Scrivo questi appunti, pensieri, sensazioni, forse anche qualche luogo comune o qualche banalità soprattutto per me, per me solo, affinchè il tempo non sbiadisca del tutto questa microscopica ma per me significativa parentesi di vita e l'affido ad internet perchè sicuramente tra siti-cache e siti-storici ridondanti sarà più al sicuro che nella mia deperibile cartella documenti.
Scrivo immediatamente e d'un fiato questa paginetta prima che il tempo renda i ricordi sempre più simili ad un racconto di un altro anzichè vissuti di persona !
Tuttalpiù questo scritto può essere di relativo conforto a quei genitori che hanno lo stesso difetto cardiaco di mia figlia.
Maeva è nata cinque anni e mezzo fa e subito le è stato diagnosticato un difetto interatriale (DIA) di tipo ostium secundum, cioè un bel "foro", nel suo caso più di un centimetro di diametro, nella parte alta della parete che separa i due atri del cuore, che determina, a causa si un superlavoro (doppio) dell'atrio destro, vari problemini di crescita e/o di affaticabilità nei primi anni e, se non corretto, possibilmente in età prescolare, problemi più seri in età adulta.
Appena saputo ci prese quasi un infarto...poi metabolizzando la questione, anche grazie alle rassicurazioni dei vari cardiologi durante questi anni di controlli, con consapevole rassegnazione abbiamo atteso il momento dell'intervento che sarebbe avvenuto nell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, una struttura Vaticana all'avanguardia qui a Roma, che raccoglie tutti i piccoli pazienti del centro e del sud d'Italia e non solo...
E' il 25 Ottobre del 2006, un mercoledì, e finalmente è giunto il momento, più volte rimandato per varie cause, di affrontare il problema.
Dopo aver spiegato per sommi capi in assoluta tranquillità a Maeva cosa avrebbe dovuto affrontare e perchè (la degenza, il suo "buco", il tipo di "riparazione", l'anestesia, il dopo intervento...), con zaini alla mano, la mattina prestissimo ci dirigiamo verso il Gianicolo sicuri di aver preparato Maeva all'evento... ma chi avrebbe preparato noi a quello che avremmo visto?
Ci siamo organizzati in questa maniera io dormirò tutte le notti in quanto mia moglie Maria dovrà tornare la sera dai suoi genitori ad allattare la nostra piccola Marika poichè a dieci mesi è ancora tetta-dipendente e sarò presente anche il giorno, Maria mi raggiungerà tutte le mattine e se possibile un paio di volte mi darà il cambio per il tempo di una doccia a casa.
Parcheggio l'auto nel Terminal del Gianicolo acquistando un abbonamento settimanale e percorro la salita panoramica che mi separa dall'entrata dell'ospedale immerso in mille pensieri, sono molto informato e quindi cosciente di rischi e benefici...all'inizio quindi della vicenda il mio pensiero va solo per la mia piccina...ma sarà così fino alla fine ?
Il primo impatto con il Purgatorio.
Dopo aver assistito agli esami d'uopo (ecocolordoppler, elettrocardiogramma, prelievo sangue, colloqui con cardiologo, anestesista, ecc...) e firmato gli inquietanti  consensi informati, vado allo sportello per la pratica dell'ospedalizzazione programmata...accanto a me c'è una mamma che con gli occhi cerchiati di fuoco compila una serie di fogli...l'inserviente le parla con una voce bassa "signora, si faccia forza...mi dispiace...comunque non deve pagare nulla quando c'è un decesso..."
Con il cuore in gola per l'animo ancora troppo terso, quasi ignaro di quello che è in realtà la vita in un ospedale pediatrico, un luogo di cura e speranza ma anche di dolore e morte mi reco con gli incartamenti in mano da chi dovrà assegnare il posto letto...poi, poichè è l'ora di pranzo, buttiamo giù l'ultimo boccone decente della settimana nella mensa dell'ospedale.
Finalmente la stanza è assegnata, è pomeriggio, un caldissimo pomeriggio, la stanza è nel vecchio padiglione Maria Salviati, al secondo piano, nel reparto di cardiologia a fianco a quello di oncologia.
Cardiologia non è un reparto grande ed è formato da cinque stanze da due e quattro letti l'una, più i locali di servizio ed infermeria.
La stanza dove siamo sistemati non è ampia, nonostante ci debbano vivere otto persone, quattro piccoli pazienti e quattro genitori più eventuali visitatori. E' molto vecchia e cadente con dei pensili dagli sportelli fuori asse, lettini cromati di altri tempi, sedie in plastica malridotte, antichi comodini portapranzo con le rotelle e delle sgangherate poltrone letto di velluto completamente incrostate da macchie di decine di anni di pappe e rigurgiti, sarà una di quest'ultime il mio letto per i prossimi giorni.
Le vite fuori dalla mia.
Maeva prende posto nel suo lettino, il numero tre, come appare dai numeri di carta ritagliata e colorata da chissà quale bambino...saluto gli altri componenti della stanza i quali a mezze parole contraccambiano. C'è poco da gioire, c'è poco da parlare e c'è poco da fraternizzare in quel luogo, ognuno giustamente è concentrato sul proprio problema, sul proprio figlio, tutti sono in attesa di una operazione delicata, ognuno è seduto sulla sedia con il corpo rivolto verso il lettino ad intrattenere e consolare il proprio bimbo, ognuno è comprensibilmente chiuso in se stesso, senza voglia di socializzare, se non per scambiare pareri ed opinioni su patologie simili nella speranza di carpire qualche informazione; oramai sono tutti esperti di patologie cardiache e sanno di cosa parlano. Non c'è scambio di sorrisi, indirizzi o telefoni come accadrebbe in un'altra situazione, molti di loro si incontreranno altre volte, magari in ospedali di altre città, e si faranno un cenno perchè, come mi hanno spiegato, ognuno pensa per se e i guai degli altri vanno lasciati alle spalle; apprenderò piano, piano i giorni successivi dai discorsi con i famigliari, dagli sfoghi, dalle imprecazioni le varie storie di vita.
Di fronte a me c'è G, una gracile bimba di quasi cinque anni che viene dall'Abruzzo. Come tutti, tranne Maeva, non è alla sua prima operazione (spesso si è alla quarta o alla quinta) e non è neppure all'ultima. E' tristissima, sia perchè è già stata ricoverata e quindi è consapevole che non è bel posto per passare una settimana, sia perchè il sorriso della mamma non riesce a nascondere il reale stato dell'umore. Ha vari difetti congeniti tra cui delle arterie che si chiudono e devono essere lasciate aperte tramite dei tubicini inseriti, solo che mano mano che il corpo cresce e le arterie si allungano anche i tubicini vanno cambiati e anche da adulta, se non troveranno un sistema diverso, dovranno essere di tanto in tanto cambiati perchè si possono incrostare. L'operazione non è difficile ma deve essere ripetuta ogni tanto, i genitori, come tutti gli altri, sono costantemente in cerca di notizie ovunque, dai giornali, dai medici, su internet e hanno letto di esperimenti in America su animali che riguardano nuovi materiali che permetterebbero di far allungare i tubicini autonomamente, senza sostituzione, durante la crescita e sperano...sperano che un giorno diventino la soluzione per la loro bimba. Poichè G ha circa la stessa età di Maeva cerco di avvicinarle tra loro per permettere una amicizia ma non è quello il luogo ed il tempo. Il faccino smunto di G, tra l'altro con un occhio nero per una recente caduta ad una festa, non presagisce nessun interesse; le offro un foglio da disegno, un pennarello, la mamma una sera le dice di andare a fare una passeggiata per il corto corridoio con me e Maeva, la prendo per mano ma è come un piccolo manichino triste: non parla, non tradisce emozioni ed al termine del cammino si rifugia dalla mamma. Verrà operata prima di mia figlia con parziale successo (le trovano infatti altre arterie che tendono a chiudersi), e probabilmente non sarà per lei l'ultima volta, ed uscirà di scena come tutti in punta di piedi .
Di fianco a me invece il lettino di A., una bimbetta, con le occhiaie, anche lei minuta come quasi tutti i cardiopatici, di un anno e mezzo...ha un faccino curioso dai tratti orientali ma è siciliana. E' venuta a Roma per l'operazione con la nonna, una squisita insegnante in pensione, e con i genitori. In realtà la nonna, dopo aver avuto in gioventù appena il tempo di battezzare i suoi quattro figli prematuramente dipartiti, aveva adottato con soddisfazione due sorelline ed una di queste era la mamma di A. Purtroppo, dramma nel dramma, i genitori di A. si sono da pochissimo separati ed in maniera tutt'altro che amichevole e la loro temporanea forzata convivenza in ospedale per assistere la figliola non crea certo un clima sereno. A. ha perso quindi da poco la sua "famiglia" e sta per essere operata e non certo per la prima volta come tradiscono le varie cicatrici presenti nel corpicino. Le malformazioni cardiache le causano tra i vari problemi una stenosi polmonare cioè una cianosi improvvisa, una improvvisa mancanza di ossigeno che rende blu la pelle. Verrà operata anche lei prima di Maeva ma con limitato successo (il commento dei medici sarà: "poteva andare meglio") e per ora tornerà a casa.
Infine in fondo alla stanza c'è AO., un pupetto pugliese di otto mesi, più vispo degli altri. Mi ricorda un pò la mia Marika più o meno della stessa età che ho parcheggiato dai nonni e che per qualche giorno non vedrò e già mi manca, così AO. attira subito le mie attenzioni. La mamma, una ragazza ad occhio e croce di oltre un quintale ma con un faccino dolce, vestita tutta di nero come a lutto, è una ex infermiera che ha lasciato il lavoro per badare ai suoi quattro suoi figli. E' l'unica con cui scambio qualche parola in quanto attraverso le sbarre del lettino noto che osserva i miei impacci, le mie incertezze ed essendo più esperta di me di "vita d'ospedale" mi da dei consigli: "questo si fa così, quello lo devi chiedere all'infermiere, questo funziona così, ecc." Il papà, di aspetto invece snello, viene spesso a spupazzarsi il suo pargolo. AO. è attaccato perennemente al cardiofrequenzimetro perchè ha delle malformarzioni più gravi che altri. Oltre agli elettrodi adesivi ha una pinzetta con un diodo led rosso attaccata al piedino che tiene sotto controllo l'ossigenazione del sangue, tant'è che di notte si capisce quando AO. si sveglia proprio dal movimento della piccola luce. Di giorno quando si tira su in piedi dal lettino, ad un sorriso lanciato da lontano risponde con un suo sorriso cordiale. La mamma mi racconta che è nato con una malformazione (non saprei rispiegarlo nei dettagli) talmente seria che non sarebbe dovuto campare tanto che all'inizio neppure i medici sapevano spiegarsi come faceva a rimanere in vita, ma poi si erano accorti di una seconda anomalia grave ed avevano ipotizzato che l'una compensava l'altra. La mamma fiera mi fa osservare, alzandolo in alto con le mani, come, nonostante tutto, fosse cresciuto grande e forte ed in effetti non è affatto minuto come gli altri bimbi. La "forza della vita", dico io alla mamma e lei mi risponde la "forza dei bimbi". La mamma non si stacca mai da AO. e durante il giorno con il videotelefonino gli fa vedere i suoi fratelli che ha lasciato al paese e gli fa ascoltare le loro voci. AO. dovrebbe essere il primo bimbo della stanza ad essere operato ma un improvviso problema, la mancanza di sangue, sta per rimandare di molti giorni l'intervento. La mamma, che ha lasciato tre figli al paese, al solo pensiero di dover stare ancora una settimana (o più) inutilmente in quella stanza sbotta in un pianto, poi raccoglie tutto il suo coraggio e si da da fare chiamando dottori ed infermieri, protestando, cercando soluzioni...si offre di donare il proprio sangue dello stesso gruppo e fattore del figlio ma non è possibile perchè bisognerebbe prima fare delle analisi sui sottogruppi (e non solo) e ci vorrebbero giorni, poi chiede l'intervento dell'Avis, poi, non so come, riesce a risolvere il problema e le comunicano che l'intervento non subirà più ritardi...la mamma oramai rassegnata all'annullamento dell'operazione scoppia nuovamente a piangere per la tensione e perchè si deve ancora una volta preparare psicologicamente al delicato momento.
AO. resterà in sala operatoria dodici ore e molte di più in terapia intensiva: malauguratamente non ce la farà.
La prima notte.
Si fa sera e papà e parenti vanno via, sia perchè l'orario delle visite è finito da un pezzo e le infermiere hanno fin troppo tollerato il surplus di persone, sia perchè nelle stanze può dormire un solo genitore per bimbo; io sono l'unico papà del reparto ad esclusione di un ragazzo che intravedo nella stanza a fianco mentre allatta con un biberon un bimbo talmente piccolo che sembra un gattino appena nato. Apprenderò che si tratta di uno dei due gemelli, quello meno fortunato, di un parto avvenuto quindici giorni prima; la mamma è a casa con l'altro e regolarmente fa pervenire al marito il latte materno nell'attesa dell'operazione. Nella stanza a due letti dell'uomo c'è una anche grossa signora di colore venuta con la sua bimba direttamente dal Congo grazie all'interessamento di una suora di una missione.
Dopo aver a lungo intrattenuto Maeva con disegni e giocato con le sue bamboline cado letteralmente dal sonno; le mamme cercano di far funzionare il vecchio televisore, donazione di un negozio all'ospedale, ma i tasti sono rotti, il telecomando defunto, il filo dell'antenna con l'anima metallica attorcigliata a mano su un filo che esce dal muro e si riesce a prendere solo il secondo canale Nazionale e canale Cinque e nemmeno bene...viene quindi subito spento.
Io per primo incomincio ad organizzarmi per la notte, sposto il comodino, la sedia e avvicino la poltrona al lettino di Maeva, la allungo alzando una nuvola di polvere e per non giacere direttamente sulle numerose macchie utilizzo il lenzuolo che gli ausiliari mi hanno dato.  Per fortuna fa caldo in quanto non ho nulla per coprirmi, così mi sdraio nella branda fuoriuscita dalla poltrona vestito in jeans e maglietta...la branda è tutta curve ed affossamenti. 
Una ad una anche le mamme, chi vestita, chi in pigiama, si distendono sulla brande posizionane vicino ai loro pargoli; la stanza è talmente piccola che non ci tocchiamo i piedi per poche decine di centimetri...la situazione mi ricorda vagamente in peggio il servizio di leva militare.
L'ultima spegne la luce, quando c'è già chi dorme per avvantaggiarsi dal momento che il sonno non sarà continuo; non esistono saluti e "buonanotti" perchè di buono non c'è proprio nulla, nè di giorno e nè di notte, ognuno da le spalle al vicino avvolto in una campana di preoccupazioni che scherma la presenza degli altri...c'è solo il proprio figlio in quella stanza.
Maeva ha paura, è un ambiente nuovo e cupo, non è un albergo, nè un parco divertimenti e piagnucola quindi decido, visto che per ora non è attaccata ad alcun apparecchio, di farla scendere dal suo pulito e sopraelevato lettino ai bassifondi della mia branda polverosa rasoterra che però tra le braccia del suo papà si trasforma in una reggia; così presto si addormenta e posso riportarla nel suo più comodo ed igienico giaciglio.
Dalle lunghe finestre di legno traspare la luce del nuovo padiglione Giovanni Paolo II che sta di fronte a noi e che quasi per scherno sfoggia tutta la sua bellezza e modernità, mentre sopra di me vedo le stelle. La notte passa come in ogni ospedale con tratti alternati di veglia e di semi-veglia, per lo meno per me che ho il sonno leggero...in sottofondo il sibilo continuo dei compressori esterni che si somma ai miei perenni acufeni, ogni tanto la sirena di una ambulanza che arriva al pronto soccorso o un pianto di un bimbo. A. ha gli incubi e chiama spesso la mamma che alla fine è costretta a prenderla con se nella piccola branda, G. invece ha voglia di chiacchierare. Durante la notte poi c'è il solito discreto via vai di infermieri sempre pronti a vegliare sui pazienti cambiando flebo, somministrando medicine e cercando di soddisfare le esigenze più svariate: dalla richiesta di qualche pannolino al cucinare persino una pastina ad un bimbo rimasto a digiuno dopo l'intervento.
Io dormo a tappe cullato dall'unico rumore che trovo piacevole, il suono ritmato del cuore di AO. che a basso volume fuoriesce dal suo cardiofrequenzimetro come il monitoraggio di una gestante.
I giorni seguenti.
Oggi sarebbe il giorno programmato per l'intervento di Maeva già rimandato con una telefonata la settimana scorsa...sarebbe perchè in realtà non sarà così. La mia piccola infatti è la quarta in lista d'attesa ma le operazioni chirurgiche possono durare più del previsto ed infatti nonostante da una certa ora della notte sia a digiuno e da una certa ora del mattino non possa bere neppure un goccio d'acqua, cosa piuttosto difficile da far capire ad una bimba assetata, l'intervento slitta al giorno dopo come secondo turno...approfitto per passare a casa a farmi una veloce doccia dal momento già sento addosso un puzzo piuttosto sgradevole ed è ora di cambiarmi; a dire il vero ci sarebbe un bagno con doccia utilizzabile dai non pazienti (quello in stanza è strettamente riservato ai bimbi) ma è uno solo in tutto il reparto e già per fare pipì evitando la fila mi tocca prendere in infermeria la chiave in orari improbabili tipo in piena notte o all'ora di pranzo cercando di non bere troppo negli altri orari. Esco la mattina presto, appena arrivata Maria, l'aria è frizzante sul colle romano, mi sento come svuotato, attonito, non riesco a pensare che a tutti quei bimbi che soffrono insieme ai genitori e quasi scordo che anche Maeva dovrà operarsi...ma in confronto a tutti gli altri pazienti mia figlia è come se avesse un piccolo raffreddore, quasi mi vergogno della fortuna che abbiamo a non avere tanti guai come quelli sentiti. Scendendo verso il parcheggio mi fermo un attimo a guardare Roma dall'alto, è avvolta in una leggera nebbiolina e c'è silenzio (o almeno quello che presumo sia silenzio); di fronte a me il carcere di Regina Coeli, un luogo di pena così simile all'ospedale in quanto si può entrare per non uscire più, si può entrare per uscire definitivamente, si può entrare e rientrare innumerevoli volte ...ma così diverso perchè i bimbi non hanno mai colpa. E anche in auto ed ancora a casa ed ancora i giorni seguenti anche finita tutta la faccenda, a lavoro i miei pensieri non riescono ancora a staccarsi da quel luogo triste di speranza, di cura ma anche sofferenza e di delusione.
Non è la prima volta che dormo in un ospedale ma in una struttura pediatrica è diverso; e non è diverso solo perchè i bimbi con le loro fattezze fisiche sono stati dotati dalla natura di occhioni grandi e di espressioni dolci atte a ispirare in noi adulti amorevolezza, tenerezza e compassione ma anche per la struggente inquietudine che si legge nei volti dei genitori.
Ci sono cose nella vita che dovrebbero andare sempre nella stessa direzione come il tempo che va dal passato al futuro, come il fiume che va dalla fonte alla foce e come dovrebbe essere anche per la vita umana: il giovane assiste la malattia del più anziano, il figlio si addolora per la morte del genitore e alla fine la vita scorrendo va avanti con accettazione...quando l'ordine degli eventi assume un rotta inversa e il genitore è a fianco del figlio cronicamente malato o moribondo si crea un non-sense che manda in corto circuito chiunque.
Dopo qualche ora, prima di pranzo, torno in ospedale...domani probabilmente e finalmente opereranno mia figlia. Vado a prendere un buon caffè alla macchinetta distributrice, dicono (e hanno ragione) che faccia un espresso di prima qualità, meglio del bar. Seduto vicino a me un ragazzo che studia, è completamente calvo con la pelle color gesso...capisco che è sotto terapia oncologica...poi arriva un signore, è il papà che chiede "stai studiando cara S.?" cara S. ? ...non mi ero neppure accorto che si trattasse di una ragazza...finito il caffè mi alzo per entrare in reparto ma la porta è chiusa: stanno facendo le visite e non vogliono più di un genitore in stanza e c'è Maria dentro...quindi aspetto seduto in corridoio. Accanto a me c'è la porta aperta del reparto attiguo di oncologia, non sto a descrivere i dettagli, meglio intuirli così saranno sicuramente meno crudi della realtà che, come si sa, supera sempre in peggio l'immaginazione...riconosco solo una signora partenopea con la quale avevo parlato due giorni prima in occasione dei primi esami diagnostici e con quale scambio un fugace saluto. E' con il figlio sulla sedia a rotelle ma questo è il meno; quando aveva quattro anni, un giorno, aveva detto alla mamma di sentire un dolore al sederino al quale ovviamente nessuno aveva dato peso, il giorno dopo si era svegliato paralizzato; ulteriori esami avevano evidenziato un cancro prima ad una ghiandola surrenale che fu asportata, poi al sangue ed in seguito una metastasi ad altri organi...la mamma coraggio, coraggio di vivere, mi racconta di essere in ospedale da Giugno ed il figlio, che aveva già subito cinque cicli di chemio, è in attesa di un trapianto di midollo compatibile.
Dramma nel dramma: le famiglie che devono restare a lungo nei reparti si dividono perchè restare settimane o mesi fuori casa non è possibile per entrambi i genitori, perchè purtroppo c'è il lavoro e bisogna mangiare; spesso uno dei componenti si licenzia per poter assistere il proprio figlio ma in questo caso è solo, senza il conforto morale o l'aiuto fisico del partner che è costretto a rimanere al proprio paese e non sempre può venire nei fine settimana perchè il viaggio ha un costo e spesso, visto il tempo tiranno, si è obbligati a prendere l'aereo ed un volo ad esempio per la Sicilia fuori dalle rare offerte può costare anche 180 euro a persona...troppe per molti !
Il genitore lontano dall'ospedale, a sua volta, ha l'angoscia di non poter essere accanto al proprio figlio ed ha l'incubo che ogni volta che riesce a raggiungerlo
possa essere anche l'ultima volta che lo vede.
Ma, mi chiedo io per questi bimbi, dove era l'Angioletto Divino nel momento della malattia ?, nel momento della nascita ?, dove era l'Angelo che doveva custodirli, illuminarli, reggerli e governarli in nome della Pietà ? Gli unici veri Angeli Custodi che incontro per questi martiri sono i molti medici, infermieri, ausiliari e volontari sempre pronti a regalare un fiume di miele e sorrisi a chiunque, genitori compresi, sempre sereni, gentili, disponibili, professionali, preparati, tolleranti, laboriosi, sempre pronti ad una parola buona senza distinzione di ruolo o di busta paga, senza distinzione di orario o di ore lavorate, senza distinzione di fatica o di riposo...un aspetto che mi ha colpito particolarmente...ma nessuno farà loro mai un monumento in cima al Gianicolo, neppure una testa di marmo.
Il mio pensiero cozza sempre a tutta quella gente che, anche in questo momento, mentre sto scrivendo...perchè non ce la faccio ancora a lavorare, si trova in quel luogo dove l'esterno non entra, dove il resto del mondo è così piccolo da non contare, dove esiste solo il bene e la salute dei propri piccoli e se cade una montagna non è un problema tanto non si saprebbe, dove non entra neppure il botto del cannone di mezzogiorno benchè spari a poche centinaia di metri in linea d'aria e benchè l'eco risuoni a chilometri di distanza... di esterno forse entra solo la polvere.
Questo è un mondo dove i genitori dimostrano l'immenso amore per i figli ma che per loro stessa ammissione non ne farebbero più per non rischiare, fosse anche una possibilità su un milione, di ripetere quel calvario...probabilmente a tornare indietro molti di loro non vorrebbero essere più nemmeno genitori !
Mi piacerebbe poter dare un contributo come volontario ma non posso, per lavoro esco col buio sei giorni alla settimana e torno col buio cinque, non posso diminuire le mie ore perchè lavoro lontano da casa e da qualche anno a stento riesco a far campare dignitosamente la mia famiglia e la domenica devo dedicarla a lei ed ai miei cari, ma qualche cosa prima o poi troverò fosse pure una banale sottoscrizione natalizia...poi magari le cose un giorno andranno meglio.
Sono anni che frequento regolarmente il Bambino Gesù ma questa volta rimanendo stabile qualche giorno all'interno è diverso...penso che ogni volta che passerò di fronte all'entrata o per tornare a fare controlli diagnostici (il prossimo tra un mese) o per portare le mie figlie a fare un giro alle giostre o sui pony del Gianicolo il mio sguardo si incupirà...nel frattempo è qualche giorno che mi batte il sopracciglio ed il labbro superiore sinistro.
Ovviamente non auguro a nessuno di passare un periodo in un ospedale pediatrico per cause personali ma secondo me non farebbe male a chiunque poter provare l'esperienza come osservatore esterno per qualche giorno, non di più per non rischiare l'assuefazione, l'anestetizzazione del dolore come forse accade parzialmente agli adetti ai lavori anche se....come abituarsi veramente e totalmente a ricevere ogni giorno per ore dei pugni allo stomaco ?
Fare un viaggio in Purgatorio, perchè di Paradiso non si tratta ma sarebbe ingiusto anche chiamarlo Inferno in quanto la maggior parte dei piccoli pazienti trovano giovamento e soluzione ai propri mali (e per questo bisogna ringraziare gli Angeli del Purgatorio) mi ha fatto ridimensionare gli eventi della vita e farebbe bene a tutti coloro i quali si affannano stupidamente intorno alle fissazioni, alle paranoie, alle discussioni, alle invidie, ai battibecchi, ai sondaggi, alle pignolerie o agli inutili perfezionismi. Sono cosciente però che sarò vaccinato dal mondo esterno solo per un breve periodo, poi tornerò quello di sempre, ma se in testa mi rimarrà anche un solo granello di polvere di quei giorni allora tutto questo che ho scritto non sarà vano e rileggendolo, come in una sorta di "richiamo", mi aiuterà a capire meglio quello che mi circonda.
Il tardo pomeriggio, prima del rancio per i pazienti (e di qualche merendina o avanzo del pasto di Maeva per me), il letto di AO. che è da molte ore in sala operatoria viene rimpiazzato da GJ., un bimbo filippino emigrato in Italia con mamma e nonna. La mamma, giovanissima, tanto che pensavo fosse in un primo momento la sorella maggiore, con il suo bel faccione orientale parla pochissimo l'Italiano. GJ. ha avuto il cuore completamente distrutto da un virus preso da una polmonite (ma raramente può arrivare anche da una caria) ed ha subito già almeno un'operazione come denuncia l'ampia cicatrice al centro del petto. Gli occhi neri lucidi e gli starnuti tradiscono una qualche affezione parainfluenzale. Tutti temono per i propri bimbi perchè basterebbe un banale raffreddore per far saltare l'intervento anche di molti giorni.
Il bimbo, che è l'unico senza giocattoli, si avvicina timido ai vari lettini dove ci sono delle bamboline e dei pennarelli ma nessuno gli da confidenza per paura di prendersi giustamente una malattia. Il bimbo continua a starnutire ed ha la febbre, la mamma lo richiama più volte ma la curiosità di quei giocattolini è troppo forte e solo allo sguardo severo di un adulto scappa via nelle braccia della mamma. Poi s'impossessa di un palloncino mezzo sgonfio a forma di squalo lasciato da un bimbo dimesso dalla nostra stanza qualche giorno prima e torna a letto.
Capisco dalle poche parole mimate della mamma che le operazioni oramai possono fare poco al suo cuore che è pronto o in lista per il trapianto, non capisco se da fare subito o in un altro momento. La notte inizia a vomitare ogni ora e continua anche il giorno dopo copiosamente. Sarà rimandato a casa e se il suo cuore nuovo era da impiantare in questa occasione, presumibilmente sarà dato ad un altro: è il gioco crudele della vita.
Durante la notte in una delle stanze del breve corridoio un bambino urla "mi fa male, mi fa male" per un ora e più, svegliando un neonato che inizia con vigore a piangere, c'è anche un via vai di personale ...io sono il più vicino alla porta ma non posso chiuderla per scongiurare che Maeva si svegli (se si sveglia mi chiederà da mangiare e bere, ma non può...) in quanto siamo in otto in stanza e con un bimbo che vomita ripetutamente l'odore nell'aria non è dei migliori.
Anche il mattino seguente il circo del reparto non è meno variegato. C'è una grassa signora Siciliana che gira nelle stanze a fermare la gente a raccontare i propri guai come in una gara nella quale deve primeggiare ...ma capisco che passare molto tempo a combattere la malattia di un caro può far uscire temporaneamente di senno; nei giorni successivi la rincontrerò piangente di gioia in quando le diranno che la figlia,V., non avrà più bisogno di operazioni ma le basterà assumere a vita una lunga serie di farmaci.
La stessa V., di circa sei anni , che aveva avuto il cuore spappolato da un virus scaturito da una banale tosse, il pomeriggio gira per le scale traumatizzata in cerca la mamma che ha osato concedersi un attimo di pausa per una sigaretta fuori del padiglione e si rifiuta urlando di entrare nel reparto finchè non la vedrà...io provo ad offrirle il mio succo di frutta, un pennarello, gli infermieri le parlano a lungo con tutta la dolcezza di questo mondo ma la bimba batte i piedi, strilla e scappa...sarà portata di forza nella sua stanza e reguardita la mamma.
Infine c''è il ragazzo Down che vaga chissà con quali pensieri, un ritardato mentale plurioperato sempre in cerca di qualcosa da leggere e un ragazzo più grandino con la flebo in mano e lo sguardo basso che va avanti ed indietro per il corridoio per ore come un animale in gabbia ...ma poi c'è anche e sempre il sorriso puntuale di un'infermiera.
Il giorno dell'intervento.
Dopo aver tenuto con difficoltà a bada le proteste di Maeva che anche oggi è a digiuno ma soprattutto senza bere da molte ore, con le labbra spaccate, finalmente verso l'ora di pranzo vengono somministrate a mia figlia le gocce che più che calmare (infatti è più vispa di prima) dovrebbero limitare la salivazione durante l'intubazione. Poi verso le 11.00 vengono gli ausiliari a prenderla con un letto a rotelle ed insieme percorriamo il lungo percorso sino alla sala operatoria in un altro piano ed in un altro padiglione, prendiamo due ascensori e percorriamo un lungo corridoio nei sotterranei fino alla pre-sala operatoria. Qui, mentre i dottori compilano le ultime pratiche al computer, Maeva viene fatta giocare con dei giocattoli, addirittura uno le viene regalato da un'infermiera, mentre io le spiego che dovrà aspirare in una specie di mascherina d'aerosol per potersi addormentare mentre le ripareranno il cuore. Maeva è tranquilla, quasi eccitata a differenza di altri bimbi che non riescono ad entrare da soli in sala operatoria perchè vogliono la mamma. Maria piange e per questo le dico di mettersi di spalle e non farsi vedere, io sono apparentemente più tranquillo e fiducioso, soprattutto dopo aver visto molto di peggio, e l'unica mia preoccupazione è che il tentativo di cateterismo, perchè ci spiegano fino all'ultimo che si tratta di un tentativo, non vada a buon fine...il che vorrebbe dire tornare una seconda volta, chissà quando, per un più invasiva operazione a cuore aperto.
AmplatzerIl caterismo che deve fare Maeva consiste in un intervento sotto anestesia generale nel quale tramite una vena femorale (si fa un taglietto all'altezza dell'inguine) si fa passare chiuso un dispositivo (che aperto avrà un diametro di 14 mm) formato da una rete metallica riempita di poliestere volgarmente detto "ombrellino" (il nome corretto è Amplatzer) che verrà posizionato come un "tappo" nel "foro" interatriale. La procedura viene seguita tramite ecografia transesofagea (un tubo in bocca che alla bimba di fronte al mio letto le aveva leso una corda vocale) e liquido di contrasto.
Il pericolo sta nella mancata riuscita dell'aggancio a causa del bordo del "foro" poco ispessito; in questo caso si rinuncia al caterismo e si torna a casa. La scelta se tentare o no sta proprio nella caratteristiche probabilistiche che il foro possa essere idoneo (con il bordo spesso appunto).
Spero che ci riescano e spero anche che la tecnica sia valida nel tempo, visto che Maeva dovrà tenersi a vita questo tappo metallico. Questo tipo di "chiusure" si effettuano da vent'anni ma è solo dalla fine del 1998 che è stato utilizzato questo tipo di dispositivo e materiale, in quanto quelli precedenti erano risultati scadenti e non privi di effetti collaterali. Se tutto andrà per il meglio, verificato il posizionamento corretto a distanza di 24 ore, potrà tornare a casa e dopo sei mesi di cardioaspirina (per scongiurare la formazione di trombi) tutto questo sarà solo un lontano ricordo rammentato solo dai futuri controlli di routine .
Maeva viene portata, salutandoci, seduta nel letto, in sala operatoria; ci racconterà il giorno seguente dei medici con i camici e le mascherine verdi che le dicono di gonfiare un palloncino, in realtà Maeva sa bene che si tratta dell'anestesia, e del dolce cadere nel sonno.
Le ore passano lente nella sala d'aspetto, Maria piange ed io la consolo, poi una nostra amica che lavora nella struttura, ma che ancora non avevo incontrato, si presenta (vista l'ora avanzata di pranzo) con due "mattonelle" di pizza bianca con sottilette e prosciutto cotto calda e due pacchetti di cioccolatini e tra una chiacchiera e l'altra spezziamo la tensione. Durante l'attesa parliamo anche con i genitori di AO. che fiduciosi attendono fuori della terapia intensiva notizie del figlio che, come ho detto prima purtroppo, non ce la farà.
Poi nel primo pomeriggio si apre la porta della sala operatoria e ci chiamano, la cardiologa-chirurgo esce e ci dice "ci siamo riusciti, il foro è stato chiuso definitivamente". La faccia sorridente e radiosa della cardiologa conferma quello che ci ha appena comunicato dal momento che ci hanno insegnato che la prima cosa da guardare per capire come è realmente andata l'operazione è proprio l'espressione del medico e poi in cinque anni non avevo mai visto sul suo volto un sorriso, è sempre stata una persona piuttosto austera, forse l'unica tra quelle conosciute nella struttura ! Una lacrima, ma di gioia, questa volta la faccio anch'io !
Corriamo nella zona dove viene parcheggiata temporaneamente Maeva, è distesa sul lettino con gli occhi semichiusi, ha delle macchie di liquido scuro (forse sangue, forse qualche altro fluido) che fuoriescono dai lati della bocca, ha la coscia fasciata, il polso con i tubicini della flebo e il sottomento trema !
Si lamenta con una voce rauca probabilmente per la gamba e per il fastidio alla gola e scalcia e piagnucola.
Maria è alle sue spalle perchè non è il caso che si faccia vedere piangente, basta la sua voce rassicurante, io le sto davanti e la carezzo.
Dopo una mezz'ora viene portata di nuovo in stanza, attaccata la flebo a controllo digitale e gli elettrodi per monitorare cuore e respiro.
La ripresa è incredibile e già dopo poche ore è perfettamente ristabilita, soprattutto quando può riprendere a bere e più tardi a mangiare. Le da un pò di fastidio il foro di entrata all'inguine, parla rauca ma non sente dolore per la flebo, nè ha quasi più il mal di gola causato dall'ecografia via esofago che ci avevano detto sarebbe potuto durare anche un mese. Seguono le visite e le dismissioni degli altri bimbi...è Venerdì pomeriggio e forse non ci saranno altri recoveri programmati e quindi questa notte saremo da soli in stanza e la nostra camerata diventerà una suite. A stento riesco a far star ferma Maeva che è stranamente piena di forze, forse è l'effetto del dopo anestesia, più facilmente la sua "nuova" circolazione sanguigna più ossigenata e filtrata...tant'è che noterò un aumento delle sue attività anche i giorni seguenti; vorrebbe saltare, scendere ma non può: c'è la flebo, i sensori che ogni tanto si staccano facendo suonare il cardiofrequenzimetro e poi per le prime ore dovrebbe tenere la gamba fasciata distesa ed immobile (pura fantasia).
La notte prosegue a tratti, le cambio un paio di volte il pannolino, visto che non può scendere dal letto per andare in bagno, l'infermiere le cambia la flebo ed aggiunge l'antibiotico sino al mattino quando, dopo una bella colazione, le liberano dagli impacci ed inizia i vari controlli: rx, ecocolordoppler, sangue, ecc. Tutto è ok e nel pomeriggio si va a casa...giusto in tempo, la sera del sabato, per...per... andare alla festa di un anticipato Halloween !.
Mentre usciamo il nostro entusiasmo viene spezzato dalla vista del pianto del papà di AO. che ci comunica la morte del figlio...la mamma non riescono a staccarla dalla camera mortuaria...vorremmo andare a dirle qualcosa ma la vista di altre giovani mamme fuori dal triste reparto, tutte piangenti, ci spezza il cuore.
Partiamo in auto con gli occhi lucidi ed i pensieri straziati...la mente anche dopo giorni è lì, in quel Purgatorio di anime senza colpa, in quel girone sempre uguale di speranza e sofferenza dove gli affanni del mondo esterno sono lontani anni luce.