuti.
Mi
avevano
preparato
ad
una
città
dove
la
vita
era
cara
ed
invece
personalmente,
dall’hotel
di
lusso,
al
mangiare
o
al
taxi,
l’ho
trovata
senza
dubbio
al
di
sotto
di
quello
che
avrei
speso
ad
esempio
in
Italia:
probabilmente
aveva
inciso
molto
il
calo
improvviso
di
turismo
(una
voce
importante
per
l’economia)
avuto
l’anno
prima
(2003)
quando
la
città
fu
per
molti
mesi
off-limit
a
causa
della Sars (la sindrome respiratoria acuta) ed il cambio favorevole dell’euro.
La
Sars
è
ancora
tenuta
sotto
controllo
in
aeroporto
da
scanner
a
distanza
della
temperatura
corporea
e
questionari,
mentre
il
governo
per
risollevare
il
turismo
ha
fatto
distribuire
a
tutti
i
cittadini
una
cartolina
di
invito
da
spedire
fuori
Singapore
con
un
bonus
da
1000
dollari
da
spendere
liberamente
in
città.
Notai
subito
con
piacere
che
le
mance
erano
poco
usate
e
che
il
servizio
ovunque
era
impeccabile
(non
mi
riferisco
solo
all’hotel),
la
gentilezza
formale
tipica orientale si miscelava all’efficienza, alla sveltezza e precisione occidentale (per citare luoghi comuni).
Al
momento
di
prendere
possesso
della
stanza
una
buona
opportunità:
avevo
prenotato
una
sola
notte
al
Meridien
ma
poiché
la
avrei
dovuto
riprendere
l’aereo
il
giorno
seguente
alle
22,15
mi
faceva
comodo
prendere
la
stanza
anche
il
giorno
dopo:
quindi
mi
ero
rassegnato
a
pagare
un
giorno
suppletivo;
invece
mi
proposero
con
15
euro
in
più
di
prendere
la
“suite”
e
poiché
il
giorno
seguente
era
libera
mi
permetterono
di
tenerla
senza
pagare: morale una suite ad un prezzo inferiore di una camera normale :-).
Per
mia
moglie
e,
con
mia
meraviglia,
per
Maeva
(s’impara
presto
la
vita
!)
alloggiare
alla
suite
del
Meridien
fu
una
graditissima
sorpresa,
una
di
quelle
esperienze
che
si
possono
fare
poche
volte
nella
vita
(e
per
mia
figlia
era
già
la
seconda,
mi
era
capitato
qualcosa
di
simile
a
Cancun):
doppia
stanza
con salotto, camera da letto da mille ed una notte, adsl, doppio tv satellitare (Rai compresa) e bagno da spot pubblicitario…
Dopo
aver
sistemato
le
valigie
e
accontenato
Maeva
con
una
decina
di
giri
nei
quattro
ascensori
a
tubo
trasparenti
(pensava
fossero
una
giostra,
sconsigliati
a
chi
soffre
di
vertigini)
uscimmo
per
curiosare
lungo
la
strada.
Orchard
Road
era
una
delle
strade
centrali
dello
shopping
sfrenato
(Singapore
è
un
porto
franco
quindi
niente
tasse
doganali
per
la
maggior
parte
degli
articoli
di
lusso
o
elettronici)
quindi
mi
dileguai
subito
(quando
è
troppo
è
troppo)
rintanandomi
nei
sotterranei
dell’hotel
ovvero
nel
centro
commerciale
che
sorgeva
sotto
il
Le
Meridien,
nel
quale
s’incominciava
ad
intravedere
l’anima
orientale
della
città
anche
se
in
versione
modernizzata.
Piacevolissima
la
passeggiata
nei
due
livelli
sotterranei
nei
quali
si
alternavano
pulitissimi
negozietti
di
artigianato
e
botteghe
ben
tenute
di
arti
orientali
come
massaggi
(di
ogni
tipo:
cinesi,
thai,
shatzu,
rilassanti,
terapeutici, specifici ai piedi, alla testa…) o medicine alternative come agopuntura o aromaterapia e cromoterapia e centri di meditazione yoga.
Il
reparto
però
più
piacevole
era
quello
gastronomico
dove
dei
grandi
padiglioni
ospitavano
tutti
i
fast-food
di
cucina
orientale:
cinese,
indiana,
tailandese, vietnamita, giapponese o altre miscelate tra loro.
Ci
sedemmo
quindi
nei
tavoli
comuni
del
centro
gastronomico
e
per
9
dollari
di
Singapore
(ovvero
poco
più
di
4
euro-cambio
al
2004)
presi:
gamberoni
stufati
(tanti),
un
riso
al
curry
e
delle
verdurine
lesse
che
mangiai
accompagnando
il
tutto
con
una
birra
speziatissima
di
radice;
Maria
per
molto
meno
invece prese un’accoppiata riso-verdure-calamari.
Quello
che
notai
subito
riguardo
il
cibo
fu
l’insolita
(insolita
per
un
paese
Orientale)
mania
di
pulizia,
nessuna
bancarella
all’aperto
in
strada,
nessun
genere alimentare scoperto o con insetti volanti (o terrestri !) intorno…tutto lucido, lustro, profumato, igienico.
La
pulizia
e
l’ordine
infatti
sono
l’imperativo
a
Singapore
!
Sono
famosi
in
tutto
il
mondo
i
suoi
divieti
rigidissimi
come
il
divieto
di
masticare
(ma
anche
solo
di
possedere)
le
gomme
americane,
il
divieto
di
fumare
nei
luoghi
chiusi,
il
divieto
di
gettare
anche
solo
la
cenere
in
strada,
il
divieto
di
questo
e
di
quell’altro…e così via (fino all’inverosimile…tra le curiosità: è perfino vietato avere rapporti sessuali orali con la propria moglie !).
Le
regole,
tutte
punite
severamente
(dalla
multa
alla
tortura),
sono
talmente
diventate
un
simbolo
della
città
da
essere
immortalate
su
vistose
magliette kich per turisti vendute in gran quantità industriale a Chine Town.
Però
devo
ammettere
che
così
Singapore
(intesa
come
urbe,
non
come
governo)
è
un
vero
esempio
mondiale
di
perfezione
e
di
ordine,
tant’è
che
è
considerata
la
metropoli
orientale
più
vivibile:
il
tasso
di
criminalità,
come
ho
detto
prima,
è
quasi
a
zero
(anche
perché
i
delinquenti
fanno
una
brutta
fine),
l’architettura
dei
centri
abitati
è
evoluta
e
funzionale
(soprattutto
dopo
l’”olocausto
architettonico”
ovvero
dopo
l’abbattimento
negli
anni
60-70
di
interi
vecchi
quartieri
per
far
posto
a
moderne
abitazioni),
la
rete
di
mezzi
pubblici
sia
di
superficie
che
sotterranei
è
ottima
ed
il
traffico
regolato
e
limitato
(per
avere
un’auto
privata
a
Singapore
bisogna
dimostrare
di
possedere
un
parcheggio,
pagare
un
bollo
di
molte
migliaia
di
euro
l’anno
e
acquistare
un
permesso
di
circolazione
che
può
essere
limitato
ad
alcuni
giorni
della
settimana
e/o
ad
alcuni
tragitti
ben
precisi)
e
le
telecamere
controllano e vegliano su tutto a dispetto della privacy.
Ancora
un
giro
e
tornammo
nella
hall
dell’hotel
dove
una
giovane
cinese,
ignorata
da
tutti,
suonava
in
estasi
quasi
mistica
dei
brani
di
musica
classica
con
il
pianoforte
…mi
fermai
accanto
ad
ascoltarla
mentre
Maria
andò
a
fare
la
doccia
e
Maeva,
da
perfetta
monella,
andò
a
spegnere
una
ad
una
col
soffio
le
decine
di
candele
accese
sopra
i
tavolini
della
grande
reception
e
giocare
con
le
fontane
interne…finito
l’arduo
lavoro
volle
essere
accompagnata a fare ancora qualche altro giro in ascensore e poi crollò finalmente dal sonno.
Il
giorno
seguente
dopo
una
pantagruelica
colazione
orientale
mattutina
uscimmo
e
ci
recammo
ad
Orchard
Road
300
dove
tramite
l’Holiday
Tours
&
Travel,
un’agenzia
turistica
locale,
prenotammo
i
pulman
(più
di
uno)
per
poter
fare
un
giro
della
città
e
toccare
anche
se
frettolosamente
i
quartieri
più
significativi…alle 9 partimmo: durata più o meno quattro ore.
Da
quello
che
ho
potuto
vedere
Singapore
è
praticamente
una
città
affogata
nella
giungla
che
a
tratti
spunta
nelle
aeree
(soprattutto
periferiche)
dove
è
stata
lasciata
volutamente
intatta.
Anche
nelle
aeree
urbanizzate
rimane
però
sempre
una
metropoli
molto
verde
con
tantissimi
parchi,
prati,
aiuole
e
giardini
tutti
curatissimi
con
perfezione
maniacale
e
tutti
ricchi
di
fiori,
soprattutto
orchidee
che
sono,
come
in
altre
nazioni
orientali,
il
simbolo
dello
Stato; a questo proposito, da appassionato botanico, feci una visita all’ Orto Botanico.
In
giro
per
la
città
si
incontrano
praticamente
tutte
le
etnie
orientali
del
globo
ma
la
maggioranza
cinese
è
quella
più
ricca,
che
occupa
i
vertici
dell’economia, le migliori case e guida il paese con un pizzico di razzismo nei confronti dei “non cinesi” (minoranza inglese ex coloniale a parte).
La
prima
tappa,
un
“must”,
fu
Chine
town,
dove
accanto
ai
signorili
complessi
residenziali
si
era
salvata
volutamente
dall’olocausto
architettonico
un
pezzo
del
vecchio
quartiere.
Come
tutte
le
Chine
Town
del
mondo
vi
erano
dalle
classiche
botteghe
artigiane
stracariche
di
oggetti
di
ogni
tipo
in
legno,
bambù e carta di riso alle bancarelle piene di cianfrusaglie kich, patacche, gadget semitecnologici e
“cineserie”
bizzarre
di
ogni
specie…il
tutto
accompagnato
dal
profumo
intenso
dell’incenso;
nel
mezzo
del
quartiere
vi
era
un
tempio
induista,
il
più
importante di Singapore: Sri Mariamman.
Seguirono
varie
soste
sia
nella
City
coloniale
che
in
quella
moderna
dove
spiccavano
i
grattacieli
delle
più
importanti
società
orientali,
veri
e
propri
monumenti
al
capitalismo,
mostruosi
di
giorno
quanto
affascinanti
di
notte
con
le
loro
luci
multicolore.
Saltammo
purtroppo
il
solo
quartiere
malese,
ovvero
il
quartiere
musulmano
intorno
ad
Arab
Street
per
raggiungere
il
sobborgo
abitato
dagli
indiani:
Little
India
che
come
le
altre
due
zone
“etniche” (Chine Town ed Arab Street) rappresentavano delle oasi del passato in contrasto con l’ipertecnologico e futuristico del “resto”.
Little
India
fu
senz’altro
la
parte
culturalmente
più
interessante
di
Singapore
con
le
tipiche
attività
commerciali
colorate
e
sempre
profumate
di
spezie
ed
incenso,
il
mercato
semicoperto
tra
i
vicoli
(Kandang
Kerbau
Market)
con
le
bancarelle
di
tessuti,
gioielli,
unguenti
e
manufatti
in
legno,
il
tempio
indiano dedicato alla dea Kali (Sri Veerama Kaliamman) ed altri luoghi religiosi, piccoli musei con foto ed attrezzi di inizio secolo e negozi di dolci.
Il
pomeriggio,
tornati
dalla
gita
e
rinfrescati,
ci
ri-dedicammo
all’attività
più
facile
e
sicura
a
Singapore:
il
girovagare
quasi
senza
una
meta
passando
dal
caldo umido dell’esterno alle potenti arie condizionate degli interni (forse per questo ho sentito tantissima gente tossire).
La
sera,
dopo
rifocillati,
prendemmo
un
taxi
(un
pulmino
ipertecnologico:
stereo
mostruoso,
baracchino
CB,
impianto
Dvd
AC3
con
tre
schermi
a
cristalli
liquidi
e
Cliffhanger
in
spagnolo
ad
alto
volume)
e
ci
dirigemmo
verso
l’aeroporto…nella
mezz’ora/trequarti
di
strada
le
luci
sfavillanti
dei
grattacieli,
la
rilassatezza
del
tragitto
senza
traffico,
il
ristoro
del
condizionatore,
i
semafori
lampeggianti
incominciarono
a
dare
i
primi
effetti
psicadelici
della
stanchezza…gli
occhi
si
facevano
pesanti,
Maria
e
Maeva
erano
già
crollate
da
un
pezzo
…abbracciai
una
valigia
e
caddi
nel
dolce
torpore.
Al
brusco
risveglio seguì la trafila per prepararsi all’imbarco verso Darwin…
<<Ciao Singapore: ci vediamo tra una ventina di giorni !>>
Singapore parte due – Sentosa Island
Dopo
un
bel
fly
&
drive
nel
Queensland
e
nel
Northern
Territory
tornammo
a
Singapore,
erano
le
quattro
di
un
mattino
afoso
e
città
dormiva
profondamente;
dopo
la
solita
puntatina
agli
Internet-Point
gratuiti
dell’aeroporto
(ne
aggiustai
uno
“impallato”)
per
consultare
la
mia
casella
postale
e
rispondere
a
qualche
email
prendemmo
un
taxi
verso
l’ultima
meta
del
viaggio:
Sentosa
Island.
Nonostante
l’assenza
di
traffico
il
tragitto
all’interno
della città non fu breve:
<<
i
grattacieli
che
a
Singapore
alti
e
schietti
van
nella
città
in
duplice
filar,
quasi
in
corsa
giganti
giovinetti
mi
balzarono
incontro
e
mi
guardar.
Mi
riconobbero,
e
ben
torni
omai
bisbigliaron
ver
me
col
capo
chino,
perché
non
scendi
?
perché
non
ristai
?
Afosa
è
la
sera
e
a
te
noto
il
cammino…>>
;
gli
scintillanti
grattacieli
scorrevano
lungo
le
ampie
strade,
al
porto
(il
secondo
più
grande
al
mondo
dopo
Rotterdam,
il
primo
come
movimentazione
merci)
si
ergevano
colonne
di
container
impilati
uno
sopra
l’altro
come
mattoncini
della
Lego
in
file
talmente
lunghe
da
non
riuscire
a
vederne
la
fine,
una
pagoda
faceva
intravedere
all’interno
il
fioco
bagliore
di
un
lumicino,
gli
uccelli
cantavano
nel
buio
profondo
quasi
a
sollecitare
l’alba,
le
raffinerie
di
greggio e i mercantili alla rada illuminavano il piatto mare come un presepe…romantico no ?
Sentosa
è
un
isola
a
poche
centinaia
di
metri
dalla
“city”;
si
raggiunge
via
terra
tramite
un
ponte
oppure
di
giorno
tramite
una
funivia
o
un
traghetto
veloce.
E’
un
isola
divenuta
turistica
quando
nel
1970
smise
di
essere
una
base
militare
ed
è
una
delle
maggiori
zone
alberghiere
(a
dispetto
del
suo
nome
che
vuol
dire
“tranquillità”)
dove
tutto
è
perfetto,
bello
ed
artificioso,
immersa
com’è
nel
verde
curatissimo
dove
uccelli,
scimmie
e
altri
piccoli
animali
vivono
indisturbati
e
liberi
nei
vari
parchi.
Fontane,
musei,
divertimenti
di
ogni
genere,
mezzi
pubblici,
spiagge:
tutto
bello,
tutto
finto,
tutto
grottesco, tutto piacevole, tutto il contrario di quello che appare: una magnifica contraddizione.
Arrivammo
a
Sentosa
poco
prima
dell’alba;
al
casello
d’entrata
esibimmo
i
nostri
documenti
di
prenotazione
(all’entrata
si
paga
una
tassa
se
non
si
alloggia
in
un
hotel
all’interno)
e
continuammo
fino
al
nostro
alloggio
presso
il
sontuoso
Shangri-La’s
Rasa
Sentosa
Resort
che
per
due
giorni
sarà
la
nostra
base
per
la
visita
approfondita
dell’isola.
La
nostra
camera
era
vista
mare
e
dopo
aver
sistemato
i
bagagli
aspettai
l’alba
per
poter
vedere
meglio
il
panorama:
sotto
una
splendida
spiaggia
tropicale
da
cartolina
si
estendeva
tra
sabbia
bianca
e
suggestive
palme
da
cocco,
di
fronte
si
incominciavano
ad intravedere nel chiarore mattutino delle isolette, anch’esse con palmizi, che ricordavano i “motu” polinesiani.
Scesi
in
spiaggia
a
dare
un’occhiata
da
vicino,
era
ancora
deserta,
e
subito
scoprii
che
quello
che
sembrava
era
in
realtà
diverso:
la
spiaggia
era
di
sabbia
riportata,
le
palme
(si
quelle
erano
vere
non
di
plastica
!)
erano
state
piantate
e
fatte
crescere
artificiosamente
in
pose
suggestive
(tipo
quelle
ricurve
a
simulare
la
potenza
degli
elementi)
ed
erano
dotate
di
impianto
nascosto
di
innaffiamento,
il
mare
era
letteralmente
una
fogna
di
Calcutta
a
cielo
aperto
(e
dire
che
c’erano
i
cartelli
“divieto
di
dar
da
mangiare
ai
pesci
delle
nostre
incontaminate
acque
tropicali”
oppure
“attenzione
ai
pesci
pietra”
),
le
isolette
di
fronte,
alcune
raggiungibili
a
nuoto
altre
tramite
passerelle,
ponticelli
o
sentieri,
erano
completamente
artificiali
e
fungevano
da
frangiflutti
e
soprattutto
in
unione
ad
alcune
reti
da
respingitrici
di
rifiuti
galleggianti
provenienti
dall’Oceano,
più
in
là,
il
mare
aperto
con
centinaia
di
navi
da
carico,
petroliere,
rimorchiatori
e
chiatte
immobili
ancorate
…però
devo
ammettere
che
la
coreografia
era
perfetta:
ci
ero
quasi
cascato…magari
facessero qualcosa del genere anche lungo le coste più degradate dei nostri mari.
Facendo
un
giro
per
Sentosa
scoprii
che
c’erano
altre
spiagge
così
perfette
nelle
quali
la
gente
si
faceva
tranquillamente
il
bagno…io
nonostante
il
caldo
soffocante e la mia tenuta marina preferii per me e mia figlia (per la prima volta in vita mia) una relativamente più igienica mega-piscina.
Una
curiosità:
non
so
se
dipendesse
dal
dopo
Sars
o
semplicemente
perchè
Sentosa
era
fuori
dai
normali
circuiti
turistici
occidentali
ma
durante
il
nostro
girovagare
incontrammo
solo
gente
con
gli
occhi
a
mandorla
e
indiani…anche
in
albergo
eravamo
gli
unici
(e
ripeto
UNICI)
“non
orientali”
ed
infatti
soprattutto
Maeva
fu
bersagliata
dall’attenzione
di
tutti
ed
in
quanto
“mosca
bianca”
fotografata
da
un
sacco
di
persone
che
ci
chiedevano
il
permesso di posare insieme a lei per riportare un ricordo a casa: Cinesi per primi ma anche Coreani, Giapponesi, Thailandesi…
…di conseguenza anche la cucina dell’hotel (soprattutto per quanto mi riguardava la colazione) era esclusivamente a base di piatti orientali.
L’isola
di
Sentosa
fu
veramente
piacevole
da
scoprire
anche
perché
facile
da
girare
in
autonomia
con
una
micro-cartina
in
mano
(qui
ne
ho
scannerizzata
una)
utilizzando
i
mezzi
pubblici
gratuiti.
Ovviamente
anche
questi
mezzi
erano
intonati
al
bizzarro
ambiente
disneyano;
infatti
ad
esclusione
di
qualche
tradizionale
bus
rosso
il
resto
dei
trasporti
erano
formati
da
improbabili
trenini
composti
dai
soliti
trattori
“camuffati”,
assurdi
autobus colorati da Luna Park e dalla monorotaia.
La
monorotaia
correva
per
tutta
l’isola
e
a
prima
vista
dava
l’impressione
di
qualcosa
di
avveniristico…in
realtà
anche
se
molto
comoda
in
termini
di
percorso
(tocca
quasi
tutti
i
luoghi
più
importanti
e
abbinata
ad
un
bus
permette
di
arrivare
ovunque)
era
un
trabiccolo
di
legno
per
niente
confortevole,
traballante,
lento,
semi-aperto,
senza
aria
condizionata
ed
assomigliava
più
ad
una
giostra
di
paese
(addirittura
di
notte
guarnita
dai
tubi
di
lucette
simili
a
quelle
delle
feste
rionali)
che
ad
un
moderno
servizio
pubblico…però
era
senz’altro
un
mezzo
suggestivo
e
panoramico…
meno
male
che non pioveva !
Una
delle
tappe
più
importanti
fu
l’Underwater
World
appena
fuori
dell’albergo.
Il
biglietto
ci
costò
17,30
dollari
di
Singapore
(pari
a
8,2
euro-cambio
2004)
a
testa
(i
bambini
pagavano
da
3
anni
in
poi
ma
Maeva
era
stata
istruita
a
dire
con
le
dita
ed
in
inglese
che
aveva
2
anni
per
non
pagare)
e
furono
soldi
ben
spesi:
l’acquario
non
era
immenso
ma
era
pur
sempre
il
più
grande
di
tutta
l’Asia
con
rarità
marine
quali
un
dugongo
(una
specie
di
tricheco
tropicale)
e
dei
draghi
di
mare
(dei
rari
cavallucci
marini)
e
con
un
lungo
corridoio
a
ferro
di
cavallo
che
insieme
ad
un
tapirulan
permetteva
di
“entrare”
all’interno
di
una
grande
vasca
dove
poter
osservare
a
180
gradi
moltissimi
pesci
di
barriera
squali
e
razze
comprese…non
vi
dico
l’emozione
di Maeva oltre che la mia da vecchio appassionato acquariofilo !.
I
due
giorni
passarono
veloci
e
faticosi
in
una
serie
di
visite,
lunghe
passeggiate
al
caldo,
bevande
fredde
(magari
al
Bora
Bora
Beach
Bar
😉
e
spuntini
veloci
a
base
di
fish-burger,
o
piatti
cinesi
take-away.
Da
segnalare
le
spiagge
di
Palawan
e
Tanjong
dotate
di
spogliatoi
pubblici
(grazie
al
sole
limpido
ci
potemmo
permettere
un’oretta
di
abbronzatura),
l’enorme
statua
del
leone
di
Singapore
sulla
quale
testa
si
può
ammirare
tutto
il
panorama
dell’isola,
il
Forte
Siloso
proprio
vicino
al
nostro
albergo
dove
erano
riprodotte
scene
con
armi
originali
delle
fortificazioni
dell’isola
al
tempo
coloniale,
il
Vulcano
Land
dove
si
assisteva
ad
una
storia
folcloristica
messicana
Maya
(incredibile
!)
ed
una
spiegazione
con
effetti
speciali
della
formazione
dei
vulcani,
le
fontane
musicali
con
le
quale
si
organizzavano
spettacoli
dopo
le
17.00,
i
vari
giardini
tematici,
l’Asian
Village
con
il
suo
campo
da
golf
e
le
riproduzioni
di abitazioni, giardini orientali ed altro …insomma non c’era da annoiarsi…persino un parco giochi per piccoli !
Particolarmente
emozionante
per
nostra
figlia
fu
quando
andammo
(l’entrata
era
gratuita
esibendo
il
biglietto
dell’Underwater
World)
al
delfinario.
Tre
delfini
completamente
rosa
(si
trattava
di
una
particolare
specie
indo-pacifica
dalla
pelle
da
un
rosa
pallido
confetto
ad
un
rosa
shocking)
si
esibivano
nei
soliti
esercizi
di
abilità
all’interno
di
un
tratto
di
mare
recintato.
Alla
fine
dello
spettacolo
vedemmo
una
fila
di
bambini
disporsi
di
fronte
alla
spiaggia
che
con
l’aiuto
di
istruttori,
dopo
aver
disinfettato
le
mani
per
evitare
di
contaminare
i
delfini,
entravano
in
acqua
per
avvicinare
i
cetacei
ed
accarezzarli
con
tanto
di
foto
ricordo…non
era
un
esempio
“ecologicamente
corretto”
ma
potete
immaginare
la
gioia
dei
piccoli
!
Andai
subito
ad
informarmi
sulla
faccenda
mentre
misi
in
fila
Maeva;
purtroppo
quando
parlai
con
la
direzione
scoprii
che
il
numero
delle
“visite”
era
limitato
per
non
recare
fastidio
all’animale
e
che
i
prossimi
biglietti
sarebbero
stati
emessi
il
giorno
seguente…andai
quindi
da
Maeva
per
comunicare
la
triste
notizia
quando
una
turista
inglese
nel
capire
la
situazione
si
offrì
per
trattare
con
gli
istruttori:
ne
seguì
una
animata
discussione
che
finì
con
la
capitolazione
dello
staff:
Maeva fu accettata in acqua ed ebbe il suo momento di gloria accanto al suo primo delfino !
La
sera
preparammo
le
valigie…un
improvviso
forte
vento
caldo
si
alzò
ed
il
cielo
divenne
cupo…dopo
i
giorni
intensi
ci
aspettava
un
meritato
riposo
con
un
bel
volo
di
12
ore
e
mezza
verso
Francoforte
(e
poi
un
altro
per
Fiumicino)
…questa
volta
la
vacanza
era
proprio
finita
e
non
ci
restavano
che
i
ricordi: questi !